A volte basta solo una goccia, la recensione di Giardino d’Inverno
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L’espressione “la goccia che ha fatto traboccare il vaso” siamo soliti pensarla in maniera negativa, come un evento, una frase, una parola o solo un gesto di troppo che porta un individuo oltre il limiti della propria pazienza. Renaud Dillies ai testi e Grazia La Padula ai disegni, scelgono invece di dare una prospettiva differente a tale “goccia”, non una mera metafora ma strumento narrativo grazie al quale Sam, il protagonista del delicato graphic novel Giardino d'inverno, edito da Tunué, riesce a scoprire che nel mondo grigio, triste e piovoso che lo circonda, possa nascondersi un barlume di felicità.
Sam è un cameriere di un locale e passa la sua monotona esistenza tra il lavoro e il suo appartamento fatiscente, costretto a una ripetitività ossessiva che sembra intrappolarlo: ha perso, o quantomeno sfugge ad ogni anelito vitale, auto-condannato a rifuggire ogni problematicità, dalla più semplice alla più complessa, che la vita gli impone. La goccia che, inesorabilmente e fastidiosamente, cade dal soffitto, potrebbe strapparlo alla sua piatta quotidianità. Perno del dramma quotidiano di Sam è la sua incapacità di vivere le relazioni, che siano sentimentali, familiari o amicali, ma desideroso che il meccanismo ripetitivo in cui è entrato si fermi per permettergli di riprendere la propria esistenza.
La sceneggiatura di Dillies asciutta, senza fronzoli, lascia che siano i silenzi, rotti esclusivamente da ripetitivi e cadenzati rumori, ad esprimere il dramma del protagonista, sottolineando la vacuità dell’esistenza a cui sembra essere costretto. La pioggia battente, costante e oppressiva, non fa altro che amplificare il progressivo e continuo ottundimento a ogni scintilla vitale, a ogni gioia che il quotidiano, anche quello monotono e a tratti decadente, sa regalare a chi sa raccoglierla. Ma Sam, sembra non saperlo fare, o non poterlo fare, incapace di gestire le proprie emozioni che ha imparato a nascondere sotto una corazza monocromatica di freddezza. Grigia freddezza.
I colori e il disegno, difatti, sono portanti della narrazione, evocano cromaticamente e visivamente le sensazioni che il protagonista prova o, meglio, cerca di provare. Il colore “rosso” è il colore dell’affettività, del ricordo, dell’amore, è il colore dei capelli della ragazza di Sam, Lili, della cabina telefonica che può metterlo in contatto con la sua famiglia, è il colore del drappo teatrale del palco, luogo che esprime l’aspirazione musicale del protagonista: un colore costantemente incontrato ma puntualmente rifuggito. Il disegno caricaturale, fatto di palese deformazione, di La Padula descrive l’atmosfera nevrotica, disturbante, della sceneggiatura, concedendo straordinario spazio ad ambienti estremamente dettagli e ricchi, che non possono non incantare lo sguardo del lettore. Chiunque conosca o abbia provato sulla propria pelle la vita metropolitana, ritrova un’atmosfera conosciuta: il grigiore del ritmo sclerotizzato della quotidianità. Ma la stessa persona sa che, in questo meccanismo, sa esserci lo spazio per la meraviglia, a volte piccola, spesso nascosta, ma capace di risvegliare dal torpore sonnolento anche chi si è inaridito: Sam scopre il suo Giardino d’Inverno, al lettore tocca scovare il proprio. A volte, basta solo una “goccia”.