Il principe e la sarta, recensione: una delicata fiaba sulla diversità
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Dopo essere stato premiato ad Angoulême nella categoria Jeunesse e aver ricevuto due nomination ai prossimi Eisner Award, arriva anche da noi (in un’ottima edizione cartonata curata dalla Bao Publishing, che, a chi ha superato la quarantina, ricorderà con nostalgia i libri per ragazzi della propria infanzia) il graphic novel Il Principe e la Sarta di Jen Wang, uscito originariamente negli USA per la piccola First Second.
Della cartoonist di origini asiatiche, ma cittadina di Los Angeles (dove è, anche, tra gli organizzatori del locale comic book festival), finora in Italia si erano visti solo i disegni per In real life, opera scritta dal canadese Cory Doctorow e pubblicata nel nostro paese dalle Edizioni BD nel 2015. Ne Il principe e la sarta la Wang è invece autrice unica, mostrando per la prima volta al pubblico italiano che, oltre a essere una bravissima disegnatrice, è anche un’abile narratrice.
La storia inizia a Parigi, in un periodo non ben precisato compreso tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, quando i reali del Belgio arrivano in città per trovare una moglie al Principe Sebastian, erede al trono. Al fine di raggiungere questo scopo, organizzano un ballo a corte a cui vengono invitate tutte le giovani aristocratiche ancora nubili. Le sartorie della città risultano, pertanto, sommerse di richieste per confezionare nuovi abiti ed è in una di queste che lavora Frances, un’umile cucitrice che sogna di fare la stilista, la quale, dopo aver realizzato un vestito particolarmente audace per una cliente, viene segretamente assunta dal principe in persona. Egli, infatti, è all’insaputa della famiglia un cross dresser, adora, cioè, indossare capi femminili. Ma, stanco di avere a disposizione solo i vestiti della madre e ammirato dal lavoro di Frances, chiede a quest’ultima di realizzare nuovi abiti per lui.
Sebbene l’inizio ricordi non poco gli adattamenti disneyani di favole classiche (Cenerentola in primis), ben presto si intuisce che, in realtà, la Wang sta solo utilizzando una metafora per raccontare qualcosa di diverso. Già la breve, ma folgorante, apparizione di Lady Sophia Rohan (un personaggio caratterizzato così bene, pur se presente solo in una manciata di vignette, che non ci stupirebbe rivedere in una storia tutta sua) fa capire che direzione prenderà presto la storia. Quasi subito dopo, infatti, il lettore viene messo a conoscenza del segreto del principe Sebastian, trasformando così il graphic novel in un delicato inno alla diversità, un invito a saper accettare le proprie inclinazioni, anche a costo di andare contro il pensiero dominante. Il tutto, però, portato avanti in maniera leggera, senza eccessive drammatizzazioni, con i due giovani protagonisti liberi di mostrare le ragioni delle proprie scelte. Ed è in virtù di questo che riteniamo particolarmente azzeccata la decisione di raccontare la storia di Sebastian e Frances come una favola. In questo modo l’autrice riesce a diffondere il suo messaggio a un pubblico più ampio, costituito sia da chi cerca solo una lettura di svago e che, quindi, guarda soprattutto ai momenti più umoristici o romantici della vicenda, e sia da chi, invece, è interessato a riflessioni più profonde.
A suffragare la nostra impressione è anche il modo in cui viene rappresentata Frances: non una semplice fanciulla di umili origini, decisa a entrare nelle grazie di un principe, ma una giovane donna determinata a raggiungere i suoi sogni, anche a costo di rinunciare agli agi di corte o, semplicemente, alla compagnia del ragazzo di cui è innamorata. La stessa Lady Sophia, a cui abbiamo accennato in precedenza, con il suo desiderio di ribellarsi a una vita che la vede destinata a un matrimonio d’interesse, rafforza ulteriormente questo messaggio.
Non manca, neanche, un malinconico accenno ai cambiamenti della società imposti dalla modernità: re e regine saranno presto un anacronismo e la vita a corte cesserà di essere il sogno della popolazione, più attratta dall’apertura di un grande magazzino o da altri beni alla portata di tutti.
Ma se i testi semplici (comunque mai banali) si rivelano particolarmente efficaci nel rendere piacevole e scorrevole la lettura, è con i disegni che l’autrice dà il meglio di sé. Il suo tratto cartoonesco non solo evoca i classici disneyani, come era lecito aspettarsi, ma presenta anche evidenti richiami di altre scuole fumettistiche (l’influenza franco-belga è quella più facilmente riconoscibile, ma non mancano neppure piccoli omaggi ai manga giapponesi). In questo modo i suoi personaggi esibiscono una gamma espressiva senza pari, grazie alla quale riescono ad apparire molto più che semplici figurine di carta. Il sapiente uso del colore, inoltre, contribuisce a trasmettere nel lettore le emozioni dei protagonisti, e trova il suo pieno compimento nei variopinti abiti realizzati da Frances, uno sgargiante arcobaleno di forme e tinte a cui è veramente difficile rimanere indifferenti.
Forse l’unico punto debole del libro è rappresentato dal finale: pur dando per scontato il lieto fine, infatti, i temi portati avanti dall’autrice ci avevano indotto a pensare che la Wang avrebbe scelto qualcosa di meno prevedibile per chiudere la storia. Può darsi, però, che si tratti solo di un problema culturale: noi europei siamo molto più cinici, e tendiamo a considerare un po’ banale il classico “…e vissero tutti felici e contenti”, al contrario degli americani, notoriamente poco avvezzi al rispetto delle etichette e ingenuamente convinti che anche le cose più inverosimili possano davvero accadere.