Tutti noi da bambini ci siamo fatti raccontare, almeno una volta, una fiaba prima di andare a dormire. Ognuno di noi ha una sensazione diversa collegata al ricordo di quel momento, c’è chi si riscopre nostalgico e chi invece sente nuovamente la paura che provava in determinati racconti, proprio come se il tempo non fosse mai davvero trascorso.
Questa sensazione è - personalmente - quella che ho provato quando mi sono ritrovata a leggere Gli orchi dei: Piccolo.
Edito da BAO Publishing, la storia è scritta da Hubert ed è “messa in scena” e disegnata da Bertrand Gatignol. Nessuna espressione è utilizzata a caso, così viene infatti presentata la storia, anzi, l’opera. Proprio come una pièce théâtrale.
La prima scena sembra aprirsi letteralmente come il tendone di un teatro, in tutta la sua ricchezza e opulenza, mostrando il re dei giganti intento a divorare con ben poca regalità la sua pantagruelica cena che consiste in svariati corpi umani. Tutto si svolge nella più placida quotidianità almeno fino a quando la regina, una gigantessa di poco più piccola rispetto al marito, dopo un semplice starnuto partorisce in mezzo alla sala.
La sorpresa sta proprio nel bambino che, invece di essere di dimensioni per l’appunto “gigantesche”, è della grandezza di un semplice bambino umano. Questo avvenimento fa letteralmente scattare in tutti i presenti al tavolo reale un raptus di follia, piuttosto che avere un consanguineo di piccole dimensioni, un grande disonore, preferiscono divorarlo. La regina decide però di risparmiare la vita a questo suo “particolare” figlio fingendo di mangiarlo, ma lasciando che siano le domestiche umane ad occuparsi della sua crescita. È da qui che infatti comincia la storia di Piccolo, il figlio del re dei giganti rifiutato dalla famiglia proprio per il fatto di non essere un vero gigante.
Non daremo altri spoiler, ma questa presentazione della trama si rende assolutamente necessaria per comprendere appieno l’atmosfera in cui è letteralmente immersa la storia.
Aprendo per la prima volta questo fumetto non si deve pensare che si andrà a leggere una delle fiabe tanto edulcorate che ascoltavamo da bambini. Risulta bensì più facile ricollegare la sensazione che si prova, inoltrandosi nella trama, alla prima volta che si va a leggere una delle storie dei fratelli Grimm. Le fiabe, cosiddette, “originali” senza lieto fine e spesso e volentieri molto più crude delle fiabe che noi conosciamo. Spesso invece mostrano solamente la realtà senza fronzoli, la stessa realtà che sempre ci è più difficile da accettare in molti aspetti.
Rendere la storia come uno spettacolo teatrale rappresenta la cornice perfetta ad un gran bel quadro, per di più. Non c’era modo migliore per presentarla, con un’organizzazione delle “scenografie” assolutamente perfetta. Il calcolo della presenza dei personaggi sulla scena e dello spazio utilizzato è meticolosissimo, proprio come se invece di organizzare la vignetta di un fumetto fosse stato preparato il palco per un’opera. Ed è nelle scene di gruppo in cui viene mostrata la grottesca famiglia reale dei giganti che ci accorgiamo di quanta attenzione è stata data a questo determinato particolare.
La lettura di questa storia è resa ancora più piacevole dalle parti scritte con le singole storie dei personaggi principali, il cosiddetto “Libro degli Avi”.
È necessario aggiungere altro, per consigliare vivamente questa lettura?