Fellini - Viaggio a Tulum e altre storie
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Torna disponibile nelle librerie a 26 anni dalla prima pubblicazione Viaggio a Tulum, opera che ha segnato l’incontro artistico tra due maestri assoluti dell’immaginario, Federico Fellini e Milo Manara. Nata come sceneggiatura per un film da realizzare e apparsa a puntate sul Corriere della Sera nel 1986, la storia appartiene ai grandi progetti irrealizzati di Fellini, come il celebre Viaggio di G. Mastorna. Successivamente rimaneggiata dal grande regista, viene tradotta in immagini dalla matita sublime di Manara, legato a Fellini da profonda stima reciproca ed amicizia.
I due si erano conosciuti nel 1985, anno in cui Manara realizza una storia breve come omaggio al regista di Rimini, Senza Titolo. A Fellini la storia (contenuta anch’essa nello splendido volume della Panini Comics) piacque molto, tanto da voler conoscere l’autore. Così, grazie alla complicità di Vincenzo Mollica, amico intimo del Maestro ed esperto di fumetti, avvenne il fatidico incontro. Tra i due nasce una simpatia e una stima istantanea, che diverrà più forte col passare degli anni: Fellini è da sempre una delle influenze maggiori di Manara, nel cui lavoro ritroviamo spesso quella dimensione visionaria e surreale tipica di opere come 8 e ½. Il cineasta, per contro, è un grande estimatore del tratto sensuale dell’illustratore. I presupposti per una collaborazione ci sono tutti e l’occasione si presenta sul finire degli anni ’80 quando Fellini, visti i costi proibitivi e la difficoltà di reperire i fondi necessari, decide di trasformare Viaggio a Tulum in un racconto a fumetti per i disegni di Manara. Il risultato finale vede la luce sulla rivista Corto Maltese, a partire dal luglio 1989, come storia a puntate dal titolo Viaggio a Tulum da un soggetto di Federico Fellini per un film da fare.
La trama è volutamente poco più che abbozzata, in modo che il lettore possa immergersi fin dalla prima pagina nell’immaginario felliniano. Un Vincenzo Mollica dalla connotazione fortemente caricaturale arriva in una Cinecittà onirica, popolata solo dalle suggestioni dei film di Fellini: c’è la bambina demoniaca di Toby Dammit da Tre Passi nel Delirio, la Giulietta Masina de La Strada, la troupe di 8 e ½, la Ekberg de La Dolce Vita, etc. Accompagnato da una bionda misteriosa incontrata poco prima, Mollica trova Fellini addormentato in riva ad un laghetto. All’improvviso un soffio di vento fa volare in acqua il cappello del regista: la bionda si tuffa per recuperarlo, e sott'acqua si trova davanti una inaspettata meraviglia: sul fondale giacciono, come relitti, i film mai realizzati dal regista. La donna non ha problemi a respirare sott’acqua e entra nella carlinga di un enorme aereo, arrestandosi davanti al corpo immobile di Mastroianni – Snàporaz (il nomignolo fumettistico scelto dal cineasta per il suo alter – ego cinematografico e amico fedele). A questo punto fa il suo ingresso Fellini, che poggia il cappello sulla testa dell’inanimato Snàporaz – Mastroianni, dandogli vita: da questo momento sarà lui il protagonista della storia. Nel frattempo sopraggiungono anche Mollica e la ragazza bionda, e l’aereo inabissato improvvisamente riavvia i motori e decolla, giusto il tempo di concedere il tempo a Fellini e alla ragazza di uscire dal velivolo e guadagnare la superficie dello stagno.
L’aereo atterra a Los Angeles, dove Snàporaz e Mollica devono incontrare Maurizio, un produttore cinematografico interessato a produrre un film sulle antiche culture del centro America, in particolare quella tolteca. Da qui inizia un racconto, a metà tra il mistico e il surreale, popolato da misteri e strani incontri. Dopo varie peripezie e dopo aver accolto tra le proprie fila Helen, la bionda misteriosa che era apparsa nel prologo di Cinecittà, e un professore esperto conoscitore della civiltà tolteca, i nostri eroi giungeranno nel cuore della giungla nana, dove apprenderanno i segreti degli antichi stregoni aztechi.
Pur contenendo non pochi riferimenti allo sciamanesimo e ai libri di Carlos Castaneda in particolare, Viaggio a Tulum è un’opera perfettamente inserita nel corpus felliniano. Già in film come La Dolce Vita, ad esempio, era chiara la malinconica constatazione dell’innocenza perduta e la denuncia di un mondo diventato ostile all’uomo a causa della corruzione dilagante. La ricerca di una dimensione più autentica, sottratta all’essere umano dalla modernità, non avveniva però con i modi del cronista, del polemista nostalgico, ma dell’artista che grazie alla sua sensibilità tende a cercare rifugio nella fantasia, nel sogno, nel ricordo, non sottraendosi comunque ad un inevitabile confronto col male di vivere della società attuale. Questa poetica, che trova piena compiutezza nei film della maturità come 8 e ½ e Amarcord, anima anche le pagine di Viaggio a Tulum: il mito di un’età dell’oro ormai perduta, tipico dell’opera felliniana, viene qui incarnato dall’antica civiltà tolteca, i cui sacerdoti custodiscono una saggezza ormai irraggiungibile dall’uomo moderno. Come nelle sue opere migliori, la trama è un gracile supporto al susseguirsi di immagini di sfolgorante bellezza e camei d’eccezione (significativa la presenza di Jodorowsky e Moebius nella sequenza della conferenza stampa), una carrellata di episodi dai significati reconditi che vengono lasciati sedimentare nell’inconscio del lettore.
L’atmosfera onirica e sognante della sceneggiatura di Fellini viene tradotta in tavole di seducente splendore dalla matita incantata di Milo Manara. L’artista di Luson realizza scene di grande impatto visivo, degne di un kolossal cinematografico: lasciano di stucco sequenze come il prologo a Cinecittà e l’arrivo alla Babel Tower. Morbido e sensuale come sempre, il suo stile ricco di dettagli regala luminosità ad un soggetto non privo di elementi inquietanti ed oscuri, che vengono smussati dalla grazia e dall’eleganza di un tratto in grado di combinare spontaneamente erotismo ed ironia come nessun altro.
Il pregevole volume proposto da Panini Comics presenta come bonus due storie brevi, la Senza Titolo di cui abbiamo parlato in apertura e Reclame, apparsa per la prima volta nel 1986 su Il Messaggero Supplemento Estate, sferzante critica a quella tv commerciale che negli anni '80 cominciava la sua rapida ascesa dagli esiti oggi ben noti e già vaticinati dallo stesso Fellini in Ginger & Fred. Rileggere oggi queste storie è utile per comprendere quanto un artista come Fellini manchi non solo al cinema italiano, ma al dibattito intellettuale del nostro Paese.