Menu
Giorgio Parma

Giorgio Parma

URL del sito web:

Ajin – Demi Human 1

Ajin - Demi Human è un manga scritto da Tsuina Miura su disegni di Gamon Sakurai che in Giappone ha fatto letteralmente furore. Stiamo parlando di qualcosa come 2,5 milioni di copie vendute solamente con il primo volume, quello che trovate in fumetteria grazie a Star Comics, anche in versione con variant cover realizzata da Giuseppe Camuncoli. Un successone quindi questo fumetto, che, almeno a leggere il primo volume proprio non si riesce a capire.
Per intenderci la storia è interessante, il potenziale c’è e lo si percepisce chiaramente, la potenza espressiva delle tavole di Sakurai poi è sicuramente di grande pregio. Ma la narrazione presenta delle forzature, dei difetti, dei passaggi farraginosi introdotti per far salire di giri la trama ed entrare direttamente nel vivo, che sinceramente pregiudicano la lettura dell’opera.

La trama segue le vicende di Kei Nagai, uno studente modello che a poche pagine dall’inizio viene travolto da un camion rimanendo ucciso sul colpo. Tuttavia quello che si scopre è che il ragazzo è un Ajin, ossia un essere immortale, che si rigenera da qualunque tipo di ferita infertagli, per quanto fatale possa essere. Quindi quando il giovane si rialza sul luogo dell’incidente, risvegliando i suoi poteri, viene immediatamente guardato con disgusto dai passanti, tra cui dei suoi compagni di classe. Infatti, come era stato spiegato in classe proprio all’inizio del primo capitolo, questi misteriosi personaggi sono estremamente rari e sebbene siano apparentemente innocui per gli umani, la loro cattura è uno degli obiettivi principali di ogni stato o potenza mondiale, in una sorta di corsa all’oro per poter studiarne la natura tramite crudeli e brutali esperimenti, con tanto di ricompensa economica, si vocifera, per chi riesce a consegnarne uno alle autorità. Comincia quindi una caccia all’uomo senza esclusione di colpi e il povero Kei dovrà chiedere aiuto ad un suo vecchio amico d’infanzia, Kai, unica persona a non giudicarlo e ad emarginarlo per la sua appartenenza a quella spaventosa razza. Ma sulle sue tracce si metteranno anche altri Ajin, interessati alle sue capacità e intenzionati a reclutarlo per scopi malvagi.

ajin1

Sebbene la trama sia intrigante, ci sono numerosi aspetti che lasciano interdetti relativamente al modo in cui vengono trattati nel volume. Innanzitutto già suona strano che in una classe di liceali un professore si metta a parlare di queste strane creature senza contesto apparente della sua discussione, che difatti emerge dal nulla e nel nulla termina. In secondo luogo tutti sembrano disprezzare questi esseri, senza che però se ne conosca la vera essenza o natura, ma solo per la loro diversità e per la loro capacità di “resuscitare”, da sempre un invidiabile tabù per l’umanità, religiosamente quanto fisiologicamente parlando. È comprensibile infatti la solita xenofobia razzista mossa dall’incomprensione, dall’ignoranza e dalla paura del diverso, ma un minimo di alternativa di pensiero potrebbe quantomeno essere tollerata in una società civile, invece qui no, tutti contro il povero Kei, ad eccezione di Kai. Anche la stessa famiglia del protagonista, quantomeno la sorella e la madre, non mostrano un minimo di preoccupazione né di apprensione per la sua posizione, anzi, si limitano a condannarne la natura e a tradirlo, rivelando agli agenti incaricati di affrontare questa minaccia informazioni importanti sulla sua fuga. Va bene il cinismo, ma ad un certo punto la cosa diventa ridicola. Soprattutto quando, nelle ultime pagine del volume, dopo essere sopravvissuti agli attacchi di numerosi inseguitori e contendenti della taglia, per creare un hype con tanto di cliffhanger finale, la narrazione subisce degli scatti improvvisi che permettono a Kei di comprendere gli eventi in una maniera deduttiva estremamente forzata, da far impallidire Sherlock Holmes.

ajin2

Il ragazzo infatti impara dal nulla a guidare una motocicletta, avendo osservato in precedenza le movenze dell’amico, cosa che neanche l’implementazione della capacità tramite floppy nel cervello di Neo in Matrix avrebbe dato risultati così soddisfacenti. Ma prima della conclusione, riesce anche a dedurre, da un calcolo talmente approssimativo quanto ridicolo che esistono molti più Ajin di quelli effettivamente identificati dal governo, solo facendo una brutale media tra morti annuali in Giappone e morti al minuto e vedendo che i conti non tornano (da notare la presenza di formule a caso, curve demografiche e altri grafici di dubbia interpretazione in sovrapposizione alle figure per dare il senso di un ragionamento profondo, sebben irrealistico data l’età del protagonista). Ma non contento, deduce anche che gli Ajin sono sulle sue tracce, che rapiranno sua sorella, una delle poche persone che sa del suo rapporto con Kai, e che lo contatteranno, anzi che contatteranno il suo amico, per questo gli ruba il cellulare. Infine per concludere in bellezza, decide anche di voler uccidere tutti quelli che tenteranno di far del male agli esseri umani che a suo parere non meritano questo trattamento. Beh, che dire, chapeau!

ajin3

La parte grafica è invece molto ben realizzata, con tavole dalla composizione interessante e molto originale, anche ricorrendo spesso alle splash page o a pagine caratterizzate da un’unica vignetta. I disegni puntano molto sul realismo e sono per questo molto dettagliati, soprattutto nelle scene più splatter. Le atmosfere sono cupe, tetre, sono presenti retini molto fitti e dense campiture di nero. A volte però pare che ci siano delle dimenticanze nel riportare l’espressività dei personaggi, soprattutto del protagonista, che in alcune inquadrature non ha sempre la stessa espressione, indipendentemente dalle circostanze narrative.

ajin4

Insomma non un’opera particolarmente entusiasmante questo Ajin, almeno a giudicare dal primo volume. La potenzialità per sviluppare una storia coi controfiocchi c'è sicuramente, ma al momento non la vediamo espressa al meglio. Se si sorvolano queste forzature narrative e si considera lo status quo introdotto al termine del tankobon, in cui ci ritroviamo nel bel mezzo degli eventi, potrebbe anche essere che nei prossimi volumi la storia sia molto più godibile e che tolto il dente del dover dare il via alla trama, se ne andrà anche il dolore che ha accompagnato questa scelta. Chi vorrà proseguire lo scoprirà.

Channing Tatum ci aggiorna sul film Gambit, possibili collegamenti con gli X-Men

  • Pubblicato in Screen

Channing Tatum ha preso proprio a cuore il ruolo di Gambit e, come già annunciato da tempo, non lo vedremo vestire questi panni solo in X-Men: Apocalypse, come si vocifera, ma anche in un film in solitaria, previsto per il 2016. In una recente intervista disponibile su Empire Magazine, l'attore ha fornito nuove informazioni sulla pellicola e sul ruolo nell'universo cinematografico mutante creato dalla Fox.

"Adoro Gambit. Sono cresciuto nel Sud; mio padre è della Loiuisiana. Andavamo spesso a New Orleans e ho sentito tutti i dialetti. Era così diversa dal resto d'America; ha la sua antica cultura. Così mi sono identificato con quello. E mi è sempre sembrato il più reale degli X-Men. È una sorta di anima tomentata e non è di certo un bravo ragazzo. Ma non è neanche cattivo. Cammina sulla sua strada. E, naturalmente, gioca a carte, beve ed è un badass esperto di arti marziali!".

"Josh Zetumer ha appena consegnato la prima stesura della sceneggiatura, ed è spettacolare. Nessuno di noi era sicuro di come avrebbe gestito il mondo degli X-Men. Ma in questo modo andremo a cambiare alcuni dei tropi di questi film. Si tratta sempre di salvare il mondo (ride), ma forse ci sposteremo un pochino. Ci sono così tanti modi in cui ci si può approcciare ad [una storia originale]. Si potrebbe fare come Batman Begins, o approcciarsi diversamente come per i Guardiani della galassia. Tutto quello che posso dire è che sono super emozionato".

A produrre il film ci sarà lo stesso Tatum con il suo partner Reid Carolin tramite la loro Free Association insieme a Lauren Shuler Donner con la sua The Donners Company oltre alla Genre Films di Simon Kinberg. La sceneggiatura sarà scritta da Josh Zetumer (Robocop), sulla base di un lavoro di Chris Claremont.

Twin Peaks: saranno 18 gli episodi della serie revival

  • Pubblicato in Screen

Dopo il recente ritorno di David Lynch al timone della serie, arrivano nuove notizie riguardanti il revival del cult Twin Peaks, in lavorazione per Showtime. Come riportato dal sito Welcome to Twin Peaks, gli episodi del nuovo progetto saranno ben 18, il doppio rispetto a quelli originariamente previsti, e saranno scritti da Lynch stesso e Mark Frost, altro co-creatore della serie. Inoltre la soundtrack della serie sarà ancora una volta realizzata dal compositore originale Angelo Badalamenti e le riprese cominceranno a settembre, sempre nei posti caratteristici del cult come North Bend e Snoqualmie, in quel di Washington. Rivedremo quindi il celeberrimo Double R Diner. A fare gli annunci sono state le attrici Sherilyn Fenn e Sheryl Lee, care ai fan della serie, durante la convention Crypticon a Seattle. Di seguito il video.

Daredevil: recensione della serie TV

  • Pubblicato in Screen

All’inizio ero scettico nell’approcciarmi alla serie Daredevil della Netflix. Un po’ perché mi ricordavo, come penso tutti noi, ciò che era stato fatto al personaggio nell’omonimo film del 2003 diretto e sceneggiato in maniera alquanto discutibile da quel Mark Steven Johnson, che di lì a qualche anno cercherà in ogni modo, riuscendoci alla perfezione, di rovinare il debutto cinematografico di altri due personaggi Marvel che potremmo definire “underground” come Elektra e Ghost Rider. Ma per fortuna da quegli anni bui la Casa delle Idee sembra essersi risollevata alla grande, intraprendendo un cammino sul grande schermo del tutto invidiabile e molto redditizio, controllando molto di più la qualità dei prodotti, soprattutto quelli sotto l’egida dei Marvel Studios. Ma con l’attestarsi della supremazia netta nel campo dei lungometraggi, del tutto incontrastata per il tema supereroistico, il proliferare incontrollato delle serie televisive ha richiesto un nuovo fronte d’onda invasivo anche sul piccolo schermo. E dopo la (spesso) deludente e sottotono Marvel’s Agents of S.H.I.E.L.D. realizzata dalla ABC, da poco rinnovata per una terza stagione, è arrivata la bella miniserie Marvel’s Agent Carter (sempre ABC) che un po’ ha fatto rialzare le aspettative e dato un po’ di linfa al filone seriale della major. Cosa aspettarsi quindi da Daredevil, prima serie di molte -Iron Fist, Luke Cage, AKA Jessica Jones e I Difensori- nate dalla collaborazione con Netflix? Semplice. Che la Marvel domina ormai anche il mercato delle serie TV tratte da fumetti senza particolari competitori.

Se prima ci poteva sembrare un bell’approccio quello di Arrow della The CW, o simpatico e divertente il clima creato dallo spesso troppo carente e infantile (sia a livello di sceneggiatura che di performance recitative) The Flash, dopo aver visto Daredevil rimane tutt’attorno terra bruciata. Sia da una parte che dall’altra della barricata, DC e Marvel. Solo la bella prova di Gotham della Fox potrebbe reggere il confronto, ma per molti, molti aspetti ne esce vincitrice questa serie, e non mancheranno certo le parole per esprimere meglio questi concetti successivamente. Ma cominciamo a vedere perché questo lavoro è davvero meritevole e perché è un must per tutti gli appassionati di buone serie televisive, non solo amanti dei supereroi, ma soprattutto perché questo progetto è ancora una volta un centro perfetto per la major fumettistica.

387566ac1cb4b20a37c6c84165f24591 XL

Con Daredevil la Marvel cambia le carte in tavola, cambia le regole, cambia la sua formula vincente, quella che sul grande schermo ha spianato la strada a successi come Iron Man e The Avengers, andando a soddisfare tutti i target immaginabili, dal bambino al nerd accanito, dall’amante dell’azione a chi invece vuole solo divertirsi con del sano umorismo e tante botte da orbi.
Questa volta però non si teme di scontentare l’audience, il target è molto mirato e ridotto rispetto al solito; parliamo di quella fetta di pubblico adulto, maturo, abituato a vedere scorrere il sangue e alla violenza, all’azione più realistica e che non si accontenta facilmente. Lo showrunner Steven S. DeKnight ha più volte dichiarato che la serie avrebbe avuto dei toni molto più cupi, tetri, gritty e dirty, più decadenti dello sfarzo tecnologico e abbagliante degli scintillanti Avengers, centrando pienamente l’obiettivo. Siamo nell’underground più spinto, nell’oscurità delle strade di una Hell’s Kitchen rimasta ferma nel tempo, ancorata a livello stilistico al passato. È tutto  più “amatoriale” in questa serie, senza l’accezione negativa del termine. Gli attori, il regista, gli sceneggiatori e tutto lo staff che ha lavorato alla produzione hanno fatto un lavoro eccezionale, di mirabile fattura e nuovo standard per i progetti a venire. Ma il mood che ne traspare è quello di un Matt Murdock alle prime armi, che senza l’appoggio di nessuno cerca di combattere il crimine per quel che può, con tanta forza di volontà ma pochissimi mezzi, barcamenandosi alla meglio, cercando di non lasciarci le penne ma al contempo di fare giustizia ad ogni costo. Questo è quello che intendo con look “amatoriale”.

La grandezza di questa produzione che con un budget estremamente limitato ha preferito investire sul caché degli attori, eccellenti e peraltro neanche particolarmente famosi a parte qualche eccezione, piuttosto che sugli effetti speciali, grandeur che non si sarebbe mai sposato con personaggi e atmosfere, porta una ventata d’aria fresca e getta le basi per un nuovo modo di concepire la trasposizione dei supereroi dalla carta al piccolo schermo che sicuramente farà storia.
Inoltre il media della TV series apre molti orizzonti che un film, per quanto ben scritto e strutturato non potrà di certo avere. In primis la serialità permette un maggiore approfondimento introspettivo e psicologico dei personaggi, una maggiore caratterizzazione non solo del protagonista ma anche delle persone e dell’environment che lo circondano, cosa che viene realizzata molto bene in Daredevil. Ma questo metodo potrebbe anche dare una diversa dimensionalità alle storie a fumetti, raggiungendo un pubblico più vasto. E se ben costruite, se ben sceneggiate e dirette, questo potrebbe significare che le nuove serie TV realizzate in collaborazione con Netflix potrebbero rappresentare una sorta di Marvel Knights per l’MCU, storie più mature, autoriali che approfondiscono ed esaltano il personaggio con una dimensione sempre più spinta, necessaria per contrastare il dilagante piattume mainstream.

174bb47ad455b232a0b5d707a1db7bfd XL

E a riprova di questo, c’è la magistrale interpretazione del cattivo di turno, il Wilson Fisk di Vincent D’Onofrio. Semplicemente perfetto nella parte, riesce a rendere viva e turbante la psiche traumatizzata, precaria, instabile e degenerata di uno dei villain tra i più conosciuti del MU. È soprattutto la portanza irrequieta, discontinua, e la parlata vacillante, sincopata da delle restrizioni dovute all’incapacità di relazionarsi con il prossimo che mascherano un rancore, una rabbia intensa e fortemente repressa che emerge a sprazzi con scatti furenti. La possibilità di indagare la sua evoluzione, la sua mutazione comportamentale che lo porterà ad uscire dall’ombra della malavita per esporsi in pubblica piazza con intenti salvifici, redentori, per un quartiere degradato, sull’orlo del collasso e della totale perdizione. Ma è il suo attaccamento morboso, dipendente e assuefatto a questo luogo, che gli ha dato i natali e a cui il padre fortemente teneva, a non permettergli di arrendersi anche quando gli ostacoli da superare continueranno ad aumentare. La cosa più interessante poi è che questa forza motrice è la stessa del suo antagonista e alla fine tutto il discorso si tramuterà in una commisurazione di intensità del sentimento, che determinerà il vincitore dopo l’ennesimo round.

Perché a far grande questa serie è anche la bella interpretazione di Charlie Cox nei panni del protagonista, un anti-eroe dark che cammina sul sottile confine tra salvezza e perdizione, tra vigilante e omicida, tra redentore e peccatore, rendendo così orgoglioso Frank Miller. Viene difatti molto ben sviluppata la tematica della personificazione dell’insolubile dicotomia, della intrinseca ipocrisia e contraddizione esistente nel personaggio. Avvocato di giorno e combattente mascherato di notte sono due aspetti inconciliabili non solo ideologicamente, ma anche praticamente. Lo stress fisico e mentale, oltre che le numerose batoste prese, rendono pressoché impraticabile questa duplice strada, e a questo va anche aggiunta la non liceità etica e morale della figura di cui veste i panni il nostro Matt. Soprattutto se vista nell’ottica religiosa, cattolica per giunta, e non solo sociale, che rimarca l’antitesi comportamentale, che stride pesantemente. Tuttavia, presa coscienza del suo ruolo di protettore della città e dei suoi onesti abitanti, cercando di svolgere diurnamente l’avvocatura al meglio delle possibilità legali e giuridico-istituzionali che può fornire il sistema sociale in cui vive, supererà il bruciante dilemma, o almeno ne ridurrà la pressione, grazie prevalentemente alla vicinanza di amici e colleghi, oltre alla sopracitata credenza religiosa, aspetto tra l’altro ben affrontato, anche se solo parzialmente, con l’ottima interpretazione di Peter McRobbie nei panni di padre Lantom, che dispensa monologhi di grande effetto sul Nostro.

1df5ddbcff8dac4a04d77ff96d14e999 XL

Interessanti anche le parti di Foggie Nelson, l’Elden Henson già visto in The Butterfly Effect, che non rimane mai nell’ombra del compagno più carismatico e belloccio, ma emerge come spalla e, successivamente, necessario oppositore nel confronto che porta allo scoperto lo shakespeariano dilemma che lacera il protagonista; la Karen Page di Deborah Ann Woll fa la sua parte, dimostrandosi all’altezza dei comprimari, donna che riscopre la forza interiore da lungo sopita per far fronte alle minacce che le si parano davanti. Molto piacevole anche la recitazione della bella e brava Rosario Dawson, che con la sua Claire Temple fa capire al Diavolo la pericolosa deriva che sta prendendo la sua esistenza, quando la voglia di combattere e il desiderio di uccidere l’uomo più malvagio della città, lo portano a mettere futilmente a repentaglio la sua vita, oltre che ha scavalcare pericolosamente il limite tra assassino ed eroe.

Parlando invece della regia e della sceneggiatura, non possiamo che elogiare il lavoro fatto da Drew Goddard e Steven DeKnight, che esaltano appieno la tematica del vigilante tormentato e oscuro, attingendo a piene mani dalle ottime run a fumetti presenti in letteratura e facendo giustizia ad uno dei personaggi con maggiore potenziale della Casa delle Idee, sebbene uno dei più complessi da gestire. La violenza viene dosata con eccellenza, insieme al tono underground e asciutto, spesso difficile da digerire, con atmosfere e inquadrature alla David Fincher, o alla Park Chan-wook, con qualche occasionale spruzzata tarantiniana. Nella serie come già detto domina il contrasto netto e fortemente marcato non solo a livello di trama ma anche nei giochi cromatici e nelle riprese che spezzano il campo in espressionistici chiaroscuri. Piccola pecca, forse molto sentita in quanto emerge nella parte finale della serie, è il secondo costume di Daredevil, che fa sembrare ridicolo e impacciato l’attore mentre combatte contro un disorientato e furente Kingpin nel season finale. Il primo outift, quello nero “home made” con maglietta aderente in microfibra s'addice molto di più al mood della serie. Speriamo che vengano apportate modifiche al design del costume per renderlo più in linea con i canoni stilistici dello show.

C’è solo da imparare quindi da questo serial; c’è solo da prendere appunti e cercare di seguire il percorso tracciato da questo mirabile prodotto d’avanguardia. E non possiamo quindi far altro che sperare che la formula Netflix, quella di creare una narrazione molto omogenea, adulta, matura e ben congegnata, puntando molto sull’interpretazione e sulla trama ricca di contenuti sapientemente sviluppati, diventi modello standard per i prossimi prodotti, almeno per quanto riguarda la serietà e la mentalità di approccio, sempre più rari nella corsa dei network a chi si accaparra il titolo fumettistico più di successo sulla piazza. Non ci resta che vedere quindi quest’autunno Marvel’s AKA Jessica Jones, e sperare in una replica, di successo s’intende, di questo primo piccolo, ma neanche troppo, capolavoro.

Sottoscrivi questo feed RSS