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Giorgio Parma

Giorgio Parma

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Sophia

Sophia è uno dei migliori lavori realizzati da Vanna Vinci. Si tratta di un’opera che per quanto sia stata pubblicata, almeno la prima parte, ben 10 anni fa, contiene la summa di tutto ciò che l’autrice avrebbe donato al fumetto italiano negli anni seguenti, e di ciò che già era emerso nelle opere già pubblicate, come Aida al confine e il primo volume della Bambina Filosofica, edito nel 2004 da Kappa Edizioni.

Contiene gli embrioni, gli stilemi, gli emblemi della cifra di Vanna, che splende in tutta la sua molteplicità e varietà. Ci sono la cultura e il sarcasmo pungente della Bambina, (oltre al tratto deformed e tenerissimo in alcune parti), l’interminabile ricerca vista ne Il richiamo di Alma e il grande fascino magnetico, poliedrico, scoppiettante ma al contempo nobile, profondo, quasi malinconico proprio delle grandi donne della letteratura vinciana, da Alma appunto, all’Aida, alla Casati alla Lempicka; ci sono le città, le magnifiche, ammalianti, stranianti e imperscrutabili città, in primis Ferrara, Roma e Bologna, che ricoprono un ruolo fondamentale, molto caro all’autrice, città vive e vissute, misteriose e appassionanti, con un’anima celata che la Vinci ci fa riscoprire delicatamente, con grande passione.

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In questo lavoro, ci troviamo al cospetto di un viaggio catartico di scoperta del proprio io mediante la ricerca di un oggetto, la fantomatica pietra filosofale. Sophia inizialmente apatica, stanca della sua vita, volenterosa di cambiamento, ritrova sé stessa conoscendo figure misteriose, bizzarre, stralunate come il mentore e caro amico Ermete, il celebre Nicolas Flamel o il Conte di Saint-Germain, che modificheranno la sua percezione della realtà, portandola, dopo un lungo e periglióso viaggio, ad un nuovo status quo, ad una nuova coscienza di sé. Passando attraverso amori travagliati, sensuali e crescita interiore, Sophia dovrà farsi largo tra gli ostacoli esogeni o autoimposti, per raggiungere il tanto agognato obiettivo, sacrificando pezzi di sé stessa per il bene di chi le sta a cuore, per poi ritrovarsi in una fresca rigenerazione. E come suole in un'opera summa del lavoro della Vinci, non può di certo mancare un gusto citazionale vario e colto: dalla musica (pregevole l'aggiunta di una colonna sonora che accompagna le scene più rilevanti) alla lirica, dalla poesia alla filosofia, dalla psicologia alla letteratura. Ma questa volta il grande lavoro di documentazione, di studio e di insegnamento dell’autrice è da ricercarsi nella Alchimia, vero e proprio leitmotiv dell’intera storia. Perché la storia di Sophia è la storia di una ricerca alchemica, la storia di un viaggio esoterico iniziatico nella mistica e nella magia. La simbologia si spreca nel volume ma a differenza di Gli amari consigli di Nicolò Pellizzon, questa volta Vanna cerca di esplicare il più possibile ai non iniziati il significato dei simboli, dei segni e delle icone di cui fa uso, permettendo una comprensione quantomeno globale del tema. Inoltre, nella parte finale del volume Bao è presente una ricca appendice alchemica che testimonia con intento didattico il grande lavoro di ricerca svolto dall’autrice per poter trattare questa antica e misteriosa filosofia esoterica.

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L’opera originariamente era stata concepita unicamente con il primo volume Sophia, la ragazza aurea, ma a grande richiesta da parte dei lettori che chiedevano una fine compiuta per il fumetto, l’autrice ha successivamente scritto un sequel nel 2007: Sophia nella Parigi ermetica, che va a completare l’onirico viaggio della protagonista alla ricerca della pietra filosofale. Il volume che vi recensiamo è la nuova riedizione Bao Publishing che unisce per la prima volta i due volumi in una versione integrale che finalmente ci permette di apprezzare tutto d'un fiato questa magnifica opera. E può sembrare forse una cosa da nulla, ma la possibilità di fruire di entrambe le parti nell’immediato passando da una all’altra nel giro di due pagine, ci fa apprezzare molto di più l’unità della storia, che percepiamo ancora come separata, ma solo come se fossero due capitoli dello stesso libro, come è giusto che sia. Ci si accorge ancora, però, che le due parti sono differenti, ma non più per una questione temporale di pubblicazione, ma solo per una volontà ben precisa dell’artista.

Infatti, se la prima parte ci mostra una Sophia più spensierata, allegra, vivace, padrona del suo mondo, solare, con una storia più “leggera” ed “estiva”, dalle dinamiche più semplici e lineari; nella seconda entriamo invece in un mondo più complesso, oscuro, opprimente, misterioso, riflessivo, “invernale”, ermetico, come da titolo. E questa netta differenza è fortemente suggerita dall’artista nell’impostazione grafica delle tavole, che ne La ragazza aurea sono molto spaziose, le figure respirano liberamente sguazzando nel bianco della pagina, con una delimitazione delle vignette essenziale, senza incasellature forzate e nette. Ne La Parigi ermetica invece, non domina più il bianco, vittima di una campitura nera aggressiva, corrosiva, invadente, opprimente, con uno stile artistico di rappresentazione delle scene molto graffiato, molto più sporco di quello della prima parte in cui il tratteggio era visivamente presente ma non così accentuato, a volte sfiorando l’horror vacui; un approccio meno searliano (da Ronald Searle) del precedente.

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Oltre al coinvolgente comparto grafico, questa ricerca emotiva e surreale vi trascinerà in un viaggio denso, femminile, a tratti malinconico, con ritratti personalissimi di città come Parigi, Ferrara, Bologna e Roma che, come la Trieste di Alma, sono vissute, sentite, filtrate dalla sensibilità e dalla visione dell’artista, proponendoci un’atmosfera magica, magnetica e intrigante in cui danza la giovane Sophia, donna profondamente unica.
Non resta che dire il semplice, seppure sempre efficace, “non lasciatevelo sfuggire”.

Lupin III L'avventura italiana: dati auditel della premiere, slittamento in seconda serata

  • Pubblicato in Toon

Avete guardato ieri sera la premiere mondiale di Lupin III – L’avventura italiana? Qui trovate quello che ne pensiamo noi, ma insieme a questa recensione preferiamo fornirvi anche i dati Auditel (Via davidemaggio.it) di ascolto e share dell'anime andato in onda in prima serata su Italia 1.

Gli spettatori che hanno seguito il primo episodio, iniziato alle 21.35 sono stati 1 338 000, con uno share pari al 6,6, 1 016 000 spettatori per il secondo episodio con share del 5.08%, 983.000 per il terzo con share del 5.50%e 896.000 per il quarto con share del 6.25%. Non proprio numeri esorbitanti ma comunque si attesta come terzo programma più visto della serata, almeno per il primo episodio, poi però si nota un calo verso posizioni più basse della classifica col procedere degli episodi.

Inoltre confermiamo che, come già segnalato nella nostra recensione, dalla prossima domenica il programma verrà spostato in seconda serata, alle 23.20, con la messa in onda di soli due episodi.

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Lupin III L'Avventura italiana: riflessioni (s)ragionate a caldo

  • Pubblicato in Focus

Per quanto mi riguarda, la prima serata di Lupin III non è un fenomeno da sottovalutare, e non è un fenomeno che va considerato a sé stante, ma va storicizzato, inquadrato nel contesto televisivo antecedente a oggi per comprendere appieno il significato che si porta appresso. Perché se nella televisione italiana odierna l’animazione giapponese è praticamente bella che morta, tranne che per sporadiche resurrezioni vintage, la messa in onda in prima serata e in anteprima mondiale di un anime sulla rete ammiraglia della Mediaset non è una cosa da poco.

Ormai la diaspora dell’animazione nipponica nel nostro Paese si è già consumata. Tra prodotti che escono solo in home video, prime visioni al cinema per non più di tre giorni, migrazioni di massa su YouTube e VVVVID, o altre piattaforme digitali di streaming gratuito, a volte anche con prodotti originali ma in simulcast, ossia senza doppiaggio ma solo con sottotitoli in italiano rilasciati poco dopo l’uscita in patria dell’episodio animato, tra parentesi, con possibilità pressoché nulla di vederli poi doppiati in home video.
Quindi è questa la cornice che fa da contorno a questo evento, e scusate se è poco.

Un evento in bilico tra il fallimento e una improbabile e ridicola possibilità di diventare punto di partenza di un nuovo rilancio del media.
Un punto su cui dibattere, ma si sa, qui da noi, si preferisce far cagnara sulle cazzate piuttosto che sui reali problemi. E quindi è molto più importante che la sigla di apertura faccia schifo e sia cantata da Moreno con delle rime oscene piuttosto che focalizzarsi sul vero problema.

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Sulla sigla si è scatenata la rete, si è già detto molto, troppo a dire il vero. Quindi la concludo subito questa parentesi, con questo trafiletto minimo. A me personalmente non aggrada minimamente tale canzone, se si esclude la parte cantata da Giorgio Vanni. Ma questi sono gusti miei; le parole, né tantomeno la melodia, non vanno poi a snaturare particolarmente il prodotto, ma per favore non venitemi a dire che serve per avvicinare un pubblico giovane perché davvero, fossi un giovane d’oggi, non mi metterei certo a guardare una cosa di cui non mi frega nulla solo perché c’è un rapper che per 20 secondi canta la sigla di un cartone animato. E per inciso, stasera la sigla è andata in onda solo una volta, su quattro episodi, tagliando la ending bellamente, che poi per quello che si intuisce è la opening a metà schermo con i credits che scorrono a fianco.

Che poi, Lupin III non è proprio un “cartone animato” come lo si intende da noi, ossia qualcosa di limitato ad un pubblico giovane, “ai bambini”. Per bambini proprio non lo è. Le tematiche, la drammaticità, la violenza (spesso volutamente non espressa con immagini scioccanti, anche se a volte non l’abbiamo mai vista per tagli e censure nostrani), il sesso, i personaggi quantomeno poco esemplari, anche se dal cuore tenero e dall’animo nobile  – anti-heroes li chiameremmo oggi con l’avanzare popolare di questa categoria nel mondo dello spettacolo e della cinematografia anglosassone -, vanno metabolizzati con una visione e una mentalità che spesso non si addice ad un ragazzino.

Perché forse non tutti se lo ricordano, ma la prima serie animata del ladro gentiluomo, così come il manga degli anni ’60 di Monkey Punch,  non erano poi così tanto tenerelli; entrambi i prodotti erano seri, dark, cupi, violenti, con una forte componente sessuale legata a Fujiko, più incentrati sulle interazioni del letale mondo criminale suburbano che le scanzonate avventure a cui siamo stati abituati più avanti, il tutto però con una punta di comicità e commedia che ha reso popolare l’opera. Quello stile che, persosi dalla seconda serie in avanti, ha fatto storia e ci ha regalato Cowboy Bebop (altra operetta da niente). Uno stile graffiante che mi è piaciuto molto ritrovare, in modo parziale e attualizzato, in una delirante chicca come Mine Fujiko to Iu Onna (trasmesso anche in Italia su Italia 2 sena censure) o in Jigen Daisuke no Bohyou, per stare nel passato recente del franchise, che tenta di ritornare alle radici. Radici che però con questo nuovo anime sembrano riallontanarsi notevolmente.

Per questo la prima serata che si è appena conclusa portava con sé tante, ma tante aspettative. Aspettative in larga parte deluse, ma prevalentemente per le carenze del prodotto. Ma ora che abbiamo delineato il perimetro entro cui muoverci, proseguiamo con un analisi più tecnica di Lupin III L’avventura italiana.

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Partiamo dalla trama che, non prendiamoci in giro, doveva per forza contenere mafia e calcio e altri elementi che nel bene e nel male ci definiscono all’estero (anche la carbonara). E non facciamo troppo i moralisti a tirare in ballo gli stereotipi. Perché stiamo parlando di un ladro e del suo mondo criminale, e queste cose non possono che venire a galla.

Il primo episodio è ambientato a San Marino, come alcuni di quelli seguenti; Lupin III si sposa con Rebecca, giovane ereditiera viziata della famiglia Rossellini, in perpetua ricerca di adrenalina. Ovviamente il tutto è un inganno abilmente orchestrato per rubare la corona del tesoro nazionale. Come esordio un bel po’ sottotono, molto mainstream. Dialoghi inconcludenti, lenti e spesso superflui. Animazioni fluide ma assurde (ma che è? Sembrano la manovra di movimento tridimensionale di Shingeki no Kyojin - L’Attacco dei Giganti) che staccano troppo l’azione dai fondali non sempre ben realizzati, a volte un po’ sommari. Un primo episodio all’insegna di un Lupin abbastanza commerciale, lontano dalla sufficienza.

Secondo episodio relativamente meglio del primo. Temi principali: calcio, scommesse sportive, mafia e doping (presunto). Cominciano a smuoversi delle sottotrame e a venire introdotti dei personaggi che rivedremo anche negli episodi successivi. Ritorna quella moralità di fondo, quell’appiglio di bontà d’animo, flebile speranza di onestà intellettuale e cuore tenero che spesso ha contraddistinto il franchise. Ma è ancora annacquata.

Terzo episodio, Lupin e la sua banda contro gli agenti del MI6. In particolare un certo Nix, freddo e spietato 007, un calcolatore umano in grado di predire senza errori tutte le mosse, o quasi, dell’avversario. Obiettivo: rubare un frammento della collana della regina Maria Antonietta. Una “bella” sfida per Lupin, se non fosse che è affrontata con sufficienza da parte degli sceneggiatori, che non riescono a trasmettere un minimo di suspance o di fermento. Poi è tiratissimo il “trucco” sfoggiato dall’avversario del ladro gentiluomo. Bocciato.

Quarto e ultimo episodio della serata: il sadico boss del crimine Eric Il non Letale non permette agli abitanti di una cittadina di possedere armi e ferisce non mortalmente tutti coloro che provano ad opporsi a lui, desiderando solo il potere e il veder soffrire i suoi avversari. Avventura di Jigen in solitaria, una resa dei conti quasi in stile western, con tanto di colonna sonora in tema. Indaga meglio quella che è la figura romantico-solitaria del personaggio, ma anche qui, molto alla leggera rispetto al passato.

Sul doppiaggio non c’è molto da dire. Classiche voci per Lupin, Fujiko e Goemon, ma cambia quella di Jigen, che dal 2014 viene doppiato da Alessandro Maria D'Errico, dopo la morte dello storico doppiatore Sandro Pellegrini. Per gli altri personaggi le voci sono azzeccate. Sonoro ben mixato.
Trasmissione Mediaset senza infamia né lode, anche se vedere un episodio risulta un impresa titanica dal secondo in poi, con il lancio di pubblicità a caso a metà del terzo e del quarto episodio dopo dieci minuti da quella trasmessa alla fine dell’episodio precedente; praticamente più pubblicità che anime.
In HD, dalle informazioni dei meta dati di trasmissione vediamo un 16:9 1080i che sembra ben encodato.

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Se bisogna trarre delle conclusioni però, non sono certo molto felici per questa novella versione di Lupin III. Tematiche interessanti, anche di attualità e spinose, ma affrontate senza profondità, senza quel dramma dolce-amaro, difficile da digerire che in passato ci ha permesso di godere di storie speciali, ormai fisse nel nostro cuore.
Se ritorniamo al discorso fatto in precedenza, non è certo un nuovo inizio per gli anime in TV, ci siamo molto, ma molto lontani, complice anche la qualità non eccellente del prodotto. Che dire quindi, un’avventura alquanto mediocre.

Ah, nota finale. Durante la trasmissione delle pubblicità, è andata in onda la preview dei prossimi episodi, rimandando l’appuntamento a domenica prossima ma alle 23 20, quindi mi sa proprio che la prima serata fosse solo per la premiere, ma mentre scrivo questo articolo non è disponibile ancora il palinsesto di domenica prossima per le reti Mediaset. Vi terremo aggiornati.

Prima che mi dimentichi di tutto: Vincenzo Mollica parla della sua passione per i fumetti

  • Pubblicato in News

Nell'interessante trasmissione radiofonica Prima che mi dimentichi di tutto di Radio 2 dedicato alla carriera quarantennale che Vincenzo Mollica ha passato al fianco degli artisti più importanti del nostro Paese, si è parlato, nelle ultime due giornate, della grande passione del giornalista per il fumetto. In particolare si parla dei cartoni animati e personaggi dei fumetti come Braccio di Ferro, Superman, Batman e Topolino. Si passa poi al fumetto autoriale di Andrea Pazienza, grande amico di Mollica, tragicamente e prematuramente scomparso, per poi approdare, nella seconda puntata, a Hugo Pratt e Milo Manara. Noi, da fan del fumetto, non possiamo che ringraziare Mollica per queste chicche che altrimenti rimarrebbero ignote.

Potete trovare a questo link l'intera scaletta con tutte le puntate in podcast, dove quelle del 29 e del 30 agosto sono dedicate al mondo del fumetto. Ricordiamo che la trasmissione è condotta da Mollica e Massimo Cervelli e va in onda su Radio 2 di sabato e domenica alle 19.

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