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Hulk Grigio, recensione: oltre il bianco e nero

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Dopo Daredevil Giallo e Spider-Man Blu, il duo Jeph Loeb e Tim Sale nel 2003 pubblica a ruota il terzo capitolo della loro tetralogia del colore, ovvero Hulk Grigio. Il colore scelto, come tradizione, oltre a identificare un periodo del personaggio, è rappresentativo del tono della storia: “Ecco il problema di non vivere in un mondo in bianco e nero. È possibile che non sia tutto bianco o nero. Hai la possibilità del… grigio”. In questo caso, si vuole sottolineare la natura complessa del protagonista, difficile da inquadrare e da comprendere per gli altri.
Anche in questa occasione, vengono riproposte le caratteristiche salienti delle due saghe precedenti. Si parte dal racconto del protagonista del proprio passato e dal ricordo di una persona amata e perduta ritrovandoci, dunque, dinanzi a una rinnarrazione delle prime storie del personaggio. Similmente a Daredevil Giallo, si pesca proprio dall’esordio della serie, tuttavia - mentre la ricostruzione delle origini dell’eroe cieco appariva più articolata a filologica - con Hulk si sceglie una strada differente.

L’incipit della storia vede Bruce Banner fuggitivo confidarsi con l’amico e psicologo Leonard Samson. L’uomo racconta i primi momenti di vita di Hulk, il salvataggio di Bruce Jones, il conseguente incidente, la trasformazione e la caccia al mostro effettuato dal generale Ross.
In particolare, però, sotto i riflettori troviamo la storia d’amore con Betty Ross, figlia del generale, fidanzata con Bruce. Hulk, senza il filtro di Banner, ma con reminiscenze della sua personalità, fa prigioniera la donna con Loeb che richiamava il classico cliché cinematografico del mostro che rapisce la bella.

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In evidenza vengono messi, dunque, le conflittualità dei personaggi: Hulk che odia Banner in quanto lo ritiene la sua prigione. Bruce che odia se stesso e che ritiene Hulk una sorta di punizione divina per aver creato una bomba piuttosto che utilizzare il suo cervello per scopi benefici. Il generale Ross che si scaglia contro “il mostro” e il suo problematico rapporto con la figlia che tenta di proteggere. La stessa donna, risoluta e forte, che si scaglia contro Hulk e, infine, Rick Jones, adolescente ribelle che si sente in colpa per quanto capitato a Bruce. Ogni personaggio vive, dunque, il suo piccolo grande dramma personale, che viene approfondito da Loeb in maniera attenta. Naturalmente, i riflettori sono puntati su Hulk, mostro ma anche vittima, sorta di bambino innocente ma in grado di far fuori un esercito e mettere in pericolo la donna che ama e che vuole proteggere.

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L’intreccio narrativo su cui si sviluppa il racconto non è molto articolato, a differenza di Daredevil Giallo e Spider-Man Blu, tuttavia Loeb lavora sulla psiche di Hulk, sul suo rapporto con Banner, sul suo amore per Betty, in una maniera davvero esemplare. L’autore si aggancia alla caratterizzazione psico-analitica della serie avvenuta con l’arrivo di Peter David sulla testata che donò profondità a un eroe che ormai sembrava non aver più nulla da dire.
Loeb, dunque, scrive una vera e propria psico-analisi di Hulk, giocando come suo solito con l’aspetto romantico e malinconico. L’autore fa un buon lavoro mettendoci molto del suo: in un albo delle saga Hulk si scontra con Iron Man, cosa mai “ufficialmente” accaduta nelle storie originali. Bisogna ammettere che l’esordio della testata del duo Stan Lee e Jack Kirby non fu certo dei migliori e il loro ciclo non viene particolarmente ricordato in quanto non all’altezza di altre loro serie del periodo. Per questa ragione, Hulk Grigio è sicuramente il modo migliore per approcciarsi alla storia d’origine del personaggio.

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Tim Sale, nella ricca sezione extra del volume Panini Comics, racconta delle sue influenze per disegnare l’Hulk che rappresenta tozzo e sgraziato. Oltre alle prime storie di Kirby, fondamentale è stato anche il Frankenstein cinematografico di James Whale nel film del 1931. In particolare, da sottolineare la scena in cui Hulk uccide “inconsapevolmente” un coniglio che sta accarezzando, una sequenza che ricorda la morte accidentale della bambina nel film di Whale per mano del mostro. Il lavoro dell’artista è, come sempre, eccellente, sia per quanto riguarda la regia delle tavole che la raffigurazione dei sentimenti dei personaggi.

Hulk Grigio viene ricordato meno rispetto agli altri lavori del duo e forse in questo influisce molto la proposizione di un periodo non particolarmente amato del Gigante di Giada. Tuttavia, seppur forse un gradino sotto gli agli altri capitoli della tetralogia del colore, resta un ottimo racconto, oltre che una storia fondamentale per approcciarsi al personaggio.

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Punisher Collection - Diario di Guerra: Grosso Guaio ai Tropici, recensione: Gli anni '80 di Frank Castle

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Quando The Punisher apparve per la prima volta nel 1974 sulla copertina di The Amazing Spider-Man 129, fucile in mano e Tessiragnatele sotto tiro, neanche i suoi creatori Gerry Conway, Ross Andru e John Romita Sr. avrebbero mai immaginato che quel vigilante, creato sull’onda del successo di film come Il Giustiziere della Notte con Charles Bronson, avrebbe riscosso un successo clamoroso passando ben presto dallo status di comprimario a quello di protagonista assoluto. L’idea decisiva per la creazione del personaggio venne fornita a Conway dalla lettura dei romanzi dello scrittore Don Pendleton con protagonista il giustiziere The Executioner, oltre che dall’osservazione della realtà delle periferie statunitensi di quel periodo, dove i cittadini erano in balia di una criminalità che spadroneggiava e contro la quale le forze dell’ordine mostravano tutti i loro limiti.

Il periodo di maggior successo del personaggio arriva con gli anni ’80 quando, dopo le ripetute apparizioni come avversario/alleato dell’Uomo Ragno nelle collane a lui dedicate e dopo una significativa presenza nelle storie di Daredevil firmate da un giovane Frank Miller, la Marvel decide di dedicare all’alter-ego di Frank Castle delle iniziative a suo nome. Nel 1985 esce Punisher: Circle of Blood, miniserie di 5 numeri a firma Steven Grant / Mike Zeck che ottiene un successo clamoroso, e che inizia a definire la personalità del Punisher a cui siamo abituati, più cupo e determinato nella sua missione sanguinaria. Sono gli anni in cui furoreggiano sugli schermi gli action-movie traboccanti sangue e pallottole in cui divi come Sylvester Stallone e Arnold Schwarzenegger non usano mezze misure nello sbarazzarsi dei “cattivi” di turno: in film come Cobra, Commando e Codice Magnum, le città americane dell’era Reagan sono ritratte come moderne giungle colme di pericoli nelle quali è lecito farsi giustizia da soli a suon di proiettili. Da questo punto di vista, il Punisher incarna lo zeitgeist di quei tempi: quando la Marvel decide di lanciare finalmente la prima serie regolare dedicata al personaggio nel 1987, a firma Mike Baron / Klaus Janson, i lettori tributano un’accoglienza calorosa ad un prodotto che stavano aspettando da tempo. Anche in questo caso il riscontro di vendite è senza precedenti per una serie che non è collegata in alcun modo al bestseller dell’editore di quel periodo, X-Men, e ha legami piuttosto tenui col resto dell’Universo Marvel data la volontà degli autori di privilegiare una dimensione urbana e realista.

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Già nell’anno successivo la Casa delle Idee soddisfò le richieste sempre più pressanti dei lettori che chiedevano a gran voce ulteriori dosi delle avventure di Frank Castle: nel 1988 uscì il primo numero di The Punisher War Journal, secondo mensile dedicato al vigilante, per i testi dell’editor Carl Potts e per i disegni di un giovane talento che, nel giro di un paio d’anni sarebbe diventata la star più idolatrata del settore: Jim Lee. Panini Comics ha recentemente mandato in libreria il secondo volume dedicato alla ristampa delle storie di Potts & Lee, all’interno della collana Punisher Collection. La riproposta delle storie del Punitore di questo classico duo è un piccolo evento editoriale: all’epoca della loro prima pubblicazione italiana datata 1989/91 l’editore di allora, la Star Comics, scelse un formato cosiddetto “bonellide”, ridotto e in b/n, tipico dei polizieschi all’italiana come Nick Raider che a quei tempi furoreggiavano in edicola. Peccato che le vicende di Frank Castle c’entrassero poco con quel tipo di prodotto, e ad essere penalizzate furono soprattutto le tavole di uno già spettacolare Lee. I due volumi rendono quindi giustizia al lavoro del disegnatore coreano, dandoci la possibilità di ammirarne le matite nel loro splendore originale. Detto questo, non sempre la memorie ci restituisce le cose per quello che sono veramente, e rileggendo queste storie a distanza di quasi 30 anni ci si può rendere conto di quanto la fama di queste prime uscite di Punisher War Journal sia ad attribuire unicamente alla presenza di un artista come Lee che, sebbene ancora alle prime armi e con qualche incertezza, già lasciava intravedere il talento straripante che lo avrebbe accompagnato nei suoi incarichi successivi.

Leggendo il primo volume, eravamo rimasti perplessi di fronte alla pochezza dei testi di Potts, datati e verbosi, e all’utilizzo frequente di escamotages narrativi come il riassunto degli eventi precedenti tramite l’utilizzo del flashback, ed altri artifici oggi fortunatamente superati. Esilarante, in tal senso, la scena in cui il Cecchino, avversario del Punisher, ferito gravemente e a terra, chiede al suo carnefice, un ex commilitone, di rinfrescargli le idee su come siano arrivati a quel punto. Le due pagine di flashback che ne seguono sono francamente irritanti ed inaccettabili per gli standard di oggi. Anche l’approfondimento psicologico del protagonista è inesistente, lontano anni luce dalla versione che ne aveva dato Grant: Potts si concentra unicamente sull'azione, confezionando storie di scarso spessore simili per tono a quelle dei film di cassetta sopra citati.  Le cose fortunatamente migliorano col secondo volume, Diario di Guerra: Grosso guaio ai Tropici, che contiene elementi di maggior interesse rispetto al primo. Su tutti, la crescita esponenziale di Jim Lee: abbandonate completamente le incertezze da semi esordiente, il futuro disegnatore di X-Men libera tutta la sua esplosività con tavole straripanti d’azione e, per la prima volta, con l’utilizzo di spettacolari splash-pages. La confidenza col mezzo è ormai evidente e la trasformazione è già avvenuta: il Lee che disegna le ultime pagine del volume è gia il Jim Lee, dal tratto potente e muscolare, che di li a poche settimane, si traferirà sulle pagine di Uncanny X-Men per realizzare in coppia con Chris Claremont il fumetto più venduto di tutti i tempi.

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Al contrario di The Punisher, la collana madre scritta da Mike Baron che non aveva contatti con la continuity Marvel dell’epoca ed era chiusa in una sua autoreferenzialità, Punisher War Journal era aperta all’apparizione di altri personaggi della Casa delle Idee. Se nel primo volume avevamo assistito all’apparizione di stelle di prima grandezza come Daredevil e la Vedova Nera, oltre che ad una minisaga in 2 parti con co-protagonista Wolverine, nel primo blocco del secondo volume il Punitore viene coinvolto in Atti di Vendetta, evento Marvel del 1989 in cui un consorzio di criminali capitanato da Kingpin e dal Dr. Destino, manovrati a loro insaputa da Loki, decidono di scambiarsi le loro nemesi, affinché siano impreparati nell’affrontare avversari mai incontrati prima. Al Punisher tocca Bushwacker, il “Guerrigliero”, assassino di mutanti creato da Ann Nocenti sulle pagine di Daredevil, fanatico dotato di un braccio cibernetico che può trasformare in qualsiasi arma. Inutile dire che lo scontro tra due tipi così è una manna per la matita potente di Lee. Il secondo blocco del volume offre un buon team-up con Spider-Man, alle prese con una pericolosa banda di neonazisti, in cui Lee si prende una pausa ed è sostituito dal classico David Ross, oltre a quella che è forse la storia più interessante dell’intero volume scritta, guarda caso, non da Potts ma da Mike Baron. Da sempre interessato ai temi sociali, Baron sceneggia un ottimo episodio su un tema ancora oggi odioso ed attuale, quello della speculazione finanziaria ai danni dei piccoli risparmiatori, mettendo Frank Castle sulle tracce di un faccendiere che ha rovinato un’intera comunità. Inutile dire che la punizione arriverà, e sarà tremenda. Un’altra futura star della matita, Mark Texeira, ripassa egregiamente a china le matite del carneade Neil Hansen.

L’ultimo blocco di storie è composto dalla saga in tre parti che dà il titolo al volume, e segna il canto del cigno di Lee sulla testata. Qui un Frank Castle in versione “vacanziera” deve affrontare un’imprevista trasferta alle Hawaii, per salvare la famiglia del suo assistente Microchip dalla banda di narcotrafficanti nella quale sono incappati. Anche in questa trama da telefilm anni ’80 si innesta una bizzarria di Potts, che fa accorrere in aiuto di un Punisher in difficoltà un “Kahuna” locale, condendo la storia di un misticismo spicciolo e di una dimensione “new age” da supermercato. Jim Lee saluta personaggi, testata e lettori con le solite tavole esplosive, dirigendosi verso remunerativi lidi mutanti. Di li a poco saluterà anche Potts, lasciando il campo al più capace Baron, che si dividerà così su due testate.

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Il successo editoriale del Punitore si manterrà stabile fino ai primi anni ’90, per poi scendere inesorabilmente verso la metà del decennio con la chiusura di tutte le iniziative a lui collegate. L’avvicinarsi del nuovo millennio richiedeva una voce diversa per narrare le vicende di Frank Castle, una voce che non avesse il timore di scendere negli abissi della sua follia, dei suoi traumi e della sua ossessione per la vendetta. Quell’uomo, nonché lo scrittore definitivo del Punisher, sarebbe stato l’irlandese Garth Ennis, reduce dal successo di Preacher. Ma questa è un’altra storia, buona per un altro giorno.

Panini Comics presenta Diario di guerra: Grosso guaio ai Tropici in un pregevole cartonato, contraddistinto dalla consueta cura editoriale, arricchendolo di tutte le cover e le pin-up realizzate da Jim Lee durante la sua permanenza sulla testata, elemento che lo rende un acquisto imprescindibile per tutti gli estimatori di questo straordinario artista.

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Panini Disney: chiuse PK Giant e Definitive Collection, ma l'editore promette novità a riguardo per il 2019

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Sul nuovo numero di Anteprima, fra le varie novità, sono state segnalate la chiusura di 3 testate Disney, ovvero Parodie Collection, PK Giant e Definitive Collection nei mesi di settembre e ottobre. La chiusura delle ultime due, sopratutto, ha generato molti malumori da parte dei lettori visto che lasciano in sospeso le storie al loro interno. 

Sulla pagina Facebook di Topolino, l'editore ha spiegato i motivi della chiusura e promesso che nel 2019 verranno colmate le lacune di queste chiusure. Di seguito il post completo dell'editore. Restate sintonizzati su Comicus per ulteriori aggiornamenti.

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Panini Comics annuncia l'omnibus dei Fantastici 4 di Waid e Wieringo

  • Pubblicato in News

Panini Comics ha annunciato sul nuovo numero del catalogo Anteprima un omnibus dedicato al ciclo dei Fantastici 4 di Mark Waid e Mike Wieringo. Il volume comprenderà tutti gli albi scritti e illustrati dai due autori, in una lunga run molto apprezzata dai fan e che ha rilanciato il quartetto Marvel a inizio millennio.

Di seguito trovate l'immagine con tutti i dettagli dell'omnibus.

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