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Avengers - La saga di Proctor, recensione: gli anni '90 di Bob Harras e Steve Epting

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Quando si parla di Bob Harras, spesso ci si ricorda di lui solo per i suoi ruoli manageriali, tanto che quasi tutte le note biografiche che lo riguardano non mancano mai di sottolineare che l’attuale editor-in-chief della DC (carica che ormai ricopre dal 2010) ha anche avuto l’onore di essere a capo della Marvel dal 1995 al 2000, oppure che, quando si trovò a dirigere le testate mutanti, X-Men e compagnia vissero il loro momento di massima popolarità presso il pubblico americano. Molta meno enfasi, invece, viene riservata alla sua attività di sceneggiatore, sebbene i pochi lavori da lui firmati abbiano sempre contribuito a rilanciare personaggi rimasti per troppo tempo in secondo piano, o che rischiavano di non rientrare più nei piani a breve termine della Casa delle Idee. Così fu nel 1988 con la bellissima miniserie Nick Fury vs. S.H.I.E.L.D., e lo stesso avvenne nel 1992, quando riuscì a tenere a galla la testata di Namor per qualche mese, dopo l’abbandono di John Byrne.

Proprio l’uscita di scena dell’autore anglo-canadese dalle testate dedicate agli Avengers (avvenuta a metà del 1990), determinò l’arrivo di Harras ai testi della collana ammiraglia del team. Mark Gruenwald e Larry Hama, infatti, i primi successori di Byrne (che, in poco più di due anni, aveva portato cambiamenti così radicali ad alcuni membri degli Eroi più potenti della Terra, che ancora adesso se ne intravedono gli effetti), realizzarono due cicli molto brevi e assolutamente dimenticabili, con la conseguenza di far rapidamente scivolare gli Avengers in fondo alla lista delle preferenze dei lettori americani. Il nostro Bob, quindi, si ritrovò più o meno nella stessa situazione di qualche anno prima, quando gli toccò provare a rivitalizzare il capo dello S.H.I.E.L.D. All’inizio, però, anche lui sembrò essere solo di passaggio tanto che, nei primi sei numeri, si limitò a imbastire una non certo memorabile mini-saga dedicata al Collezionista e a i misteriosi Fratelli  - termine con il quale la Panini tradusse venticinque anni fa l’originale Brethren -, per poi essere brevemente sostituito da Fabian Nicieza. Ma già nel gennaio del 1992, Harras tornò alle redini della testata, facendo capire immediatamente che, questa volta, non avrebbe lasciato i personaggi tanto presto.

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Nel primo episodio di questo nuovo ciclo si assiste subito all’arrivo di un nuovo membro nelle fila del gruppo, Crystal degli Inumani, un personaggio che, di lì a poco, avrebbe assunto un ruolo centrale nella trama congegnata dallo sceneggiatore americano. Poi, dopo un lungo intermezzo un po’ interlocutorio, ecco il finale esplosivo, dove appare, come avversario, un ex-vendicatore, a lungo creduto morto, lo Spadaccino. Senza rivelare troppo a chi non avesse mai letto questa saga appassionante (sicuramente una delle cose migliori prodotte dalla Marvel nella prima metà degli anni Novanta), diciamo solo che, il personaggio si rivelerà presto, non il defunto Jacques Duquesne, ma un certo Philip Javert, proveniente da una Terra alternativa. Egli, assieme alla compagna Magdalene, e ad altri viaggiatori interdimensionali, noti come Raccoglitori, verrà manipolato dal misterioso Proctor, un essere molto potente, la cui vera identità e il reale scopo dei suoi piani rimarranno celati ai lettori per lungo tempo.

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Il cambio di passo rispetto alla breve gestione di qualche mese prima fu più che evidente. I vari personaggi assunsero presto una caratterizzazione ben definita, all’interno di una vicenda elaborata e coinvolgente. Harras, negli episodi successivi, non solo confermerà di essere particolarmente bravo a portare avanti una storia piena di misteri, come già aveva fatto nella miniserie dedicata a Nick Fury, ma, dopo l’esperienza come editor delle testate mutanti, mostrerà anche di aver appreso qualche trucco dal collega Chris Claremont, in particolare l’ampio ricorso a trame a lungo termine (spesso arricchite da complicati intrecci amorosi), e l’utilizzo di parecchi personaggi enigmatici o dal passato oscuro. Piacevoli anche gli intermezzi umoristici, su tutti le scaramucce verbali tra Jarvis, il maggiordomo degli Avengers, e Marilla, la tata inumana della figlia di Crystal e Quicksilver, e degne di nota alcune brillanti creazioni personali, a testimonianza delle sue notevoli abilità di narratore: citiamo, ad esempio, la Mahd W’Yry, la follia che può colpire il popolo degli Eterni e di cui cade vittima Sersi, all’epoca uno dei membri più importanti del team, oppure che la nostra Terra-616 è, in realtà, la dimensione “prima”, quella, cioè, da cui derivano tutte le altre che compongono il Multiverso Marvel. Questa idea, pur se perfettamente funzionale alla trama, è particolarmente curiosa, perché introduce il concetto che chi si ritrova in una dimensione non sua, debba necessariamente eliminare il suo “doppio” su quella Terra, per evitare di morire. Nessuno, dopo la Saga di Proctor, ha più ripreso questo tema (ma anche prima, in verità, nessuno ne aveva mai fatto menzione), tanto è vero che parecchi “gemelli dimensionali” hanno convissuto a lungo o, tuttora, convivono sulle pagine delle varie testate della Casa delle Idee, basti citare, per esempio, Mr. Fantastic e il Creatore, il suo doppio malvagio, proveniente dall’Universo Ultimate. Insomma, una sorta di licenza poetica, che è strano associare a chi, per lungo tempo, ha lavorato come supervisore e che, tra i suoi compiti, aveva anche quello di evitare incongruenze all’interno della continuity marvelliana.

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Harras, proprio in virtù della sua lunga esperienza da editor, si dimostrò bravissimo a portare avanti la sua sottrotrama principale, senza avere la necessità di tenere fuori gli Avengers dai vari crossover concepiti dalla casa editrice. Inoltre, sempre durante la sua gestione - terminata nel 1995, alla vigilia della sua promozione a editor-in-chief della Marvel-, riuscì anche a far coincidere il finale della saga con le celebrazioni per i trent’anni degli Avengers e, persino, a introdurre ufficialmente in casa Marvel l’Ultraverse della Malibu, la casa editrice californiana che dopo aver dato i natali all’Image Comics, era precipitata in una crisi finanziaria che si risolse solo con la sua acquisizione da parte della Casa delle Idee. Naturalmente, i meriti dello sceneggiatore andavano ben aldilà di queste semplici considerazioni “tecniche”. Narrativamente parlando, infatti, questo ciclo degli Avengers si distinse per la perfetta calibrazione tra i momenti sentimentali e quelli puramente action, ma anche, come già accennato in precedenza, per l’approfondimento psicologico dei protagonisti, che trovò il suo massimo compimento in Crystal, Sersi e il Cavaliere Nero (gli ultimi due, in particolare, prima di Harras erano sempre sembrati dei semplici personaggi di contorno e, dopo questo ciclo di storie, torneranno in breve tempo ai margini dell’Universo Marvel), ma di cui beneficiarono anche Ercole e la Visione, il primo soprattutto, raramente tratteggiato con una personalità così ben delineata.

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Sul fronte artistico, la Saga di Proctor rappresentò il primo vero banco di prova per Steve Epting, giovane disegnatore dell’Ohio, arrivato alla Marvel dopo essersi fatto le ossa alla First Comics. L’ottimo artista che abbiamo ammirato nel lungo ciclo di Capitan America scritto da Ed Brubaker e, più di recente, nella miniserie Velvet della Image, sempre in coppia con lo scrittore di Criminal, oltreché sulle pagine dei New Avengers di Jonathan Hickman, era ancora alle prime armi, ma, aiutato dalle chine del veterano Tom Palmer, in poco tempo riuscì a liberarsi di qualche residua incertezza nel tratto e a rendere il suo stile più che riconoscibile. Inoltre, a differenza dei vari Jim Lee e Rob Liefeld, allora molto popolari, Epting mostrò di guardare soprattutto ad artisti più classici come Al Williamson o Austin Briggs. Un’influenza ancora non così evidente nelle tavole di questo lungo ciclo degli Avengers, o nei successivi lavori per le testate mutanti, dove, per venire incontro al gusto dei lettori dell’epoca, occorreva concedere diversi momenti dinamici o “muscolari”, ma che apparirà chiara prima con la breve parentesi alla CrossGen e poi, come detto, con le celebrate storie di Capitan America, dove le atmosfere da spy-story imposte da Brubaker, si adattarono perfettamente alle sue figure anatomiche ben delineate e ai suoi frequenti primi piani.
Adesso che, negli ultimi anni, il suo tratto si è fatto ancora più pulito e il ricorso ai giochi di ombre è diventato una caratteristica fondamentale del suo stile, Epting è considerato l’artista ideale per personaggi abituati a muoversi in ambientazioni più dark. Lo ha capito bene la DC - casa editrice dove il disegnatore americano sembra essersi, per il momento, accasato - che lo scorso anno gli ha affidato le matite di Batwoman, e pare voglia affidargli altri progetti simili.

Il grosso tomo di oltre quattrocentocinquanta pagine con cui la Panini ha raccolto l’intera saga per la prima volta dopo la pubblicazione su comuni albi spillati da edicola, più di venticinque anni fa, risulta curato con la consueta professionalità. L’unico appunto da fare riguarda la quasi totale assenza di note esplicative, le quali sarebbero state di grande aiuto per i lettori più giovani, che potrebbero comprensibilmente trovarsi in difficoltà a capire i collegamenti, a cui accennavamo prima, con Operazione Tempesta nella Galassia (uno dei crossover più importanti dell’epoca) o con l’Ultraverse.
Crediamo, infatti, che volumi di questo tipo non debbano essere acquistati solo da chi ricorda quel periodo con un po’ di nostalgia, ma anche da chi non ha vissuto quegli anni e meriterebbe di apprezzarne il valore.

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Panini Comics annuncia l'edizione in cofanetto di Sandman di Neil Gaiman

  • Pubblicato in News

Proprio questa mattina vi abbiamo annunciato che Amazon Audible realizzerà un audiodramma di The Sandman con la voce narrante del auo autore Neil Gaiman. Poco dopo, Panini Comics ha mostrato una foto della nuova edizione dell'opera Vertigo che vedrà un cofanetto composto da 14 volumi brossurati.

Dettagli sull'edizione e sul costo verranno svelati in seguito.

Potete vedere l'immagine qui di seguito.

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Spider-Man Collection: Forse sognare..., recensione: ovvero, l'antologica Webspinners: Tales of Spider-Man

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Alla fine degli anni ’90 Spider-Man non viveva il suo miglior momento editoriale, per questo motivo la Marvel decise di rilanciare il personaggio chiudendo tutte le sue testate e ripartendo da 1. Una soluzione che oggi è praticamente la norma considerando che viene applicata dall’editore in maniera ciclica, ma che all’epoca rappresentava una rarità.
Il rilancio venne affidato al cartoonist canadese John Byrne autore della criticatissima Spider-Man: Chapter One, maxi-saga in 12 capitoli che avrebbe dovuto riaggiornare le origini del personaggio come avvenuto un decennio prima con Superman, ma in maniera meno drastica. A Byrne venne affidata soprattutto l’ammiraglia Amazing Spider-Man a cui si affiancava la complementare Peter Parker: Spider-Man di Howard Mackie e John Romita Jr., le cui trame erano spesso intrecciate a doppio filo.

A completare il parco testate dell’Uomo Ragno, venne lanciata una collana dal titolo Webspinners: Tales of Spider-Man che proponeva, sullo stile della concorrente Batman: Legends of the Dark Knight della DC Comics, cicli scritti e disegnati di volta in volta da autori diversi e ambientati in varie epoche della storia del Ragno. Il successo di Webspinners non fu clamoroso, tanto che la Marvel la chiuse dopo 18 numeri, ma al suo interno sono state proposte – fra alti e bassi – alcune piccole gemme. Panini Comics, che pubblicò originariamente questa serie sul quindicinale de L’Uomo Ragno, ha ora raccolto la serie in due volumi della collana da libreria Spider-Man Collection dai titoli La materia di cui sono fatti i sogni e Forse sognare…, il primo pubblicato a gennaio 2019, il secondo pubblicato nello stesso mese del 2020 e di cui vi parliamo nel dettaglio in questo articolo.

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Il volume, che contiene come il precedente 9 albi totali, si apre con quella che è certamente la storia più celebre della collana, un arco narrativo di 3 numeri scritti da Paul Jenkins e disegnati da Sean Phillips e J.G. Jones. La storia, molto introspettiva, mette al centro dei riflettori il Camaleonte (Dmitri Smerdyakov), ovvero il primo villain in assoluto di Spider-Man creato da Stan Lee e Steve Ditko. Scoperta l’identità del suo nemico, Dmitri si intrufola nella vita di Peter Parker, sostituendosi letteralmente a lui, e minaccia di uccidere sua moglie Mary Jane sul George Washington Bridge (lo stesso ponte su cui Goblin portò Gwen Stacy). Arrivato sul luogo, Peter scopre che il suo nemico è solo - non ha con sé MJ - e che sta puntando una pistola alla sua stessa testa. Con una confusa dichiarazione di affetto per Spider-Man, in un momento molto intenso che sovrappone diversi stati emotivi, il Camaleonte si getta dal ponte suicidandosi.

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Nella terza storia del ciclo, lo sceneggiatore e J.G. Jones - che qui prende il posto di Phillips - viaggiano all’interno della mente e della coscienza di Peter ripercorrendo la sua storia e i suoi momenti più tragici in un episodio che ricevette, all’epoca, il plauso di pubblico e critica. Il lavoro di Jenkins piacque così tanto da convincere la Marvel a promuovere il sempre più lanciato sceneggiatore a scrivere regolarmente la testata Peter Parker: Spider-Man. In questa storia, in particolare, lo scrittore inglese dimostra la sua sensibilità e la sua affinità col personaggio, aspetto che confermerà negli anni a seguire.
Sean Phillips e J.G. Jones sono autori di una buonissima prova, seppur il tratto di entrambi appaia ancora un po’ grezzo in alcuni frangenti e non ancora pienamente elaborato e raffinato come quello attuale. A spiccare è sopratutto il lavoro di Jones nella sopracitata Forse sognare… che dà anche il titolo al volume. Qui il disegnatore si libera spesso delle gabbie fisse per realizzare soluzioni visive molto interessanti.

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Dopo il primo ciclo di tre episodi, il volume prosegue con altre 3 storie composte da 2 albi ciascuna. Si parte da Tanti anni prima… di Howard Mackie e Graham Nolan. La vicenda trasporta Spider-Man e il suo nemico Carnage/Cletus Kasady nella zona negativa in cui il Ragno si alleerà con un gruppo di ribelli contro il tiranno Blastaar. La storia vuole essere un traino alla serie animata Spider-Man Unlimited in cui l’Uomo Ragno si ritrovava sulla Contro-Terra con un nuovo costume. Il cartone andò in onda su Fox da ottobre 1999 a marzo 2001 e durò solo 13 episodi, restando senza un finale. Ad ogni modo, la storia di Mackie e Nolan risulta molto godibile e divertente e corredata da un ottimo comportato artistico.

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Si prosegue con Blackout di Rurik Tyler, una classicissima storia in cui Spider-Man affronta il suo storico nemico Avvoltoio che ha pianificato dei blackout - per l’appunto - in zone strategiche della città per compiere indisturbato alcuni grossi furti. Senza infamia e senza lode.
Più interessante invece è l’ultima avventura, intitolata Eroe del popolo, che vede all’opera il classico duo di autori Tom DeFalco e Ron Frenz. Ambientata nel periodo prima del matrimonio fra Peter Parker e Mary Jane, la storia vede Silver Sable arruolare Spider-Man per difendere il monarca del Belgriun dai ribelli che vogliono rovesciare la sua dittatura. Nonostante Spider-Man non sia entusiasta nel difendere un oppressore del popolo, non può ignorare che in gioco c’è anche la vita dell’innocente figlia del monarca e che nel paese c’è il Sinistro Sindacato, capeggiato dal Doctor Octopus, che fa il doppio gioco con i ribelli. Una storia dal sapore classico, molto ben costruita e disegnata.

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Spider-Man Collection: Forse sognare… è un volume rivolto principalmente ai lettori di vecchia data dell’Uomo Ragno e che, unito al precedente La materia di cui sono fatti i sogni, offre la possibilità di avere in edizione cartonata tutta la serie Webspinners: Tales of Spider-Man apparsa sul quindicinale Panini Comics una ventina d’anni fa. La qualità della proposta, comunque, è sufficiente per essere goduta anche dai nuovi lettori, purché abbiano una certa dimestichezza con la storia dell’Uomo Ragno. Qualche articolo di approfondimento, o di “orientamento”, sarebbe stato certamente utile in quest'ottica.

Dal punto di vista della confezione, il volume ha la qualità classica delle proposte da libreria dell’editore, laddove pecca è nella cura editoriale: per l’occasione, la Panini ha infatti adottato la stessa traduzione realizzata all’epoca della prima pubblicazione di Webspinners, e ciò è assolutamente normale, se non fosse per la presenza di refusi (che potevano essere qui corretti) e di didascalie con annotazioni che andavano decisamente aggiornate. Per fare un esempio, in alcune storie si leggono note che rimandano a pagine dell’albo originale in cui è stata presentata la storia per la prima volta 20 anni fa, indecifrabili per chi non ha in mano la copia del fumetto dell’epoca. Piccole disattenzioni che nulla tolgono alle storie, ma che potevano essere evitate con poco.

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Solanin. Complete Edition, recensione: la vita fra desideri e realtà

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Tra gli autori giapponesi contemporanei, uno dei mangaka più interessanti e dalla scrittura universale rimane sicuramente Inio Asano. La peculiarità prima di questo autore infatti resta quella di essere in grado di parlare del quotidiano, della normalità, della vita di tutti giorni e delle emozioni umane con una padronanza tale della psicologia dei personaggi e della gestione delle relazioni interpersonali, nonché delle interazioni sociali, da risultare totalmente trasversale ed estrapolabile senza stravolgimenti per essere applicata a qualunque contesto umano, indipendentemente dal contesto geografico, ad esempio. Per questa ragione Solanin in fondo, potrebbe benissimo essere ambientata qui in Italia tanto è possibile riconoscersi nei suoi protagonisti.

Meiko e Taneda sono due giovani innamorati da poco laureati che tentano di vivere la loro vita cercando di trovare un compromesso fra le aspettative sociali imposte e quelle che sono le loro ambizioni, i loro sogni. Quante volte ci siamo chiesti se cercare un lavoro sicuro, a volte anche mal retribuito, o se inseguire le nostre vocazioni? I due, infatti, convivono lontano dalle loro città d’origine e devono, dunque, contare sulle proprie forze per andare avanti. Meiko lavora come segretaria in un’azienda che le garantisce un buono stipendio e un posto fisso, ma che la rende insoddisfatta a causa di un ambiente che la fa sentire solo un ingranaggio facilmente sostituibile e non realmente necessario. Per questo motivo decide di licenziarsi, ma questo la porterà a lasciarsi andare e chiudersi in se stessa, senza cercare reali alternative al suo precedente impiego.

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Taneda, invece, che lavora part-time in un’agenzia di grafica, verrà convinto dalla sua ragazza a inseguire il suo sogno, quello di essere un musicista e diventare famoso con la sua band composta dagli inseparabili amici dell’università. Questa nuova situazione di incertezza economica e di insoddisfazione porterà i due protagonisti a vivere un momento di crisi, fino a un episodio che sconvolgerà totalmente le loro vite ma che, per evitare spoiler, non riveleremo in questa sede. Vi basti sapere che tutti i personaggi verranno messi con le spalle al muro e saranno costretti ad affrontare la dura realtà.

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Asano racconta, dunque, una slice of life assolutamente realistica con un tono lieve ma preciso, capace di toccare le giuste corde emotive. Una riflessione sulla condizione del lavoro, sulle difficoltà che incontriamo sulla strada della vita in costante ricerca di equilibro fra ciò che vorremmo essere e quello che ci troviamo realmente davanti. Fondamentale è la presenza di personaggio veri, e il mangaka è abile nel creare un gruppo di protagonisti, non solo Meiko e Taneda ma anche i loro amici, assolutamente credibili e umani. Difficile non riconoscersi in almeno uno di loro. Le tematiche affrontate da Asano non sono solo quelle relative al rapporto col mondo del lavoro e al nostro ruolo nel mondo, al conseguimento dei nostri sogni ed evitare la spersonificazione che una società, soprattutto come quella giapponese, tende a portare, ma vengono anche analizzati i rapporti di coppia, l’elaborazione del lutto e i freni inibitori che noi stessi creiamo e che ci ostacolano.

La narrazione è accompagnata dal tratto di Asano morbido e tondeggiante, caratterizzato da una linea chiara sottile e precisa. Le tavole hanno una gabbia molto varia e l’autore fa frequente uso di primi piani, cosa che mette in risalto le emozioni dei protagonisti sottolineate da espressioni molto naturali che solo raramente, e in maniera lieve, fanno uso di deformazioni caricaturali atte a creare esasperazioni emotive.

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A distanza di 15 anni dall’uscita del primo episodio in Giappone e a 10 dalla prima edizione italiana, Panini Comics ristampa Solanin in un unico volume di 472 pagine nel formato 15X21, maggiore rispetto al precedente 13X18 in due volumi, che esalta al meglio le tavole dell’artista. Il volume, con sopracopertina, è di ottima fattura e presenta un paio di capitoli extra aggiunti, alcuni disegni inediti e una postfazione dell’autore. Nulla di imprescindibile, ma che potrebbero invogliare, insieme al nuovo formato, all’acquisto anche chi già possiede l’opera.

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