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X-Men: Le Origini - Wolverine: l'inizio dei prequel

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Che "X-Men Origins: Wolverine" sia un prequel a "X-Men" (2000), "X2" (2003) e "X-Men: The Last Stand" (2006) è cosa nota. Ma come si integra questa nuova pellicola nel contesto creato dai tre film precedenti? Riesce a dare un'unica visione d'insieme? E come interpretare il tentativo di formare un nuovo brand mutante quale "X-Men Origins", alla luce di questa prima avventura cinematografica del nuovo corso? Il nostro Valerio Coppola tenterà di rispondere a queste e ad altre domande nella sua analisi. Attenzione! L'analisi contiene diverse informazioni sui contenuti del film, dunque consigliamo, a chi non lo avesse ancora visto e vi fosse interessato, di non procedere nella lettura.

La produzione di "X-Men Origins: Wolverine" coincide con l'avvio, da parte della 20th Century Fox, di una strategia di ampliamento del franchise cinematografico degli X-Men. Tale operazione dovrebbe avvenire attraverso una serie di spin-off sotto forma di prequel (alcuni già annunciati) che vadano a riscoprire la storia passata, per ora solo vagamente accennata nei tre film dedicati al gruppo mutante. La pellicola su Wolverine si pone dunque come il primo passo in questa direzione, e ci pare lecito analizzare come questo nuovo film si leghi alla precedente trilogia.

Senza dubbio, una differenza sostanziale tra i "vecchi" film e il "nuovo" è data dal differente carattere della pellicola: nei tre "X-Men", seppure a spiccare era Wolverine (insieme a Magneto, non a caso in odore di un secondo prequel), si era però di fronte a un film corale, che per protagonista aveva un gruppo; in "Wolverine" si ha invece il caso opposto, con un unico e inequivocabile protagonista e un vasto cast di contorno, ma tutto "in supporto" a Logan. Ne deriva un film più individuale, con poco spazio per dinamiche di gruppo e dunque con meno possibilità di sviluppare diverse sottotrame che procedano in parallelo. Anche sul fronte dei personaggi, inoltre, l'approfondimento giova per forza di cose solo a Wolverine (e marginalmente all'antagonista, Victor), mentre il resto dei personaggi, dato il loro numero e per non togliere la scena alla star del film, deve accontentarsi di passaggi più veloci.
Se il progetto della Fox è dunque quello di procedere con una serie di pellicole incentrate di volta in volta su un mutante diverso, è lecito aspettarsi il ripetersi di una simile dinamica, la quale, come detto, influisce tanto sulla caratterizzazione, quanto sulla trama stessa.

Più nello specifico, in riferimento alla caratterizzazione un confronto particolare è possibile solo per pochi personaggi: a parte le veloci comparsate di alcune vecchie conoscenze, a tornare davvero rispetto ai precedenti film sono solo Wolverine (sostanzialmente in continuità rispetto a prima), Sabretooth (il personaggio che ha più guadagnato dall'operazione) e Stryker. Più in generale, come si diceva, il fatto che si sia deciso di realizzare una storia individuale ha portato a prediligere toni diversi nella caratterizzazione dei personaggi, ma anche della pellicola nella sua totalità: dovendo narrare l'arco biografico di un unico personaggio, si è scelto infatti di basarsi su un impianto tragico, che trasportasse lo spettatore attraverso il viaggio emozionale e la crescita del protagonista. Nei precedenti film si era invece privilegiato lo scontro tra punti di vista, l'intrigo, e insomma si era costruita una rete di tensioni incrociate che appunto si giovavano della compresenza “paritaria” di un buon numero di protagonisti. In "Wolverine" questi aspetti, pur presenti, sono però lasciati piuttosto in secondo piano, preferendo – forse a ragione, in questo caso – concentrarsi sull'interiorità di pochi personaggi e sull'approfondimento di un minor numero di rapporti interpersonali, anche questi volti alla resa di una tragicità in senso classico (se poi l'obiettivo sia stato raggiunto in pieno o no, è un altro discorso).

Questa minore attenzione ai temi che avevano caratterizzato le pellicole degli X-Men è evidente sopratutto per la mancanza della questione discriminatoria, per l'assenza della fobia mutante, che come una cappa opprimeva invece i film diretti da Bryan Singer e Brett Ratner. A dire il vero, in questo caso non è solo il carattere individuale della storia a condizionare la scelta, ma sono soprattutto valutazioni di continuity narrativa. Nel tempo del racconto la questione mutante non è ancora esplosa a livello di opinione pubblica: è un problema delle élite, qualcosa che ancora non è approdata neanche alla grande politica. In questo senso la figura di Stryker è la chiave del discorso (e non a caso tutto "X-Men Origins: Wolverine" va ricollegato principalmente a "X2", dove il personaggio faceva il suo esordio). È in Stryker che nasce l'opposizione della "razza" umana alla "razza" mutante, ed è da idee come quelle di cui lui è portatore che si originerà il conflitto politico e sociale che fa da sfondo alla vicenda degli X-Men. La presenza di Stryker è di fatto la vera e propria liaison tra il nuovo film e i tre precedenti, individuando l'avvio di una linea narrativa pronta a esplodere, secondo la continuity cinematografica, a distanza di anni.
È infatti da notare come non sia tanto la vicenda biografica di Wolverine in sé a costituire il valore della storia come "origine", quanto piuttosto elementi "accessori" quali la paranoia di Stryker e la comparsa finale di Charles Xavier, la quale accenna alla nascita della scuola degli X-Men (nonché al possibile futuro spin-off "X-Men: First Class", di cui già negli ultimi mesi si è iniziato a discutere).

La vicenda personale di Logan invece è, appunto, solo personale. Vale a dire che ha valore nello svelare i retroscena di un personaggio che nei tre film precedenti aveva lasciato intravedere solo qualche brandello della propria memoria devastata, rimanendo per lo più avvolto nel mistero (e forse questa non è stata l'ultima delle ragioni del suo successo). È proprio con questi rari flashback concessi dai tre "X-Men" che andrebbe impostato un confronto tra quella che sembrava essere la storia cinematografica di Wolverine, e quella che infine si è rivelata essere. Va ovviamente tenuto presente che le scene mostrate in precedenza erano per lo più oniriche o fatte di ricordi potenzialmente distorti, ma al di là di queste considerazioni era evidente la volontà di Bryan Singer di dipingere uno scenario da incubo, disumano. La stessa fuga di Logan dal laboratorio di Stryker lasciava intuire un uomo già brutalizzato, non più uomo bensì animale. Ciò che nei primi due film era stato suggerito, dunque, era che Logan avesse perso il senno (e la memoria) subito dopo l'infusione dell'adamantio. Poco conta che non si dessero dettagli certi e che potessero essere ricordi fallaci: nel discostarsi da quella visione – che i film degli X-Men inequivocabilmente offrivano – è stata fatta una scelta precisa, probabilmente in fase di stesura della storia.

Proprio prendendo le mosse da quest'ultima osservazione, si potrebbe concludere abbozzando una riflessione sull'iniziativa "X-Men Origins". Naturalmente è del tutto prematuro, dopo una sola pellicola, tentare di fare un bilancio. Si può però provare a trarre qualche conclusione dal veloce confronto appena fatto, così da poterci concedere il trastullo di una qualche previsione sulle eventuali direzioni di sviluppo che il franchise degli X-Men potrà intraprendere.
È chiaro che se anche le prossime pellicole verranno impostate come questa di Wolverine, il quadro generale degli X-Men cinematografici si presenterà come qualcosa di non troppo coeso, formato da singoli film (belli o brutti che siano) molto concentrati sul protagonista di turno ma poco attenti all'inserimento della sua storia in un flusso unico: non solo in riferimento a possibili incongruenze, ma soprattutto rispetto a far sì che lo spettatore abbia la sensazione di essere di fronte a personaggi che fanno parte dello stesso mondo. Insomma, il rischio è che il collegamento tra le pellicole si limiti ai nomi in comune, nel caso non si tenti di inserire ogni film in un discorso più generale, portato avanti di pari passo nelle varie produzioni (senza che questo significhi togliere spazio al protagonista del film in questione).

In tal senso sarebbe utile agire secondo il metodo che paiono aver impostato ai Marvel Studios nella realizzazione delle pellicole che confluiranno in "The Avengers": nella costruzione dei vari progetti a solo, i vari scrittori cercano cumunque di mantenere una qualche forma di coordinamento, senza mai perdere di vista il disegno generale. È probabile che così, alla fine dei giochi (se il lavoro è ben fatto), lo spettatore avrà l'idea di una forte coesione interna del mondo narrativo messo in scena, a prescindere dalla varietà dei personaggi e delle loro storie individuali.
Se, come pare di intuire, "X-Men Origins" non è solo un brand, ma ha dietro un progetto organico che punti a raccontare la storia dei mutanti nel loro mondo fittizio in maniera coerente, un disegno generale che coordini a monte le varie produzioni sembra necessario. Tutto sta a vedere se 20th Century Fox e tutti i professionisti coinvolti saranno in grado di creare una vera e propria continuity solida e cementata, invece di un fiume che si perde in mille rivoli senza trovare a nessun livello una dimensione unitaria. Di sicuro, appena avremo il piacere di assistere al prossimo "X-Men Origins", avremo anche qualche indicazione in più sulla strada intrapresa.


Valerio Coppola
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