Quando Barry Smith, giovane artistico britannico di belle speranze, debutta sul finire degli anni Sessanta sul mercato statunitense con alcune prove non del tutto convincenti su testate sparse della Marvel Comics, nessuno prevede per questo ventenne un futuro da maestro del fumetto quale diventerà da lì a pochi anni. Le pagine illustrate da Smith per X-Men, Daredevil, Avengers sono evidentemente influenzate dalla sua ammirazione giovanile per Jack Kirby, di cui riprende le anatomie statuarie e la costruzione spettacolare delle tavole. Ma la forte considerazione per l’opera del Re non basta a dare personalità al lavoro di Smith. La sua imitazione di Kirby risulta troppo sfacciata e priva di reale ispirazione, non lasciando presagire un grande futuro per la carriera del giovane artista che decide di prendersi un periodo sabbatico dai comics per affinare il suo stile. Si dedica così allo studio dei pittori preraffaelliti, modificando il suo approccio alla resa dell’anatomia umana che passa dalle masse kirbyane a figure più snelle ed eleganti. La svolta della carriera dell'autore avviene con le storie di Conan the Barbarian disegnate a partire dal 1970. Dopo un inizio timido, la collana decolla grazie all’eleganza delle tavole di Smith, divise tra figure sinuose e dinamiche ed edifici sontuosi, diventando la collana più venduta del decennio insieme ad Amazing Spider-Man. Il tratto raffinato, meticoloso e ricco di dettagli di Smith spingono la serie verso una cifra autoriale sconosciuta al fumetto mainstream dell’epoca. Quando Smith abbandona la collana dopo 26 storie, la percezione del pubblico nei confronti dell’autore è mutata. Smith è ormai considerato un maestro, uno degli artisti più innovativi del decennio, che può permettersi un nuovo e momentaneo ritiro dalle scene del fumetto seriale, di cui non sopporta le scadenze stringenti, per continuare una sua personale ricerca stilistica.
Durante questo periodo, in cui fonda un suo studio personale per sperimentare un modo diverso di fare illustrazione, cambia il suo cognome in Windsor-Smith, affiancando il cognome materno a quello paterno. È il simbolo di una svolta stilistica ed autoriale, che segnerà tutti i lavori successivi. Dopo un decennio di sperimentazioni in campo artistico, nel 1983 Jim Shooter - editor-in-chief della Marvel - lo richiama in servizio presso la Casa delle Idee. Inizia così per l’autore un decennio sfolgorante, ricco di lavori di notevole spessore che diventeranno iconici, dalla storia della Cosa su Marvel Fanfare, che rivela il suo talento come autore completo, alla miniserie dedicata a Machine Man, dalla collaborazione con Ann Nocenti su Daredevil ai due capitoli di Vitamorte, storia intimista dedicata a Tempesta che appare su due numeri di Uncanny X-Men in cui collabora proficuamente con Chris Claremont. È in questo periodo ricco di impegni che Windsor- Smith comincia a lavorare a un graphic novel dedicato ad Hulk. Il progetto si trascina per anni, sia per la meticolosità certosina dell’autore, sia per l’impegno profuso nella realizzazione di Weapon X, miniserie dedicata alle origini di Wolverine a cui la Marvel conferisce precedenza assoluta e che si rivelerà come uno dei massimi capolavori della carriera di Windsor-Smith. Il progetto su Hulk non verrà però abbandonato, ma verrà ripreso nel corso dei decenni e sviluppato per un altro editore fino a trasformarsi in un’opera lontana anni luce da quella prevista inizialmente.
Il pitch pensato per quel graphic novel, discusso dall’autore col redattore capo Shooter e lasciato su una scrivania del mitico Bullpen della Marvel, è al centro di uno di quegli aneddoti della storia del fumetto che da vicende laterali diventano parte integrante di una mitologia. La trama ideata da Windsor-Smith suggeriva per la prima volta una chiave psicoanalitica ai tormenti di Bruce Banner, scovando nel rapporto con il padre violento l’origine dei suoi traumi, che precedono l’incidente che lo trasforma in Hulk. Il caso vuole che il soggetto dell’autore inglese, abbandonato su quella scrivania zeppa di tavole e proposte in attesa di approvazione, finisca nelle mani di Bill Mantlo, sceneggiatore tra i più prolifici della sua epoca e anima del Bullpen, la redazione Marvel che in epoca pre-internet pullula di autori e redattori. Mantlo scrive da anni The Incredible Hulk firmando storie di buon livello, ma che non sono certo caratterizzate da finezza psicologica. Fatto sta che su The Incredible Hulk 312, datato ottobre 1985, viene pubblicata Monster, storia scritta da Mantlo e disegnata da un giovane Mike Mignola, con una trama incentrata sul rapporto traumatico di Bruce Banner col padre violento che ricalca in tutto e per tutto il pitch di Windsor-Smith. Il quale, adirato, sospende la lavorazione del graphic novel dedicata al Gigante di Giada, pur continuando a collaborare con la Marvel, mentre Mantlo viene rimosso dalla testata e destinato ad una collana di seconda fascia, Alpha Flight.
Gli anni passano e la carriera di Windsor-Smith conosce altre importanti e significativi capitoli. I suoi anni ’90 sono caratterizzati dalle collaborazioni con nuovi e agguerriti editori come Valiant e Malibu, arrivate nel momento di maggior espansione del mercato, e con la Dark Horse, per la quale realizza il sogno di creare una rivista d’autore, Storyteller, che non incontra però il favore di un pubblico abituato al formato comic-book. Corre voce tra gli addetti ai lavori, però, che l’autore inglese non abbia mai smesso di lavorare a quel graphic novel su Hulk che, in corso d’opera, si sarebbe trasformata in qualcosa di completamente diverso. Nel frattempo, la sua produzione si fa sempre più rarefatta, limitandosi a qualche copertina. Di fatto, Barry Windsor-Smith scompare dal mercato fumettistico per quasi venti anni. Finché, nel 2020, arriva la notizia del suo grande ritorno con la pubblicazione di Monsters, pubblicato dalla Fantagraphics di Gary Groth, nume tutelare della critica fumettistica statunitense. Un tomo di quasi 400 pagine illustrate in un rigoroso bianco e nero, un vero e proprio magnum opus attraversato da un furore realizzativo e da un’ambizione creativa impossibile da trovare nel panorama odierno del fumetto a stelle e strisce. Leggendolo, si intuisce quale fosse l’idea sottrattagli da Mantlo. Ma la storiellina apparsa in Incredible Hulk 312, nonostante preannunci futuri sviluppi narrativi chiave per il personaggio (Peter David renderà l’aspetto psicologico il perno del suo lungo ciclo), non rende giustizia all’intuizione originale di Windsor-Smith. Che, trasformata finalmente in opera compiuta dal suo autore, diventa un’affascinante, implacabile e terribile analisi sulla natura contagiosa del male, che rovina per sempre chi ne viene toccato.
Nelle sue premesse, Mostri (che Mondadori porta in Italia con un clamoroso volume cartonato inserito nella sua collana Oscar Ink) è così ricca di archetipi narrativi che le sue lontane origini di fumetto supereroistico non potranno sfuggire ai lettori iniziati al genere. Siamo nel 1964 e Bobby Bailey, un ragazzo senza arte né parte, si arruola nell’esercito offrendosi come cavia per un progetto militare avvolto da grande segretezza. Si tratta di un esperimento per creare un super-soldato, derivato da un programma nazista. Il processo, estremamente doloroso, va storto e il ragazzo si ritrova trasformato in un mostro deforme e gargantuesco. Aiutato dal Sergente McFarland, ufficiale che lo aveva arruolato ed è ora afflitto dai sensi di colpa, Bobby riesce a fuggire dal complesso militare in cui era prigioniero salvo essere braccato dall’esercito che lo vuole catturare a qualsiasi costo.
Il lettore che penserà alle origini di Capitan America o dell’Incredibile Hulk rimarrà spiazzato, perché nonostante sia attraversato dagli echi di leggende note, in Mostri non c’è spazio per alcun eroismo. Si respira un’aria simile a quella di Ruins di Warren Ellis, che era il riflesso distorto della celebrazione del sense of wonder che animava il Marvels di Kurt Busiek e Alex Ross. Qui c’è un esperimento azzardato, ereditato dalle peggiori menti criminali della storia, compiuto sulla pelle di un povero disgraziato, distrutto da un trauma da cui è impossibile riprendersi. Un incipit che serve a chiarire al lettore il tono dolente di un’opera in cui non ci sono eroi ma solo sopravvissuti e che poi, improvvisamente, diventa altro. Un flashback ci porta nel 1948, quando Bobby è un bambino che aspetta il ritorno dalla guerra dal padre Tom insieme alla madre Janet, nel piccolo centro di Providence. Il piccolo era appena nato quando il padre è partito per fare l’interprete al fronte, e non ha praticamente mai conosciuto il genitore. Janet conduce una vita difficile, tra l’ansia per la sorte del consorte, marito affettuoso, e la difficoltà di crescere un bambino da sola. Il tutto è mitigato solo dall’amicizia che nasce con Jack Powell, l’agente governativo incaricato di fornire informazioni ai parenti dei soldati in guerra. Ma un giorno Tom torna, e non è più l’uomo di una volta. È successo qualcosa in guerra, ha visto qualcosa di terribile che lo ha cambiato per sempre. È diventato iracondo e violento, e non esita ad alzare le mani su moglie e figlio. Da qui in poi la vita per Janet e Bobby si trasforma in un inferno, attraversato da una continua escalation di tensione di cui non anticipiamo nulla per non rovinare la sorpresa ai lettori.
Che Barry Windsor-Smith fosse un artista tra i più raffinati della scena fumettistica internazionale non costituisce certo una sorpresa, e Mostri lo conferma. La magniloquenza grafica dei suoi classici Marvel o le tavole ricche di tinte preraffaellite dei lavori più sperimentali lasciano qui il passo a un rigoroso uso della china e del pennino, di un tratteggio realizzato con la minuzia e con la dedizione di un incisore. L’organizzazione della tavola è di sapore classico, basato sull’utilizzo della griglia a nove vignette, soprattutto per le scene di interni, salvo poi allargarsi a splash-page nei momenti di maggiore pathos. Una soluzione grafica ideale per una narrazione intimista, basata su gesti e sguardi, che denota la straordinaria sensibilità compositiva di un grande artista. Ma in Mostri colpisce soprattutto l’ambizione autoriale da cui è permeata, che va ben oltre quel mitico pitch di partenza per una storia di Hulk mai realizzata. C’è il mito di Prometeo che incontra il dramma borghese alla Douglas Sirk, una “pastorale americana” in nero che si incrocia con un momento controverso e oscuro della storia americana, quell’Operazione Paperclip che portò ex scienzati nazisti a lavorare per il governo americano. C’è posto anche per una spruzzata di paranormale, grazie alle capacità medianiche (avremmo detto “mutanti”, se ci fossimo trovati in un fumetto di supereroi) di un personaggio apparentemente secondario che sarà invece di fondamentale importanza per la risoluzione della vicenda.
Mostri è un’opera monumentale giocata su diversi piani temporali, complessa e stratificata che rischia più volte di crollare sotto il peso della propria ambizione, che barcolla a più riprese ma che riesce ad arrivare in porto trionfalmente, commuovendo ed emozionando. È un’epopea popolata da personaggi splendidi come l’indimenticabile Janet, un’opera di struggente, devastante e dolorosa bellezza. Nel suo ritiro quasi ventennale, portando a termine un progetto durato trentacinque anni, Barry Windsor-Smith ha realizzato il lavoro della sua vita, un racconto epico ed allo stesso tempo intimista, un capolavoro di complessità narrativa, spessore psicologico e intensità emotiva che non può lasciare indifferenti. Il grande romanzo americano realizzato ironicamente da un autore inglese che da giovane venne a cercare fortuna artistica in America e oggi, a chiusura di uno splendido cerchio, è doveroso annoverare tra i più grandi maestri della narrativa illustrata dei nostri tempi.