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Gennaro Costanzo

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VS, recensione: quando la guerra diventa intrattenimento

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La guerra come fonte di intrattenimento e di distrazione di massa. È questo lo scenario immaginato dallo sceneggiatore Ivan Brandon (Vikings, Wolverine) che ci narra di un futuro lontano in cui i combattenti, moderni gladiatori che sfoggiano armature iper-tecnologiche, sono celebrità con tanto di sponsor e le battaglie mega-eventi trasmessi in diretta.

Il tenente Satta Flynn è fra i più noti guerrieri in circolazione ma viene costretto da un grave incidente a combattere, a seguito di una lunga riabilitazione, con gambe artificiali che ne limitano le performance. Nonostante le vittorie ottenute grazie alla nuova leader del gruppo Devi, per Flynn sembra arrivato il momento di ritirarsi dalle scene, tanto che i suoi stessi sponsor decidono di abbandonarlo. Tuttavia, l’indice di gradimento per il guerriero cresce inspiegabilmente e la sua rinnovata popolarità va contro gli interessi dell’elite al comando che manovra gli eventi per i propri oscuri scopi.

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Con VS Brandon ci fa immergere fin da subito nell’azione, senza perdersi in preamboli. Una volta che il lettore ha preso confidenza con il mondo da lui imbastito, lo sceneggiatore preme il piede sull’acceleratore approfondendo poco le vicende per dar vita a una trama il cui sviluppo appare troppo rapido. Con un intreccio ridotto all’osso, risultano anche poco chiare, o meglio poco approfondite, le motivazioni che scatenano gli eventi, dando dunque un senso di superficialità che poteva essere evitato. Perché, in fondo, lo scenario messo in piedi da Brandon è interessante ma, nell’arco dei 5 albi che compongono la serie, l'autore non riesce a creare una dimensione che viva di luce propria nello sconfinato genere fantascientifico.
Problema che affligge anche i personaggi: se alcuni come Satta Flynn o Devi appaiano ben caratterizzati, tutti gli altri restano troppo stereotipati e poco interessanti.
Ad ogni modo, in attesa di eventuali sequel della serie, ci sono margini di manovra per migliorare questi aspetti.

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A reggere l’intero volume, però, è il lavoro svolto da Esad Ribic (Thor: God of Thunder, Secret Wars) e dal colorista Nic Klein (Doc Savage, Captain America). Seppur non eccessivamente originale, la resa visiva del mondo di VS è tanto solida quanto spettacolare. Dalle metropoli futuristiche in cui si muovono i personaggi alle armature e alle armi dei gladiatori, tutto è curato e ben realizzato, e il nostro occhio non può che osservare con meraviglia il lavoro dei due artisti. Ribic crea, dunque, tavole spettacolari in cui il suo tratto esplode in ampie vignette e splash-page. Anche le scene d’azione sono rese molto bene, grazie allo stile dinamico di Ribic. I colori di Klein, infine, esaltano il lavoro del disegnatore e ben si adattano ai vari cambi di registro delle scene, dando luce a un mondo lontano in maniera efficace e amplificandone la spettacolarizzazione.

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Panini Comics raccoglie la serie Image in un elegante cartonato formato 18.3X27.7 che, grazie alla sua carta lucida, mette in risalto il lavoro di Ribic e Klein. La lettura di VS è piacevole e divertente, ma limitata da una scrittura poco profonda in forte debito con il comparto artistico che la eleva ben oltre i suoi limiti.

Le Grandi Storie D'Amore, recensione: l'Amore ai tempi della Golden Age

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Quarto volume della collana Panini Comics dedicato alle pubblicazioni Marvel dell’era Timely/Atlas, dopo Le Grandi Storie dell’Orrore, Le Grandi Storie Western e Le Grandi Storie della Fantascienza, arriva il turno de Le Grandi Storie D’Amore. Un libro interessante ancor più del solito perché ci consente di esplorare un genere come quello rosa di cui conserviamo poche tracce.

A differenza di una nazione come il Giappone, ad esempio, in cui il mercato di fumetti per ragazze è praticamente allo stesso livello di quello maschile, con un gran numero di autrici e un livello della proposta di assoluta qualità, in America il segmento di mercato rivolto alle donne è sempre stato di gran lunga inferiore rispetto a quello dedicato agli uomini, se non quasi del tutto irrilevante per diversi decenni. Non solo, le testate erano scritte prevalentemente da uomini e il livello della proposta non sempre all’altezza.

Solo negli ultimi decenni, ad ogni modo, la situazione è cambiata. Non solo dando maggior spazio a personaggi e fumettiste donne, ma comprendendo che il pubblico femminile è parte importante e consistente dei lettori di fumetti. In generale, comunque, la tendenza odierna è quella di non suddividere schematicamente il fumetto per genere sessuale, ma creare storie e personaggi che coinvolgano in egual modo tutto il pubblico.

Naturalmente, nulla di tutto questo è presente nell’antologia Le Grandi Storie D’Amore la cui valenza è per lo più storica, che artistica. Ma procediamo con ordine.

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Con la crisi del genere supereroistico nella seconda metà degli anni ‘40, gli editori erano sempre in cerca di nuovi filoni narrativi da sfruttare. Già nel 1941 la MLJ, futura Archie Comics, propose con successo i teen comics, fumetti umoristici adolescenziali con protagonisti un gruppo di ragazzi (personaggi esistenti ancora oggi e popolari grazie a serie tv come Riverdale). Ma la svolta arrivò nel 1947 quando Joe Simon e Jack Kirby (i creatori di Capitan America) diedero vita per la Crestwood Publications/Prize Comics alla rivista Young Romance che adattava a fumetti la formula delle testate pulp di genere romance. Il successo fu immediato e diversi editori, fra cui la Timely di Martin Goodman, pubblicarono innumerevoli testate che ne imitavano lo stile. Ne troviamo degna rappresentanza ne Le Grandi Storie D’Amore.

Il volume è suddiviso in 5 capitoli di cui i primi 3 dedicati effettivamente alle storie rosa del periodo ‘40-‘70. Il primo capitolo contiene avventure di poco precedenti alla nascita dell’universo Marvel tratte da Love Romance e da Teen-Age Romance. Il secondo contiene una selezione della serie Venus degli anni ’40. In entrambi i casi, gli autori delle sceneggiatore sono quasi sempre sconosciuti. Il terzo capitolo, invece, con storie scritte prevalentemente da Stan Lee, sono contemporanee alla nascita dell’universo Marvel e arrivano fino agli anni ’70 e provengono da riviste quali Patsy Walker, Our Love Story e My Love.

Nel primo capitolo le avventure, quasi tutte disegnate da Dick Giordano e Vinnie Colletta, trattano di ragazze anonime e dei loro amori in intrecci abbastanza stucchevoli e scontati ma che, soprattutto oggi, ci mostrano una rappresentazione della donna stereotipata e sessista con donne ingenue e passive felici solo quando l’uomo amato ricambia il loro sentimento. Questo non era un caso. Scritte da uomini, le testate erano fortemente maschiliste e promuovevano l’immagine di una donna realizzata solo quando felicemente sposata, frutto di una visione borghese che promuove un’immagine statica di benessere e felicità.
La donna, dunque, poteva tranquillamente rinunciare alla sua carriera, in quanto solo un uomo e i suoi figli potevano completarla. Inoltre, erano proibiti e condannati ogni tipo di atteggiamento considerato promiscuo e poco consono a una ragazza rispettabile.

Dopo la tempesta scatenata nel 1954 dalla pubblicazione del libro Seduction of the Innocent dello psichiatra Fredric Wertham, che portò alla nascita di un codice di autoregolamentazione noto come Comics Code, la situazione peggiorò addirittura in quanto le storie divennero ancora più insipide e infantili, promuovendo ancor di più quelli che erano i patriarcali insegnamenti di base.
Non sorprende, dunque, che con i movimenti femministi nati di lì a poco, queste testate sarebbe cadute nel disinteresse generale.

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La situazione non migliora più di tanto, sotto questo aspetto, nel terzo capitolo dove troviamo diverse storie scritte da Stan Lee e disegnate da artisti quali Jim Steranko, John Buscema, John Romita Sr. e altri ancora. Interessante è l’unica storia lunga della selezione (che mostra un intreccio più corposo) che ha protagonista Patsy Walker, personaggio che verrà introdotto nell’universo Marvel e che diventerà l’eroina Hellcat.

Differente, in qualche modo, il secondo capitolo con le storie tratte da Venus. Innanzitutto perché provenienti dagli anni ’40, e lo si può notare da un modo di fare fumetti differente, sia nei testi che nei disegni. Venus era una testata regolare che narrava le avventure della dea Venere (o meglio Aphrodite Ourania) scesa sulla Terra con l’identità di Victoria Nutley Starr, innamorandosi dell’editore della rivista Beauty Whitney P. Hammond. La donna dovrà destreggiarsi fra le invidie della segretaria di Hammond, Della Mason, e dei problemi “divini” con i suoi colleghi dei, alcuni dei quali osteggiano il suo operato.
Anche se il capitolo presenta storie tratte dalla rivista Venus, la maggior parte sono avventure di appendice alla stessa, senza protagonista fissa.

Gli ultimi due capitoli del volume mostrano, invece, l’eredità che il genere rosa ha avuto nei successivi decenni nei fumetti Marvel. Nel quarto capitolo vediamo alcune storie d'epoca prese e riletterate da autori contemporanei in chiave ironica. L’operazione risale al 2006 e vediamo fumettisti quali Peter David, Jeff Parker e Robert Loren Fleming riscrivere in chiave totalmente irriverente avventure riproposte nel libro anche nella loro forma originale.

Nel quinto e ultimo capitolo, invece, abbiamo l’albo Amazing Spider-Man #99 di Stan Lee e Gil Kane: un inserimento un po’ forzato, ma che dimostra come l’elemento rosa fosse un elemento importante nelle storie degli eroi Marvel. Chiudono il volume un'abbastanza superflua gallery e “Ricordando Gwen”, storia del 1991 di Tom DeFalco, Stan Lee e John Romita Sr., un bell’omaggio alla celebre fidanzata di Peter Parker e, al tempo stesso, alle storie rosa. 

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Come anticipato sopra, Le Grandi Storie D’Amore è un volume che va contestualizzato e compreso, risultando un'importante testimonianza di un periodo del fumetto americano. Le sue storie appaiono oggi maschiliste e antiquate, eccezion fatta per i disegni. Le matite di grandi artisti Marvel, generalmente alle prese con i supereroi e qui calati in un contesto non avventuroso, valgono da sole il prezzo del biglietto e, passando dagli anni ’40 ai ’70, ci svelano molto sull’evoluzione del medium, ma anche sui costumi e sulla società dell’epoca.

Le Avventure Rocambolesche - Il Flagello di Dio, recensione: Manu Larcenet riscrive la storia di Attila

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Il fumettista francese Manu Larcenet (Blast, Lo Scontro Quotidiano) è l’autore della serie in 5 volumi Le avventure rocambolesche, attualmente in fase di serializzazione da parte di Coconino Press.
Ogni albo della saga, totalmente indipendente dall’altro, rielabora in maniera del tutto fantasiosa la biografia di un personaggio storico. Così, dopo Tempo da Cani – dedicato a Sigmund Freud - e La linea del fronte - dedicato a Vincent Van Gogh - arriva il terzo volume, realizzato insieme a Daniel Casanave e dedicato ad Attila.

Se Larcenet portava Freud nel Far West e Van Gogh in trincea durante la Prima Guerra Mondiale, in Il Flagello Di Dio vediamo Il Re degli Unni ormai sazio di conquiste e scorribande. Il barbaro, infatti, ha conquistato tutte le terre esistenti, e proprio quando sembra avere tutto il mondo ai suoi piedi, un esercito fedele e devoto, donne e ricchezze, il condottiero si sente svuotato di tutto.
In preda alla depressione, Attila abbandonerà il suo esercito in cerca di risposte e una nuova vita. Non riuscirà, però, a guardare dentro di sé e la punizione finale è l’immortalità che lo condanna a vagare per secoli in cerca di risposte, arrivando anche ad affrontare Dio.

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La penna intelligente di Larcenet tocca con ironia temi profondi e complessi come la depressione, la ricerca di uno scopo nella vita e quella della felicità, il divario fra ricchezza spirituale e materiale. In un primo momento, Il Flagello Di Dio assomiglia quasi a una versione malata e decadente di Asterix, e sicuramente il richiamo al villaggio gallico, alle celebri feste post-vittoria, è voluto ed evidente. Nella seconda parte, invece, l’autore sembra voler in qualche modo richiamare la figura del Don Chisciotte di Miguel de Cervantes Saavedra. La declinazione di omaggio/parodia, comunque, è solamente una chiave di lettura dell’albo.

L’umorismo di Larcenet si sposa, poi, a un’esasperazione grottesca e surreale dei personaggi e delle situazioni che rendono cartoonistica la rappresentazione di questa avventura, che tuttavia non ripone mai la sua faccia riflessiva e seriosa, mantenendo un equilibrio invidiabile fra dramma e commedia.

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Per questo capitolo de Le avventure rocambolesche, Manu Larcenet mette da parte le vesti di disegnatore e affida le matite a Daniel Casanave. Il fumettista, ad ogni modo, non si discosta molto dai precedenti volumi realizzati da Larcenet garantendo, dunque, una certa continuità stilistica.
L’ampio formato 21,5 x 29 del cartonato Coconino Press, ci fa apprezzare appieno il lavoro dell’artista strutturato in 4 strisce come da tradizione del fumetto umoristico francese. Il tratto sottile e nervoso di Casanave interpreta alla perfezione il mondo grottesco delineato da Larcenet, i personaggi buffi e caricaturali hanno una notevole espressività capace di sottolineare tanto i momenti comici, quanto quelli drammatici.

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Come anticipato in apertura, come per gli altri volumi della serie anche Il Flagello Di Dio è autoconclusivo e indipendente, per questo godibile da chiunque e un ottimo modo per entrare in contatto con uno dei migliori fumettisti contemporanei della scuola francese.

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