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Gennaro Costanzo

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Il Balcone, intervista a Kalina Muhova: la vita e la luce oltre il muro

Originaria di Sofia, Bulgaria, Kalina Muhova è un'artista eclettica dalla formazione classica. Giunta in Italia si avvicina al mondo del fumetto ed è co-fondatrice del collettivo Brace.
Per Tunué pubblica Sofia dell’Oceano, graphic novel scritto da Marco Nucci, che vince nel 2018 il Bartoli Award all'ARF! di Roma e viene nominato nella Selezione Gran Guinigi del Lucca Comis&Games 2018. L'anno successivo, sempre per Tunué, pubblica Il Balcone, ispirato alla poesia del poeta bulgaro Atanas Dalchev, un volume suggestivo composto da sole immagini.
Abbiamo incontrato l'artista a Napoli per il Comicon per approfondire il suo lavoro.

Il balcone adatta a fumetti una poesia del celebre poeta bulgaro Atanas Dalchev. Cosa ti ha spinto a realizzarne una storia?
Il progetto è nato dalla collaborazione con Zornitsa Hristova, l'editor con cui è uscito inizialmente il libro in Bulgaria. Ci siamo incontrati alla fiera del libro per ragazzi e abbiamo visto tanti bei libri che nel nostro paese mancano e ci siamo dette che sarebbe stato bello fare un albo senza parole, visto da che noi non esistono. Subito dopo mi ha mandato questa poesia di cui lei era innamorata, e a me è piaciuta tantissimo perché è molto simile al mio mondo. Dalchev è un poeta molto malinconico e in qualche maniera mi sono ritrovata molto nelle sue parole.

La rottura del muro, è una forte metafora che mostra l’ingresso di una luce da un piccolo spiraglio e che illumina le nostre vite. C’è qualcosa di autobiografico in questo racconto?
Sì, per me il balcone murato è un simbolo di quanto siamo occupati nella nostra vita e non notiamo quasi niente di quello che ci circonda. Mi piaceva fare un contrasto fra il mondo fuori, che è comunque luminoso, e la stanza quasi claustrofobica in cui vive questa famiglia, far entrare il mondo esterno dentro questa stanza buia, un po' oppressiva diciamo. Quindi è anche un simbolo di rottura della nostra quotidianità.

Leggendo Il Balcone, la cosa che mi ha maggiormente incuriosito è che hai immaginato una storia, hai costruito una vicenda partendo dalla poesia mettendo al centro una bambina e la sua famiglia. È stata la tua prima scelta, o hai avuto altre suggestioni?
Lavorando con Zornitsa, che è la sceneggiatrice, è stato piuttosto facile perché lei mi ha inviato una traccia che ho seguito, ma ho cambiato anche tante cose. La storia non è mia, ma lo è diventata perché lei mi ha inviato una sceneggiatura piuttosto libera che ho lavorato molte volte cambiando tante cose. Quindi, alla fine, sento che la storia è diventata anche mia, però la traccia era quella e ho seguito i suoi consigli.

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Mi hai già spiegato il motivo per cui avete optato per un testo muto, ma volevo chiederti se era solo una scelta tecnica o se è stato fatto per rendere il tutto anche più evocativo, lasciando la parola alla sola poesia di Dalchev.
Per me gli albi senza parole sono una cosa molto speciale, e ho fatto anche una ricerca abbastanza approfondita perché mi piace il metodo con cui si raccontano queste storie ma anche la concentrazione che ti serve per leggerle perché è molto diverso da un libro normale dove ci sono le parole e ti devi un po' agganciare a quello che c'è scritto per seguire il filo. Invece, con gli albi di sole immagini, devi leggere - appunto - l'immagine, devi concentrarti un po' di più per capire quello che sta succedendo e, secondo me, c'è un'immersione ancora più profonda in libri del genere perché sei solo lì a guardare. Un'altra cosa bella di questi volumi, inoltre, è che magari comprendi la storia ma non ne sei mai sicuro fino in fondo e quindi devi condividere con qualcuno questa esperienza e diventa così anche un momento di confronto con altre persone per parlare del libro, che è sempre una cosa molto bella.

Tu provieni da un'altra nazione, la Bulgaria. Com’è il fumetto bulgaro? Esiste una tradizione fumettistica? E, in generale, che momento sta vivendo da voi il fumetto?
È terribile! (ride) Diciamo che quasi non esiste, ci saranno in tutto il paese una decina di volumi e basta.

Parli di fumetti locali o anche esteri?
In totale! Di fumetti locali ne ho visti un paio, e rientrano in quei dieci volumi che ti dicevo. Però adesso la situazione si sta un po' muovendo, diciamo che non è molto semplice. Dopo il periodo sovietivo in cui c'era il veto di tutto quello che era americano, o comunque estero, le cose non si sono sbloccate e non c'è molta cultura sui fumetti. Infatti, prima di venire in Italia, l'unica cosa che ho letto sono state le Witch, che non so come siano arrivate in Bulgaria, ma c'erano ed ero una grande fan di quel fumetto. Però non c'era nient'altro e tutta la cultura che mi sono fatta sul fumetto l'ho fatta qui in Italia.

Da quanti anni sei in Italia?
Da 5 anni.

Beh, da relativamente poco. Quindi il talento da illustratrice l'hai coltivato in altri campi? Hai, dunque, avuto una formazione artistica che non includeva il fumetto, ti sei formata in maniera classica.
Sì, il mio liceo era più o meno come l'accademia qua. Ho fatto pittura, scultura, grafica, anatomia, tutte cose molto accademiche e alla norma, dove ti insegnano a fare le cose "per bene", a disegnare in modo realistico...

Infatti hai uno stile molto dettagliato.
Sì, mi è rimasto purtroppo...

Purtroppo?
Beh, purtroppo magari no. (ride)

Beh, ho capito. Il fumetto è un arte che richiede maggior sintesi. Io, infatti, sono rimasto colpito dal dettaglio delle tue tavole, ma immagino che lavorare a un numero di tavole maggiore richieda molto tempo con il tuo stile. Comunque, in Italia immagino tu abbia trovato un fermento totalmente differente, avendo noi una cultura fumettistica di oltre 100 anni. E immagino tu stia provando a portare le tue proposte nel tuo paese. La risposta com'è?
Eh, ci sto provando, ma è difficile. Ho cercato di proporre Sofia dell’Oceano, ma gli editori non hanno ancora il coraggio di buttarsi sui fumetti. Magari sarebbe giusto iniziare a pubblicare i grandi classici, i fumetti più venduti e i più belli che ci sono, e poi portare cose un po' più sperimentali e strane. Magari Sofia non è proprio il "grande classico", magari è giusto iniziare da cose un po' più importanti, ma in realtà anche questo non è che lo stiano facendo. Ed è un grande problema secondo me.

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Ma tu hai colleghi connazionali che operano nel mondo del fumetto?
Sì, però fuori. Bruxelles, in America... Mi piacerebbe riuscire a portare una casa editrice in Bulgaria, perché è un peccato non avere questo medium da noi.

E invece, tutto il mondo legato ai cinecomic che sta spopolando, immagino sia arrivato ma che non ci sia poi una conversione del pubblico verso i fumetti. C'è magari curiosità verso questi personaggi Marvel, DC ad esempio.
No, questi qua sono un po' più conosciuti. Infatti negli ultimi due anni ho visto alcune librerie dedicare anche degli scaffali ai fumetti Marvel o ai manga, che è un bene, meno male che esiste anche quello.

È un primo approccio.
Sì, è un primo approccio per conoscere proprio cos'è il fumetto, per educare un po' il pubblico alla sua esistenza. Quello c'è, però sono ovviamente in inglese. Li vendono in quanto nel nostro paese c'è gente che conosce l'inglese, ma certamente non è conosciuto bene come qua.

Quali sono state le tue letture fumettistiche? Immagino che quando sei arrivata in Italia ha i trovato il paradiso...
In effetti, sì! Nei primi anni ho letto di tutto. Ho vissuto con dei fumettari appassionati e quindi c'erano librerie piene di libri di ogni genere. I primi anni ho letto davvero di tutto, anche cose che magari non mi piacevano, ci stava per capire un po' meglio. Adesso mi piacciono un po' di cose più underground, più strane e sperimentali, c'entra anche il gusto per la tecnica. Mi piacciono anche le storie belle, ma alla fine il fumetto è un medium visivo e quindi mi aggancio molto alla parte visiva.

E tu nasci come illustratrice, quindi immagino ci sia sempre questo sguardo alla parte visiva. A proposito di cose più "underground", sei la co-fondatrice del collettivo Brace. Qui affronti il fumetto anche da un punto di vista non solo creativo. Parlaci di questa esperienza.
Credo che senza Brace non starei facendo questa esperienza.

È stata il tuo punto di partenza.
Sì, sono sempre quei ragazzi con cui ho convissuto, con cui ho girato tutti i BilBolBul, tutte le fiere, abbiamo girato parecchio e alla fine mi hanno contagiato con questa passione. Abbiamo deciso di fondare un collettivo e di fare le nostre cose perché ormai avevamo talmente tanta voglia di fare, di sperimentare, che abbiamo detto 'ok, facciamolo'. E adesso, almeno un'uscita all'anno la facciamo e giriamo tutti i festival. È una cosa molto positiva perché alla fine conosci un po' il mondo dell'editoria, come funziona tutto il processo. È una micro-esperienza di editoria, perché curi tutto il volume, la distribuzione, la pubblicità, tutto. E ti fai un'idea di come funziona in piccolo una casa editrice grande. Poi, inizi a farti anche un nome, la gente un po' inizia a conoscerti, ti fai dei contatti, è un ottimo modo per partire, per fare fumetti, fare quello che ti piace alla fine.

Un'ultima domanda. A cosa stai lavorando attualmente?
Adesso sto provando a fare una storia a fumetti tutta mia per Canicola, mi hanno chiesto di fare un libro per ragazzi per la loro linea. È ancora tutto da vedere. Sono emozionata perché è la prima volta che sto provando a fare una storia lunga, per Brace ne ho fatte un po' fino a 20-24 pagine, però oltre no.

Quante pagine sono?
50, che non è tantissimo ma è un passo avanti. Tutto gestito da me, vediamo come va. Sono fiduciosa!

Dalla street art al fumetto, i fantastici mondi di Adam Tempesta. Intervista all'artista

Torinese, classe 1992, Adam Tempesta fin da piccolo si appassiona al mondo del disegno. Da ragazzo si avvicina alla street art per poi passare al fumetto grazie al suo esordio con Eris Edizioni con Itero Perpetuo del 2016 che riceve una calda accoglienza. Replica due anni dopo con Inerzia, sempre per Eris, in cui mescola action-comedy ad elementi fiabeschi e demenziali. La storia segue le vicende di Melissa, una ragazza che scappa da un gruppo di tagliagole rifugiandosi in un hotel sperduto nel bosco non sapendo che ospita portali per altre dimensioni.

Abbiamo incontrato l'artista a Napoli Comicon e parlato del suo lavoro.

Partiamo dalla Street Art. Come nasce la tua passione per questa forma d’arte?
Fin da quando ero piccolo ho vissuto il boom di graffiti a Torino che si è avuto negli anni '90. Visto che mi è sempre piaciuto disegnare, sono sempre stato colpito da quell'ambiente artistico, vedevo questi muri tappezzati da tag (nome in codice dei graffitisti, ndr.), e mi ha sempre affascinato questa cosa. Andando avanti, ho scoperto che realizzare graffiti non era solo fare tag ma tutta la street art, quindi dipingere come espressione e non solo mettere un nome sul muro per indicare il proprio territorio.

Com’è avvenuto il passaggio successivo al fumetto?
Il mondo del fumetto mi è sempre piaciuto perché è un modo per raccontare una storia con le immagini. Visto che sono sempre stato colpito dal mondo delle immagini, mi sono fatto molto ispirare dalla street art, ad esempio da Blu. Quando ho capito che potevo raccontare una storia usando il mio immaginario, ho pensato di sfogare tutto quello che avevo in testa, e non potendolo fare su un muro, l'ho fatto su carta.

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Dal punto di vista tecnico/artistico, il passaggio dal "grande" del muro al "piccolo" del foglio di carta, immagino coincida anche con un approccio diverso al disegno.
Sì, è totalmente un'altra cosa. Naturalmente sul muro è molto più difficile, molto più lungo. Ma non è tanto un fattore tecnico, il problema sono gli spazi. Andare a dipingere su un muro è illegale, esistono delle associazioni che possono portare gli artisti a dipingere, però si tratta in genere di artisti iper-famosi e quindi chi ama la street art non ha gli spazi per farlo. Dunque, l'unico spazio che avevo era uno sketchbook dove buttavo giù le mie storie. E quindi, molto banalmente, usavo il linguaggio della street art su carta, non potendolo fare su un muro.
Ho avuto modo di dipingere e fare street art, ma a un certo punto ho capito che quel linguaggio lì non mi bastava. Ad esempio, volevo creare una storia dietro al personaggio che dipingevo e non potevo fare questa cosa su un muro perché non avevo lo spazio materiale per farlo. Quindi è per questo che ho cercato un modo per riuscire a portare avanti questa mia idea, e l'unico possibile era inserire tutto questo nei fumetti.

Com'è il tuo approccio alla narrazione? Immagino tu sia molto istintivo e che non segui una sceneggiatura già pronta.
Sì, diciamo che parto da un'idea molto generale dopodiché mi faccio uno storyboard, sempre molto istintivo, in cui faccio combaciare gli snodi principali della storia perché voglio che chi legga deve capire cosa stia succedendo, non voglio fare un esercizio di stile. Quindi deve essere qualcosa che tutti possano capire, ma fatta nella maniera più istintiva possibile perché così è molto più genuino.

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Passiamo al tuo ultimo lavoro, Inerzia. Come è nata questa storia?
La storia è nata quasi contemporaneamente alla fine di Itero Perpetuo. L'input di base è questo hotel in mezzo a una foresta, perché quando viaggio in autostrada ci sono sempre queste foreste con questi alberi un po' buttati lì a caso e li ho sempre visti come dei luoghi un po' inquietanti...

Un'ambientazione da film horror...
Esatto! E quindi ho pensato di mettere lì un qualcosa di sicuro, come può esserlo un albergo, in un posto del genere, cioè una foresta molto spoglia dove non c'è nessuno. E questo è stato l'input di base. Dopodiché avevo creato un personaggio, ancor prima di Itero Perpetuo, una ragazza di nome Melissa, e ho cercato una sorta di escamotage per creare una storia con questo hotel, che poi è un agglomerato di mondi surreali.

Le tue opere incuriosiscono il lettore perché spesso hanno una logica sfuggente, spiazzante. Ma mai a discapito della narrazione. Il lettore, insomma, deve metterci del suo, si soffermi per cercare di interpretare. Quanto cerchi questo effetto nelle tue storie?
Questa è una bellissima domanda perché è proprio quello che cerco di fare, è la cosa principale, mi piace che il lettore si fermi e cerchi di capire che cosa sia successo. Quindi, molto banalmente, in Inerzia ci sono queste stanze surreali in cui ci sono dei mondi e succedono delle cose e io non sto a spiegare niente, è il lettore che si fa la sua storia. È il lettore che interpreta, io cerco di dare meno spiegazioni possibili ma mi piace punzecchiarlo, cerco di inserire elementi sui cui il lettore si interroga e che hanno una spiegazione logica nella mia testa, ma non sto li a svelarli.

Mi hanno incuriosito molto i tuoi disegni realizzati su foto e riviste esistenti. Ne ho viste diverse e mi sono piaciute molto. È un lavoro che fai ancora? Li raccoglierai un giorno?
È una cosa che mi è piaciuto tantissimo fare! Ultimamente ho collaborato con un fotografo - è stata una cosa molto sperimentale - lui ha fatto un servizio in cui lui faceva le foto e io, live sul set, ci dipingevo sopra. È una cosa che sto portando avanti, magari la sto spingendo un po' di meno, e che mi piacerebbe un giorno raccogliere. Mi piace creare un contrasto, in particolare sulle foto di moda, in cui si crea una sorta di tensione, di immaginario, dove è molto più facile far risaltare aspetti misteriosi e inquietanti. Il senso è questo: quando fai una foto riesci a prendere alcune cose mentre io vado a disegnare quello che secondo me la foto non cattura.

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Ultima domanda, su cosa stai lavorando attualmente?
Attualmente sto lavorando a un nuovo fumetto per Eris Edizioni, abbiamo già deciso il titolo.

Sì può già dire?
Sì, il titolo sarà Carambola Violenta. Sarà una roba sempre molto surreale. Sarà un incrocio fra Itero Perpetuo e Inerzia, perché sono due opere con un linguaggio differente. La prima era molto più istintiva, mentre nella secondo ho cercato di essere più sintetico e giocare più con le forme e i colori. Questo fumetto, dunque, racchiuderà il mondo sfrenato di Itero Perpetuo e l'essenzialità di Inerzia, e vedere cosa salterà fuori e divertirmi il più possibile.

Intervista a Marino Neri: Nuno salva la Luna, storia di crescita e responsabilità

È disponibile da qualche settimana per Canicola il volume Nuno salva la Luna di Marino Neri (Il re dei fiumi, La coda del lupo, Cosmo, L’incanto del parcheggio multipiano). L'artista modenese, per la prima volta, si confronta con un libro per ragazzi agganciandosi alle celebrazioni per i 50 anni dell'allunaggio e dando vita a una storia di formazione e assunzione delle proprie responsabilità da parte di Nuno, un guardiano intergalattico che lavora sulla Luna. Abbiamo incontrato l'autore allo scorso Napoli Comicon per approfondire il suo lavoro sul volume. 

Ciao, Marino. Per Canicola è da poco uscito Nuno salva la Luna. Parlaci di questo tuo nuovo lavoro.
Era da un po' di tempo che Canicola mi aveva chiesto se volevo impegnarmi per un progetto per la loro collana per bambini. Era una cosa che non avevo mai affrontato, non avendo mai realizzato un fumetto per bambini, ma che avevo sempre desiderato fare. Anche perché sono stato anch'io un lettore di fumetti da bambino e perché la trovavo una buona sfida. Dopo un po' di rimpalli, approfittando del cinquantennale dell'allunaggio, i ragazzi di Canicola mi hanno suggerito questo tema e da lì ho iniziato a pensare a questa storia ed è nato Nuno salva la Luna.

Ho notato che spesso nei tuoi lavori i protagonisti sono molto giovani, se non addirittura bambini. C’è una ragione precisa per questo? È una scelta, ci avevi mai riflettuto?
Ci ho riflettuto spesso. È chiaro che quando lavori ad una storia il primo approccio è molto istintivo e quindi ti accorgi dopo di stare trattando temi che hanno una certa continuità da un libro all'altro. Mi sono chiesto anch'io come mai, sopratutto i primi tre libri, hanno protagonisti dei bambini o comunque dei ragazzini. Forse la risposta è questa: In tutti e tre i racconti giocavo sul binomio realtà/fantasia per cui avere un protagonista bambino o ragazzino con cui potessi "switchiare" da un argomento realistico a uno fantastico rendeva il tutto più facile.

Infatti, elementi surreali sono spesso presenti nelle tue opere, in Nuno salva la Luna hai potuto definitivamente abbandonarti a un elemento più favolistico e poco ancorato alla realtà.
Esatto, con Nuno finalmente ho potuto mollare i freni su alcune cose, è un fumetto  di fantascienza , quindi ho potuto disegnare esseri che vivono su altri mondi, navicelle spaziali, piante giganti e - appunto - anche un omino verde con le orecchie a punta . È stata una bella liberazione da questo punto di vista.

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Come fonte di ispirazione iconografica, ha avuto qualche riferimento in particolare o sei andata a ruota libera?
Essendo un appassionato di libri e di film di fantascienza, come tutti quelli della mia generazione cresciuto a serie animate giapponesi e a comics americani, ho attinto a tutto l’immaginario che mi ha accompagnato durante la mia formazione. Ho cercato di creare personaggi dallo stile un po' retro', i riferimenti erano anche ai film anni '50-'60 e anche l'utilizzo dei colori va in questa direzione. Ho guardato comunque molto a Leiji Matsumoto per la capacità di ibridare i generi e a Moebius per la sua maestria nel creare ambienti e atmosfere aliene.

La colorazione è ad opera tua, giusto?
La colorazione è stata realizzata insieme a Riccardo Pasqual che mi ha affiancato per gli stretti tempi di lavorazione. Lui aveva colorato Barcazza di Francesco Cattani, che mi era piaciuto, così quando è iniziato questo progetto ho chiesto di poter lavorare con lui. Abbiamo lavorato di pari passo, io ho dato la prima palette di colori e lui ha introdotto delle cose nuove, che forse io non avrei utilizzato, come ad esempio dei rosa molto forti.

Infatti è differente dalla tua solita palette di colori, essendo un libro per bambini è più accesa.

Esatto, di solito io utilizzo una palette di colori più adulta, con colori più tenui, più "seriosi", e l'apporto di Pasqual è stato quello di metterci una palette di colori appunto più pop.

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Tendi ad ambientare le storie nelle periferie, Nuno Salva la Luna potrebbe sembrare una svolta, ma anche qui troviamo una vicenda ai margini. Trovo che il tuo punto di vista sia sempre decentrato, se così vogliamo dire, ti ci ritrovi in questa definizione?
Sì, assolutamente! È una cosa che mi ha sempre caratterizzato, ma perché è la cosa che mi interessa: guardare dove gli altri non guardano. Anche perché, lì c'è molta vita, ci sono molte cose da raccontare.

Abbiamo già accennato all'argomento prima, ma ci dici qual è secondo te il filo conduttore che lega tutti i tuoi lavori, se esiste?
Nuno è un ragazzino, un guardiano intergalattico a cui gli è stato affidato il  compito di preservare e salvaguardare gli strani esseri che abitano la Luna. Semplicemente gli viene chiesto di cambiare l’acqua alle vasche dei Lunari, aprire i boccaporti ai Pesci Spaziali e parlare a un piccolo fiore di materia oscura. Qualcosa a cui nessuno di solito si interessa e che qualsiasi bambino riterrebbe noioso. Nello specifico Nuno pensa che sia una perdita di tempo. Solo nel momento di maggior climax della storia, quando il fiore si trasformerà in una minaccia Nuno capirà di essere l’unico a poter intervenire per risolvere la situazione. C'è una presa di coscienza del personaggio: prendersi cura delle piccole cose è importante tanto quanto fare una grande avventura. Anzi probabilmente di più.
Volevo fare una storia per bambini che parlasse di cura e attenzione verso l’altro, diciamo ponendomi controcorrente rispetto a quello che mi pare sia il senso comune di molta narrazione odierna dove l’ “azione” e “l’interventismo” spadroneggiano. Nella mia storia infatti questo ruolo è affidato ai “cattivi”: i terrestri!
Diciamo, dunque, che un filo che unisce le mie opere è questa attenzione alle piccole cose, alla cura che si deve avere verso quello che potremo chiamare il “mondo dell’invisibile”. Anche ne L'incanto del parcheggio multipiano il protagonista, Zolfo, libera il fantasma dandogli un nome, una piccola cosa che in genere diamo per scontato. Ma il nome è essenziale per dare una storia, un'identità a qualcuno. Zolfo stesso si “libera” seguendo l’intuizione data da un sogno e dialogando con un fantasma, ancora una volta dando ascolto quindi all’invisibile.
Difficile trovare un filo conduttore alla proprie opere, ma se ci sono temi in comune sicuramente sono anche questi.

Seppur godibile a tutte le età, Nuno salva la Luna è un racconto realizzato per un pubblico di ragazzi. Abbiamo già parlato del tuo differente approccio a quest'opera, ad esempio riguardo ai colori. Dal punto di vista narrativo, invece, com'è stato realizzato questo volume? Hai semplificato la tua narrativa, immagino che tu abbia lavorato per sottrazione.
Sì, ho lavorato di sottrazione. L'opera ha diversi livelli di lettura, può essere letta anche da un adulto, però deve avere una forte accessibilità per i ragazzini. La cosa difficile è renderla coinvolgente per loro, è molto più facile coinvolgere un adulto rispetto a un ragazzino, che tende ad annoiarsi presto. Questo è stato l'elemento più difficile, per cui ho lavorato cercando di immaginarmi il coinvolgimento di un ragazzo durante la storia. È stato difficile anche sintetizzare la storia in 40 pagine, che comunque non sono tante. Dal punto di vista del disegno, l'altra cosa che mi sono ripromesso è stata quella di togliere alcune "sporcature" che spesso utilizzavo in altre storie. In un fumetto per bambini devi togliere alcuni fronzoli autoriali che magari un adulto può apprezzare perché è consapevole della stratificazione che c'è dietro un disegno, trovarci riferimenti a un'arte pittorica piuttosto che a un'altra. Il bambino, invece, ha bisogno di chiarezza: per cui ho tolto alcuni “grigi” e alcune pennellate più sporche.

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In generale, come ti approcci ai tuoi lavori? Parti da una sceneggiatura o hai un approccio più grafico e istintivo?
Quando ho iniziato a far fumetti lavoravo in maniera più istintiva, disegnando subito, scrivendo poco. Piano piano, con l'esperienza, ho capito che una buona struttura può aiutarti molto, anche perché nei primi libri buttavo via un sacco di cose, era molto sofferente come modo di lavorare. Quindi, faccio una sorta di sceneggiatura, che non può proprio essere definitiva tale perché questo mi annoierebbe, è più un racconto che scrivo un po' senza pensare che poi debba essere trasposto a fumetti. Poi lo riadatto facendo uno storyboard e poi dopo ridisegnando tavola per tavola. È un metodo abbastanza sistematico, che però mi permette di lavorare con serenità e non arrivare a metà libro finito capendo di aver sbagliato strada.

Una progettazione non troppo rigida, diciamo.
Sì, è un minimo di progettazione. Ognuno ha un suo metodo che vale se funziona. E questo è quello che ho trovato per farlo funzionare.

Un'ultima domanda. A cosa stai lavorando attualmente?
Attualmente sto lavorando a una serie di illustrazioni. Sto illustrando un libro di poesie di un autore italiano, alcune copertine di libri e sto iniziando a lavorare a un nuovo graphic novel che conto di far uscire entro il prossimo anno o poco più.

Myrna e il tocco della morte: intervista a Sergio Algozzino e a Deborah Allo

Dopo Il Piccolo Caronte, prosegue la collaborazione artistica fra Sergio Algozzino e Deborah Allo e, sempre per Tunué, arriva Myrna e il tocco della morte. Una vicenda forte e intensa, narrata con grande sensibilità dai due artisti. Myrna è una ragazza che cresce in solitudine a causa del suo nefasto potere, quello di un tocco in grado di uccidere le persone, ma non le piante.
Abbiamo intervistato i due autori per approfondire la loro nuova opera e il loro lavoro.

Questa è la vostra seconda collaborazione dopo Il piccolo Caronte, come è avvenuto il vostro incontro artistico?
Deborah: Ci siamo conosciuti alla Scuola del Fumetto di Palermo. Sergio è stato mio docente, ma solo dopo la scuola mi ha proposto di fare una prova grafica per Il piccolo Caronte. Myrna nasce subito dopo.
Sergio: Alla Scuola di Fumetto di Palermo, come insegnante e allieva. Per me è stato rilevante il fatto che conoscessi non solo la sua bravura tecnica ma anche la sua sensibilità artistica.

Com'è nata l'idea per Myrna e il tocco della morte?
Deborah: Sergio, la domanda è tutta tua!
Sergio: Scrivo tante storie ma non è detto che poi le veda disegnate da me, ma è una cosa che ho dovuto capire nel tempo. Sia Il Piccolo Caronte che Myrna rappresentano la mia voglia di raccontare tematiche e atmosfere che amo molto e i due soggetti sono stati scritti una buona decina di anni fa, tempo che ho utilizzato per scrivere e disegnare altri libri.
Nonostante tutto, tornavo periodicamente su quei soggetti, avrei voluto farli e poi alla fine facevo un Storie di un Attesa o altro, capendo così che dovevo guardarli da un'altra prospettiva e portarli al termine non come autore completo.

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Quest'opera segue la scia de Il piccolo Caronte, quali sono le differenze e le similitudine rispetto al precedente lavoro?
Deborah: Dal punto di vista grafico le differenze sono molteplici. Nel primo libro ero ancora in una fase sperimentale, tanto che ho fatto una “macedonia” di stili misti, un puzzle di manuale e digitale anche in una sola pagina a volte, fino ad arrivare alle ultime tavole in cui mi rassegnai al solo digitale. Dopo Caronte ebbi il tempo di capire, tramite mie illustrazioni, che in realtà preferivo di gran lunga il disegno tradizionale, con carta e inchiostro. Per Myrna, infatti, le tavole sono tutte realizzate su carta da cartamodello e solo il colore è digitale.
Sergio: In comune c'è sicuramente l'atmosfera, il genere, i disegni di Deb e il mio approccio alla scrittura, con tematiche forti e a volte molto violente (qui più che in Caronte), dialoghi a volte importanti e a volte piuttosto leggeri, non amo un unico tono narrativo, trovo più interessanti le opere che non si prendono troppo sul serio anche se hanno qualcosa di serio da dire. Per me fanno parte di un unico mondo, non inteso come quello dei Supereroi ma come i Gialli Mondadori.

Ne Myrna e il tocco della morte uno dei temi portanti è quello della diversità che, in un periodo di forte intolleranza come quello che stiamo vivendo, è purtroppo molto attuale. Qual è il messaggio che il libro vuole lanciare?
Deborah: In questo libro sono tante le sfumature che si possono cogliere… la diversità è una tematica sempre attuale e non sempre capita. Tutti noi abbiamo delle diversità, che siano esse fisiche o mentali, altrimenti il mondo sarebbe statico! Ogni tipo di “menomazione” può rivelare una ricchezza nascosta, che potrà venire alla luce solo grazie alla sua accettazione. Se tutto questo venisse rifiutato, rimarrebbe nell’ombra… e l’ombra più la ignori, più diventa incontenibile.

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Mi incuriosisce molto il target di riferimento per cui avete pensato l'opera. Apparentemente, è una lettura per tutti, anche per i più piccoli, ma alcuni elementi un po' macabri la portano verso un pubblico più maturo.
Sergio: Che dovremmo anzitutto accettare noi stessi per iniziare a vivere bene con gli altri, non è solo una classica critica agli intolleranti. Spesso e volentieri il nostro peggior nemico è quello che vediamo allo specchio.

Sergio, tu sei sia disegnatore che sceneggiatore. Come ti approcci al lavoro quando affidi le tue storie a un altro artista? Realizzi storyboard, progetti le tavole e i personaggi insieme al disegnatore o lasci campo libero?
Sergio: Per Caronte ho fatto degli storyboard per conto mio per poi scrivere a inviare a Deb solo la sceneggiatura. Giunti al capitolo finale però le inviai quello storyboard perché in alcuni casi facevo fatica a spiegare cosa avevo in testa, storyboard piuttosto blandi nel disegno ma che magari chiarivano la struttura compositiva delle vignette e la disposizione delle stesse. Deb ha potuto quindi disegnare più rilassata, senza cercare di interpretare le mie parole per la composizione e lasciandosi andare totalmente, e io in effetti fui ancora più contento del risultato.

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Deborah, qual è l'aspetto su cui ti sei concentrata maggiormente per quanto riguarda la realizzazione delle tavole e del mondo gotico di Myrna e il tocco della Morte?
Deborah: Sicuramente nella realizzazione dei personaggi! Mi sono divertita a riprodurli anche in plastilina. In particolare ho amato immaginare l’abbigliamento della protagonista, mi ero creata proprio una serie di vestitini e guanti che poi “non ha indossato” perché sono stati sostituiti dalle bende.

Quali sono i vostri prossimi progetti?
Deborah: Tanti progetti in mente, ma nessuno da svelare.
Sergio: Io ho una terza storia del genere, vorrei farne una vera e propria trilogia, ma intanto pensiamo a questo. In parallelo, sul fronte libri a fumetti a settembre uscirà Nellie Bly, scritto da Luciana Cimino e che invece ho disegnato, sempre per Tunué e ho già una trentina di pagine di una storia scritta e disegnata da me in corso e almeno altre tre o quattro storie che vorrei fare ma l'unico problema è sempre e solo il tempo e magari anche me stesso. L'ho detto su che il nostro peggior nemico a volte siamo noi stessi, no?

 

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