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Raffaele Caporaso

Raffaele Caporaso

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Marvel’s Agents of S.H.I.E.L.D.: promo e sinossi del 7° episodio

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Diffusi sinossi e promo per il settimo episodio di Marvel’s Agents of S.H.I.E.L.D., intitolato "The Hub”, che andrà in onda martedì 12 novembre su ABC.

“Pericolosi segreti sono tenuti nascosti dal team di Coulson, il quale prova a trovare un modo per salvare Ward e Fitz dopo che questi sono stati inviati in una missione segreta di livello 8 che potrebbe finire in tragedia”.

In questo episodio farà un cameo l’Agente Sitwell, interpretato da Maximiliano Hernandez, già apparso in Thor e nello one-shot Item 47, e presente anche nel prossimo Captain America: The Winter Soldier.

Prodotta e co-scritta da Joss Whedon, Jed Whedon e Maurissa Tancharoen (Dollhouse, Dr.Horrible's Sing-Along Blog), Jeffrey Bell (Angel, Alias) e Jeph Loeb (Smallville, Lost, Heroes) arriva la prima serie TV Marvel, Marvel's Agents of S.H.I.E.L.D., intepretata da Clark Gregg (Agente Phil Coulson), Brett Dalton (Agente Grant Ward), Ming-Na Wen (Agente Melinda May), Iain De Caestecker (Agente Leo Fitz), Elizabeth Henstridge (Agente Jemma Simmons) e Chloe Bennet (Skye).
La serie viene trasmessa ogni martedì su ABC.

In arrivo la serie su Hourman

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Il canale televisivo americano The CW sta sviluppando un serie televisiva basata sul personaggio di Hourman, della DC Comics. Ne dà notizia The Hollywood Reporter. La puntata pilota sarà scritta da Michael Caleo (The Sopranos) e il serial sarà prodotto da Dan Lin e Jennifer Gwartz.

Il sito descrive anche come il personaggio, come un “brillante ma problematico analista farmaceutico, il quale scopre che le visioni che lo avevano tormentato sin dall’infanzia sono in realtà scorci su tragici eventi destinati ad accadere un’ora nel futuro. Determinato a riconquistare la sua ex moglie e suo figlio, cercherà, eroicamente, di evitare che queste tragedie si verifichino, trovando uno scopo e la redenzione lungo il cammino”.

Il personaggio di Hourman fu creato da Ken Fitch e Bernard Bailey nel 1940, e ha vissuto una vita editoriale piuttosto marginale e discontinua.

La prossima stagione televisiva sarà rosea per i personaggi della DC: a una sempre più probabile terza stagione di Arrow, si affiancherà lo spin-off su Flash. E, inoltre, prenderanno il via Gotham e la serie con protagonista John Constantine.

Thor: The Dark World: recensione in anteprima

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Thor-The-Dark-World-locandina-italianaMarvel Studios mette a segno un altro colpo vincente con il secondo capitolo cinematografico dedicato dal Dio del Tuono: Thor: The Dark World, facente parte di quella che è stata ribattezzata “fase 2” dell’universo cinematografico Marvel, che prende il via dopo gli eventi di The Avengers.

Il film si apre con un flashback, nel quale vediamo il primo scontro fra gli Asgardiani, guidati da Bor (padre di Odino) e gli Elfi Oscuri di Malekith: questi ultimi escono sconfitti e, fuggendo, promettono vendetta.
Nel presente, Thor è costretto a guidare le truppe asgardiane per i Nove Regni, in subbuglio dopo le malefatte di Loki, mentre Jane Foster è bloccata, anche emotivamente, sulla Terra, ancora in attesa del ritorno del suo amato. Il Dio dell’Inganno è invece confinato nelle segrete di Asgard, dove è stato condannato a un ergastolo millenario.

Gli Elfi Oscuri minacciano l’incolumità dell’Universo con un’arma potentissima, l’Aether, una sorta di convertitore in grado di trasformare la materia in antimateria, che si diffonde aggressiva come un cancro annichilendo ogni forma di vita. Quest’arma era stata nascosta da Bor proprio su Midgard (la Terra), in una caverna sotterranea nelle periferia di Londra: nel presente, e proprio alla vigilia di un allineamento fra i Nove Regni che si ripete ogni 5000 anni, sarà proprio Jane a trovare quasi per caso l’Aether, diventandone una sorta di avatar e risvegliando gli Elfi Oscuri dal loro sonno millenario.
Thor giunge dunque subito in soccorso della donna che ama e la porta ad Asgard nel tentativo di salvarle la vita, dove è diretto lo stesso Malekith con il suo esercito: sarà un importante lutto a mettere in moto l’azione, costringendo Thor a chiedere aiuto all’odiato fratellastro, in un viaggio disperato per recuperare l’arma e salvare la vita di Jane e dell’universo intero.

Thor: The Dark World ha una trama lineare e abbastanza prevedibile, ma il film è, allo stesso tempo, assolutamente godibile e molto divertente; risulta chiara la direzione intrapresa da Kevin Feige e soci in questa seconda fase cinematografica: come già visto in Iron Man 3, il film punta fortemente su un tono leggero e sull’ironia, su dialoghi ben scritti e su una serie di gag che strappano più di un sorriso, e poco importa se la struttura della storia ne risulta sacrificata, perché un film così funziona e riesce a pieno nel suo intento di essere prodotto di puro intrattenimento american-style. Allo stesso tempo, rispetto ad Iron Man 3, Thor: The Dark World risulta molto più bilanciato e non si registra alcun esagerazione: vi è forte equilibrio tra commedia e azione, si respira davvero un clima fantasy tipico di saghe come Il Signore degli Anelli, condite con molti elementi di fantascienza alla Star Wars. Il regista Alan Taylor è infatti molto bravo, da un lato, a rendere Asgard e i Nove Regni finalmente reali, quasi tangibili: abbandonato l’eccessivo uso di CGI fatto da Kenneth Branagh in Thor, il regista porta nel suo film tutta l’esperienza maturata lavorando su Game of Thrones e ciò rende le scene di battaglia assolutamente realistiche. Allo stesso tempo, Taylor ha ben chiaro che Thor e soci, almeno nell’universo cinematografico Marvel, non sono altro che una sorta di "alieni antropomorfi" in grado di vivere migliaia di anni (questo concetto viene espresso a chiare lettere durante una diatriba fra Odino e Loki) che la gente della Terra venerava come divinità: nel film vi sono tutta una serie di elementi fantascientifici come pistole e cannoni laser o navicelle spaziali: l’attacco della flotta degli Elfi Oscuri ad Asgard ricorda facilmente quello alla Morte Nera presente in Guerre Stellari. Questi due aspetti sono abilmente gestiti e bilanciati e costituiscono uno degli elementi di originalità del film.

Altro elemento di originalità è la battaglia finale fra Thor e Malekith a Londra: questa, anche se forse un po’ troppo breve, si svolge in una maniera assolutamente particolare su più piani spaziali, messi in connessione tramite l’apertura di portali fra i Nove Regni.

Ognuno degli attori protagonisti è ben calato nel suo ruolo: purtroppo per il protagonista Chris Hemsworth, però, a fare da padrone è sicuramente il Loki di Tom Hiddleston, vero e proprio idolo del pubblico presente in sala. E questo, nonostante il minutaggio ridotto sulla scena. L’evoluzione di Loki è decisamente l’aspetto più interessante (e divertente) del film e questo rende il personaggio come il più riuscito nei film Marvel Studios, dopo il Tony Stark di Robert Downey Jr..
Natalie Portman, interprete di Jane, è una brava attrice e svolge bene il suo compito, senza alcuna sopresa. Malekith, invece, è un villain di spessore relativo sia nei fumetti che in questo film, e la scelta del pur bravo, ma un po’ anonimo, Christopher Eccleston per interpretarlo non aiuta a renderlo più incisivo. Sorprende, invece, il personaggio di Darcy interpretato da Kat Dennings, che diventa, seppur in poche battute, un elemento molto apprezzabile all’interno del film.

Come già detto, da un punto di vista registico, nulla si può criticare ad Alan Taylor. La sceneggiatura di Chistopher Yost, Christopher Markus e Stephen McFeely è, invece (forse anche per scelta), molto prevedibile e strutturata in maniera abbastanza elementare: MacGuffin potente sul quale ruota l’azione, damigella in pericolo, invasione aliena della Terra sono tutti elementi fin troppo conosciuti; allo stesso tempo però lo script è arricchito da dialoghi che funzionano, da scene ben pensate e da un utilizzo sapiente delle potenzialità di Loki che permette di soprassedere facilmente sulla scontatezza della trama e su alcuni buchi narrativi di esigua importanza.
In definiva, il film scorre fluido e rapido, rallenta un pochino nella parte centrale, per poi concludersi tranquillamente, non annoiando mai lo spettatore: proprio il finale regala un atteso, ma pur sempre piacevole, colpo di scena. Presente anche un divertentissimo cameo di un Avenger, la cui identità non sveliamo.

Gli effetti speciali sono ben curati e l’ulitizzo di questi è dosato in maniera scientifica: gli Asgardiani sono un popolo guerriero che combatte con armature e spade, risulta buono e giusto portarli su un campo di battaglia reale, centellinando gli elementi digitali all’essenziale. Sotto questo aspetto Thor: The Dark World è nettamente superiore a Thor.
Anche i costumi sono migliori sia rispetto al primo capitolo che a The Avengers: se l’armatura del protagonista in Thor era ipertrofica in maniera imbarazzante, e se nel film sui Vendicatori questo aspetto era stato migliorato, in Thor: The Dark World questa è ben disegnata e rende benissimo sullo schermo. Lo stesso discorso vale per tutti gli altri personaggi.

La colonna sonora è un elemento marginalissimo nel film, come anche il 3D, francamente inutile.
Il film, all’anteprima, è stato proiettato in lingua originale quindi non possiamo dire nulla sul doppiaggio.

Vi sono, infine, due scene “teaser”, una alla metà dei titoli di coda e una alla fine: la prima è sicuramente la più interessante e porta gli orizzonti dell’universo Marvel Studios verso “l’Infinito”, introducendo un personaggio che rivedremo presto in uno dei due film rimanenti di questa, finora, riuscitissima fase 2.

Interpretato da Chris Hemsworth, Tom Hiddleston, Natalie Portman, Christopher Eccleston, Anthony Hopkins, Stellan Skarsgard, Idris Elba, Kat Dennings, Ray Stevenson, Zachary Levi, Tadanobu Asano, Jaimie Alexander, Rene Russo e Akinnuye-Agbaje, Thor: The Dark World è diretto da Alan Taylor e basato su una sceneggiatura di Christopher Yost, Christopher Markus e Stephen McFeely.
Il film sarà nelle sale americane l'8 novembre 2013, il 20 in Italia.

Lucca’13: intervista a Zerocalcare

Intervista a cura di Raffaele Caporaso.

Michele Rech
, in arte Zerocalcare, si è confermato essere vero e proprio fenomeno del fumetto italiano. Per tutti e quattro i giorni del Lucca Comics and Games, allo stand BAO Publishing dove presentava Dodici, c’è stata un’interminabile coda di fan alla ricerca di una dedica, fan che il fumettista romano non ha lasciato scontenti, dedicandosi al compito con grande dedizione
Sempre gentile e disponibile, Zero si è prestato a rispondere alle nostre domande.

Zerocalcare - luccaNel corso di quest’anno, sono usciti ben due tuoi libri: Ogni maledetto lunedì su due e Dodici, opere diversissime fra loro sia come tema che come impostazione: hai trovato più difficile lavorare a una storia che facesse da raccordo fra quelle del tuo blog o a una storia più lunga costruita su più piani temporali, con una serie di flaskback che si alternano a sequenze nel presente?
Sicuramente la storia di raccordo fra quelle del blog, presente in Ogni maledetto lunedì su due, mi è venuta molto naturale: in realtà è un qualcosa che avevo proprio l’esigenza di raccontare perché mi ero accorto che il blog poteva essere letto in una maniera che poi non mi rispecchiava assolutamente, nel senso che quando è diventato famoso è stato visto come “bandiera di una generazione”, e in qualche modo dava uno spaccato che risultava fin troppo leggero e “disimpegnato” nei confronti della nostra generazione. La mia esigenza, nel momento in cui le storie venivano raccolte su carta, era raccontare quello che è un aspetto magari meno buffo della mia vita, ma anche molto più presente in 10 anni di questa, cioè quella sensazione di smarrimento provata dopo il liceo. Mentre su Dodici ho arrancato di più: è stato un vero e proprio banco di prova il cercare di raccontare qualcosa nella quale, da un lato, non ero il protagonista e, dall’altro, vi era una narrazione discontinua, con sbalzi temporali.

Alla Memento?
Sì, ma un paragone alto però! [ride, ndr]. Vero, la mia idea era un po’ quella. Mi è servito prendere le misure con questo tipo di narrazione, che potrei sfruttare anche in futuro su altre storie.

Dodici rappresenta la sperimentazione di un genere nuovo, quello horror, ovviamente raccontato alla tua maniera. Nel libro si colgono diverse citazioni, da Romero a The Walking Dead: puoi definirti un appassionato di narrativa e cinematografia horror? Da quanto tempo avevi in mente di portare l’elemento zombie all’interno di una tua opera? Dopo gli zombie, è lecito aspettarsi i dinosauri, vista la tua passione per questi?
Allora, non sono un fan di cinema horror. Sono, piuttosto, un fanatico di zombie! Avevo da un sacco l’idea di realizzare una storia di zombie che tutti noi, da ragazzini, avremmo voluto raccontare; io sono molto fortunato perché mi è stato concesso di farla. Se avessi provato a farla due anni fa, magari, tutti mi avrebbero chiuso la porta in faccia. Sono contentissimo di questa opportunità. Poi, è vero, i due amori della mia vita sono gli zombie e i dinosauri… e l’idea di fare una storia di dinosauri mi piacerebbe.

Possiamo aspettarci un Jurassic Park a Rebibbia?
Perché no, ma fra anni e anni e anni…

Sempre a proposito di citazioni, nelle tue opere se ne colgono diverse, dal fantasy, alla fantascienza, all’animazione, giapponese e non: quanto il cinema e la televisione, specialmente del tuo passato, sono fonte di ispirazione nel tuo lavoro?
Tantissimo, ma non tanto nel darmi fonti di ispirazione quanto perché tutto questo è ciò con cui sono cresciuto e ha grande valore. Per me, Ken il Guerriero è reale quanto Obama! Sono personaggi che mi hanno accompagnato dall’infanzia, e, in qualche modo, pur non vedendoli mai dal vivo, hanno composto il mio sistema di valori e il mio rapporto con il mondo. Essendo presentissimi nel mio quotidiano, mi pare naturale inserirli nelle cose che disegno. Non so se quelle storie possano, invece, influire il modo in cui scrivo: questo non lo riesco proprio a capire.

Non sono invece presenti riferimenti al fumetto (o al cinema) supereroistico: cosa pensi del genere?
Mi piacciono entrambi un sacco! Sono un lettore di fumetti Marvel e di supereroi in generale. Questi sono patrimonio culturale di molte persone, magari i film di più. I fumetti però vengono letti solo da una parte dei lettori del mio blog e mi sembrerebbe di lasciare fuori tanti di questi facendo riferimenti a quell’universo. Preferisco trattare cose che siano un po’ più conosciute.

Sempre a proposito di Dodici, molto interessanti sono le pagine dedicate al personaggio di Augusto “Er Carma” Carminati: cosa puoi dirci a riguardo?
Siccome c’è questo filo conduttore del tema  del karma, era un modo per… ma questa risposta spoilera! Diciamo che questa è la mia visione del tema e l’evoluzione di questa nel tempo.

Oramai non sei più un esordiente, ma una realtà consolidata nel panorama fumettistico italiano: come vivi questo tuo grande successo? Le aspettative dei fan sono fonte di soddisfazione o avverti un senso di responsabilità o pressione a causa di queste? C’è qualcosa che ti manca del tuo passato, prima del successo?
Allora, il successo nei fumetti è sempre molto molto relativo, uno non si deve immaginare chissà cosa! Anche se, ovviamente, sono contento di come stanno andando le cose. Io sono una persona molto ansiosa e queste aspettative sono un po’ fonte di sofferenza. Per esempio, anche il fatto della storia del lunedì: quando ne salto una mi sento molto in colpa, mi sento di dover fare una storia per giustificarmi di non aver fatto una storia! Quindi la vivo un po’ così. Del mio passato non mi manca quasi niente, faccio praticamente la stessa vita di prima… ecco, il tempo! Mi manca “una cifra” il tempo libero che potevo dedicare alle mie passioni e hobby, come le serie televisive.

Almeno la quinta serie di Breaking Bad l’hai finita?
Non ancora, sono alla dodicesima puntata!

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