Stigma: Storie di uomini intraprendenti e di situazioni critiche, intervista Luca Negri aka Regula size monster
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Storie di uomini intraprendenti e situazioni critiche è il secondo volume in uscita per l’etichetta Stigma, sotto l’egida della casa editrice Eris Edizioni, senza però perdere di indipendenza o andare contro il proprio manifesto. È il turno dell’esordiente Luca Negri che propone una serie di storie nate da cliché e ne demolisce la struttura. Con il preorder, fino al 31 maggio, verrà inviato anche il volume Skorpia. Solo ed esclusivamente dal sito e fino a fine maggio. Abbiamo intervistato Luca che ci ha descritto un po’ la sua opera e ci ha parlato della sua esperienza con Stigma.
Prima pubblicazione cartacea per te, con un team di artisti - che seguiranno - di una portata immensa. Come ti senti a far parte del gruppo dei folli che hanno occupato il manicomio?
Davvero, è una bella sensazione. Non è facile fidarsi delle persone, soprattutto se queste non hanno lavori alle spalle che possano parlare per loro. Stigma ha voluto provarci e mi ha dato fiducia, a prescindere dal mio nome e dai miei contatti, fiera del fatto che fossi alla prima pubblicazione. La cosa mi fa sentire molto bene e mi ricorda che almeno in questo campo il nepotismo (o networking, come lo si vuole chiamare oggi) non è ancora sovrano.
Come ti sei trovato con Stigma e quanto hai dovuto cambiare/modificare alcune storie già apparse sul collettivo Sbucciaginocchi?
Libertà assoluta, una volta approvata l'idea generale del volume come raccolta di racconti. I cambiamenti sono stati minimi, principalmente correzioni ortografiche e revisioni del lettering per omologare il tutto. Tanta fiducia può sembrare una trappola, ma non lo è stata, e i racconti originali sono quelli che mi hanno divertito di più in fase di realizzazione.
Parliamo del libro. Affronti diversi generi e i loro cliché, scardinando completamente i canoni. Com’è nata l’idea e come l’hai strutturata poi?
L'idea è nata in corso d'opera. Ho cercato di trovare un filo rosso tra le parti esistenti (che si è rivelato essere il cinema, la sua catalogazione e i suoi ritmi narrativi), dopodiché ho seguito la traccia nuova che mi sono imposto e ho lavorato per generi, i più riconoscibili, dall'horror alla fantascienza al western. La rottura dei cliché è un'altra cosa che è venuta con l'ideazione delle storie in se, e non prima. Mi piace molto riflettere sui canoni, sulle aspettative che crea una certa narrazione, e poi sviluppare di conseguenza. Ciononostante non credo che tutte le storie si costruiscano su rotture di cliché (e non devono): la storia noir è una vera e propria storia noir (anche se raccontata a singhiozzo), la fantascienza è uno spaccato cyberpunk di una vicenda più grande, la storia gangster è la cosa più cinica che abbia mai fumettato...
Hai molto a cuore il concetto di spazio/tempo e lo si vede anche nei tuoi montaggi. Come mai questa ossessione, se possiamo definirla cosi.
Credo che derivi dal mio modo di lavorare e dai miei mezzi. Molti teorici (e autori) affermano che il cinema si faccia in sede di montaggio, e il montaggio è quel momento in cui lo spazio e il tempo si dilatano e si comprimono a piacimento: un bell'ego trip, insomma. Il montaggio per me è l'unico momento in cui sento di avere davvero il controllo della situazione, e cerco di portare questo sentimento anche all'interno della narrazione fumettistica. Per esempio, spesso, dopo aver concluso una storia, mi sono ritrovato a scambiare l'ordine di alcune pagine e/o vignette nelle tavole stesse. Ecco come nascono queste narrazioni frammentarie.
Le tue storie spiccano per una regia molto curata e cinematografica. Soprattutto abbastanza definibile nella tecnica della camera a mano. Ricordiamo che il tuo Crave è in concorso nella sezione cortometraggi dei David di Donatello. Nel medium fumetto, quindi, è una scelta voluta e funzionale solo per questo libro o in generale la usi nei tuoi fumetti come stile personale?
La costruzione delle mie vignette è spesso caotica: evito di fare gli storyboard, e uso delle shot-list (elenchi scritti di spunti visivi da tenere a mente) per costruire le tavole. La mancanza di continuità che produce questo approccio mi ricorda molto la camera a mano (quella con cui mi trovo più a mio agio in ripresa) e l'improvvisazione di un attore: c'è sempre un elemento di sorpresa nel lavoro finito, e mi piace che ci sia, mi piace che il risultato diventi una cosa a se stante, mi piace poter essere giudicato dal mio stesso lavoro. Non sopporto chi si pone come divinità benevola all'interno della propria produzione.
Cosa dobbiamo aspettarci per il futuro? Sei al lavoro su altro?
C'è una storia più lunga che voglio realizzare: una storia di guerra, d'amore e di tecnologia, ma soprattutto di guerra (Seconda Guerra Mondiale, per l'esattezza). Potete vedere il racconto bellico in Storie di uomini intraprendenti come una specie di teaser, se volete. Non dico altro, non voglio portarmi sfortuna.