Big Hero 6: intervista ad Alessandro Jacomini, supervisore reparto illuminazione Disney Animation
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In occasione della 15esima edizione della VIEW Conference, abbiamo intervistato Alessandro Jacomini, supervisore del reparto di illuminazione alla Disney Animation, che ha di recente completato il suo lavoro sul film d'animazione Big Hero 6, in uscita oggi al cinema.
Big Hero 6, il 54esimo classico Disney, per molti versi rappresenta un film estremamente innovativo rispetto ad altre produzioni animate del passato, innanzitutto per l'utilizzo di un programma di rendering della Disney completamente nuovo, Hyperion. Com'è stato lavorare con questo nuovo programma, che innovazioni presenta nello specifico (ho sentito parlare di global illumination)? Puoi parlarcene nel dettaglio (in particolare per il glow, il traslucido, i tempi di rendering, etc)?
Dal punto di vista dell'innovazione l'uso di questo rendering è effettivamente stato un grosso conseguimento, non solo perché abbiamo abbracciato questa tecnologia della global illumination, ma perché è un rendering che abbiamo realizzato personalmente grazie ad un gruppo di software engineers della Disney, un gruppo estremamente talentuoso. Sostanzialmente, da quando c'è stata la proposta iniziale di realizzarlo, nel novembre 2011, a quando ha iniziato ad essere in produzione, sono passati diciotto mesi: quindi in tempo brevissimo sono riusciti a generare qualcosa di eccezionale. L'aver abbracciato questa tecnologia ci ha aiutati molto per tre aspetti: innanzitutto ha liberato gli artisti da una certa complessità che era presente nella gestione dei sistemi di illuminazione e nel data management, per cui ci ha dato più tempo per dedicarci all'aspetto artistico; dal punto di vista della qualità c'è stato un improvement perché ci siamo avvicinati a una resa realistica delle luci mantenendo al contempo vivissimi tutti gli aspetti di controllo e di resa stilistica che sono tipici dei film Disney, per cui siamo riusciti a realizzare sia delle immagini molto naturalistiche e realistiche per il film Big Hero 6, che delle immagini molto stilizzate e dal feel radicalmente diverso per il cortometraggio Feast, per cui è stato utilizzato proprio lo stesso rendering; infine è stato progettato per gestire complessità notevoli. Ogni film che facciamo diventa sempre più articolato e complicato, quindi avevamo bisogno di un sistema che ci permettesse di continuare in questa direzione. Questo film, in termini di complessità, può essere paragonato alla somma degli ultimi tre, per cui se prendiamo ad esempio Tangled e Frozen, li uniamo ed otteniamo la complessità di questo film, che è rappresentata da questi tre messi insieme. Certamente, in relazione alla gestione della laboriosità c'è stato anche un aumento dei tempi di produzione legato soprattutto alla compressione dello scheduling e alla gestione di un centro dati molto impegnativo, che comprende decine di migliaia di processori.
Dal trailer e da alcuni teaser non ho potuto fare a meno di notare l'accuratezza e la vivacità con cui è stata resa San Fransokyo, un mash-up tra San Francisco e Tokyo. Rispetto ad altri environment su cui hai lavorato, come il palazzo di ghiaccio di Frozen (per cui hai anche vinto il VES award), che sfide o differenze particolari hai riscontrato? È stato più complicato rendere San Fransokyo di giorno, in tutta la sua vivacità e giocosità (più per il fatto che fosse così animata e popolata) o di notte, con tutte le luci e l'atmosfera tipica di Tokyo?
È sempre difficile fare paragoni, perché ogni film ha il suo challenge, la sua sfida. Per quanto riguarda San Fransokyo, sicuramente la sfida da un punto di vista artistico è stata nel cercare di dare vita a qualcosa di realistico, e allo stesso tempo stilizzare e nel contempo creare un'organizzazione dell'immagine che fosse quella voluta dalla Art Direction e dai Production Designers del film; quindi, come modello stilistico abbiamo cercato di realizzare qualcosa di molto naturalistico prendendo però spunti anche da elementi che sono tipici di San Francisco e Tokyo. Ad esempio, l'atmosfera, la nebbia che si trova a San Francisco è qualcosa di localizzato, non è mai qualcosa che copre l'intera città. Per quanto riguarda le luci, soprattutto di notte, abbiamo notato facendo dello scouting e delle supervisioni notturne in quelle due città che ci sono dei colori molto definibili: c'è dell'arancione in molte aree di San Francisco che è legato ad alcuni tipi di luce caratteristici che si chiamano sodium paper, e alcuni colori che sono più sui toni del verde, tendenti al freddo, che sono legati ad altri tipi di luce che si chiamano mercury paper, che al contrario fanno parte della zona più industriale della città. Invece i quartieri più nuovi hanno luci al LED. Abbiamo quindi preso spunto da questi elementi e li abbiamo utilizzati per creare una palette visiva e per cercare di rappresentare al meglio le nostre immagini. La vera sfida è stata dunque impiegare degli elementi che sono propri di queste due metropoli e che possono essere riconoscibili a prima vista, e allo stesso tempo organizzarli in maniera da rendere le immagini molto vicine a quello che stilisticamente era stato stabilito dalla direzione artistica.
Qual è stata la tua scena preferita su cui lavorare?
Di scene preferite ne ho parecchie; per qualche motivo mi trovo sempre legato a quei momenti dei film che hanno il più alto contenuto di emotività. Basti pensare che le luci sono fondamentali non solo per rappresentare le ore diurne o notturne in un film, oppure l'ambientazione da un punto di vista strettamente fisico, ma soprattutto per definire il mood, lo stato emotivo dei personaggi e di una scena. Infatti cambia molto il tipo di illuminazione anche a seconda della recitazione dei protagonisti: basti pensare a Baymax, che da personaggio "nudo" ha un'illuminazione più morbida rispetto a quando indossa la sua corazza da supereroe. Ecco, quelle sono le parti che amo di più.
Hai altri progetti in cantiere? Puoi parlarcene?
Sì, sto già lavorando come direttore della fotografia ad un cortometraggio che è un progetto estremamente intrigante ed ambizioso perché è su Frozen: si chiamerà Frozen Fever ed ha alle spalle il team creativo e produttivo del film che lo precede, per cui ci sono anche gli stessi registi, Chris Buck e Jennifer Lee, lo stesso produttore, Peter Del Vecho, e lo stesso team di musiche e lyricses. È un piccolo progetto, ma estremamente intrigante e sono contentissimo di farne parte.