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Luca Tomassini

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Le contraddizioni della società americana a nudo nel thriller urbano di Nighthawk, la recensione

Vi ricordate di Nottolone? Tradotto dall’originale Nighthawk dalla mitica Editoriale Corno di Luciano Secchi, era un membro dei Difensori, il “non-gruppo” guidato dal Dottor Strange (da non confondere col serial tv che riunirà gli eroi Marvel/Netflix, di prossima diffusione). Creato da Roy Thomas e Sal Buscema sulle pagine di Avengers #69, Nighthawk faceva parte inizialmente dello Squadrone Sinistro, gruppo di criminali provenienti da una terra parallela modellato sul prototipo della Justice League della DC. Ciascun membro dello Squadrone era il corrispettivo Marvel di un leaguer: così, se Hyperion era il Superman di questa realtà alternativa, Doctor Spectrum corrispondeva a Lanterna Verde, Whizzer a Flash e Warrior Woman a Wonder Woman, Nighthawk occupava il posto di Batman all’interno del supergruppo. Con questo espediente Thomas poteva mettere in scena uno scontro ideale tra i due supergruppi di riferimento delle due case editrici. Come lo scrittore rivelò più tardi, lo Squadrone Sinistro era stato modellato dal criminale cosmico Gran Maestro sulla base di un gruppo di eroi realmente esistente su un’ulteriore terra parallela, lo Squadrone Supremo. La vita editoriale di entrambi gli squadroni sarebbe proseguita negli anni a venire, e lo Squadrone Supremo sarebbe stato protagonista di una celebre miniserie, scritta dal compianto Mark Gruenwald a metà degli anni ’80, che avrebbe anticipato di poco alcune tematiche presenti in Watchmen. Nel frattempo, il Nottolone dello Squadrone Sinistro si era affrancato dalle sue origini criminali e aveva trovato ospitalità nell’universo Marvel principale: di giorno, nella sua identità di Kyle Richmond, conduceva una vita da playboy milionario, di notte combatteva il crimine nei panni di Nighthawk.

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Nel 2003 J. Micheal Straczynski propone, con Supreme Power, un aggiornamento per il nuovo secolo dei personaggi creati da Thomas, fornendone una nuova e più realistica versione ambientata su un ulteriore mondo parallelo, Terra 31916. Il Nighthawk di Supreme Power, pur conservando l’alter-ego di Kyle Richmond, si distacca notevolmente dal suo predecessore, non tanto quanto afro-americano, piuttosto per un approccio più violento alla lotta al crimine, che non esclude l’eliminazione fisica se necessaria. In seguito all’evento Secret Wars e al collasso del Multiverso Marvel, anche questo Nighthawk è giunto sul nostro pianeta insieme ad altri esuli di altre terre, tra cui versioni alternative dei suoi compagni perduti con cui ha fondato un nuovo Squadrone Supremo, trovando però tempo per avventure in solitaria nella sua nuova serie personale, tradotta in Italia da Panini Comics.

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In apertura di volume troviamo un Nighthawk perfettamente calato nel suo nuovo ruolo, quello di protettore di Chicago, eletta città d’adozione dell’oscuro vigilante. La “città del vento” è scossa da violente rivolte razziali, scoppiate in seguito agli omicidi di cittadini afro-americani fermati dalla polizia. In questo contesto sociale problematico, Nighthawk cerca  di fermare i traffici dei Veri Patrioti, un gruppo di suprematisti bianchi dediti al traffico della droga che è misteriosamente entrato in possesso di armi ad alta tecnologia. Come se non bastasse, ecco apparire anche la minaccia di un serial-killer, il Rivelatore, che prende di mira le persone che si sono macchiate di crimini contro la comunità afro-americana. Sullo sfondo, proseguono i tumulti e le sommosse, favorite dagli interessi economici di un cinico immobiliarista, che potrebbe essere la mente dietro le azioni criminali dei Veri Patrioti. Molte gatte da pelare per Nighthawk, che convergeranno verso una cruda resa dei conti finale.

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Thriller urbano teso come una corda di violino, Nighthawk non si fa scrupoli nel prendere di petto le contraddizioni e le tensioni sociali che attraversano la società americana, ancorandosi saldamente alla cronaca quotidiana, elemento che lo contraddistingue dal resto della produzione Marvel attuale. Lo scrittore David Walker, già autore di quella gemma mensile di exploitation anni ’70 che è Power Man & Iron Fist (in Italia sulle pagine di Daredevil), ci propone la dura realtà di una metropoli moderna, dove le persone comuni non possono che soccombere davanti alle manovre di criminali che non hanno costumi sgargianti o piani altisonanti, se non il proprio arricchimento: palazzinari e faccendieri, che usano la malavita e i poliziotti corrotti come strumenti per raggiungere i propri interessi. L’approccio scelto da Walker è assolutamente realista: la sua Chicago non è una città da fumetto, teatro di scontri tra supereroi e criminali, anzi è più probabile che sia scenario di proteste contro i metodi violenti della polizia, se non di rivolte. Un contesto crudo e realistico che non prevede la presenza di eroi, se non quella di un vigilante e anti-eroe come Nighthawk: creatura notturna inguainata in una corazza nera che incute timore, fornita di gadget in grado di ferire mortalmente gli avversari, è un Batman che combatte il crimine con i metodi brutali del Punitore. Lo scrittore lo ritrae come un uomo di poche parole che sono sentenze, ossessionato dalla sua missione, lasciando il compito di alleggerire la tensione e le situazioni drammatiche alle battute della sua assistente Tilda, criminale redenta, con la quale Nighthawk instaura una dinamica stile Green Arrow-Felicity come nella serie tv dedicata all’arciere di smeraldo.

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L’atmosfera realista della trama imbastita da Walker è perfettamente catturata fin dalle prime pagine dalle matite di Ramon Villalobos, artista californiano nelle cui tavole è impossibile non notare l’influenza di Frank Quitely. Villalobos costruisce un setting perfetto, tra magazzini di periferia, cantieri e case popolari, divertendosi a disegnare nasi rotti e ossa spezzate. La costruzione della tavola e la scansione delle vignette, vedi il duello finale tra Nighthawk e il Rivelatore, sono pensate appositamente per supportare il ritmo freneticamente action dello script di Walker. Da segnalare le intense ed interessanti scelte cromatiche della palette di Tamra Bonvillain, tra cui gli effetti fluo in alcune tavole che ben si sposano con la dimensione urbana dell’intera vicenda. Un altro bonus che farà piacere ai lettori di vecchia data sono le copertine di Denys Cowan, disegnatore negli anni ’80 di una serie cult come The Question per la DC, che introducono perfettamente il lettore alle crude atmosfere della serie. Le covers di Cowan possono contare su delle chine d’eccezione, quelle del maestro Bill Sienkiewicz.
Nighthawk ha chiuso negli States col sesto numero per scarse vendite, ma siamo sicuri che questo ciclo di storie verrà riscoperto e apprezzato negli anni a venire.

Un po' meglio di una bestia, la recensione di Visione 2

Arriva sugli scaffali delle fumetterie il secondo e attesissimo volume di quella che è ormai considerata la migliore serie Marvel degli ultimi anni, The Vision di Tom King e Gabriel Hernandez Walta (qui la recensione del #1). Creato da Roy Thomas e John Buscema nel lontano 1968 sulle pagine di Avengers 57, il sintezoide più amato della storia del fumetto ha dovuto aspettare quasi cinquant’anni per avere il suo posto al sole. Fin dall’inizio la Visione incarna la contraddizione dell’essere artificiale che prova emozioni umane, tanto da portarlo alle lacrime come nell’iconica splash-page finale di Anche un androide può piangere, arrivando addirittura ad innamorarsi, ricambiato, di una donna in carne ed ossa, la collega Scarlet Witch. I due formeranno per anni una delle coppie più famose dei comics, suggestionando più di una generazione di giovani lettori tra cui il futuro scrittore Jonathan Lethem, che ai due amanti di carta dedicherà il racconto La Visione, contenuto nella raccolta Men and cartoons (pubblicata in Italia da Minimum Fax). Personaggio travagliato, il povero androide, diviso tra la paura di non provare sentimenti e il peso che il viverli comporta. Dissezionato metaforicamente da autori classici come Steve Englehart, Bill Mantlo e Roger Stern, una volta è stato realmente smembrato pezzo per pezzo e rimontato, in un celebre ciclo di Avengers West Coast firmato da John Byrne che segnò la fine del suo rapporto con Scarlet. Ma niente poteva preparare il sintezoide di casa Marvel al “trattamento” riservatogli dal brillante Tom King.

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In questa seconda uscita convergono e giungono a compimento le trame orchestrate da King nel primo volume, in cui Visione, cercando di dare un senso alla sua esistenza, decide di “mettere su famiglia”: l’androide se ne costruisce letteralmente una, formata da moglie, due figli e un cane, con la quale va a vivere in un sobborgo di Washington, il classico comprensorio formato da villette a schiera tipico di tanto cinema americano. L’arrivo della famiglia Visione non è però gradito dal vicinato, e la crescente tensione per la paura del diverso porterà Virginia, la moglie robotica dell’androide, a commettere un errore fatale le cui tragiche conseguenze non tarderanno ad arrivare coinvolgendo anche la squadra di appartenenza del consorte, gli Avengers.

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Forte di una qualità letteraria che ha spinto il sito specializzato Bleeding Cool a definirla “il Watchmen” della Marvel, Visione è una gemma nel panorama delle pubblicazioni attuali della Casa delle Idee. King e Walta confezionano uno straordinario ibrido tra fumetto d’autore e mainstream supereroistico, assolutamente originale. Lo scrittore pesca a piene mani dalla tradizione del melodramma americano, il cui principale esponente fu il regista Douglas Sirk, e dalle sue declinazioni più moderne come American Beauty e Revolutionary Road di Sam Mendes e Lontano dal Paradiso di Todd Haynes: opere che ci raccontano famiglie che conducono esistenze apparentemente perfette, chiusi nelle loro belle villette, tra sorrisi di circostanza e l’amara consapevolezza della realtà. In una variante certamente fantascientifica, Visione ci parla proprio di questo, di verità taciute, negate ma insopprimibili, di scheletri nascosti nell’armadio o seppelliti – letteralmente – in giardino, ma che non tarderanno a riaffiorare mettendo a rischio un fragile equilibrio. Nel fare questo, lo splendido lavoro di King e Walta riporta un genere usurato come il fumetto di supereroi alla sua dimensione più nobile, la trasfigurazione in racconto mitologico dello struggimento del vivere quotidiano.

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Il lirismo dei testi di King è efficacemente supportato dal tratto minimalista di Walta, bravo nel ritrarre scene di vita quotidiana borghese semplici ma intense, attraversate da improvvise ed inaspettate esplosioni di violenza. Merita una citazione anche Micheal Walsh, autore delle illustrazioni dell’episodio in cui King ripercorre la storia della relazione tra Visione e Scarlet, facendo “sbirciare” il lettore dietro le quinte della storia ufficiale della coppia: sarà una delizia per i fan di vecchia data riconoscere i periodi della storia degli Avengers citati dagli autori, dallo scontro col Conte Nefaria a firma Jim Shooter/John Byrne fino al “triangolo” Visione/Scarlet/Wonder Man della gestione Kurt Busiek/George Pérez. Scene già viste che assumono però una valenza e un significato del tutto nuovo, grazie ad un team creativo in stato di grazia.

Classico istantaneo che verrà ricordato da qui a molti anni, Visione porta con sé un unico difetto: è e resterà, per il momento, l’unico lavoro made in Marvel di Tom King, che subito dopo la conclusione della serie è stato blindato dalla DC con un contratto di esclusiva. Mossa sulla cui bontà non nutriamo alcun dubbio.

Il ritorno all'horror di Grant Morrison, la recensione di Nameless - Senzanome

Un asteroide proveniente dallo spazio profondo viaggia a gran velocità in rotta di collisione verso la Terra. Sulla sua superficie sono incise delle antiche rune, che annunciano la fine del mondo secondo la lingua dei maya. Chiunque le legga, a partire dagli astronomi degli osservatori, viene posseduto da un’implacabile follia omicida, che si propaga come un virus: massacri di ogni sorta cominciano ad essere compiuti in ogni parte del globo. Un individuo misterioso, un esperto di occulto autoproclamatosi “Senza Nome” per non essere colpito dagli effetti della magia nera, viene reclutato dal milionario Paul Darius per far parte di un composito team di astronauti al quale viene affidata la missione di recarsi sull’asteroide per scoprire il mistero delle rune e distruggere eventualmente il meteorite. Ma l’intera missione potrebbe essere soltanto un’allucinazione dovuta ad una seduta spiritica finita male. O forse è la seduta spiritica un’allucinazione di Senza Nome, alla deriva nello spazio dopo il fallimento della missione e la morte del resto dell’equipaggio? La risposta potrebbe trovarsi nelle trame della Dama Velata, donna misteriosa il cui unico scopo sembra quello di gettare Senza Nome nell’abisso della follia.

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Nameless, il nuovo lavoro di Grant Morrison per Image Comics portato in Italia da Saldapress, segna il ritorno dello scrittore scozzese all’horror puro, attraversato da quelle influenze esoteriche che lo hanno sempre affascinato e che hanno rappresentato spesso il sottotesto delle sue opere. Affiancato da Chris Burnham, già suo complice in Batman Inc., conclusione della sua straordinaria e pluriennale gestione delle serie del Cavaliere Oscuro, Morrison crea un’opera che parla direttamente al subconscio del lettore, infettandolo con mostruosità e carneficine che sebbene facciano pensare al ciclo di Cthulhu di H.P. Lovecraft, sono ispirate in realtà, come ammette Morrison nella post-fazione del volume, alla mitologia maya e polinesiana, alla filosofia nichilista e pessimista del XXI secolo, e all’opera delle scuole di magia tifoniana successive ad Alesteir Crowley, da sempre nume tutelare dello sceneggiatore di The Invisibles.

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È lo stesso Morrison, nella già citata post-fazione, a fornire entusiasticamente le linee guida a chi volesse approfondire questi argomenti: le indagini sull’albero della vita e i tunnel di Set di Linda Falorio e Kenneth Grant, cabala, tarocchi, il linguaggio enochiano o “lingua degli angeli”, portato alla luce nel ‘500 dall’astrologo reale John Dee dopo aver sperimentato alcuni viaggi visionari. E poi ancora Xibalba, l’oltretomba governato dagli spiriti della malattia e della morte secondo la mitologia maya, il mito del Tonal e del Nagual derivato da Carlos Castaneda. In cima a tutto, la rivincita del femminino sacro, l’immagine cabalistica di Binah, archetipo tanto della madre che allatta quanto della madre distruttrice, usata da Morrison per incitare la popolazione femminile a distruggere l’archetipo della cultura maschile dominante ed innescare una salvifica rivoluzione. Argomenti complessi che meritano un approfondimento in altre sedi. Quello che ci interessa sottolineare qui è la struttura della narrazione scelta da Morrison, l’assenza di consequenzialità e il crollo del tempo lineare tipica dei sogni o, in questo caso, degli incubi.

Il collegamento più spontaneo è quello con il surrealismo, altra influenza dello scrittore fin dai tempi di Doom Patrol, e con film sperimentali appartenenti a quella corrente come gli allucinanti Un Chien Andalou e L’Age d’Or, nati dalla collaborazione tra Bunuel e Dalì; il tutto declinato in salsa decisamente horror. La storia sembra un incrocio tra Alien, L’esorcista e Seven, diretto però da David Lynch: un mix da fare accapponare la pelle. Se qualcuno si prendesse la briga di tradurre Nameless su pellicola, ne uscirebbe fuori il film horror definitivo. C’è il sospetto di una certo compiacimento da parte dell’autore ma gli si può facilmente perdonare: Morrison è l’autentica rockstar del fumetto contemporaneo, e il fascino delle sue opere deriva principalmente dal fatto di essere eccessive e provocatorie. Nameless è il flusso di una coscienza sconvolta e infettata da immagini ancestrali ed inquietanti, un viaggio nell’inferno del subconscio a cui ci si approccia prima con titubanza, poi con compiaciuto abbandono.

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Un viaggio che non sarebbe stato ugualmente affascinante senza le illustrazioni di Chris Burnham, a cui è affidato il sostegno grafico all’immaginazione orrorifica dello scrittore scozzese. Il tratto del disegnatore di Officer Down ricorda molto quello di Frank Quitely, altro collaboratore storico dello sceneggiatore di Glasgow, ma tende più al grottesco: straordinariamente a suo agio tra interiora e bulbi oculari strappati, Burnham è bravissimo a suggerire l’orrore senza mostrarlo in primo piano, nascondendolo in campi lunghi agli occhi del lettore distratto, salvo poi farlo balzare sulla sedia facendo esplodere davanti ai suoi occhi immagini di crudeltà e supplizio. Anche grazie al suo apporto Nameless è una scheggia di ansia e terrore che si conficca nel cervello del lettore senza abbandonarlo, e che anzi necessita di più letture per decifrare ulteriori livelli di significato che potrebbero sfuggire ad una prima fruizione.

Ricordiamo che il fumetto è disponibile in edizione brossurata (pp. 168 euro 15.90) e cartonata (pp. 192, euro 24.90).

La storia della Image Comics, parte 2: Declino e rinascita

  • Pubblicato in Focus

Dopo avervi narrato la nascita e l'ascesa della Image Comics, ecco la seconda parte del nostro approfondimento sulla casa editrice americana che quest'anno celebra i suoi 25 anni di vita. Ricordiamo che Napoli Comicon, di cui siamo media partner, dedicherà una mostra di tavole originali alla Image.

Image Comics: la storia
Parte 2: Declino e rinascita

Come vaticinato in precedenza da molti analisti, a metà degli anni ’90 scoppia la bolla speculativa che investe e ridimensiona fortemente l’industria del fumetto americano. Il boom del quinquennio precedente risultava essere solamente l’effetto di un mercato drogato da speculatori senza scrupoli, senza un reale allargamento del bacino di utenza. Sul finire degli anni ’80 era iniziata la pratica, in voga soprattutto in casa Marvel, di stampare copie alternative dello stesso albo, diversificate solo da una copertina alternativa, le cosiddette variant: queste potevano avere un’illustrazione differente, oppure un disegno con un rilievo gold o platinum. Spesso gli albi venivano imbustati con delle trading cards allegate, e il lettore doveva acquistarne più copie se voleva completarne la collezione. Si trattava di strategie commerciali che avevano poco a che fare con la qualità degli albi e che attirarono l’attenzione di affaristi e profittatori altrimenti per nulla interessati al settore. Vengono quindi ordinate molte copie di uno stesso albo, sperando che col tempo l’edizione speciale di uno di questi possa aumentare di valore, speculando sul prezzo. Il boom del mercato dei comics non risulta corrispondere ad un reale aumento del numero degli acquirenti o tanto meno dei lettori. L’effetto domino si scatena quando interi scatoloni di albi restano invendute nei magazzini delle fumetterie, che cominciano a chiudere una dopo l’altra. Ne scaturirà, dopo anni di vacche grasse, un’inesorabile contrazione del mercato che lascerà solo macerie dietro di sé, portando alcuni colossi come la Marvel a dover dichiarare bancarotta.

La Image, pur non avendo mai speculato troppo su cover variant e affini, risente comunque della crisi del settore, aggiungendo ai problemi oggettivi dell’industria contraddizioni mai risolte all’interno dell’azienda. L’editore deve fare i conti con un progressivo disamoramento, salvo qualche eccezione, dei soci fondatori dalle serie che hanno creato. Il caso più emblematico è l’annunciato cross-over con la Valiant Comics, conosciuto come Deathmate, di cui vengono ordinate milioni di copie in prevendita dai distributori, certi di andare sul sicuro vista la mania di cui i fumetti Image sono oggetto. La Valiant consegna i propri capitoli mentre la Image buca clamorosamente le consegne, compromettendo l’evento e recando un danno enorme ai rivenditori che avevano prenotato gli albi. Quando la serie viene completata sono passati molti mesi e l’interesse intorno al cross-over è svanito, lasciando migliaia di albi invenduti sugli scaffali delle solite, incolpevoli fumetterie. La difficoltà nel rispettare le consegne sarà una piaga che da quel momento in poi affliggerà costantemente le serie targate Image. Molti dei soci fondatori, d’altronde, ormai pensano ad altro.

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Todd McFarlane ha lasciato i disegni di Spawn nelle mani del pur capace Greg Capullo per lanciarsi nel settore del merchandising e delle action figure tratte dalle sue creazioni, oltre a frequentare Hollywood nella speranza di cedere vantaggiosamente i diritti di sfruttamento di Spawn a qualche studio cinematografico. Stesse aspirazioni coltivano Marc Silvestri e Rob Liefeld: quest’ultimo in particolare è una fucina di idee, tanto da fondare un ulteriore etichetta, Maximum Press, per la realizzazione di progetti personali. Gli altri soci adombrano il sospetto che Liefeld abbia sottratto del denaro dalle casse della Image per finanziare la Maximum Press, facendogli prima causa e poi allontanandolo dalla casa editrice che aveva contribuito a fondare. Improvvisamente, una crepa attraversa quel granitico blocco di talenti che aveva saputo sfidare e sconfiggere il colosso Marvel. Una prima avvisaglia si era già avuta quando Jim Lee e Liefeld, senza avvertire i soci, avevano accettato la proposta della Marvel di correre al capezzale di quattro moribonde serie classiche: è il 1996 e la Casa delle Idee annuncia il ritorno a casa di dei due autori per realizzare Fantastic Four, Iron Man, Avengers e Captain America con il collaudato stile Image. L’evento passa alla storia come il progetto Heroes Reborn, la Rinascita degli Eroi, e ottiene una visibilità e un successo clamoroso, che le quattro serie classiche, in epoca di predominio delle testate mutanti, non conoscevano dai tempi di Stan Lee e Jack Kirby. Ma McFarlane e gli altri soci avrebbero presto incassato un colpo ancora peggiore. Nel 1999 Jim Lee annuncia di aver venduto la sua etichetta, la Wildstorm Productions, alla DC Comics, sottraendo alla Image uno degli studi che la componevano e uscendo di fatto dalla casa editrice. Alla base c’è una valutazione personale di Lee, che vede profilarsi all’orizzonte un periodo duro per gli editori indipendenti e ritiene che i suoi personaggi troveranno una miglior collocazione all’interno del DC Universe; l’artista verrà coinvolto inoltre in progetti di altissimo profilo e di grande successo per la casa editrice, come Batman: Hush del 2002, e inizierà una scalata ai vertici dell’azienda in cui oggi riveste il ruolo di Editore Responsabile. La fuoriuscita della Wildstorm e di Jim Lee è una mazzata quasi fatale per la Image, che in un colpo solo perde la sua vera superstar e il suo disegnatore di punta, un parco personaggi di tutto rispetto che era stato valorizzato negli anni da scrittori come Warren Ellis e Alan Moore, e, come se non bastasse, i nuovi progetti di questi ultimi che erano di imminente uscita proprio per la Wildstorm: la linea America’s Best Comics, interamente curata da Moore e le  nuove e attesissime serie di Ellis, Planetary e The Authority. Entrambe, come la sotto-etichetta di Moore, avrebbero visto la luce presso la nuova Wildstorm inglobata nella DC.

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Alla fine degli anni’90 la Image è una realtà editoriale in declino: ha rappresentato meglio di qualsiasi editore lo spirito del decennio che si sta chiudendo ma fatica a rinnovarsi. L’idea di un universo supereroistico con cui sfidare il duopolio Marvel/DC è ormai fallita, soprattutto dopo l’abbandono di Lee; inoltre l’epoca degli anti-eroi violenti e arrabbiati è finita. Kingdom Come di Mark Waid e Alex Ross ha suonato la carica per il ritorno in pompa magna degli eroi classici: in casa DC, Grant Morrison scrive il rilancio della JLA, immaginandone i membri come dei di un pantheon; parallelamente, alla Marvel, Kurt Busiek e George Pérez, la più “classica” delle coppie immaginabili, riportano gli Avengers alla loro perduta grandezza. Tutto ad un tratto gli antieroi Image, così cool fino a pochi anni prima, sono fuori moda come il Sega Mega Drive. Spawn vivacchierà ancora per qualche anno grazie alle matite di Capullo prima di uscire per sempre da quella top ten degli albi più venduti che lo aveva ospitato fin dalla sua nascita; perderanno appeal anche gli eroi misticheggianti della Top Cow di Marc Silvestri come Witchblade e The Darkness, che avevano conosciuto una fugace stagione di successo grazie ai disegni, tra gli altri, del prematuramente scomparso Micheal Turner.
Lee se n’era andato, come Whilce Portacio che abbandonerà per qualche anno il mondo del fumetto in seguito ad un grave lutto famigliare. Liefeld era stato cacciato. Silvestri ed Erik Larsen torneranno occasionalmente alla Marvel per qualche progetto speciale. Il solo McFarlane resterà sempre coerente con se stesso e non lavorerà mai più con nessuna delle due major.
Ma la Image aveva ancora qualcosa da dire. Bisognava solamente chiudere con i supereroi e cercare nuove strade.

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All’inizio del nuovo millennio si fa strada nell’industria del fumetto un nuovo modo di scrivere, definito decompresso, che adotta i ritmi dilatati e dialogati di serie televisive come NYPD Blue. Maggior artefice del successo di questa nuova tendenza è Brian Micheal Bendis, che dopo essersi fatto un nome con fumetti noir indipendenti in bianco e nero come Jinx, Torso e Goldfish, viene scelto da McFarlane per i testi di una serie spin-off di Spawn, incentrata sulle indagini dei detective Sam & Twitch. La consacrazione dello scrittore di Portland avviene però con Powers, serie a metà tra poliziesco e fumetto di supereroi che impone un nuovo corso in casa Image. I dialoghi serrati di Bendis e lo stile squadrato e cartoonesco del disegnatore, Micheal Avon Oeming, si distaccano notevolmente da quanto prodotto dalla casa editrice fino a quel momento. Sotto la grande “I” avevano già fatto capolino prodotti dalle ambizioni più autoriali, basti pensare a The Maxx di Sam Kieth, Astro City del duo Busiek - Anderson, Rising Stars e Midnight Nation di J. Michael Straczynski, ma è Powers a rappresentare meglio di ogni altra serie la nuova Image degli anni 2000. Bendis farà talmente parlare di sé che verrà cooptato da Joe Quesada e Bill Jemas per la Marvel del nuovo corso post-bancarotta, realizzando Ultimate Spider-Man, l’aggiornamento delle origini del tessiragnatele per gli anni 2000, cambiando per sempre il linguaggio del fumetto di supereroi con una run leggendaria di Daredevil e dando il via alla rinascita degli Avengers con un ciclo decennale che è causa diretta del ritorno del gruppo sotto i riflettori e delle iniziative cinematografiche ad esso collegate.

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L’esplosione di Bendis è solo uno dei meriti della Image del nuovo millennio, che per la prima volta decide di mettere in secondo piano l’aspetto grafico per investire pesantemente sulla sceneggiatura e su autori che possano portare nuove idee e una ventata di freschezza. La svolta decisiva avviene con la nomina di Jim Valentino ad Editore Responsabile. Valentino, con un passato nell’editoria indipendente già prima della sua esperienza in Marvel, decide di allargare lo sguardo oltre l’orizzonte del fumetto di supereroi e di mettersi alla ricerca di progetti alternativi e di nuovi talenti. Oltre a Bendis, la Image pubblica in quegli anni i primi lavori di un giovane predestinato, Robert Kirkman, come Tech-Jacket, Brit e soprattutto Invincible. Ma è con The Walking Dead del 2003, su disegni di Tony Moore prima e Charlie Adlard poi, che avviene la consacrazione dell’autore. Si tratta di una serie post-apocalittica, in un mondo devastato dove pochi superstiti devono farsi strada tra orde di zombi e la cupidigia degli esseri umani, oltretutto in bianco e nero, su cui nessuno sembra voler scommettere. Grazie al passaparola e all’abilità di Kirkman nel tenere il lettore incollato alla sedia e a tornare per il numero successivo, la testata diventa la più venduta della Image e il simbolo della rinascita della casa editrice, ispirando inoltre il serial televisivo omonimo trasmesso in USA dall’emittente AMC.
L’operato come Editore di Valentino mira a rafforzare quindi Image Central, cioè il gruppo di testate non collegate agli studios dei soci fondatori. Nel 2004 gli succede Erik Larsen, che continua la sua opera di scouting: sua è la scoperta di Jonathan Hickman, autore presso Image di The Nightly News, Pax Romana ed East of West, nonché futuro sceneggiatore di Fantastic Four e Avengers per la Marvel. Larsen riesce anche a fare da mediatore tra Liefeld e gli altri soci, che ne accettano il ritorno anche se non più come partner associato ma come semplice artista. I personaggi dell’autore possono comunque fare ritorno a casa, sotto l’ombrello Image.

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L’Image dei giorni nostri prende definitivamente corpo con l’arrivo, come editor, di Eric Stephenson e con la nomina, come partner associato, di Robert Kirkman e del suo studio Skybound. L’operato di Stephenson guarda al superamento del fumetto di supereroi, ormai presenti in minima parte nel catalogo Image, al varo di progetti di qualità e più vicini alla sensibilità indie e, cosa più importante, alla ricerca costante di nuovi talenti ma anche di nomi più consolidati, che possono essere “soffiati” a Marvel e DC offrendogli la proprietà delle proprie opere, controllo creativo e altre condizioni vantaggiose che le due major non potrebbero, né vorrebbero, proporre. Non deve stupire quindi se un numero sempre più consistente di sceneggiatori abbandonano le testate dei due colossi per portare i propri progetti personali all’ombra della grande “I”: è il caso di Brian K. Vaughan e Fiona Staples con Saga, space-opera amatissima da pubblico e critica; di Matt Fraction e Chip Zdarsky con Sex Criminals, divertente attacco al comune senso del pudore tipico del puritanesimo americano condito da crime – story; di  Jeff Lemire e Dustin Nguyen con Descender, rivisitazione fantascientifica della favola di Pinocchio e di Jason Aaron e Jason Latour con Southern Bastards, straordinaria saga di eredità paterne e bassezze umane arricchita da tocchi alla True Detective. E la lista potrebbe proseguire a lungo.

Anche se con esiti diversi dalle premesse iniziali, il sogno di una zona franca, un’isola felice dove gli autori possano lavorare liberi da qualsiasi vincolo si è infine realizzato. Il sogno dei soci fondatori rimasti, Marc Silvestri, Jim Valentino, Erik Larsen e naturalmente Todd McFarlane, che resta saldamente in sella come Presidente.
La vicenda di un consorzio di studios facenti capo a sette artisti straordinari, dediti al culto dell’immagine e di un’estetica superficiale che si trasforma nel faro del fumetto indipendente e di qualità è uno di quei paradossi e di quelle parabole che possono accadere solo nel magico mondo dei comics americani.
Citando Todd McFarlane all’indomani dell’abbandono di Jim Lee:
“Whilce ha lasciato. Rob ha lasciato. Jim è ritornato alla Piantagione (la DC Comics, ndr). Ma la Image Comics continuerà per sempre. Abbiamo costruito un'entità che va oltre il singolo individuo”.

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