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Luca Tomassini

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Batman: Terra Uno - Edizione Deluxe, recensione: gli inizi del Cavaliere Oscuro

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Agli inizi degli anni 2000 le due major del fumetto statunitense, Marvel e DC, vennero attraversate da un’ importante ondata di rinnovamento, declinato però dai due editori in modo diverso.
Mentre in Marvel iniziava la nuova era Bill Jemas/Joe Quesada, contraddistinta da una violenta rottura col passato caratterizzata dall’arrivo di sceneggiatori da altri medium e dalla ricerca di “maggior realismo” (per quanto possibile parlando di eroi immaginari), la DC batteva territori supereroistici più classici, rimpolpando però il suo roster di autori con star del calibro di Jim Lee, Jeph Loeb, Geoff Johns ed altri che, pur rimanendo ancorati alla tradizione, fornivano una visione più moderna e al passo dei tempi delle classiche icone dell’editore. Eccezione fatta per Identity Crisis, drammatica storia scritta dal romanziere Brad Meltzer, la produzione DC dei primi anni 2000 non si spinge sui territori “realisti “ battuti invece con insistenza dalla Marvel con la sua linea “Ultimate”. Certo, si potrebbe obiettare che c’è poco da parlare di realismo in un fumetto di cui i protagonisti sono sempre e comunque divinità scandinave e leggende viventi della II Guerra Mondiale che camminano tra la gente comune, salvo poi precisare che il maggior realismo veniva fornito da un cinismo nel ritrarre questi eroi impensabile allora nelle serie tradizionali, e da considerazioni di carattere politico e geo-politico inedite per i comics americani mainstream.

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In realtà in quegli anni una versione realista di un personaggio DC venne effettivamente realizzata, ma non nei fumetti. In Batman Begins del 2005 Christopher Nolan fornì una visione del Cavaliere Oscuro spogliata da tutti gli elementi più fantasiosi del personaggio, mostrando gli anni di training di Bruce Wayne e la sua trasformazione in Batman in un mondo dove non esistono superpoteri e dove un uomo ben allenato e con ingenti capitali a disposizione può trasformarsi in una sorta di James Bond incappucciato. Il film di Nolan, di cui sarebbero apparsi ben due sequel negli anni successivi, fu un grandissimo successo di pubblico e di critica e impose un’idea di Batman a cui neanche i fumetti riuscirono a sottrarsi. Batman Begins rappresentò, in pratica, quell’ “Ultimate Batman” che nei comics ancora non c’era… fino alla creazione della linea Earth One.
Earth One era (o meglio è, essendo ancora in corso) un’iniziativa editoriale con cui la DC, attraverso una serie di graphic novel realizzate da alcuni tra i migliori creativi a sua disposizione, intendeva raccontare nuovamente le origini e i primi anni di attività delle sue icone più celebri, inserendole in un contesto attuale e  adattandole al gusto moderno. La linea debutta nel 2009 con Superman: Earth One, ma l’uscita più attesa è ovviamente quella dedicata al Cavaliere Oscuro, che arriva nel 2012. Così, in concomitanza con l’arrivo nei cinema di The Dark Knight Rises, terzo e ultimo episodio della trilogia nolaniana, Batman: Earth One arriva finalmente sugli scaffali delle fumetterie.

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La versione di Batman raccontata da Nolan al cinema è in quel momento fortemente in auge nella cultura pop e non può fare a meno di influenzare anche gli altri media. Anche in Batman: Terra Uno di Geoff Johns e Gary Frank, nonostante non manchino i richiami a situazioni ed elementi familiari provenienti dalla tradizione dei comics di Batman, la chiave di lettura è decisamente realista dove per realista si intende, visto che si parla pur sempre di un vigilante travestito da Pipistrello, il tentativo di rendere plausibili gli elementi più improbabili della mitologia del Cavaliere Oscuro. Così Alfred non è il maggiordomo di Villa Wayne, ma un militare della marina britannica in congedo che ha conosciuto Thomas Wayne in Medio Oriente, dove entrambi hanno servito durante la Guerra del Golfo stringendo una forte amicizia. Thomas, medico celebrato ora impegnato in una dura campagna elettorale per l’elezione a sindaco, chiama Alfred a Gotham City perché ha motivo di temere per la propria incolumità personale e per quella della sua famiglia, visto che il suo sfidante è Oswald Cobblepot, sindaco uscente che gestisce anche le attività criminali della città. L’intuizione di Thomas si rivelerà giusta, perché poco dopo l’arrivo di Alfred in città verrà assassinato insieme alla moglie Martha da un balordo che voleva rapinarli, lasciando il figlio Bruce orfano. Alfred si troverà costretto ad occuparsi del ragazzo e seppur riluttante per paura dei pericoli in cui potrebbe incorrere, metterà a disposizione la sua esperienza militare per l’addestramento di Bruce, una volta cresciuto e determinato a intraprendere la sua missione. Ma tutte le caratterizzazioni dei tre graphic novel sono all’insegna di un marcato e riuscito realismo: riuscitissime quelle del Pinguino (chiamato in questo modo unicamente per la sua eleganza nel vestire); di Harvey Bullock, poliziotto “divo del cinema” come il personaggio di Kevin Spacey in L.A. Confidential che scioccato dalla violenza di Gotham, cadrà nella spirale dell’alcool avvicinandosi alla versione classica del personaggio; di Killer Croc, reietto che vive nelle fogne il cui look è giustificato da una grave malattia della pelle e così via. Il personaggio di Jessica Dent, invece, ricorda molto la Rachel Dawes dei film di Nolan, e il modo in cui Johns gioca con questo personaggio vi sorprenderà, operando una sintesi tra il personaggio cinematografico e il mito di Two-Face. Da notare come Batman: Terra Uno, che si ispira molto alla trilogia nolaniana, sarà a sua volta la principale fonte di ispirazione per il successivo The Batman di Matt Reeves, che ne riprende alcune idee e una linea di dialogo chiave.

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I disegni sono appannaggio di una superstar assoluta del fumetto come Gary Frank, che non ha certo bisogno di presentazioni. Johns e Frank sono ormai da molti anni un duo affiatato che ha prodotto alcuni classici moderni della DC Comics come, oltre alla trilogia di Terra Uno, un ottimo ciclo di Action Comics, Shazam e la miniserie evento Doomsday Clock. Chi scrive ha casualmente riletto recentemente alcune storie di The Incredible Hulk disegnate da Frank negli anni ’90 su testi di Peter David, molto influenzate dallo stile muscolare dell’epoca (influenza comunque filtrata dalla naturale eleganza dello stile dell’autore). Confrontare quelle vecchie storie con Batman: Terra Uno significa constatare la crescita di un grande artista, passato dallo status di promessa a quella di maestro. Pagine che uniscono al dinamismo e alla spettacolarità, che hanno sempre caratterizzato l’opera dell’autore, una cura del dettaglio di altissimo livello: un raffinato uso del tratteggio nel delineare look, espressioni e personalità specifiche della vasta galleria di character presenti nei tre graphic novel. Piacevolissimo lo storytelling, che passa con naturalezza da scene di dialogo ad altre di azione concitata. Questo avviene tramite un raffinato montaggio delle vignette utilizzato in ciascuna tavola, abbandonando la tradizionale griglia fissa, fino ad arrivare all’esplosione dell’azione in strepitose splash-page di stampo cinematografico.

Batman: Terra Uno - Edizione Deluxe,  volume con il quale Panini Comics raccoglie i tre graphic novel che compongono la saga, è un tomo davvero imperdibile, tanto per i bat-nerd più affiatati quanto per nuovi ed eventuali lettori che vogliano avvicinarsi a questo immortale personaggio.

Batman/Grendel, recensione: Quando il Pipistrello incontrò il Diavolo

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Come abbiamo già raccontato nella recensione del primo omnibus dedicato a Grendel, il personaggio cult creato da Matt Wagner, all’inizio degli anni ’80 il mondo del fumetto a stelle e strisce viene attraversato dalla rivoluzione del direct market. Un nuovo modo di fruire i comics che consente il lancio di nuove proposte editoriali e di nuovi autori. È un momento di grandissimo e irripetibile fermento creativo: Frank Miller sta rinnovando il fumetto statunitense col suo primo e fondamentale ciclo di Daredevil mentre un giovane inglese di nome Alan Moore ha inaugurato in terra d’Albione con Miracleman un nuovo modo di scrivere i fumetti di supereroi che verrà definito “decostruzionista”. È in questo clima positivo che Matt Wagner lancia il suo Grendel, personaggio indie che trova un suo pubblico fedele nonostante il fallimento del suo primo editore, Comico, sulla falsariga di quanto Dave Sim aveva fatto con Cerebus.

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Il successo di questi nuovi personaggi e la reputazione sempre più consolidata dei loro autori non può fare a meno di attirare l’attenzione dei grandi editori: la Dark Horse Comics si offre di rilevare la pubblicazione di Grendel, mentre la DC propone a Wagner di realizzare un incontro tra la sua creatura e il personaggio bandiera della major, Batman.
A più di 25 anni dalla prima pubblicazione italiana dell’incontro / scontro tra i due personaggi, curata dalla ora defunta Phoenix, Panini Comics riporta in libreria il crossover tra Batman e Grendel in un bel volume cartonato che contiene, oltre alla prima miniserie del 1993, anche il sequel del 1996 sempre realizzato da Matt Wagner. Seppur realizzate dallo stesso autore, si tratta di due opere estremamente diverse da loro, quasi antitetiche, separate da una differenza stilistica che ben riflette i profondi cambiamenti che attraversano il mondo del fumetto americano tra l’uscita della prima e tra quella della seconda.

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La prima miniserie si sviluppa in due albi di formato “prestige”, L’enigma del diavolo e La Maschera del diavolo. Pur uscendo nel 1993, la storia risente molto di una certa letterarietà e di una costruzione delle tavole tipiche di qualche anno prima quando, a cavallo del passaggio tra gli ’80 e i ’90, l’influenza del lavoro di Frank Miller sui giovani artisti americani raggiunge il suo apice. La realizzazione della storia risale infatti a quel periodo ma il fallimento della Comico, che si sarebbe dovuta occupare della pubblicazione, costringe Wagner a tenere l’opera già terminata nel cassetto finché la stessa DC Comics si offrì di pubblicarla.
La trama è incentrata su un complesso piano ordito da Hunter Rose, che decide di lasciare la sua “comfort zone” newyorkese e di recarsi a Gotham City per sfidare l’unico uomo che, secondo lui, può dargli filo da torcere: Batman. Nella storia i due personaggi condividono lo stesso universo, e si tratta di una sintesi narrativa particolarmente azzeccata perché, in fondo, Grendel non è altro che un riflesso distorto dello stesso Batman. Un uomo segnato da un evento traumatico che ha deciso di affinare i suoi talenti non per combattere il male, ma per votarsi ad esso.
Il piano di Rose gira intorno ad un’audace rapina al Museo di Gotham di un prezioso reperto archeologico, che viene costruito per tutto lo svolgimento della storia. Una sapiente costruzione narrativa che rende necessario l’utilizzo di un vasto numero di comprimari che finiscono per sottrarre la scena ai due protagonisti. In particolare, due personaggi femminili coinvolti da Rose come pedine del suo complesso piano, Rachel King e Hillary Perrington, diventano a tutti gli effetti le vere protagoniste della vicenda, alternandosi come voci narranti a Batman che a Grendel. Il pensiero corre alla marcata dimensione letteraria che caratterizzava la Vertigo delle origini, ai primi albi in terra americana di Neil Gaiman & Co. che la presenza di didascalie ricche di testo trasformava in vere e proprie novelle illustrate . Ma come si diceva poc’anzi, l’influenza maggiore è quella di Frank Miller, dei suoi monologhi e delle sue atmosfere noir. L’opera milleriana che Wagner tiene in maggiore considerazione è sicuramente Batman: Year One, anche per l’evidente richiamo stilistico a David Mazzucchelli, co-autore di quel capolavoro di cui Wagner mutua il tratto essenziale ed elegante, chiaramente ispirato ad Alex Toth. Dal punto della composizione delle tavole, Wagner gioca con la loro sistemazione delle vignette come nella serie principale di Grendel, incastonando le didascalie tra vignette ora più grandi, ora più piccole, prive di quel gusto raffinato ispirato all’art déco che contraddistingueva la serie madre ma che comunque sopravvive nella rappresentazione di Gotham, tipica di un noir urbano d’altri tempi.

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L’autorialità della primi mini segna il passo nel sequel del 1996, che occupa il secondo slot del volume. Stavolta Batman affronta il cyborg Grendel-Prime, il Grendel del futuro, arrivato nella Gotham del presente attirato dalla presenza delle ossa del defunto Hunter Rose nella città del Cavaliere Oscuro. Spetterà a quest’ultimo affrontare l’erede del Diavolo ed evitare che il suo piano per ritornare nella sua epoca metta a repentaglio la vita dei cittadini di Gotham City.
Tra questa storia (sempre suddivisa in due albi one-shot, Le ossa del Diavolo e La danza del Diavolo) e l’avventura precedente, uscita solo tre anni prima, passano tutti i grandi cambiamenti avvenuti nell’editoria a fumetti statunitense dopo il debutto della Image Comics. Il successo degli eroi “dopati” della "Big I" influenza l’intero settore, generando una moda e un gusto per uno stile muscolare ed esagerato, che segnerà quegli anni e che ritroviamo anche in questo secondo incontro tra Batman e Grendel. Qui lo stile di Wagner assorbe le influenze artistiche del momento e, mettendo da parte la raffinata composizione delle tavole che caratterizzava il primo incontro tra i due personaggi, l’artista si scatena con spettacolari splash-page contraddistinte da muscolarità e colori digitali lividi che sembrano uscite da un albo Image del periodo.

Due lavori completamente agli antipodi, uno più autoriale e uno decisamente più commerciale, dal cui confronto emergono interessanti considerazioni su un periodo significativo della storia del fumetto americano che rende questo volume meritevole di considerazione.

Grendel Omnibus 1 - Hunter Rose, recensione: Il ritorno del Diavolo di Matt Wagner

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Tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 la nascita e l’affermazione negli Stati Uniti del “direct market”, ovvero di una distribuzione esclusiva dei comics in negozi specializzati che bypassano il circuito di edicola, supermercati e stazioni di rifornimento, limitando il rischio di rese, favorisce il decollo di una editoria indipendente. Questi anni segnano infatti la nascita di piccole ma agguerrite case editrici che si affiancano ai due colossi del settore, Marvel e DC. Etichette che non riusciranno ancora a sfidare e a battere le due major su loro stesso campo come farà la Image Comics nel decennio successivo, ma che le faranno da apripista e lasceranno comunque il segno nella storia del fumetto americano. Impossibile non ricordare tra queste, nel decennio compreso tra i primi anni ’80 e i primi ’90, le esperienze della Continuity Comics fondata da Neal Adams, della First Comics che pubblicò una serie di grande impatto come American Flagg! di Howard Chaykin, della Eclipse Comics che portò negli Stati Uniti il capolavoro Miracleman di Alan Moore e la Comico. Quest’ultima legò al suo nome ad un personaggio che sarebbe diventato di culto, un simbolo dell’editoria indipendente dei comics a stelle e strisce: Grendel, scritto e disegnato da Matt Wagner. Una saga a fumetti incredibilmente longeva e pionieristica per concepimento e sviluppo, partorita da un autore che, al momento della prima apparizione del personaggio, ha solo 21 anni.

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Nel 1982, sulle pagine del secondo numero di Comico Primer, effimera testata antologica che presenta i personaggi della giovane casa editrice, fa la sua prima apparizione questo misterioso personaggio che, per caratterizzazione e ambiente nel quale si muove, sembra uscito da una storia pulp d’epoca. Siamo negli anni chiave del rinnovamento del fumetto statunitense, grazie all’eco di quanto viene fatto in Gran Bretagna da un giovane autore inglese di nome Alan Moore che presto arriverà negli States, e grazie a soprattutto al lavoro di un altrettanto giovane Frank Miller sulle pagine di Daredevil, da lui trasformato da collana sull’orlo della chiusura a irrinunciabile capolavoro dove il fumetto di supereroi si fonde col noir e l’hard-boiled contaminato, per la prima volta in un fumetto mainstream, con influenze derivate dalla cultura orientale e giapponese in particolare. Un’influenza, quella di Miller, che non può lasciare indifferenti i giovani autori che in quegli anni tentano l’ingresso nel mondo del fumetto e Matt Wagner è indubbiamente tra questi. In quattro episodi che formano un unico lungo racconto in prosa, narrato attraverso didascalie incastonate in tavole reminiscenti dell’art déco, e vignette connesse tra loro come le vetrate di una chiesa, Wagner racconta dall’inizio alla fine la storia di Hunter Rose, giovane scrittore milionario che ha dedicato la giovinezza ad affinare le sue doti fisiche e intellettuali ma non per diventare il classico giustiziere, ma un efferato e mascherato signore del crimine. Non un antieroe alla Punisher, ma uno dei più spietati villain mai apparsi in un albo a fumetti. Considerate le risorse sulle quali può contare e la schiera di collaboratori dei si circonda, oltre all’evidente influenza pulp, stiamo parlando di uno Shadow votato al Male. Un genio dotato dell’intelligenza di Fu Manchu, dell’agilità di Batman e della spietatezza di un assassino, che esercita grazie ad un bastone dotato di lama con la quale giustizia le sue vittime.

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Grendel è la realizzazione della volontà di potenza, del desiderio assoluto che si traduce in dominio fisico e intellettuale sugli altri uomini. Un’indagine sulla violenza innata nel profondo dell’essere umano, ma che non è fine a se stessa, bensì votata al potere e al controllo degli altri esseri umani. Una fantasia tipica della giovinezza, che un autore allora ventenne traduce in una storia di circa quaranta pagine raccontata in prosa attraverso un uso letterario delle didascalie, con tavole organizzate in una originale tricromia bianco, rosso e nero, attraversate dalle influenze di cui sopra, in cui viene raccontata la parabola completa di Hunter Rose, dall’ascesa al declino. Una storia iniziata e chiusa da Wagner, che non immaginava allora che la sua creazione avrebbe avuto un futuro ben più lungo di quelle prime quaranta pagine. Dopo la prima apparizione in Comico Primer, infatti, Grendel si vede dedicata una testata personale che però, per problemi finanziari dell’editore, non va oltre i primi tre numeri. La storia di Grendel prosegue sotto forma di appendice alla serie di un’altra creazione di Wagner, Mage. La Comico nel 1986 raccoglierà poi tutto questo materiale in un volume unico, intitolato Devil by the Deed, in italiano Il Diavolo nelle Azioni. Un storia narrata attraverso soluzioni grafiche sperimentali e assolutamente innovative per l’epoca, come dicevamo sopra. Vignette incastonate tra loro come le vetrate che nelle chiese raccontano episodi delle scritture. Qui invece viene raccontata, dall’inizio alla fine, la storia di Hunter Rose, attraverso il racconto che la figlia adottiva Stacy Palumbo ne fa nel suo diario. Stacy e il diario costituiranno un elemento fondamentale della saga di Grendel, ma Wagner a sorpresa sostituisce Hunter con un nuovo Grendel, una donna di nome Christine Spar di cui non riveliamo altro, trasformando il suo personaggio in un “brand” che vedrà varie incarnazioni attraverso i secoli. Ne parleremo nelle prossime occasioni: qui ci concentreremo sulla figura di Hunter Rose, a cui è dedicato il primo di una serie di omnibus dedicati alla creatura di Matt Wagner pubblicati da Panini Comics.

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L’omnibus contiene tutto il materiale dedicato al primo Grendel di cui Wagner, dopo aver raccontato le storie dei Grendel successivi, riprese a raccontare le vicende nel 2007 con la mini Grendel: Behold the Devil, una storia da lui scritta e disegnata che narra un episodio fondamentale e mai raccontato della vita di Rose. In mezzo però, ci sono il passaggio alla Dark Horse Comics, dopo il fallimento della Comico, e due miniserie antologiche di notevolissimo spessore artistico, Grendel: Black, White & Red del 1998 e Red, White & Black del 2005, scritte dallo stesso Wagner e disegnate dal gotha degli artisti del fumetto Usa attivi tra il 1990 e la prima metà degli anni 2000.
In queste due miniserie l’autore riprende e arricchisce di particolari e dettagli la storia raccontata ne Il Diavolo nelle Azioni, dimostrando che quest’ultima, per quanto rimarchevole, era soltanto il canovaccio di una trama più complessa che aspettava l’occasione di essere sviluppata in forma compiuta e conclusa. Wagner ritorna sul “luogo del delitto”, ampliando la sua idea originale con un meccanismo narrativo di scatole cinesi intrigante e davvero ambizioso. In una serie lunghissima di storie brevi, seguiamo l’ascesa al potere di Hunter Rose e le manovre per prendere il controllo della malavita di New York, insediandosi nei gangli politici e amministrativi della città tramite la violenza, la corruzione e il ricatto. Il rapporto con la figlia adottiva Stacy, la rivalità con il lupo mannaro Argent, essere dalle fattezze mostruose ma votato al bene unico rivale all’altezza di Grendel, anche per l’affetto di Stacy. Tutto viene raccontato in queste pagine, contraddistinte dall’inevitabile tricromia rosso, bianco e nero, marchio di fabbrica di tutta la saga. I disegnatori coinvolti? Come dicevamo, una lista di mostri sacri da far girare la testa. Si comincia con l’indimenticabile Tim Sale, per proseguire poi con Mike Allred, David Mack, Guy Davis, Duncan Fegredo, Paul Chadwick, i compianti John Paul Leon e Jason Pearson, Chris Sprouse, Jill Thompson, Darick Robertson, Michael Zulli, Ashley Wood, Jim Mahfood, Kelley Jones, Phil Hester, Michael Avon Oeming, Stan Sakai, Phil Noto, Dan Brereton… e tanti altri in una lista di eccellenze impossibile da elencare nella sua totalità.

In Behold the Devil, Ecco il Diavolo, la miniserie del 2007 che chiude il volume, un Wagner maturo abbandona gli sperimentalismi degli inizi e lo stile ispirato ai fumetti “neri” europei e ai manga che proprio nei primi anni ’80 cominciavano a circolare negli States. Venticinque anni dopo Wagner ha ormai maturato un tratto pienamente inserito nello standard del fumetto statunitense del periodo che, pur senza rinunciare alla ormai canonica tricromia rosso – bianco – nero, si scatena con l’uso di spettacolari splash-page. In questa storia si mettono in moto gli eventi che porteranno alla caduta di Hunter Rose: con una sorta di “effetto flashback”, Wagner torna a quanto narrato tanti anni prima ne Il Diavolo nelle Azioni, ampliandolo e arricchendolo. Un racconto di forma circolare e non lineare, davvero ambizioso e riuscito, che rende la saga di Grendel un classico irrinunciabile del fumetto indipendente a stelle e strisce che merita di essere riscoperto grazie a questi splendidi volumi pubblicati da Panini Comics.

The Complete Cyberforce Vol. 1, recensione: questa forza scatenata

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Il 1992 è un anno spartiacque per la storia del fumetto americano. La nascita della Image Comics è l’evento che cambia per sempre i rapporti di forza tra editori e autori, che acquisiscono un potere mai avuto prima. Quando si parla di Image Comics la mente va a subito agli esponenti allora più in voga di quel roster pazzesco di artisti che si unirono per fronteggiare le eterne “Big Two” del fumetto a stelle e strisce: Jim Lee, Rob Liefeld e Todd McFarlane, le superstar assolute di quel momento storico. In seconda battuta, però, non si può ignorare il contributo che venne portato alla causa della Image da un altro artista, un solido professionista che poteva vantare più anni di carriera rispetto ai suoi più giovani soci: Marc Silvestri.

Silvestri comincia la sua carriera giovanissimo, realizzando nei primi anni ‘80 disegni per collane secondarie Marvel come Shang-Chi, Master of Kung-Fu e King Conan. A metà del decennio, disegna alcuni albi di Web of Spider-Man e il graphic novel Revenge of the Living Monolith, che lo fanno notare al grande pubblico. Ma la grande occasione della sua carriera arriva nel 1987, quando a Silvestri viene assegnato l’incarico all’epoca più prestigioso ed ambito dell’intero settore: le matite di Uncanny X-Men, la collana Marvel più venduta di tutti i tempi. Per tre anni, in coppia con un Chris Claremont al top della forma, Silvestri accompagna gli uomini X attraverso grandi cambiamenti, sia di atmosfere che di formazione: celebri saghe come The Fall of the Mutants e Inferno cementano la reputazione dell’artista come penciler moderno e dinamico, deliziando i lettori con l’abilità con la quale disegna in particolare le ragazze del gruppo. Tempesta, Rogue e le new entry Psylocke e Dazzler guadagnano in sensualità grazie alle matite di un Silvestri che sembra ispirarsi alle seducenti donne di Milo Manara. L’impatto epocale dello stile muscolare di Jim Lee sulla scena fumettistica statunitense alla fine degli anni ‘80 determina, in poco tempo, la nascita di una pletora di imitatori non altrettanto dotati. Anche un professionista affermato come Silvestri non può fare a meno di assistere alla rapida ascesa dell’artista coreano e di esserne influenzato. L’ammirazione per il collega è evidente soprattutto nella seconda fase del successivo incarico di Silvestri, il ciclo di Wolverine realizzato su testi di Larry Hama. I corpi da lui ritratti diventano sempre più muscolosi, le donne di una avvenenza fisica sempre più prorompente, le tavole sono attraversate da azione sempre più esplosiva. Quando Lee, McFarlane e Liefeld cominceranno a pensare ad un “casting” di eventuali soci per l’avventura della Image Comics, quella di Silvestri è una scelta tanto naturale quanto scontata.

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Nei primi anni ’90 i personaggi più popolari dell’industria sono i mutanti di casa Marvel: gli X-Men e le loro collane ancillari sono salde ai primi posti delle classifiche di vendita, esercitando un forte ascendente sulle altre testate della Casa delle Idee e non solo. È inevitabile quindi che anche le prime testate della neonata Image siano fortemente influenzate dal predominio dei mutanti sull’intero settore. Esclusi infatti i “solisti” Spawn di Todd McFarlane e Savage Dragon di Erik Larsen, sia gli Youngblood di Rob Liefeld che i Wildc.a.t.s. di Jim Lee presentano non pochi punti di contatto con gli X-Men della Marvel. Ma se c’è una collana Image dove questa influenza è assolutamente evidente, questa è proprio la Cyberforce di Marc Silvestri.

La miniserie di lancio datata 1992 dedicata al gruppo di eroi cibernetici, che apre il voluminoso omnibus pubblicato da Panini Comics, è indicativa di quanto all’epoca Silvestri, coadiuvato dal fratello Eric ai testi, fosse ancora immerso nelle atmosfere tipiche delle avventure dei Mutanti Marvel. I componenti della squadra vengono addirittura presentati come mutanti, termine del quale la Marvel non detiene il copyright, braccati dagli emissari della malvagia corporazione Cyberdata che li vuole catturare e trasformare in agenti al proprio servizio tramite l’innesto di componenti cibernetici.

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Con questa prima miniserie Silvestri tastò l’indice di gradimento dei suoi personaggi presso il pubblico, e pur presentando alcune delle tavole più esplosive della carriera dell’artista, la trama è appena abbozzata e la caratterizzazione dei personaggi è solamente accennata. Veniamo catapultati fin dall’inizio in pagine scoppiettanti di azione, che ci danno appena il tempo di capire che c’è una guerra in atto tra due fazioni, la malvagia Cyberdata con i suoi agenti potenziati e la Cyberforce, gruppo di eroi trasformati in cyborg proprio dalla Cyberdata a cui poi si sono ribellati per contrastarne i piani di dominazione planetaria.

I membri del gruppo sembrano modellati sugli stereotipi fumettistici più in voga ai tempi, che sono stati precisati in modo puntuale da Grant Morrison nel suo saggio Supergods. In un team di supereroi degli anni ’90, ci dice lo sceneggiatore scozzese, deve esserci sempre un leader sul campo, l’intrepido capo che dirige la squadra senza sbagliare nulla; il killer artigliato e tormentato il cui passato è avvolto nel mistero; l’indispensabile forzuto; la bad girl, elemento imprescindibile del periodo; la rookie, la giovane inesperta capitata nel gruppo per caso e che funge da punto di vista per il lettore. Se non ci credete, provate a mettere a confronto la Cyberforce con gli X-Men e a sovrapporre Heatwave a Ciclope, Ripclaw a Wolverine, Impact a Colosso, Cyblade a Psylocke, Velocity a Jubilee o a Kitty Pryde. O Striker a Cable, eroi tamarri armati da capo a piedi, figli della nota ossessione per le armi made in U.S.A. sublimata, all’epoca, nei film action di Sylvester Stallone, Arnold Schwarzenegger e dei loro emuli.

Altra grande influenza fu il movimento cyberpunk, esploso nella cultura popolare a partire dagli anni ’80 grazie a romanzi come Neuromante di William Gibson, che aveva poi esercitato la sua influenza in ambito cinematografico con film che hanno anticipato i tempi a venire come Il tagliaerbe (datato proprio 1992) e manga come Ghost in the Shell. Di queste influenze, però, Silvestri prende solo la superficie, contaminandola con i sopracitati action americani alla Terminator. Da notare che il secondo capitolo della saga del cyborg assassino venuto dal futuro ideata da James Cameron è il più grande successo cinematografico del 1991, anno in cui Silvestri sta ideando la sua Cyberforce.

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La miniserie di lancio è un grande successo ma l’artista si rende ben conto dei suoi limiti come sceneggiatore, a cui non può certo sopperire il fratello. Per questo, quando si tratta di lanciare la serie regolare, si rivolge a scrittori ben più consolidati come Chris Claremont, il demiurgo indiscusso degli X-Men, che ne firma alcuni numeri. Un'altra mossa di marketing azzeccata è far coincidere la partenza della collana con un crossover con i Wildc.a.t.s. del socio Jim Lee, che rivela il passato comune di alcuni membri dei due team e pone le basi per le trame successive, incentrate sulla lotta tra la Cyberforce e la Cyberdata guidata dal malvagio Emil Zadrok. Le storie della “Forza Cyber” cominciano qui a farsi più interessanti, con importanti rivelazioni portate alla luce, approfondimento dei personaggi, colpi di scena con cliché dal sapore claremontiano come il controllo mentale e il conseguente “salto della barricata” di alcuni protagonisti.

Altre chicche contenute nel volume sono l’interessante Cyberforce #0, disegnato da Walter Simonson, leggenda del fumetto americano le cui tavole spettacolari avevano esercitato una forte influenza sui ragazzi terribili della Image, e il numero 8, disegnato in via straordinaria da Todd McFarlane, nell’ambito di un'iniziativa speciale in cui, per un mese soltanto, i soci fondatori della Image si erano scambiati le loro collane. Il volume testimonia anche il debutto di giovani allievi dello studio di Silvestri che diventeranno grandi star del tavolo da disegno, come David Finch e il compianto Michael Turner.

Se dal punto di vista della scrittura le storie contenute nell’omnibus denunciano gli evidenti limiti degli albi Image degli albori, nulla da dire sul comparto grafico: quando si tratta di realizzare tavole spettacolari, Marc Silvestri è secondo dietro solo al collega e amico Jim Lee. Splash-page  strabordanti che si dispiegano su due ante, eroi dalla bellezza scolpita e impossibile, eroine dal fisico mozzafiato (e stereotipato, direbbe qualcuno oggi), pagine straripanti di azione. Basta sfogliare questo strepitoso tomo per essere storditi dall’adrenalina che ne fuoriesce, dalla costruzione della tavola votata alla grandiosità, all’avvenenza dei protagonisti, elementi ancora più evidenti nei capitoli dedicati al crossover con i personaggi di Jim Lee, che scodella qui alcune delle pagine più iconiche della sua straordinaria carriera (come la famosa splash-page pieghevole a 4 ante di Wildc.a.t.s. #5). Una visione del fumetto che, seppur contestata a posteriori, ha fatto scuola ed esercita ancora oggi la sua innegabile influenza sul fumetto americano.
Panini Comics propone The Complete Cyberforce Vol. 1 in un prezioso omnibus ad alta foliazione dal costo importante, ma imprescindibile per comprendere appieno una stagione dei comics che, nel bene e nel male, ha fatto epoca.

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