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Ribellioni adolescenziali fra le note delle Spice Girls e dei Nirvana, intervista a Eleonora Antonioni e Francesca Ruggiero

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La Eris Edizioni, dopo aver sostenuto il Progetto Stigma non si ferma qui. Chiama in causa due autrici così diverse ma così affiatate: Eleonora Antonioni e Francesca Ruggiero. Il loro libro Non bisogna dare attenzioni alle bambine che urlano sorvola il tema dell’adolescenza, quei drammi che ci sono tanto cari e familiari e lo fa portandoci indietro nel tempo, negli anni '90, dove smartphone e digitale erano ancora utopia. C’erano i diari, all’epoca e proprio i diari sono un elemento importante perché perno stilistico e narrativo. Abbiamo incontrato le due autrici a Napoli Comicon 2018, per scavare un po’ di più, all’interno di questo piccolo affresco narrativo.

Perché storie di bambine ed adolescenti? C’era una necessità di voler raccontare una cosa specifica o è nata da qualcosa in particolare?

Ruggiero: Non c’è una qualcosa in particolare. O forse sì, quando tu parli di urgenza. Cioè io avevo scritto questo racconto e quando scrivi un qualcosa parti sempre da un’urgenza, appunto, o dalla voglia di raccontare una situazione o un’emozione. In questo caso volevo raccontare uno dei primi pugni nello stomaco, che ti prendi in quella fase di transizione, quando smetti di essere bambino e incominci ad essere adulto. Quel periodo quando sei nella pre-adolescenza e stai entrando nell’adolescenza. Dirti esattamente perché l’ho scritta, non lo so, come non so mai perché scrivo una storia invece di un’altra o perché do la precedenza ad una invece che ad un’altra. Questo non te lo so spiegare. So soltanto che dopo che l’ho finita, mi è subito venuta in mente Eleonora. Ho pensato che mi sarebbe piaciuto tanto vederla trasposta da lei, come un fumetto. Quindi le ho mandato la storia, che poi è il primo racconto del libro. Come avrai visto sono tre racconti diversi. Io le inviai il primo. Lei l’ha letto e dopo qualche mese ci siamo messe a lavorare sul libro. E così è nato.

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Quindi inizialmente non era concepito per essere un fumetto ma come racconto di narrativa.

Ruggiero: Sì. Anche se poi con Eleonora ci abbiamo messo un pomeriggio a fare l’adattamento, essenzialmente lo storyboard. Mi sono immaginato l’adattamento con lo stile di Eleonora fin da subito. Non so dirti perché ma era chiaro nella mia mente. Ovviamente conoscevo già il suo lavoro e conoscevo lei. Mi sembrava perfetto per le corde di questa storia.

Antonioni: Come diceva Francesca, la caratteristica di questo racconto è proprio il primo momento in cui ci si scontra in una maniera un pochino più adulta con gli altri o con la società e, questa cosa, mi piaceva molto. Questa fascia d’età è caratterizzata da queste super-mega-tragedie, anche se le difficoltà della vita sono altre. Queste situazioni sono vivissime e vissute come drammi reali. Però ci interessava parlarne, quindi abbiamo messo in piedi gli altri racconti. Più che altro per completare così la narrazione e la tematica. Tra l’altro, il suo racconto, era scritto in prima persona. Sembrava messo giù tutto d’un fiato, come un flusso di coscienza della protagonista e così è nata l’idea di fare un diario. Alla stessa maniera gli altri due. Sembrano tre piccoli estratti di diario ma con forme diverse. Il primo è da riflessione e scrittone, quindi cosa scrivo giorno per giorno sul mio diario. Il secondo è un diario visivo, fatto tipo di collage, mentre nel terzo, la ragazza appunta i testi delle canzoni. Lei non esprime a parole quello che prova e sente. Non le piace parlare con la gente, quindi scrive la musica perché ama la ama. Comunque sono tre componenti che nei nostri diari c’erano sempre. Quindi abbiamo scisso il tutto in tre storie con queste tipologie di espressione. Essendo poi che la struttura è formata dal presente per poi andare in flashback, ho utilizzato la penna quattro colori per tratteggiare ogni singola componente visiva. Tipo il rosso e il nero per il presente e l’azzurro e il rosso per i flashback. Il verde solo per le cose riportate dalla televisione come programmi, canzoni e pubblicità. Il blu, comunque, è il colore dei diari. Nel secondo invece, l’azzurro è il colore delle pagine di quadernone che usa la ragazza. Il terzo, essendo caratterizzato dai testi delle canzoni, ho utilizzato il verde, perché già dall’inizio la parte mediatica aveva questo colore e richiamava il tutto.

Iconografia anni 90. È stata una scelta narrativa particolare e studiata, oppure è venuta casualmente, in maniera consequenziale perché vi è più vicina?

Antonioni: Entrambe. Io quando ho letto il racconto poteva essere pubblicato su riviste di narrativa già così com’è. Però ho notato che in tutto il racconto c’era la totale assenza di tecnologia. Quindi pensare ad adolescenti che non usano messaggini mi sembrava strano. C’era la totale assenza di quel media e quindi le ho chiesto se l’avesse immaginata nel passato. Magari nell’adolescenza passata da noi, quindi gli anni '90. In realtà non era un problema che si era posta inizialmente, l’è venuta così e non volevamo alterare questa caratteristica peculiare. Quindi per noi, essendo più naturale e facile descrivere la nostra esperienza e gli anni' 90, abbiamo deciso di farlo. Da qui abbiamo messo giù un processo di riportare e riscavare le icone dell’epoca. Non è stato premeditato ma naturale.

Ruggiero: La scelta narrativa di non inserire la tecnologia è avvenuta perché c’era il bisogno di non scrivere una storia statica. Nel senso che una persona che guarda un telefono, per me, è la cosa più statica che puoi immaginare. Preferisco, nelle mie storie, che i personaggi facciano e dicano in faccia o vedano delle cose che succedono. Prediligo il mostrarle piuttosto che rappresentarle attraverso messaggini per telefono.

Antonioni: In realtà poi se si pensa, se fosse stato ambientato ai giorni nostri, sarebbe raccontato attraverso e totalmente nei social network. Invece della festa magari sarebbe un’attenzione mancata sui social, un visualizzato su Whatsapp. Non so, cose del genere. Però ci piaceva inserire quel modo di viversi le cose, così diverso da oggi. Anche se i sentimenti dietro sono gli stessi. Prima magari se non avevi l’attenzione dell’amica, dell’amico o del ragazzo che ti piace magari soffrivi a merda. Ora se non hai il like, ci soffri. Cambia la modalità ma non il sentimento o l’emozione dietro.

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Però l’iconografia è proprio marcata. Come a voler sottolineare determinate cose, oggetti etc. Come se fosse quasi un manifesto anni '90.

Ruggiero: Ci siamo divertite di più così. Noi avevamo quegli anni (delle protagoniste) proprio negli anni '90. Avevamo quell’età esattamente in quel periodo. Quindi avevamo una ricchezza iconografica già di nostro e introiettata fortissimo. C’è anche da dire che durante l’adolescenza hai un sacco di miti, un sacco di cose che ti piacciono che invadono proprio materialmente la tua vita in ogni aspetto. Dalla tua cameretta al tuo diario, al modo in cui ti vesti. Vorresti far parte di quello che vedi. Adesso è diverso, però negli anni '90, per esempio, era MTV, la finestra nel mondo. Guardavi la tua scuola e poi guardavi la scuola americana. Valeva per qualunque cosa, secondo me. Era una ricerca identitaria: assomigliare ai tuoi idoli, i contesti che vorresti e desidereresti, i riferimenti da cui prendere spunto. Crescendo poi ti spogli da tutte queste infrastrutture ma ti restano comunque dentro. Ma quello è il momento dell’accumulo. Nel libro quando dici che è sottolineato, perché è il momento dell’inglobare il più possibile.

Antonioni: L’elemento dei televisori, ad esempio, è un particolare creato in corso d’opera. Non ricordo esattamente il momento ma c’è stato un attimo in cui ho pensato che ci potesse essere qualcosa nato dall’input, dato dalla televisione. I bambini nati e cresciuti negli anni '80 e '90, in verità dagli anni '60 ma prima c’erano meno canali, era diverso. Comunque sia la televisione è stata la nostra babysitter. Il nostro media. Ora c’è internet, Youtube, ma per noi era quello. Non sceglievamo cosa vedere perché in parte ci veniva imposto, quindi anche per le protagoniste mi piaceva l’idea dello spot che improvvisamente appariva. Ci sono alcune cose che abbiamo studiato ritornando al passato. Tipo Clarice, la ragazza del terzo racconto, ascolta la musica mentre corre. Negli anni '90 ascoltavi il lettore cd mentre lei ascolta il walkman. Il lettore cd però salta se corri, quindi non abbiamo preso un periodo specifico degli anni '90. Come riferimento abbiamo la seconda metà degli anni '90. C’è un periodo specifico che però non vogliamo rivelare. Soprattutto per il terzo racconto, dato che ci serviva una playlist e un riferimento.
Siete uscite però nel momento storico adatto, dato che viviamo in un periodo di revival anni 90

Antonioni: Quando abbiamo deciso di ambientarlo in quegli anni, volevamo prendere un po’ tutto quello che ci piaceva e mischiarlo. Però poi abbiamo calcato un po’ verso la fine di quel periodo strategicamente, perché il revival attuale è su quello. Ti spiego. Il revival c’è già da due o tre anni. In questo preciso momento riviviamo quella fascia finale degli anni '90. Siamo quasi a cavallo degli anni 2000. Un po’ ci abbiamo anche pensato dato che ormai l’ambientazione era quella, perché non sfruttare la cosa.

Come mai la scelta stilistica della biro, essendoci proprio una dedica ad inizio albo?

Antonioni: Anche questa modalità è avvenuta sperimentando. Io in linea di massima, uso china e pennello e quando stavo cercando di creare personaggi, dargli un volto, fare i primi studi, notavo che questo tipo di tecnica non andava bene. È nata prima la decisione di voler usare più colori. Pochi. Una selezione limitata, però c’era qualcosa che non andava. In quel periodo disegnavo tanto con le penne a colori. Spesso quando lo facevo dal vivo. Quindi ho iniziato a fare gli storyboard così. Poi ho capito che andava e ho sperimentato la scelta delle tonalità da usare. L’effetto mi era piaciuto molto e ho deciso di usare la penna quattro colori. Quando ci hanno chiesto, quindi, di voler fare una dedica mi è sembrata opportuna anche per voler giustificare questa scelta stilistica. Poi all’interno c’è una scena dove è menzionato Birò e la penna quattro colori. Che poi non ha nemmeno il brevetto, preso da Bic, quindi gli abbiamo fatto questo omaggio.

Ruggiero: Quando mi ha presentato questi storyboard disegnati a penna li ho trovati molto freschi e sono saltata di gioia e le ho chiesto di lasciarli in questo modo. Molto pop come espressione.

In futuro possiamo aspettarci altro da voi due insieme?

Antonioni: Sicuramente sì ma ora dovremo dividerci per un po’. Io sto lavorando ad un altro libro che mi terrà impegnata. Abbiamo altre idee che stiamo sviluppando insieme. Lei poi continua a scrivere altri progetti. Ci siamo trovate bene. Un lavorare in simbiosi, un continuo palleggiarsi di materiale, pomeriggi passati insieme dato che viviamo nella stessa città e siamo amiche. È stato veramente bello.

 

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