Before Watchmen: mai e poi mai!
- Scritto da Valerio Coppola
- Pubblicato in Focus
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Dopo qualche settimana di piena campagna promozionale, siamo ormai alle prime uscite per Before Watchmen, l’operazione prequel/spin-off messa in piedi dalla DC intorno al capolavoro firmato, 25 anni fa, da Alan Moore e Dave Gibbons. Com’è noto, sotto questo marchio andranno diverse miniserie incentrate sui singoli personaggi di Watchmen, narrandone le avventure precedenti al romanzo di Moore e Gibbons. Il tutto per mano di grandi autori a loro volta artefici, negli ultimi due decenni, di alcune delle pagine più riuscite del fumetto statunitense. Sulla carta, dunque, si prospetta un prodotto piuttosto gustoso: grandissimi personaggi scritti e disegnati da una schiera di fuoriclasse.
Io eviterò Before Watchmen come la peste.
Nonostante la curiosità che un’operazione simile mi suscita, devo dire che essa provoca in me una idiosincrasia ancora più forte, ai limiti della ripugnanza. Non dubito che questi albi saranno scritti e disegnati in maniera mirabile, ma il mio problema è a monte, con il tipo di operazione messa in atto, tanto che mi troverei a scontare anche un pregiudizio negativo per la lettura in sé.
Come si sa, lo stesso Moore ha più volte ribadito la sua contrarietà allo sfruttamento ulteriore del brand, arrivando ad avere serie incomprensioni con l’altro cocreatore dell’opera. Ma, per sgombrare subito il campo da questa argomentazione, il problema che vedo in questi prequel non risiede nel dogma mooriano: la sua parola non equivale a legge, anzi la DC sotto il profilo legale ha tutto il diritto di mandare avanti il progetto, mentre sotto quello morale i suoi obblighi verso Moore sono un argomento poco rilevante per un lettore.
Il problema, piuttosto, è il debito morale che si dovrebbe sentire nei confronti non tanto dell’autore, quanto della storia in sé. Per una serie di ragioni intrinseche, Watchmen è una storia a statuto speciale, e dovrebbe essere considerata intoccabile.
Risulta infatti difficile accostare i suoi personaggi agli altri supereroi: per Superman, Batman e compagnia la produzione continua di nuove storie, riletture, reboot, versioni multimediali o transmediali, elseworld e what if è in qualche modo inscritta nella loro ragion d’essere; il nucleo fondamentale e distintivo di quei personaggi è una forte mitologia di base, che in un certo senso si presta per sua natura ad essere rinnovata e aggiornata di continuo; se anzi così non fosse, la pena per questa mancata rigenerazione continua sarebbe la morte per disidratazione di quella mitologia. Per i personaggi di Watchmen invece è il contrario: essi sono la storia in cui vivono e vivono solo in quella storia, e non è possibile distinguere i due piani. I Watchmen sono Watchmen, e mettersi ad aggiungere “before” o “after” non fa che impoverirne la dimensione, imbastardirli come maschere di se stessi. Il discorso non è che Watchmen sia un tabù intoccabile, un assoluto a cui dobbiamo adeguarci e conformarci; anzi, l’opera è estremamente relativa, e offre una ricchezza di possibilità sterminata: ma tale esponenzialità infinita è tutta al suo interno, corrisponde alle infinite interpretazioni che ognuno di noi può trovare dentro il racconto. Di più, produrre storie collaterali ed “esterne” a Watchmen finirebbe per impoverirlo per il semplice (e paradossale) motivo che esse finirebbero per forzare e influire sulle interpretazioni che noi possiamo liberamente fare dell’opera originale, creando un vincolo narrativo che Moore non aveva voluto imporre.
Il punto, come chi conosce davvero Watchmen sa, è che la storia (e così i personaggi) vive in un equilibrio perfetto e delicatissimo. Tutto si tiene in un’armonia rara da trovare in un’opera d’arte, in un bilanciamento infinitesimale e limpido, ogni ingranaggio è al posto giusto con la sua funzione precipua e i suoi tempi inalterabili: come dentro un orologio. Questo è al tempo stesso il metodo, la forma e il contenuto della storia, e anche quando essa ci prende in giro per un attimo facendo fermare l’orologio, non ci mette molto a rimettere in moto le lancette ridendoci in faccia, quando è proprio l’imprevisto più caotico a riportare tutto entro i confini di un disegno più ampio.
Andare a forzare o alterare quell’equilibrio delicatissimo equivale a distruggerlo, a fare esplodere gli ingranaggi dell’orologio. Il Dottor Manhattan gira così perfettamente perché di lui si dice né più né meno di ciò che si dice, lasciando al lettore la facoltà di “riempire” il non detto secondo i propri equilibri e inclinazioni personali; e così Rorschach, e così il Comico e così Ozymandias e così tutti gli altri. Voler dire di più, equivale a voler svilire le infinite potenzialità che quel non detto permette alle interpretazioni autonome di ogni singolo lettore, equivale a ridurre quello spazio di libertà attentamente lasciato da Moore: ed è così che questi giganti della letteratura diventeranno gli ennesimi uomini in maschera, confusi tra tanti, spezzando il legame specifico e l’equilibrio con quella precisa storia così attentamente strutturata e calibrata. Non capire questo è non capire Watchmen.
C’è poi anche un altro piano del discorso, più “mondano”. Watchmen è a statuto speciale anche perché rappresenta la svolta per eccellenza nel fumetto supereroistico, un punto di sintesi di ciò che è venuto prima, ma anche di ciò che è venuto dopo: tutta la produzione successiva dei supereroi non è ancora riuscita a superare Watchmen e la sua decostruzione dei personaggi; anche in opere attente ed acute come Authority e Supreme Power, in alcune intuizioni di Ultimates o in punti critici come Civil War, non si è mai usciti dai confini analitici tracciati da Watchmen: da 25 anni il fumetto supereroistico più critico continua nonostante tutto a rimbalzare tra le medesime contraddizioni che il lavoro di Moore e Gibbons aveva saputo mettere in rilievo.
A questo ruolo di primaria importanza, dunque, si dovrebbe il rispetto che un progetto come Before Watchmen non sembra affatto tributare. Quello che risulta chiaro, nonostante i nomi coinvolti, è che siamo al cospetto di una semplice operazione commerciale. Se la DC o questi autori avessero avuto davvero una storia che sentivano di dover raccontare, avrebbero potuto farlo con altri personaggi, adattati o inventati di sana pianta (come lo stesso Moore si trovò a fare proprio con Watchmen); invece, la protervia con cui si è tornati su quei nomi rende del tutto evidente l’intento rapace di sfruttare l’onda perpetua del successo che il capolavoro continua a riscuotere. Stanno continuando a spremere le tette di questa immensa mucca, ma finiranno tristemente per svuotarla e svilirla, indipendentemente dal valore artigianale delle miniserie che saranno.
Se oggi Watchmen è, a giusto titolo, un totem, in questo modo finirà per ridursi a feticcio. Già la versione cinematografica rischiava molto in tal senso, ma bene o male le sue forzature di adattamento possono essere sorvolate (per quanto Watchmen sia una di quelle opere che possono essere solo fumetto); ma se questa storia oggi costituisce davvero una narrazione totemica e vitale nel panorama dei supereroi, impoverirla nei modi che abbiamo analizzato la porterà davvero a ridursi a quella parte del totem che è più banale, cioè appunto la sua qualità di feticcio. Un triste destino.
Dato che ormai la DC non farà certo marcia indietro, l’unico modo per tutelarsi dal vedere sminuita una narrazione di così rari potenza, complessità e significato è, semplicemente, quello di evitare la lettura di questo spurio e pretestuoso “before”. Ecco perché, da parte mia, eviterò questo dannoso orpello. Se volete, chiamatemi integralista.