Dong Xoai, Vietnam, 1965
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Il fumetto di guerra è un genere molto particolare che nella sua evoluzione ha mostrato potenzialità espressive non indifferenti ma anche quali rischi possono nascondersi se gli autori non sono all’altezza della situazione, ovvero se non sono in grado di utilizzare il genere come valido strumento per mediare messaggi che possano fungere da stimolo per far riflettere.
Attraverso storie di guerra, i comics sono quindi stati strumenti di propaganda e hanno lanciato meri e pilotati messaggi fra il patriottico e il retorico. Basti pensare, come semplici esempi presi dal passato, al ruolo avuto da Captain America per gli statunitensi, o a Romano Il Legionario per gli italiani, durante il secondo conflitto mondiale. Grazie alla lettura di questi fumetti venivano veicolate le idee dei governi o si cercava di instillare alla popolazione un sentimento patriottico oltre misura.
Ma è stato grazie ad autori illuminati che un “becero” ruolo di questo tipo ha potuto avere una evoluzione, cambiando le carte in tavola, permettendo di utilizzare i “topos” narrativi come l’eroismo, le battaglie e la morte con obiettivi diversi, trasformando il genere in un eccezionale strumento di informazione e di denuncia.
In questo contesto si inseriscono gli ottimi lavori di Joe Sacco, Art Spiegelman e Hugo Pratt, solo per citarne alcuni, senza dimenticare che anche le parodie, come le Sturmtruppen di Bonvi, bene hanno inquadrato i paradossi legati ai conflitti.
Joe Kubert è stato un grande del fumetto internazionale, e ogni sua opera merita di essere letta, a prescindere.
Il suo genio e il suo stile hanno offerto ai lettori pagine memorabili ed è soprattutto con le sue pubblicazioni riguardanti la guerra che ha dato il meglio di sé.
I suoi personaggi degli anni ’60 (Sgt. Rock e Enemy Ace) creati insieme a Robert Kanigher, avevano dimostrato come, sul tema bellico, si possa essere precisi e avvincenti senza essere per forza propagandistici.
L’opera Fax from Sarayevo, del 1996, universalmente apprezzata, è stata la descrizione di una guerra, quella dei Balcani, che tutti hanno voluto negare o dimenticare, e che l’autore ha invece saputo ben narrare.
Joe Kubert, quindi, si pone nel novero degli autori di fumetti di guerra che ha ben saputo dosare l’elemento commerciale alla denuncia, l’obiettivo di appassionare con l’obiettività necessaria per informare il pubblico sulla drammaticità degli eventi bellici.
Il volume Dong Xoai, Vietnam, 1965 non manca l’obiettivo di cui sopra ed è una rilettura di un fatto realmente avvenuto. Kubert prende in mano il resoconto di un evento bellico e ne fa una sua storia.
Il racconto è semplice, chiaro ed efficace: un gruppo di soldati statunitensi, con lo scopo di offrire consulenza all’esercito vietnamita, si trova coinvolto in un attacco di vietcong nel villaggio di Dong Xoai. Una missione del giugno 1965, che all’origine doveva essere semplice, si trasforma in una dura battaglia, con tutte le conseguenze annesse. Viene quindi presentata la resistenza, si offrono immagini di eroismo e disperazione, si da spazio alla morte, alla distruzione del villaggio, alla futilità di alcune azioni (tutte cose a cui eravamo abituati grazie a pellicole di grande successo, ma anche da qualche episodio della serie The Nam della Marvel), ma il tutto si conclude anche dando una speranza.
Lo stile utilizzato dall’autore è asciutto; graficamente si hanno immagini che paiono pensate come raffigurazioni, più che disegni per un fumetto. La parte scritta è tutta in didascalie sia per le descrizioni che per i dialoghi che riportano sempre il nome del soggetto parlante, come se Kubert avesse riportato su tavola direttamente la sceneggiatura.
Se la parte grafica funziona perfettamente, la lettura ne risente un po’ in immediatezza e velocità, ma nel complesso il risultato è più che godibile. Tra l’altro lo stile a matita di Kubert è grandioso e offre, nel tratto, una genuinità che immerge il lettore nella storia a tutto tondo. Infatti una seconda lettura del libro, basata solo sulle immagini, permette una chiarezza che sottolinea la grandezza dell’artista.
L’autore era consapevole che una rifinitura a china avrebbe fatto perdere le sensazioni che si provano nel guardare queste tavole, così cariche anche se solo tratteggiate, così precise e piene di particolari anche se in alcuni tratti solo abbozzate.
Kubert non si schiera ma presenta dei fatti, quasi distaccato; questa logica pone l’opera nella categoria più matura delle storie di guerra a fumetti, quella che, lontana da propagande, sta dando l’immagine più critica dei conflitti.
Il libro si chiude con un redazionale ottimo, preciso e ben fatto che presenta le reali vicende che hanno ispirato il racconto a fumetti. Per quanto lungo, è un interessante reportage, scritto dai protagonisti, che evidenzia i diversi aspetti e le varie contraddizioni delle operazioni di guerra, il tutto corredato di foto originali che mostrano i veri protagonisti all’opera. Questo è una chicca nella composizione del volume perché fa assurgere l’opera ad un livello superiore: non vi è il solo obiettivo di intrattenimento ma anche quello della informazione e dell’approfondimento.
In conclusione possiamo affermare che Bao Publishing abbia confezionato un ottimo volume e ci troviamo di fronte all’ennesima grande prova di Kubert, tutta da gustare.
Purtroppo la recente morte dell’autore, avvenuta nell’agosto del 2012, ci priverà di altri capolavori.