Enter Yoko Ishikawa

 

CAPITOLO I

 

Era sveglia, come al solito, come succedeva da sempre. La notte era lunga e lei, distesa nel letto guardava il soffitto. Silenzio...no, suoni lontani, voci distanti, odori confusi ma perfettamente riconoscibili. Leyla dormiva in un letto vicino, il suo sonno era pesante, avevano avuto una giornata intensa. Decise di alzarsi per fare un giro.

Scalza, si diresse alla porta. Ascoltò, niente. L'aprì delicatamente e furtiva come un gatto scivolò via. Il corridoio era lungo, le stanze degli studenti su entrambi i lati erano chiuse, il tappeto centrale era confortevole, i suoi piedi erano freddi. La scala che portava ai piani inferiori era di legno ed avrebbe scricchiolato al suo passaggio, pensò...si guardò attorno, annusò l'aria e scese. Nessun rumore. Al piano terra una grande sala, un divano, quattro comode poltrone e un televisore dotato di lettore dvd e consolle di gioco. Un tavolo ad angolo con un vaso contenente fiori...garofani e begonie. Sul camino situato all'angolo opposto un quadro di grandi dimensioni...una riproduzione da William Blake.

Poi un rumore...passi lontani...dal terzo piano probabilmente. Si fermò. Attese. I passi continuavano...qualcuno aveva aperto una porta, molto cautamente...stava scendendo...ma non per le scale. L'ascensore. Si acquattò dietro ad una colonna al centro della sala, era vicino. La porta dell'ascensore si aprì. Una donna. Era senza dubbio una donna, ne riconosceva il profumo, l'aveva incontrata la mattina quando era arrivata all'istituto e non le era affatto piaciuta. Trattenne il respiro. La donna si fermò.

-  Sa che ci sono. - pensò . - Sembra che mi stia chiamando. - Poi le venne in mente che si trovava in un posto dove tutto poteva succedere, anche che qualcuno entrasse nei suoi pensieri.

-  Non devo pensare.  - La donna avanzò lentamente verso la colonna, poi cambiò direzione, girò lo sguardo come ad ispezionare la sala e rientrò nell'ascensore.

Si staccò dalla colonna e fulminea come una saetta, sgattaiolò su per le scale. L'ascensore si bloccò al secondo piano. La donna uscì di corsa. Lei era già sulla porta della sua stanza, entrò e si tuffò nel letto. La senti avvicinarsi alla porta, ascoltare, girare la maniglia...

      Non devo pensare! - Chiuse gli occhi e si rilassò. Era nella stanza davanti a lei e la fissava.

Garofani e begonie...le sue mani profumavano dei fiori che sicuramente aveva portato nel vaso della gran sala. Sorrise e lentamente tornò sui suoi passi, chiudendo dolcemente la porta.

Rimase immobile fino a quando non la sentì tornare al terzo piano e rimettersi a letto.

      Che posto è questo? Stupida Leyla, dove mi hai portata?

La notte era ancora lunga, ma rimase distesa a fissare il soffitto.

 

Lei e Leyla si erano conosciute qualche mese prima, durante uno dei suoi tanti viaggi senza meta.

Era arrivata in una stazione di servizio, nei pressi di una squallida cittadina di cui non ricordava il nome. Aveva la gola secca e i vestiti erano sporchi, non era facile scroccare passaggi e l'ultimo era stato devastante...un camion di pecore. Forse se l'avesse chiesto il passaggio, l'autista l'avrebbe fatta accomodare nella cabina di guida...ma a volte  l'odore degli animali era meglio delle parole degli uomini e così, tra belati e spintoni, era arrivata li. Aveva pochi spiccioli, giusti giusti per qualcosa di fresco e un panino. Era entrata nel bar e subito la sua attenzione era stata catturata da un gruppetto di persone che stava incitando qualcuno. Si sedette allungando il collo per vedere meglio.

      Devi ordinare, bella? -  Un grassone si parò davanti con un blocchetto in mano.

      Si, certo...un panino...con carne...e ...- Cercava le parole, parlava poco inglese.

      E? Verdura? Formaggio? Patatine? -  Elencò il grassone.

      Patatine, grazie. Poi birra, grazie. Fresca, grazie.- Chinò la testa più volte ringraziando.

Il grassone appuntò il tutto sul taccuino e si voltò in direzione del bancone.

Il gruppetto era molto animato, alcuni avevano dei soldi in mano e li sventolavano in aria, altri ridevano, altri ancora erano arrabbiati. Non c'erano molte persone sedute ai tavoli, un giovanotto lentigginoso che spazzava, una donna esile come un fuscello alla cassa, il grassone al banco, un uomo di mezza età a due tavoli di distanza dal suo fumava e guardava nel vuoto, il camionista del gregge seduto ad uno sgabello al bancone leggeva il giornale e una ragazza bionda era intenta a giocare al video poker.

-    Ecco, panino con hamburger e patatine...e una bella birra fresca! - Tuonò il grassone.

      Grazie, signore. Potrei per favore avere del kutchup, signore, grazie, per favore? – Chinandosi

in continuazione. Il grassone si spostò verso il tavolo accanto e le porse una bottiglietta.

      Scusami tanto ma, da dove vieni? Non sei americana, vero? - Chiese curioso.

      Non capita spesso di essere ringraziato così  da queste parti...- Continuò.

      No, non sono americana...vengo da lontano. - Tagliò corto e cominciò a mangiare.

Intuendo che la conversazione non avrebbe avuto seguito, il grassone tornò in cucina.

Il gruppo esultò e una persona ne uscì imprecando. Le passò vicino sbuffando e toccandosi il braccio – Porca troia! - Poi si allontanò in direzione dell'uscita barcollando.

Con il panino in una mano e la birra nell'altra, si avvicinò curiosa al gruppo. Erano in cerchio, uno attaccato all'altro, non si vedeva nulla.  Erano molto più alti di lei, a nulla valevano i saltelli che faceva intorno, mentre il bicchiere di birra traboccava. Appena intravide uno spazio s’infilò tra due persone e sbirciò, svelando finalmente l'arcano.

Un tavolo e due persone sedute che si sfidavano a braccio di ferro. Tutto qui.

Il campione era un omone di quasi due metri, con la barba lunga e un tatuaggio di un’aquila dietro le spalle. Era molto forte e il suo compagno stava mettendo su una piccola fortuna, in un posto così disperato dove scommettere era un diversivo alla piattezza delle vite. Lo sfidante era anch'esso alto e piazzato e lo guardava con odio. Tutto si svolse in pochi attimi, il campione afferrò la mano dell'altro e in men che non si dica la spiattellò sul tavolo. Vittoria! Soldi!

      Qualcuno vuole sfidare il grande Leo? Avanti, sta' aspettando! Scommettete gente!!

Sibilava il compagno mentre contava il mucchietto di banconote  che stringeva in mano.

      Io! - la sillaba le uscì dalla bocca senza accorgersene. Il gruppo si aprì e un mare d’occhi la fissò

per lunghi istanti. - Io! - ripeté con un pezzo di panino in bocca.

Le bocche dapprima incredule si aprirono in una fragorosa risata. Uomini che la indicavano e si sbellicavano le formarono un cerchio intorno, quasi fosse un animale raro.

      Hey piccola! Hai bevuto troppo? Ahahahah!! Devi mettere su qualche muscolo prima di provarci!! Buuuu!! Hai bisogno della stretta di un uomo?? Vieni qua che te la diamo noi!! Sei piccola ma carina, vuoi metterti in mostra? Allora facci vedere qualcosa!! Hahahahaha!! -

      Ho detto IO – Alzò la voce,  mangiò l'ultimo pezzo di panino e trangugiò la birra.

Si fece largo e si accomodò al tavolo di fronte al campione. Sbatté il pugno e poi lo aprì verso di lui, invitandolo a farsi sotto. Il campione dapprima esitò, dopo qualche secondo aprì la mano e gliela porse facendogli l'occhietto e mandandogli un bacio. - Sei coraggiosa bellezza. Facciamo così, se vinci tu mi metterò ai tuoi piedi e scodinzolerò come un cagnolino...ma se vinco io...tu sarai mia per tutta la notte. Chiaro tesoro? -  Afferrò la presa con decisione e sorrise.

Si trattò di pochi istanti, perché il campione si ritrovò con il braccio sul tavolo, K.O. Sgomento, sgranò gli occhi – Non mi hai dato il tempo!! Non è valido! Stronzetta, non mi hai battuto!! -

Lei si accomodò di nuovo sulla sedia e riprese posizione senza ribattere, non aveva fretta. Quell'uomo era tutto muscoli e niente forza, uno come tanti...ne aveva battuti a centinaia.

Afferrò la sua mano e attese che facesse forza. Quando capì dagli occhi di fronte a lei che qualcosa non andava, mosse leggermente in avanti il braccio e stese l'avversario. L'uomo rimase immobile, il braccio fermo sul tavolo...la bocca semiaperta in parole sospese. Tutti tacevano, anche il grassone che si era avvicinato al gruppo, anche la cassiera, lo sguattero e il cuoco. Taceva il camionista e l'uomo che fumava. Lei si alzò, dirigendosi verso il compagno del campione, lo squadrò e domandò – I miei soldi, grazie. - Poi aggiunse – Per favore, signore. -

 Lui le passò le banconote restando fisso a guardarla, si scostò per farla passare e come lui tutto il gruppo si aprì a semicerchio lasciandola uscire. Lasciò qualche spicciolo sul bancone e in assoluto silenzio camminò sino al parcheggio. Non sapeva perché ma ogni volta che aveva la meglio su qualcuno, un piacere immenso si faceva strada in tutto il corpo. Si trattava solamente di una stupida sfida, lei che era abituata a cruente battaglie con spade e coltelli, scontri con pistole e fucili...

Poi, passi...frettolosi e sicuri, da ogni lato. Il gruppo. Era il gruppo che non ci stava. Con spranghe, bastoni e qualche coltello si parava di fronte a lei in segno di sfida.

      Mutante! Mostro mutante! Ecco cosa sei!! Feccia dell'umanità'! Dovete morire tutti!! -

Il gruppo all'unisono ripeté più volte e lei stavolta si arrabbiò sul serio.

 

      Nessuno può cavarsela con me in questo modo!! Sei uno di quei mutanti!! - Urlò il campione.

 

L'avevano circondata, che stupidi...senza neanche il fattore sorpresa...d’altronde erano sciocchi umani di provincia. Non era affatto preoccupata, anni di esercizi e sanguinosi duelli l'avevano temprata al meglio...solo l'apparenza poteva ingannare, una ragazza non molto alta dagli occhi incantevoli e i modi gentili, celava un guerriero spietato ed un combattente abilissimo.

 

Sorrise stringendo i pugni – E' questo, quello che volete? Violenza? Siete così tanti...tutti contro una? Non siete leali! Non immaginate a cosa andate incontro...Fermatevi, finché siete in tempo... -

Rilasciò i pugni, non era il caso di esagerare, non si sarebbe fatta trascinare dalla bestia, aveva imparato a domarla. Il campione si fece avanti infilandosi un tirapugni sulle nocche, il compagno era dietro di lui con un bastone. Alla loro sinistra due uomini brandivano altrettante spranghe a mo' di mazza da baseball. A destra tre giovanotti, di cui due a mani nude ed uno con un coltello.

Dietro di lei il camionista con un cacciavite, il fumatore armato di un coltelletto a serramanico e il cuoco con un grosso coltellaccio da cucina. Il grassone si teneva in disparte assieme al ragazzo lentigginoso, forse suo figlio, e guardava la scena mordendosi il dorso della mano. Altri erano appostati dietro ad alcune automobili, ne sentiva l'odore...ad occhio e croce potevano essere cinque individui. Il tirapugni non la toccò nemmeno, un rapido movimento ed era già al collo del compagno mentre il campione giaceva bocconi sulla terra umida. I due con le spranghe le erano addosso, ne fermò uno con un piede contro la portiera di un’auto, l'altro lo stese con un colpo della sua stessa arma, con la quale sistemò anche il camionista che sputò qualche dente prima di crollare in ginocchio. Afferrò le braccia del cuoco e gliele bloccò facendolo urlare mentre lasciava cadere il coltellaccio, le braccia emisero degli scricchiolii. Con balzi e giravolte arrivò dai tre giovanotti, ne prese uno per le orecchie, lo trattenne e gli assestò una ginocchiata in volto, facendosi scudo con il corpo dello sventurato, corse tra le auto parcheggiate fino alla fine della fila, poi lo lasciò cadere e si voltò. La cassiera era di fronte a lei con un fucile da caccia. Uno sparo. I suoi occhi si spalancarono di colpo, la bocca si serrò e le sue mani si strinsero sulla ferita. Che ingenua...eccolo il fattore sorpresa! Mai distrarsi...mai sottovalutare l'avversario...anche se è uno stupido umano...

Lei era ancora in piedi mentre la macchia di sangue si allargava all'altezza del ventre. Aprì la bocca emettendo un verso a metà strada tra quello di un lupo e di un orso all'attacco. Mentre la cassiera rimaneva immobile, atterrita dall'orrore, la piccola belva le sferrò un colpo in pieno viso facendola cadere all'indietro. Un istante dopo le era a cavalcioni e tenendole la testa sul terreno, la morse violentemente al collo, affondando i denti nella carne. Issandosi sul corpo della poveretta, si girò verso gli altri con la faccia sporca di sangue e brandelli di carne che penzolavano colanti dalla bocca. Ringhiò. La ferita all'addome le procurava un dolore lancinante, aveva bisogno di riposo.

Udì caricare una pistola, era il grassone. Non ce l'avrebbe fatta a sopportare un'altra ferita...doveva scappare. Una lingua di fuoco la separò dal gruppo che avanzava furibondo...il suono di un clacson la scosse dalla sorpresa. Il clacson insisteva. Corse verso l'auto. La donna bionda del video poker.

Ecco dove era finita...l'aveva cercata tra la piccola folla di invasati ed ora eccola lì che la chiamava.

      Allora, sali o vuoi farti ammazzare? - Disse decisa.

Si gettò nell'auto ed essa partì a razzo facendo fischiare le gomme.

 

      L'hai uccisa, vero? - Domandò la ragazza.

Non rispose. Guardava davanti a se e con la mano si teneva la ferita. Il sangue si era fermato, ma era ancora debole. Ricordò gli occhi della cassiera nell'attimo in cui la vita la stava abbandonando...si morse le labbra. La ragazza le gettava degli sguardi di tanto in tanto, poi tornava a concentrarsi sulla strada. L'auto non era sua. L'odore all'interno era diverso, non corrispondeva. Il blocchetto dell'accensione era forzato. La donna era una ladra...di male in peggio.

      Beh, non possiamo continuare così! Dovresti dirmi almeno 'grazie' per averti salvato il culo!

Imprecò  sbattendo le mani sul volante.

      Opera tua il fuoco?- domandò finalmente.

 

      Magnifico, visto? Posso fare un sacco di cosette con il fuoco, sai? E Tu? Che mutante sei?

Perché sei una mutante, vero? Si vede lontano un miglio che lo sei! Allora? Che sai fare? -

Una ladra mutante...sempre peggio. Non aveva voglia di rispondere, voleva riposare, stare calma, recuperare le forze...chiuse gli occhi, chinò il capo di lato e si addormentò.

 

C'è un pronto soccorso, tra meno di un quarto d’ora saremo lì. - La svegliò. Erano passati circa dieci minuti ed aveva dormito profondamente. Si sistemò meglio sul sedile e si stiracchiò.

Guardò la ragazza per la prima volta con attenzione.

Era alta, almeno un metro e settantacinque, sui venticinque anni, ben fatta anche se un po' troppo magra...capelli corti biondissimi, occhi chiari...verdi ; jeans stretti e camicetta rosa molto aderente, stivaletti anch'essi di colore rosa con tacco alto...un tipo che non passa inosservato.  Il suo sguardo era fiero e deciso e suoi modi diretti e incisivi. Accorgendosi, la ragazza le lanciò un'occhiata.

      Non ho bisogno di cure. - Disse a bassa voce, tornando a guardare avanti. La macchina si fermò

bruscamente. Fissò la sconosciuta, la quale le puntò il dito esclamando :

      Io non ti voglio sulla coscienza! Se vuoi morire allora scendi!! Se hai problemi con la giustizia, ti porterò da uno che conosco...ma se davvero vuoi morire...accomodati fuori! Dannazione a me e a quando non mi faccio gli affari miei!!...sono troppo altruista io! Almeno, lo sono con i mutanti...ma comincio a pensare che tu non sia una mutante! Ora che ti guardo bene…dico proprio di no! Mi sono sbagliata! Ora scendi bella! -

Aprì la portiera e scese. Fece qualche passo e si portò davanti all'auto. Prese i lembi della maglietta con entrambe le mani e tirò su. La ragazza staccò le mani dal volante e restò a lungo a bocca aperta.

La ferita era scomparsa. C'era del sangue rappreso intorno, ma nessuna traccia della ferita.

Si infilò la maglia nei pantaloni e si avvicinò al finestrino dalla parte di guida. Inserendo il braccio oltre il vetro,  si allungò prendendo la mano della donna. Le passò qualcosa.

La ragazza aprì la sua mano e con stupore disse – Cacchio! - Sul palmo vi era il proiettile del fucile della cassiera. - Che diavolo sei? Come si può fare una cosa simile? - Cominciò a ridacchiare nervosamente guardandosi la mano.

      Non ho bisogno di cure,  te l'ho detto. Io posso guarire da qualsiasi ferita.

Si voltò verso la strada e cominciò a camminare. Il ventre non le doleva più, si sentiva molto meglio, una bella camminata l'avrebbe aiutata a pensare. Alla fine qualcuno le avrebbe dato un passaggio, era fiduciosa. Cinquanta metri dopo sentì il clacson.

      Senti, non so tu, ma io ho una fame galattica! Salta su che andiamo a mettere qualcosa sotto i denti! -  Continuò premendo il clacson. Aveva una gran fame anche lei e si precipitò di corsa

nell'auto senza farselo ripetere.

La ragazza cominciò a canticchiare un motivetto stupido ma a lei piaceva, il ritornello era semplice e poco dopo lo canticchiavano entrambe ridendo come matte. Si stava facendo sera quando arrivarono allo “ Skunk “, un pub per camionisti, in pratica in mezzo al nulla.

Parcheggiarono l'auto in fondo al viale, dietro ad un semiarticolato. L'autista stava dormendo, poco distante una donna stava scendendo da un camion sistemandosi la gonna.

Le passarono di fronte ed essa esclamo' – Stasera si guadagna poco! -

La ragazza le aveva dato la camicetta rosa, non poteva andare in giro con una chiazza di sangue come se niente fosse...neanche in posti come quello. Erano arrivate all'entrata quando la bloccò.

      Mi chiamo Leyla. Leyla Stevenson. -

      Yoko. Yoko Ishikawa. -

      Che razza di nome è? -

      Sono giapponese. -

      Ma tu non sembri giapponese! Non hai l'aspetto di una giapponese! Non hai gli occhi a....-

      I miei genitori adottivi erano giapponesi, sono cresciuta in Giappone. - Chiarì.

      O.k..., Yoko! Sei pronta? Stasera mangeremo e berremo a volontà! Credimi faremo di tutto e di più!! Fidati di me! –

Yoko le mostrò i soldi vinti.

      Lascia stare quegli spiccioli!! Guarda e impara! - Entrò spavalda nel locale, mentre Yoko la

seguiva preoccupata. La ragazza era un po' troppo spregiudicata, avrebbe dovuto tenere gli occhi aperti per tutta la serata, qualcosa le diceva che si stavano mettendo in brutte acque. Nonostante tutto, ne era divertita. Poi ricordò gli occhi della cassiera e il sorriso scomparve dal suo volto.

Due mutanti...una ladra e un'assassina a piede libero...questo non la divertiva affatto.

 

La tattica era semplice: Leyla adescava i  “polli”, così li chiamava, li portava nella toilette con la promessa di prestazioni da urlo...ed al momento opportuno entrava in azione Yoko, che tramortiva il disgraziato con un paio di pugni. Quando il tipo giaceva privo di sensi, le due ragazze gli sfilavano il portafogli e lo ripulivano di tutti i quattrini. Tutto liscio.

Tre mesi di perfezionamento e la tecnica andava sempre meglio. Soldi facili, nessun rischio.

Una sera invertirono i ruoli, Yoko adescava e Leyla colpiva. Chissà perché? Yoko non aveva mai adescato nessuno, tanto meno in una bettola di motociclisti americani...era tesa.

Non era vestita in maniera provocante, come aveva insistito Leyla, portava una maglietta e pantaloni neri, aveva i lunghi capelli scuri raccolti per metà che scendevano poi in trecce, il suo viso pallido non era truccato...la bocca carnosa era rosa e gli occhi, i suoi immensi occhi erano di un nero così profondo, da far perdere lo sguardo di chiunque.

Erano entrate nel locale, una ventina di persone in tutto...Leyla si diresse verso i bagni, Yoko cominciò a sondare il posto in cerca del “pollo”. Un tizio seduto al bancone attirò la sua attenzione.

Non era molto alto, ma ben piazzato...quarantanni circa...aveva diverse bottiglie davanti a se, probabilmente era sbronzo...teneva gli occhi bassi e le braccia conserte...fumava un sigaro.

Decise che quello sarebbe stato il bersaglio, forse era forte...ma a lei non erano mai piaciuti i lavori facili. Si mise seduta accanto a lui pensando a come esordire. Guardò il sigaro. Ne aveva fumati alcuni in passato e quello era uno dei migliori. Attaccò discorso.

      Mi lasci fare un tiro? -

L'uomo la guardò sorpreso. Non era brutto, ma aveva qualcosa di ...di animalesco nei tratti.

Come le era saltata in mente quella frase?? Cavolo! Non era possibile che avesse detto quella cosa!

Lui tornò a guardare la lunga fila di bicchieri che aveva davanti ignorandola.

      Sai, è un po' che ti tengo d’occhio...e non sapevo come attaccare bottone...- Yoko aveva detto

la verità, non sapeva cosa inventarsi...prese a giocherellare con le mani.

      Posso offrirti da bere, se vuoi. - Continuò l'uomo. Ecco! C'era riuscita, il ghiaccio era rotto! Si

sentiva un po' più tranquilla ora. Accettò. Bevvero in silenzio lasciandosi sfuggire delle occhiatine veloci. Yoko girò lo sgabello di lato verso l'uomo e gli sorrise passandosi una mano tra i capelli. Faceva sempre effetto, come insegnava Leyla.

      Sei una puttana? - Domandò all'improvviso l'uomo. Yoko rimase spiazzata.

      Allora? Sei una puttana? Perché  se è  così…è  meglio che giri alla larga. - Replicò.

In fondo era quello che doveva fargli credere...ma a quanto pareva il bifolco aveva dei sani principi morali, in qualche modo però doveva accalappiarlo!

-  No, scusami se sono stata azzardata…è che mi era sembrato ti servisse compagnia…ma se vuoi ti lascio solo. – Poi aggiunse strizzandogli l’occhio -  Ma non sai che ti perdi!!

L’uomo sorrise, Yoko lo osservò con i suoi grandi occhi e concluse che avrebbe fatto meglio a starsene serio, il sorriso non era appropriato a quel volto, forse non era il tipo che sorrideva molto spesso. Tuttavia era interessante, anche se aveva i capelli in disordine e la barba incolta e…non emanava proprio un buon profumo…era tuttavia interessante. Le ricordò un cucciolo di lupo e provò tenerezza. Scosse la testa per togliersi dalla mente quell’idea ridicola, era lì per agire, non per fantasticare su un poveraccio che tra pochi minuti avrebbe steso.

Bevve la birra gentilmente offertale. L’uomo si alzò, era basso di statura, quasi quanto lei, mise i soldi sul bancone e le si rivolse pacatamente:

- Allora? Passiamo la serata insieme? Andiamo? – Yoko gli fece cenno di seguirla ed entrò nella toilette. Era vuota, nella porta accanto c’era Leyla, lo sapeva, la sentiva, ma nessun altro. Solo il rumore di un rubinetto che perdeva e l’odore di urina che impregnava l’aria, chiusero la porta.

Yoko si appoggiò con la schiena al muro di fianco al water, l’uomo la squadrò, rimanendo immobile qualche istante in ascolto, quasi avesse avvertito la presenza dell’amica, poi si avvicinò poggiando le mani sopra le sue spalle. Per lunghi istanti i loro occhi rimasero incollati finché lui parlò: - È la tua giornata fortunata, piccola. Stasera voglio divertirmi e tu sei di mio gradimento. –

Yoko s’irrigidì, le mani le sudavano e le gambe presero a tremarle. Che diavolo aveva? Un essere pulcioso e viscido che doveva schiacciare nella maniera più semplice, le stava creando problemi…

Stava esitando. Non appena egli si chinò per baciarla lei scattò. Lo colpì con una ginocchiata all’inguine e gli sferrò un destro con tutta la forza che aveva, cacciando un urlo. Perfetta come un orologio, entrò in scena Leyla, lo colpì con una sbarra di metallo mandandolo a sbattere contro il water che si sbriciolò quasi fosse di gesso, mentre Yoko si teneva la mano dolorante.

- Ma che cavolo… - Leyla guardò la sbarra piegata da un lato. L’uomo era caduto ed aveva una profonda ferita sulla fronte dalla quale brillava qualcosa di metallico. Non aveva perso i sensi e le fissava furibondo pronto ad alzarsi. Si era messa veramente male!

Gettò l’arma improvvisata battendo in ritirata – Merda!! Filiamocela!! – Urlò in preda al panico correndo verso l’uscita. Troppo tardi, il “pollo” le era già addosso. Yoko, che era rimasta come pietrificata, guardava la scena senza intervenire, pensava. Un uomo così forte da piegare il ferro, non poteva essere fermato da semplici pugni o calci, ci voleva qualcosa di più. Respirò a pieni polmoni guardandosi la mano livida, poi, a passi veloci gli fu alle spalle. Una piccola pressione al lato del collo nella giusta maniera e l’energumeno stramazzò al suolo svenuto.

- Un altro po’ e mi ammazzava!! Fico però, lo devi insegnare anche a me questo trucchetto!! Come hai fatto? Proprio come nei telefilm… – Tossì Leyla finalmente libera, senza aspettare un istante, gli frugò nella giacca.

-  Forse abbiamo esagerato…- commentò Yoko.

- Ma che dici, è solo svenuto! Ha una brutta ferita alla fronte! Sbrighiamoci, prima che entri qualcuno!! – rispose brusca.

Aveva parecchi soldi sparsi nelle tasche, non se la passava male il cavernicolo…

Dalla ferita usciva molto sangue. Yoko era nervosa, il suo istinto le diceva che c’era qualcosa di sbagliato, i suoi sensi acutissimi fiutavano pericolo. Mentre Leyla contava i soldi, Yoko posò lo sguardo su di lui e gridò: - Via!! Andiamo via, subito!!

Prese la compagna per un braccio e la scaraventò fuori della toilette, correndo come una pazza, la trascinò fino all’uscita e sino all’auto.

- Metti in moto, dannazione!! – Continuò ad urlare.

Leyla partì sgommando. Quando furono abbastanza distanti, parlò: - Cavolo, Yoko! Sei impazzita? No, no. La prossima volta faremo come abbiamo sempre fatto!! Mi spieghi che caspita ti ha preso?? Porca miseria!!

Yoko teneva lo sguardo fisso davanti a se. Iniziò a parlare molto lentamente:

- Abbiamo sbagliato… -

- Che dici? Cosa abbiamo sbagliato?

- Hai visto la ferita alla fronte? – domandò, tenendo chiusi gli occhi.

- Si, allora? Te l’ho detto, non è morto!! Hai visto come ha ridotto la sbarra?  

- L’ho guardato…la ferita si stava rimarginando…troppo in fretta. Quando stavamo uscendo, la ferita era scomparsa!

 

Le ragazze rimasero in silenzio. L’auto avanzava a velocità sostenuta…non avrebbero detto una parola per almeno un paio d’ore.

 

 

Alla stazione di servizio Leyla scese ed andò verso il distributore di bibite, Yoko rimase in auto.

Le venivano in mente gli occhi dell’uomo, tristi, gentili ma al tempo stesso spietati…il livido sulla mano era sparito. Gettò la testa all’indietro. Era giunta in America in cerca di pace, era venuta in questo paese per ricominciare a vivere…ma nulla poteva essere cambiato…ciò che siamo, rimaniamo in eterno.

 

- Tieni! – La interruppe Leyla porgendole una Coca Cola.

- Adesso basta! Era un mutante…qualche problema? Peggio per lui!

- Non so perché, ma temo che il peggio sia per noi…- Sospirò.

- Esagerata. Quando si sveglierà sarà solo un pò incazzato!! - Replicò Leyla appoggiandosi allo sportello.

- Tempo scaduto! Si riparte. Staremo più attente, controlleremo meglio i polli prima di spennarli, mai più mutanti. – Gettò il bicchiere di carta a terra, si sedette, sorrise a quaranta denti e mise in moto.

 

Non conoscevano la zona e ci misero un bel pò  prima di trovare il motel segnalato sulla cartina.

- Abbiamo girato in tondo come cretine! Eccolo qui, finalmente! Sono stravolta, non vedo l’ora di farmi una bella doccia. – Disse Leyla stiracchiandosi dopo aver parcheggiato. Yoko scese ed annusò l’aria. – Che stai facendo? – chiese annusando a sua volta.

- Niente…- Rispose non molto convinta. Entrarono nella reception dove un signore con gli occhiali spessi stava guardando una vecchia tv in bianco e nero.

- Si? Buonasera signorine. Una doppia o due singole? – Chiese masticando un chewingum.

Una doppia poteva andar bene, Leyla firmò il registro mentre Yoko continuava ad annusare l’ambiente. Stavano salendo quando l’ometto con gli occhiali corse loro incontro:

- Hey voi! Stavo per dimenticarmene, il vostro amico vi ha cercate!

- Che cazzo dici? Quale amico? – disse Leyla.

- Ma si, il vostro amico…il motociclista…vi ha descritte benissimo…ha detto che sarebbe ripassato tra poco...

Yoko la prese di nuovo per un braccio: - È lui! Ci sta cercando!!

Salirono in macchina, Yoko alla guida, partì di corsa lasciandosi dietro una nuvola di polvere.

 

Il peggio era per loro. Spinse l’acceleratore a tavoletta.

 

 

Ora erano lì. Distese in un letto di un istituto che, come spiegavano, avrebbe dovuto ospitare

“ giovani dotati “, ma che somigliava ad un rifugio per fenomeni da baraccone.

La donna dell’ascensore era una dei docenti, uno degli elementi più anziani dell’allegra brigata. Le  aveva rivolto solo poche parole, mentre lei si era prodigata nell’accoglierle, nel condurle dal “capo”, nell’illustrare loro alcune delle regole a cui attenersi. Non le era piaciuta…e la cosa era stata reciproca.

Avevano avuto un lungo colloquio di ammissione con il suddetto “capo”, appunto, un certo Xavier che chiamavano professore, un uomo sulla cinquantina, di bella presenza, abbastanza alto…lo supponeva, dato che sedeva su una sedia a rotelle, dalla parlata suadente e dagli occhietti vispi e penetranti. Le aveva accolte come in una grande famiglia, una famiglia un po’ particolare, formata da elementi come dire…speciali. Il suo desiderio era quello di poter vedere un giorno, umani e mutanti coesistere in armonia tra loro. Yoko era divertita da quell’assurdità.

L’istituto somigliava ad una specie di paese dei balocchi, c’era di tutto: una grande palestra attrezzata, due piscine, un campo da tennis e uno da golf, una sala per le proiezioni, una mensa, aule didattiche, laboratori e soprattutto…camere confortevoli. Leyla era entusiasta.

- …Mettere i nostri poteri al servizio dell’Umanità. – Era la frase che aveva detto la donna…si, quella dell’ascensore, ma doveva avere un nome…non ricordava bene…una certa Green, o forse May…Grey, si era Grey. Signora Grey dai lunghi capelli rossi che aveva cercato di intrufolarsi nei suoi pensieri…la cosa l’aveva infastidita molto.

 

Le avevano invitate a servirsi della mensa, attraversando l’edificio e percorrendo un lungo corridoio affollato di ragazzini che schiamazzavano.

Yoko e Leyla, un po’ a disagio data l’età, si erano sistemate ad un tavolo libero leggermente distaccato dagli altri, in modo da osservare le persone presenti in sala. Un gruppetto di ragazze stava parlottando della lezione di fisica appena terminata, più a sinistra due ragazzi stavano inviando sms. La signora Grey si era allontanata, andando incontro ad un tizio dai buffi occhiali rossi. Dal loro atteggiamento, Yoko comprese che tra i due c’era qualcosa di intimo. Poco distante, un ragazzo biondo con delle lunghe ali stava mangiando delle patatine fritte, mentre la ragazza accanto a lui ne intingeva alcune nella maionese.

- Yoko – Chiamò Leyla sottovoce. – Ci sono un paio di ceffi che ci guardano…da un pezzo.

Le fece cenno di voltarsi. I due erano seduti uno vicino all’altro e le stavano salutando. Yoko si rivoltò verso Leyla e sentenziò: - È proprio una piccola bottega degli orrori!

Leyla, zittendola, rispose al saluto agitando le dita ed in men che non si dica…gli individui erano di fronte a loro con i rispettivi vassoi.

- Possiamo sederci con voi? – Domandò il primo.

- Direi di si, c’è abbastanza spazio. – rispose Leyla sbattendo gli occhi mentre Yoko le mollava un calcio sotto al tavolo -  Un po’ cresciutelli per fare i cretini! – Pensò.

- Danken. – ringraziò il secondo, un essere alquanto bizzarro.

Si sedettero e Yoko, come al suo solito, cominciò ad analizzarli.

L’essere dall’accento germanico aveva la pelle ricoperta da un corto pelame bluastro, due orecchie lunghe ed aguzze, gli occhi gialli, insomma… somigliava ad un diavolo. – oh, merda! – pensò. La sua attenzione era stata attirata verso il basso, da qualcosa che sporgeva dalla sedia…aveva la coda. Diamine!

Ma le stranezze non erano finite. Il mostriciattolo possedeva tre enormi dita per ciascuna mano e non calzava scarpe, aveva dei grossi piedi prensili. Accorgendosi della sua sorpresa, il tedesco le rivolse un gentile sorriso e scodinzolò. Yoko distolse lo sguardo.

- Siamo appena arrivate. Io sono Leyla e lei è Yoko. Siamo mutanti. – Aggiunse sottovoce.

- E chi non lo è qua dentro? – Rise l’altro, un ragazzo apparentemente più normale.

- Piacere, io mi chiamo Bobby – Rivolse la mano a Yoko, che declinò l’invito.

- Mi chiamano Uomo Ghiaccio.    Continuò strizzandole l’occhio. Posò la mano sul suo bicchiere che in un momento gelò, inglobando il contenuto.

- Il mio nome invece è Kurt, non fatevi ingannare dall’aspetto…sono un angioletto! – Rise verso Leyla che ricambiò esclamando : - Io sono in grado di produrre calore…al contrario di Bobby, posso creare il fuoco – Spiegò lei, felicissima di poterlo dire finalmente ad alta voce e accendendo una fiammella sul dito indice.

- E tu Yoko? Che dono hai? – Domandò l’uomo ghiaccio.

- Quello di farmi gli affari miei! È un dono raro oggigiorno!! – Scattò alzandosi e battendo il pugno sul tavolo facendo sobbalzare i vassoi.

Si portò velocemente fuori della sala, ringhiando ad ogni sguardo che incontrava…corse fino a raggiungere una delle grandi finestre del corridoio. Si appoggiò al davanzale.

Aveva quasi perso il controllo. Dove era finita? Perché si era fatta trascinare? Nascondersi di nuovo, rinchiudersi in quell’istituto per il resto della sua vita…no, non ancora una volta…

Continuare a celare il suo potere, la sua dannazione, questo era di primaria importanza.

Non lo avrebbe mai e poi mai messo al servizio dell’Umanità…mai donato a quella gente che aveva reso un inferno la sua esistenza, che le aveva tolto ciò che più amava…mai!

Una vita normale. Non era possibile…

La bestia era in agguato.

 

Era totalmente immersa nei suoi pensieri quando si accorse della presenza di Leyla alle sue spalle, la vide riflessa nel vetro.

- Stai rovinando tutto! – Urlò – Avevamo deciso di cambiare vita! Perché negarci questa opportunità?? – Yoko si era voltata, Leyla la prendeva a spinte.

- Io voglio fermarmi! Voglio avere un posto da poter chiamare “casa”!! – Scoppiò in lacrime.

- Sono stanca, devo trovare uno scopo nella mia vita.. –

Le passò oltre senza fiatare. Leyla la tirò per la maglia : - Che fai? Dove credi di andare?

Era una scena patetica, non aveva intenzione di replicare, era tutto così insopportabile, si liberò dalla presa e continuò a camminare.

- Codarda! Hai paura!! – Inveì l’amica. – Hai paura di rivelare ciò che sei!! Scappa! Scappa pure!! Continuerai a farlo per tutta la vita! È questo quello che vuoi? Mentire a te stessa,  piangerti addosso perché non riesci a cambiare!! È questo che chiami vivere??

Prese Leyla per il collo e l’appiattì contro la parete.

- Tu non sai cosa significa avere paura! – Le sussurrò all’orecchio. – Io non posso essere aiutata! Non chiamarmi codarda, me ne vado per il bene di tutti. Tu non mi conosci affatto!! – Concluse scandendo l’ultima frase.

- Chiunque può essere aiutato, qualora lo voglia. –

Lasciò il collo di Leyla che scivolò sul pavimento senza fiato e si voltò in direzione della voce.

Il professor Xavier la stava fissando severamente.

- Lascia che sia io a guidarti. – Ora non stava parlando, ma riusciva ugualmente a sentire la sua voce nella testa. Si portò le mani alle tempie scuotendo il capo : - Esci fuori dalla mia mente!-

Allora lui parlò: - Non stavo spiando i tuoi pensieri, non lo faccio se tu non vuoi. Stai brancolando nel buio,  io ti offro una luce da seguire. Rimani.

- Ci sta dando una possibilità…tentiamo. – Disse Leyla.

- Solo qualche giorno, lo faccio per te. – Rispose aiutandola ad alzarsi.

Seguirono il professore che indicò il loro alloggio, dopodiché, in assoluto silenzio, scivolarono sotto le coperte. Leyla si addormentò quasi subito, Yoko rimase a guardare il soffitto.