Marvel IT presenta

 

G L I  I N C R E D I B I L I  X – M E N

 

 

# 21: SIBERIA - parte 2

 

(Questa storia sisvolge prima di X-Men 13)

 

 

 

 

Pietro H. P. L.Meroni – storia

rossointoccabile– supervisione Marvel It

Carlo Monni –supervisore capo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Questo racconto vi è offerto daM.T.L. - Mutant Transport and Logistics -

che vi da appuntamento a più tardi.

 

 

 

Tempesta, I

 

Gli eroi arrivano nella terribilecittà di Magadan come tutti gli altri: in autobus.

Mescolati a siberiani che hannol'aria di averne viste troppe nella loro vita, destano curiosità quanto untombino scoperchiato.

La testa affondata in un enormecolbacco, Ororo Munroe spia di sottecchi il suo nuovo gruppo: Kurt Wagner siguarda intorno, come sempre curioso e attento. Betsy Braddock si guardaintorno, ma la sua curiosità è fin troppo evidente e monotematica. Rogue lesussurra qualcosa all'orecchio, probabilmente per tenerla buona.

 

Le strade russe sono la cosa innatura più vicina al concetto geometrico di linea retta. Dritte, dritte e ancorapiù dritte, fino all'infinito. Gli eroi abbandonano la vista delle colline checircondano la città, coperte di neve, perdendosi fra le quinte di palazzi daicolori molto gradevoli per l'animo umano, in sfumature che vanno dal grigiosporco al giallo marcio.

 

Ororo Munroe si chiede, perl'ennesima volta, che gusto provino gli uomini ad abitare in luoghi così nemicidella vita. Ma Magadan non è una città come le altre. L'autobus raggiunge lacima di una salita ed eccolo là, alla fine della linea retta, vicinoall'infinito. Il mare.

 

Un mare gelido, nemico di ognitocco per la maggior parte dell'anno. Un mare dove vivono ancora fossiliviventi come i Celacanti. Ogni tanto i pescatori ne tirano su uno e si fannofotografare. Qualsiasi cosa, vero Signora dei Venti, piuttosto che pensare acosa ci fai qui?

 

«Che schifo!».

«Buona Betsy…».

«Non è stata Betsy a parlare. E'stata Rogue. E ha ragione».

Gli eroi scendono dall'autobus inquella che probabilmente è la piazza principale della città. Una torre quadratacon un enorme orologio, come un occhio solo, li squadra dall'alto. Sottol'orologio c'è un cartello con scritto l'anno in corso. Casomai qualcuno se lodimenticasse.

«Ci sarà una statua di Lenin, daqualche parte…».

«Perché non ci siamo fattiteleportare fino a qui, Ororo?».

«Per materializzarci in mezzoalla piazza dei Soviet, così come se niente fosse? Questa non è New York,Rogue. Finchè non saremo ben certi di quello che succede qui, faremo meglio aconsiderarla una missione segreta!».

«Di solito le nostre missionisegrete restano segrete per 5 minuti…».

«Questa volta dovrete impegnarviper farla durare di più. Shinobi non era in grado di essere più preciso:soltanto che nelle vicinanze di Magadan c'è qualcosa di grosso… e Tessa ci èrimasta in mezzo!».

«E come faremo a scoprire di cosasi tratta?».

«Oh bella! Andandolo a chiedere!Ho un vecchio amico che abita giusto un paio di vie più in là…».

«Tu hai un amico che abita nelbel mezzo della Siberia?? E chi sei, Logan?!?!».

«Si chiama Boris Eryomin.Anni fa credeva di aver coronato il suo sogno: una battuta di caccia grossa inAfrica. Gli dissi che se non mollava quel fucile gli avrei fulminato ognipossibilità di riproduzione. Da allora si è dato alla fotografia, e adessolavora alla Severnaya Pravda. Fa semprecomodo un amico giornalista, no?».

Kurt Wagner si gratta la testa.Ha come l'impressione che sarà un gesto che ripeterà spesso, nell'immediatofuturo.

«Nel frattempo, Kurt, tu potraiaccompagnare le ragazze alla ricerca della statua di Lenin. Mi pare che sianella piazza della Cattedrale, se non sbaglio. Molto ironico, non trovi?».

 

 

 

 

Tessa, I

 

Finalmente la porta giù, sotto, nella pancia dellacollina.

I suoi giorni sono statiindefiniti, sospesi. Incontabili. Il che per lei è quasi un supplizio.

Si è trascinata con un barlume dicoscienza attraverso momenti di una debolezza infinita, quella debolezza che,lei lo sa, un corpo può provare unicamente quando è ad un passo dal morire difame.

Ma lei è nutrita, tenuta al caldoin una baracca stretta e pregna di odore di steppa, con un letto grande come uncassetto dove l’uomo la mette a giacere, sfinita.

A volte la sua mente, il suocorpo, sono stati sul punto di risvegliarsi, e allora lui l’ha presa, ancora,in silenzio, con i modi spicci di un contadino, trovando il proprio piacereanche nella sua totale passività.

E allora lei ha capito.

 

Capisce anche ora, dopo giornipassati da sola, con le forze che tornavano piano piano, con la mente cheriprendeva a funzionare, con i concetti che tornavano ad avere senso, con leanalogie che di nuovo saettavano impazzite da una sinapsi all’altra.

L’uomo la guarda, mentre laconduce a braccetto lungo una ripida scala a pioli d’acciaio, e dal suo sguardolei intuisce che lui sa. E che non gli importa.

«Ha mai visto quel vecchio film,miss Niles?» le dice, «Quello dove si dice: “Gli uomini si dividono in duecategorie”. E’ proprio così, non trova? Per lei quali sono le due categorie?».

«I vivi e i morti».

Lui ride. «Notevole! Ma dinessuna utilità. Per me gli uomini si dividono fra gli utili e gli inutili. Leiè utile. Per questo è qu ».

“E sono viva”, pensa lei.

Il tunnel è probabilmente ciò cheresta del cunicolo di una vecchia miniera. E’ stato allargato di recente, perpermettere l’accesso di mezzi pesanti. Loro invece si muovono camminando su unapassatoia in acciaio, sospesa, che risuona fredda e lugubre ad ogni passo.Sotto di loro è la strada, perfettamente pulita e sgombra, attraverso cui ilmistero viene nutrito.

“Siamo in alto per vederemeglio!” pensa lei.

Appena la vede, inizia adanalizzarla.

La forma è semplice,straordinariamente semplice. Ma certo! Niente circuiti a vista, niente caviscoperti, niente tubi giganteschi. Nemmeno la prima macchina di Victor Von Doompossedeva questa severa semplicità. Pura funzione.

E’ situata all’incrocio di tredorsali energetiche. Normalmente non se ne sarebbe accorta, ma la macchina ècome se amplificasse i tracciati: li può quasi vedere ad occhio nudo. Tuttonella costruzione, nel disegno degli elementi, il modo in cui le curveamplificano e guidano l’energia, facendola scorrere come acqua di risacca,rivelano studi di geomanzia. È una macchina costruita come se fosse un albero,una pietra o un ruscello. Una macchina spuntata dalla terra.

Il calore che sprigiona è enorme,per questo è stata costruita qui, in profondità, schermandola così anche dairilevatori dei satelliti.

«Lei comprende cos’è, vero MissNiles?».

«Lo comprendo, ValerijVassirionovich».

L’uomo scoppia a ridere.

«E’ la macchina che fa girare ilmondo».

 

 

 

 

 

Tempesta, II

 

Ma andiamo, quale russo siberianosi potrà mai permettere un safari in Africa? Esatto, un mafioso. Oppure unmatto.

Boris Eryominnon è un mafioso. E' probabilmente l'unico russo al mondo che abbia speso tuttal'eredità di sua madre non per acquistare una dacia sul Mar Nero ma per fare unviaggio in Africa. E in Africa Boris Eryominha incontrato una vera Dea.

Ma a proposito di mafiosi: aMagadan c'è sempre stato un habitat molto favorevole, anche se un po' freddino,per questa specie biologica. Oro, gas, petrolio…

«E ora?».

«E ora i mutanti, è chiaro».

«Schiavi? Gladiatori?».

Boris Eryomin ride di una risata russa. E' un uomo grandee grosso, tozzo persino. Ha capelli e barba grigi, così soffici che sembranouna spugna, e i pezzi di faccia visibili sono rubizzi. Colpa del gelo. Porta unpaio di occhiali da vista che probabilmente ha rubato a Elton John, un maglioneche sembra la pelle di un orso e un paio di pantaloni di velluto verde.

La sua casa è rivestita, cometutte le case siberiane, di una tappezzeria che indurrebbe al suicidioVoltaire. Boris Eryomin e la Dea venutadall'Africa siedono su due poltrone da poco prezzo e di cuoio sintetico, condei centrini di pizzo appoggiati sugli schienali.

«Ce l'avevano sempre detto che l'Americaera decadente! No, Mia Bella Signora, niente di tutto questo. Semplicemente,lavoratori. I mutanti di queste parti sono lavoratori eccezionali. Sarebberostati la gioia e l'orgoglio del Socialismo, nelle passate stagioni. Resistential freddo, alla fatica, alla fame. Questo a prescindere dai loro poteri. Sonoottimi lavoratori pesanti, tutto qui. E c'è una grande richiesta di questilavoratori, ultimamente…».

«Per cosa?».

«Hai idea di cosa significhiscavare un pozzo petrolifero a 40 gradi sottozero? O estrarre il gas da sottoun lago ghiacciato dieci mesi all'anno? E' così che si costruiscono le fortune,qui».

I russi hanno uno strano concettodel tempo. E le parole non si possono evitare, saltare o tagliare. Si dicono,tutte. Ororo Munroe guarda fisso il suo ospite, in silenzio. Pure lei ha unostrano concetto del tempo. Soprattutto quando non ne ha da perdere.

«D'accordo…» sospira un uomo cheè stato cacciatore di frodo per dieci minuti, «Se vuoi sapere esattamentecos'è, non lo so. Nessuno lo sa. La zona è quella di una vecchia miniera. Manon stanno scavando. Nessuno porta fuori niente. I camion entrano pieni edescono vuoti!».

«E cosa trasportano?».

«Un mio amico fa il camionista.Gli hanno fatto trovare il container già pronto. Ma lui ha forzato la serraturae ha dato un'occhiata, come vogliono le giuste regole del trasporto su stradasiberiano… Cosa ha visto? Non lo sa nemmeno lui. Roba elettronica. Giapponese,forse. Dice così per via degli ideogrammi. Ma potrebbe anche essere cinese. Oraanche i cinesi vanno forte con l'elettronica, no? E pure gli indiani, hosentito dire».

Dev'essere questa terra, pensa laDea. Dev'essere questa terra.

«Per molti ingegneri in questacittà è una benedizione. Hai un'idea di quanti ingegneri ci siano a Magadan?Abbiamo qualcosa come 15 istituti di tecnologia. Uno dei nostri orgogli. Gliingegneri sono la merce più richiesta da Kuznecov. Anche più dei camionisti».

«Kuznecov?».

«Si fa chiamare così. Ma sonoabbastanza sicuro che non sia il suo vero nome. Lui è un antico siberiano, unoYukagir. Almeno così dicono. Il suo vero nome deve essere impronunciabile».

«Chi è?».

Boris Eryominsi limita ad un sorriso.

« Un'ombra».

«Cosa vuoi dire?».

«In Russia ci sono due tipi dipotere. Quello dei pezzi grossi e quello delle ombre. La differenza è che ipezzi grossi possono cadere: guarda cosa è appena successo ai grandi signoridel petrolio. Le ombre, invece, non cadono mai. Se nasci a Magadan, ti ritroviaddosso fin dalla nascita due cose: un freddo becco e Valerij VassirionovichKuznecov. E nessuno dei due te lo togli di dosso per tutta la vita».

 

 

 

 

Tessa, II

 

«Non credevo ci fosse qualcuno in America a conoscenza delmio nome, miss Niles!».

«La realtà è fatta di nomi, Valerij Vassirionovich. Rosapraenestina tenemus. E il mio compito èdare un nome a tutto!».

«Per chi? Per il suo pigmalione, Sebastian Shaw?».

«Non sono altro che uno strumento… per colui che domina ilmondo».

«Ha! Si aspetta che io le creda? La conoscenza è potere,si dice dalle sue parti…».

«Lei non ha la minima idea di quali siano “le mie parti”,Valerij Vassirionovich!».

«Sia. Avrà modo di dirmelo, nei lunghi inverni siberiani.E in fondo lei ha ragione, miss Niles. Lei è solo uno strumento. Uno strumento mio».

Valerij Vassirionovich Kuznecov stende il braccio sullamacchina.

Lei pensa: “Pochi sono i nomi ben dati, ma il suo gliappartiene sicuramente”. Kuznecsignifica fabbro in russo. E leivede, nelle pose, nelle movenze dell’uomo che le parla, tutte lecaratteristiche dell’artefice.

«Lei è una delle poche in grado di capire, Miss Niles, cheuna cosa del genere non può essere costruita. Può essere portata nel mondo, questo sì. Ma chiunque si illuda dicostruirla, inganna soltanto se stesso».

«Un fisico scozzese, Morrison, ha teorizzato una macchinacome questa partendo da un origami».

«Lo conosco. Una mente ispirata. Ma la Siberia non è unaterra dove si può stare a piegare carta».

«Eppure in molti hanno affrontato questo problemacostruendo».

«Se sta parlando di chi immagino, le devo dire subito che lamia creazione è totalmente diversa dalla loro!».

«In cosa?».

«Nello scopo!».

Lei lo guarda. Sfidarlo è uno spreco di energia, che lepuò essere tolta in qualsiasi momento. Eppure non riesce a farne a meno. Non hamai fatto proprio il concetto di “speranza”: la speranza è un terminesoggettivo. Esistono solo le probabilità. E mentre le probabilità fluisconodavanti ai suoi occhi, è come se lui le leggesse la mente, perché alza gliocchi come ad assaggiare l’aria e dice:

«Eccoli. Stanno arrivando».

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Rogue, I

 

La Siberia vista dall’alto è come un foglio su cui nessunoha mai voluto scrivere.

Tempesta genera una bolla d’aria calda: tutto quello chesi può per impedire al morale di affondare. Betsy sta aggrappata alle mie manicome una trapezista, dando dei punti a Kurt che penzola dalle braccia diTempesta come un prosciutto. Povero Kurt, ce ne metterà ad abituarsi a questonuovo stile!

 

C’è una strada, sempre e solo dritta, non sembra nemmenovera. Cioè, ogni strada ha le sue curve, no? Invece questa procede sempredritta, sotto di noi, sottile come un filo di lana grigia. Una linea retta checonduce… dove?

Il terreno, quando è libero da neve, è un intrico di verdee marrone, come se qui anche l’erba potesse arrugginire.

«Qui anche i pini sono nani» sento dire a Kurt.

«Come?».

«È un racconto di Varlam Shalamov, uno scrittore che fucondannato a venti anni di lavori forzati qui in Siberia, perché era undissidente politico. Parla degli alberi di questa terra, piccoli, tenaci, cheriescono a sopportare gli inverni».

«Hai avuto un bel po’ di tempo libero, eh elfo?».

«Qual è il piano, Tempesta?».

«Credo che sarà impossibile evitare lo scontro. Il primoobiettivo è liberare Tessa. Scoprire cosa succede qui potrà essere utile oppureno, ma lo giudicheremo dopo».

«È proprio questo il punto. Perché sei disposta arischiare così tanto per liberare Tessa?».

«Kurt, se stai per dire che lei non muoverebbe un dito pernoi, risparmiati il fiato. Questa è tutto fuorché una missione altruistica.Portiamo aiuto a Tessa semplicemente perché ci serve».

Adoro Ororo quando fa la cinica. Anche Kurt deve adorarlaperché apre ancora la ciabatta:

«E tu pensi di essere davvero in grado di usarla?».

Oddio, lo vedo già stampato per terra. Invece no. Lei silimita a sorridergli. Un sorriso che farebbe venire i brividi ai sassi.

 

 

 

 

 

Nightcrawler, I

 

Ha letto che molti uomini hannotrovato Dio, in un posto come questo. Molti altri, invece, in un posto comequesto si sono convinti che non può esistere.

Per gli ultimi due o trechilometri gli eroi scarpinano.

Si muovono sparsi, quasi pigri,sempre protetti dalla bolla di aria temperata di Tempesta. Si sentonovulnerabili, in un pomeriggio che veloce galoppa verso la sera, a camminare nelbel mezzo del niente, calpestando licheni e terreno gelato. Vulnerabili,esposti, come se nulla possa nasconderli o proteggerli da… da cosa? Dall’occhiodi questa terra, pensa Kurt Wagner.

 

C’è una vastità angosciante,appena sollevata dal profilo delle colline metalliche all’orizzonte. Unavecchia torre di fil di ferro, rimasuglio di un’epoca passata, è l’unico puntodi riferimento. La strada che seguono i camionisti è alla loro destra, lontana.Camminano per il nulla, con l’idea di calpestare qualcosa per la prima volta.

 

I loro passi sembrano fondersi inun battito unico, uno scalpicciare cadenzato, un po’ cadente, come due ditapigre che picchiano sui tasti di una pianola. Un rumore sordo, un battito, sialza dalla terra. Cos’altro può essere se non i loro passi?

Il battito li accompagna, ilrecinto di filo spinato cadente non li sorprende. Lo aspettavano già da un po’.

E subito dietro, un uomo chespacca carbon fossile con una mazza. Pigro, cadenzato, costante. Il rumore chesi è fuso ai loro passi, che li ha guidati fin lì.

L’uomo alza appena la testa esorride.

«Vi stavo aspettando!» dice, ininglese.

 

 

 

 

 

Psylocke, I

 

In fondo, l’unica differenza inlei è che non riesce a dare nome all’urgenza che la spinge.

L’avverte e reagisce, senzaanalizzarla. Il tempo è qualcosa di elastico per lei: alcuni istanti duranocome pomeriggi, altri sono già fin troppo lunghi e bisogna saltargli addosso,combatterli, farli finire ancora prima della loro brevissima fine.

Questo è uno di quelli.

Il filo spinato, che non morderebbepiù nemmeno un foglio di carta, cade davanti a loro. Lei si scaglia sulboscaiolo. E’ LUI!!! grida dentro di sé, e non ha il tempo di processare ilconcetto e tradurlo in parole che anche gli altri capiscano. E’ LUI!!!! e nonsa nemmeno lei chi sia questo “lui”, non ha capito un granchè del perché sianolì e cosa ci stiano a fare, ma come la vedetta di un branco, intuisce subito ilpericolo. E lo affronta.

 

Non ha problemi a schivare lapesante mazza che l’uomo stava usando per spaccare il carbone. Lei è fluida,leggera; pensare di colpirla è come pensare di spaccare l’aria. Danza davantiall’uomo, imponente, lento, impacciato in una specie di coltre di stracci chedovrebbe essere un pastrano.

Ma all’improvviso diventa solida,dura, pesante. Tutto il peso di un masso, nella punta delle dita. Come un cuneospacca la roccia, due dita toccano il polso dell’uomo. La mazza cade.

L’uomo urla, ma lei percepisceche c’è qualcosa di sbagliato. Le sembra un urlo finto, quasi una recita. Provaun calcio al volto. L’uomo barcolla, ma riesce ad afferrarla.

Rischio previsto, calcolato senzacalcoli dai suoi istinti. Si può liberare… E proprio in quel momento, lacolpisce. Una debolezza infinita. Lei si divincola, all’improvviso sgraziata,pigra, i muscoli rigidi, le mosse come un burattino. Non c’è più alcuna armoniamentre un enorme vuoto si apre dentro di lei, la vista si appanna, i riflessidiventano lenti come ore, gli istinti corrono a nascondersi, lasciando il postoad una vergognosa, inspiegabile voglia di piangere.

Lei non ha parole perriconoscerla, perché non l’hai mai provata. E’ la fame. Piomba a terra come unafoglia secca.

 

 

 

 

 

Nightcrawler, II

 

L’idea è buona.

Teleportarsi alle spalledell’uomo e bloccarlo con una stretta al nervo vago, dietro al collo.

Scompare dal fianco di Tempesta,prima di sentire cosa lei stia dicendo, in una nuvola di zolfo. L’uomo è fermo,la distanza calcolata.

Quando appare, una mano è li adaspettarlo e lo afferra al collo.

Non è la mancanza d’aria che lofa svenire. Avviene tutto troppo in fretta, un’onda lo sommerge e si porta viatutta la sua forza, la sua energia, la sua mente. Ha già provato qualcosa disimile: un ricordo quasi sepolto risale, il dolore che rispecchia il doloreinflittogli, molto tempo prima, dall’entità senza tempo e senza nome che gliX-Men affrontarono in Africa. La fame, la fame…  I suoi amici la chiamano la fame… Sviene.

 

 

 

 

 

Rogue, II

 

«Evita ogni contatto, Rogue!».

«E cosa dovrei fare?! Guardarlostorto??».

Mi lancio rasoterra con lavelocità di un siluro. Il mio pugno staccherebbe la testa di un uomo normale.Ques’uomo barcolla appena. Me l’aspettavo. Lui mi afferra per il braccio ecerca di trascinarmi più vicina. Bravissimo.

«Sorpresa, bellezza! Il veroattacco è questo!» e lo bacio.

«No!!» grida qualcuno lontano.Non importa. Ce lo faccio. Lo vedi? Le sue gambe cedono. Lo sto assorbendo… Losto assorbendo, Ororo… Dio… quanto è vasto… quanto passato… come è possibile? Equesto orizzonte? Cos’è questo… orizzonte…?

 

 

 

 

 

Tempesta, III

 

«E’ questa terra, ragazzina» dice una voce che non è di Rogue attraverso lelabbra di Rogue. «Ed è troppo vasta per te!».

C’era da aspettarselo. Il corpodell’uomo si adagia a terra, ma non c’è Rogue negli occhi di Rogue.

E’ straordinariamente facilerichiamare una bufera di vento, a queste latitudini. Tenerla concentrata in unpaio di metri quadrati è il difficile. In quei due metri la temperatura scendea settanta gradi in negativo. I venti ululano a più di 150 chilometri all’ora.Ma come accadde con Magneto, nella sua base antartica, sembrano non avereeffetto. Rogue odia il freddo, ma l’uomo che ha spodestato la sua psiche cisguazza. Dovrà osare di più.

Una cupola di fulmini ricopre ilcorpo della sua protetta. Protetta, Rogue?Strano che si ritrovi a pensare così. Eppure non riesce a considerarlaun’amica. Non importa. Si concentra. Conosce bene i limiti dell’invulnerabilitàdi Rogue. Spera di riuscire a far cedere il suo corpo, e con esso la mente chelo controlla. Non si accorge, mentre tesse scariche elettriche che vetrificanoil suolo, di come i suoi stessi venti la trascinino vicino, sempre più vicino…

La mano di Rogue scatta, leblocca la trachea. Un solo modo per liberarsi. I fulmini aumentano d’intensità,si concentrano sui due corpi che paiono entrambi immuni alla furia elettrica.Venti nascono dal nulla e nello spazio di pochi centimetri subisconoaccellerazioni impossibili. L’aria si rarefa, come in alta quota. La Dea provauna gioia selvaggia nell’orchestrare con tale violenza la musica della natura.Non sente dolore o sforzo: sente solo il tempo atmosferico, come le tessere diun mosaico, fluire verso di lei, come se lei fosse un centro di gravità.

Poi, all’improvviso, lapesantezza la prende alla pancia. Le scariche si indeboliscono, cessano. Riescea pensare: Non è lui! Non è lui! Sono io! Questarealizzazione la stupisce, ma non c’è più tempo. Tutto si fa sordo, anche sealla Dea sembra quasi di sentire, lontano, il pianto di un bimbo.

 

I venti si sono dispersi. Ilcalor bianco lascia di nuovo il campo ai colori. Strisciando sui gomiti, TessaNiles esce dall’imboccatura della galleria, debole ed inutile. E’ l’unicospettatore che assiste alle ultime parole, pronunciate da una Rogue che non èRogue:

«Avresti potuto farcela. Avrestipotuto, sacrificando tutta la tua energia. Ma tuo figlio non te l’hapermesso!».