PROLOGO: Upper East Side, Manhattan, New York City

 

Niente di nuovo, sotto il Sole. Giorno diverso, stessa merda…Hmm, forse no. Qui eravamo nella zona ‘alta’, quartieri eleganti, vetrine più scintillanti. A parte un eccesso di maledetti mutanti, qui la merda puzzava ancora di più. Perché qui tutti facevano finta che non esistesse. Tanto, per spazzarla c’eravamo noi, e in un modo o nell’altro, obbedivamo agli ordini ed alle mazzette -quelle sì che sono un argomento con-fottuto-vin-cen-te.

Oggi, dovevamo spalare un brutto mucchio: un giovane, massimo 26 anni, biondo, capelli corti e ricci, atletico. E molto morto. Indossava un abito che per comprarlo mi ci voleva la pensione di due lavori. La manica destra era arrotolata, e si potevano ben vedere i segni dell’ago e dell’elastico usato per l’endovena. Uno scemo che aveva deciso che la solita coca non bastava, e aveva deciso di farsi un viaggetto con roba forte, pura 100%, non tagliata. A parità di dose, la punta di un cucchiaino, pare che ti regalasse un gran bell’orgasmo prima di mandarti all’altro mondo. Era un dato di fatto che i tossici schiattati da ‘pura’ avevano un’espressione più scema del solito.

Dite che mi ero messo un po’ sul piedistallo? Naah, è che quando uno aveva il mio problema, be’, non si sentiva ben disposto verso chi i problemi se li cercava in nome di uno sballo istantaneo. Nossignori, non John Jameson, Detective di III grado del glorioso NYPD… “Apro, chi è lo sfigato?”

Questo mi valse una gomitata dal mio compagno, una delle poche donne al mondo con i controcoglioni, il Detective di II grado Kristine Saunders. Capelli biondi che illuminavano una stanza, e un volto che sapeva trasformarsi da quello di fanciulla indifesa ad amazzone tagliateste. “John, se tanto ci tieni a dirle, ‘ste menate,” mi sibilò, “almeno fallo sottovoce. Lo vedi quello laggiù?”

Lo vedevo sì: classico tombolone da ricchezza abbondante e consolidata. Uno che mandava il servo a comprare pane, latte e politici per colazione. Lo vidi e lo riconobbi: Wilson Fisk, dirigente di uno studio legale di giorno, e malavitoso di ferro di notte. Uno col quale, stranamente, ero in sintonia, almeno per quanto riguardava l’aspetto della doppia esistenza. Eravamo come dei cugini, molto, molto in fondo.

Fisk se ne stava là, appoggiato sul suo bastone, a una ventina di metri di distanza. Credo che fosse già un miracolo trovarlo così vicino alla scena del delitto. Sono convinto che per uno come lui la sola vista di un crimine possa portargli qualche germe, tipo il senso di colpa. L’horreur! Se ne stava lì, e rispondeva alle domande di un agente –altro miracolo!- muovendo appena le labbra. Neppure un esperto avrebbe potuto capirci qualcosa…Ma persino la sua imperturbabilità sembrava un pochino scossa…

Feci la connessione in un lampo: il cadavere era quello di Richard Fisk, suo figlio!

Sospirai. Sentivo odore di parecchie notti di straordinario in arrivo…

 

 

MARVELIT presenta

di Valerio Pastore

Episodio 1 - LA LUNA DEI CACCIATORI (I Parte)

 

 

“È un brutto affare, gente.”

Bisognava dirlo, del Tenente Harryson Turk: non indorava la pillola. Mai. Tanti anni di servizio gli avevano messo su una corazza tosta, e una lingua che tagliava & cuciva. La sua faccia sarebbe stata bene sulla statua di un dio irato, con i capelli nerissimi corti ed una barbetta che gli accentuava il volto affilato. O lo amavi, o lo odiavi. Al Distretto, lo temevamo.

Nella stanza eravamo, miracolo delle leggi della geometria, in sei detective: quattro uomini e due donne. Tre uomini, se fingevate che io ne fossi uno…Oh, sì, e il Tenente. Non si era sicuri che fosse umano. Una cosa era certa: Turk si ergeva come il Colosso di Rodi: pare che fosse entrato in polizia per una frattura che lo costrinse a lasciare prematuramente una promettente carriera di cestista. Il fisico gli era rimasto. “Fisk ha deciso che questa cosa va risolta in fretta. L’alternativa è l’inizio di una guerra fra bande.

“Stiamo analizzando la roba che Fisk Jr. si è sparato, ma quello che ci sfugge è perché quel piccolo finocchio debba essere venuto proprio qui, a comprare. Sappiamo bene che roba gira in zona, e non si è mai vista della ‘Pura’. Quindi fate quello che volete con i vostri informatori, strizzateli, minacciateli, ricattateli, ma trovate una pista. In fretta.”

 

Quando uscimmo dal suo ufficio, ci sentivamo come se fossimo stati appena redarguiti per una grave cazzata. Per questo, temevamo Turk: ci faceva capire esattamente cosa ci aspettava, se non facevamo meno che un buon lavoro.

“Parla facile, il S.o.B.,” disse il detective William Bertolini. “Almeno ci avessero lasciato il cadavere del ragazzo! Invece no! Papino non vuole vedere il suo bel figlioletto tutto rovinato da un brutto coroner cattivo!”

“E’ nel suo diritto chiedere il rispetto delle spoglie del sangue del suo sangue,” gli disse il suo partner. Lo conoscevo da sei anni, cioè da quando avevo iniziato a fare il detective, e ancora non riuscivo ad andare oltre il suo nome, Sun. E poiché mi ricordava troppo un nome femminile, ho deciso di chiamarlo come fan tutti, qui, cioè Bruce.

‘Berto non bestemmiò, era troppo religioso per un simile reato morale. Bruce era un formalista tutto casa & lavoro & senso dell’onore; sapeva fartele scendere, ma compensava ampiamente in azione –credetemi, se lo meritava, quel soprannome.

“Quello che mi ruga,” disse la seconda leonessa del gruppo, Mafalda Aguillera (NON prendetevi gioco del suo nome!), “è che Fisk può praticamente dire a tutto il mondo di essere una feccia e noi che gli facciamo i salamelecchi.”

“Tesoro,” le ribatté il suo compagno, Alfred Comb, “non farti venire il sangue cattivo adesso. Fai questo lavoro per altri 15 o 16 anni, e lo vedrai cosa ti fa veramente vomitare.” Come quel bel gagà di Berto, Alfred era un uomo ben messo, in forma e accorto nel vestire. Era un veterano indurito giunto al primo grado con gli onori ed un sacco di alcol e schifezze varie in corpo. Lui conosceva l’ambiente urbano come un biologo di fama mondiale conosce un pezzo di jungla, e solo per questo non era stato scacciato a calci in culo dal Capitano e da tutto il corpo della Disciplinare…Ma non poteva durare, se mi bastava il fiuto in questa forma per sentire che il fiato fetava di brandy da metà stanza.

Infatti, Mafalda –ogni tentativo di diminutivo era già stato accolto da rappresaglia feroce- che aveva la rogna di trovarsi affianco ad Alfred, arricciò vistosamente il naso. “Per ora, hombre, mi accontenterei che tu non mi facessi vomitare.”

Nessuno osò infierire, ma i sorrisetti si sprecarono. Kristine mi afferrò per il braccio. “Ora di muoversi, mister. Diego Garcia ci aspetta.”

 

Diego Garcia. Un nome, una promessa. Era la nostra oasi, l’isola sicura dove trovare di tutto di più. A dire il vero, non sapevo neppure come si chiamasse veramente, quel ragazzo; l’avevo ‘ereditato’ dal mio predecessore, che morì di infezione da piombo. Fortunatamente, tale evento non aveva spento la determinazione di DG…

 

Il più era riuscire a contattarlo in maniera discreta. Turk poteva essere inviperito all’ultimo stadio e stillare acido dalle zanne, ma avrei preferito rischiare il posto che bruciarmi un informatore dandogli addosso come un toro arrabbiato.

Fortunatamente, DG sapeva stare al passo coi tempi. Quando non faceva delle cose sulle quali mi toccava chiudere gli occhi, se volevo usufruire dei suoi servizi, faceva il geek. Aveva la sua bella casella e-mail, ed io avevo Rufus, il mio bar ed internet-point preferito.

Rufus era la prova vivente che i genitori possono essere dei sadici, quando si tratta di affibbiare un nome ad un innocente. Quando uno sentiva nominare Rufus per la prima volta, pensava subito ad un omaccio, un oste d’altri tempi, il burbero padre-padrone del suo territorio…

Rufus era un bibliotecario. Non c’era altro modo per definirlo: aveva la struttura genetica, i colori ed i modi di un impiegato grigio ed anonimo. Nel suo bar, Rufus sembrava svanire: non ti accorgevi di lui. Per riflesso, il poverino si era impegnato come un pazzo a metter su un locale degno dei quartieri di lusso, un vero tempio del piacere dell’incontro; persino i delinquenti incalliti in doppiopetto evitavano di portarsi il lavoro dietro, quando varcavano le porte a vetri di Rufus…Certo, dei camerieri palestrati grossi come guardie del corpo e pagati come tali aiutavano non poco. Rufus era un mite, ma se qualcuno gli scheggiava solo un bicchiere, erano dolori! La sua ‘lista nera’ era l’equivalente di una radiazione dai club più esclusivi. Questo non valeva per me. Stavo simpatico a parecchi, da queste parti, a dire il vero.

Kristine entrò prima di me nel locale; l’occhiata diffidente che Rufus le lanciò si addolcì subito alla mia vista. Il locale era moderatamente affollato da clienti con una gran voglia di farsi spennare per un panino di lusso. La vera vita, ed i veri soldi, iniziavano non prima delle dieci.

“John! Cominciavo a temere che ti fossi dimenticato di me. Il solito?”

Risposi al suo cenno con uno uguale. C’era una tale pulizia, là dentro, che mi sentivo stonato con l’impermeabile tutt’altro che nuovo, color crema, che mi portavo addosso. Io e Kristine ci dirigemmo alla stanza dell’internet point –proibito sbrodolare sulle tastiere!

 

Una volta dentro, ci sedemmo ad un terminal. Lo accesi, estrassi un CD da una tasca interna dell’impermeabile, e lo inserii nel lettore. Il tempo di installare il programma di posta, uno svolazzo di mani sulla tastiera, ed ero nel cyberspazio. Dunque, oggi era…controllai la data sull’orologio, sì. Oggi era il turno di ‘Ratpack’. DG non poteva permettersi di possedere un nick e una casella fissi, non importa quanto ben protetti. Mi mandava regolarmente una lista dei turni dei suoi ‘nick’, che cambiavano con una frequenza maniacale; il ragazzo avrebbe dovuto farsi assumere dal Pentagono, i grigioverdi ne avrebbero guadagnato.

Digitai la richiesta di un incontro in merito al giovane Fisk. Quella sera, a mezzanotte, al Central Park. Niente convenevoli, solo la mia firma elettronica. Il programma si autodisinstallava, e la casella di partenza diventava irrintracciabile. Non proprio legalissimo, ma uno doveva pure fare il suo lavoro, no?

Mentre spegnevo il terminale, Kristine sbuffò.

“Se hai un’idea migliore…” dissi io, con un sorrisetto –come Mafalda, anche lei odiava chiedere aiuto a gente che avrebbe volentieri arrestato. A suo onore, Kris si era guadagnata le promozioni senza scendere a patti, andando avanti in una linea perfettamente dritta…ma lei era un’eccezione, non la regola. Anzi, nel Distretto fioccavano scommesse su quanto sarebbe durata: ormai era quotata forte! Taccio pietosamente su cosa si pensava l’avrebbe fermata per prima.

“A dire il vero,” fece lei, con un sorrisetto identico al mio, “sì.”

 

‘Mors tua, vita mea’, recita un proverbio.

Niente di più vero, nel nostro caso: gli atti terroristici firmati Bin Laden prima e Fronte Liberazione Mutante poi avevano fatto molto di più che lasciarsi dietro una scia di paura. Avevano dato la sveglia ai più reticenti a spendere qualcosa in più per la sicurezza domestica.

Niente grandi progressi, intendiamoci. Perlopiù, roba che avrebbe davvero dato da lavorare a parecchi avvocati, se i media ne avesse avuto sentore. Come un certo dispositivo inventato dal Dott. Reed Richards…vabbe’, un perfezionamento più che un’invenzione vera e propria: una scatolina capace di trovare molto in fretta l’indirizzo di una chiamata telefonica, cellulare o no che fosse. Non ci credereste, a quanti ‘spiritosoni’ erano stati multati nelle ultime settimane: qualcuno nella tesoreria del Comune aveva brindato a champagne.

Con la macchina, ritornammo sul luogo del delitto. Parcheggiammo di fronte ad un edificio bianco circondato da un prato più verde del verde. Una consistente parte di me trovava alquanto odiosa quella macchietta patetica, sulla quale avrei potuto al massimo pisciare il mio sdegno…ma tant’è, quello sputo faceva lievitare i prezzi degli affitti di diverse cifre. Bleah!

Ci dirigemmo all’ingresso. Dopo avere suonato il pulsante della portineria, il solo pulsante del videocitofono, esibimmo i documenti all’occhio elettronico. Dopo un lungo scrutinio –non ci si fidava più neanche degli sbirri, che tempi!- la porta si aprì con uno scatto.

“Posso fare qualcosa per voi?” Il portiere doveva essere un ex-poliziotto, imparavi a riconoscerli. Un servitore della legge che aveva deciso che tanto valeva rischiare la pelle per parecchi soldi in più.

Ci presentammo, poi Kristine disse, “Vorremmo parlare con la Sig.ra Bennet, al settimo piano, interno 71. E’ in casa?”

“Non è in casa. E’ in vacanza, partita due settimane fa.”

Io e Kris ci scambiammo un’occhiata, poi lei riprese a parlare, “Ci abita qualcuno, in quell’appartamento? Un custode, un amico, un parente..?”

Il portiere scosse la testa ad ogni domanda. “Ci viene solo la donna delle pulizie, una volta alla settimana. Ma c’era solo ieri mattina.” Ci guardò come se fossimo stati dei sorci in rapido avvicinamento al formaggio. “Avete un mandato per entrare là dentro?”

Non ce l’avevamo. Il Procuratore ce lo avrebbe dato, se eravamo fortunati, quella sera; quanto alla burocrazia, il terrorismo non aveva fatto molto per accelerarla, semmai il contrario!

Va bene, lo ammetto: lo scatolino aveva un punto debole. Questo. Una chiamata fatta dal domicilio di un altro ed una rapida fuga.

“A parte la donna delle pulizie, chi è entrato nell’appartamento fra ieri ed oggi?” ‘E non parlarmi delle troiate sulla privacy degli inquilini rispettabili o ti spezzo in due’, dissero i suoi occhi. Fortunatamente, da ex-collega, lui capì al volo. Si schiarì la gola, e disse, in tono meno da primo della classe, “Nessuno. Registro meticolosamente tutti gli ingressi e le uscite, e…”

“Potremmo dare un’occhiata a quel registro?”

 

“Non smetterò mai di chiedermi perché tu non abbia accettato di fare carriera nell’aeronautica. Saresti stato un astronauta perfetto, con la memoria che ti ritrovi.”

Stavamo tornando in macchina al distretto. Ripensavo alla telefonata di quella mattina -le 08:45, una voce femminile allarmata, che in fretta e furia disse che un corpo umano era stato gettato da una macchina in corsa.

Fisk era convinto che si trattasse di omicidio, e questo non faceva bene alla tensione per le strade. C’era almeno da sperare che la guerra sarebbe stata contenuta; con la paranoia sul terrorismo ancora alta, nessuno aveva voglia di passare per primo per un emulo del vecchio Bin.

Era un omicidio? O, più prosaicamente, i compagni di sbornie del giovane Fisk avevano deciso di scaricare un cadavere accidentale molto scomodo? Se così era, la loro vita era quantificabile in qualche giorno al massimo. I testimoni dello ‘scarico’ non avevano visto il numero di targa della macchina, e il veicolo, pur non andando piano, stava rispettando i limiti di velocità, ed era solo passato col rosso subito dopo, quindi nessuna segnalazione. Fisk avrebbe saputo spremere, per dirla come piaceva a Turk, in modo tale da ottenere le informazioni che voleva.

Si trattava, in pratica, di essere più veloci di lui. Diego Garcia era una fonte sufficientemente rapida, ma avrei dovuto fare un po’ di più, questa notte. Avrei dovuto spremere a mia volta…E, incidentalmente, i metodi che usavo erano proprio quelli che mi rendevano poco adatto a fare l’astronauta. Per il resto, sì, faceva comodo avere una memoria fotografica…

 

“JJ, hai due chiamate.” L’agente alla reception mi porse un foglietto scritto a mano.

“Grazie,” bofonchiai, perso nelle mie elucubrazioni. Mi tersi la fronte con il dorso della mano. “Caldo fottuto. Hanno deciso di incentivare così i prepensionamenti? Per selezione naturale?”

Il Sergente O’Brien ridacchiò. “Ce ne accorgeremo per davvero, quando sarà troppo caldo: Comb prenderà fuoco spontaneamente.”

Mi fermai sul primo gradino, di colpo, voltando la testa altrettanto rapidamente. Un gesto che riusciva sempre a richiamare l’attenzione periferica degli altri. O’Brien si trovò a fissare il mio sguardo, a scrutare appena per un momento il cacciatore dentro di me. Ed impallidì, le sue battutine del cavolo mortegli in gola.

Ripresi a salire le scale. Odiavo fare una simile cosa ad un altro essere umano, ma Comb, per ora, era un vecchio maestro, e meritava supporto, non disprezzo. Mi annotai di riprovare, per l’ennesima volta, a mettere in pratica il buon proposito. Poi, forse, se mi sputava di nuovo in faccia, lo avrei ucciso.

 

Mi misi seduto alla scrivania. Kristine sedette a quella di fronte. Pensando distrattamente ad un progettino per un muro divisorio, guardai i messaggi. Uno era DG; come sempre, era stato rapido. Aveva chiamato sotto il falso nome convenuto, ed aveva confermato l’appuntamento. Sospettavo, e non ero il solo, che fosse un mutante.

L’altro messaggio era di mio padre: come sempre, voleva una dritta e tutte le info esclusive sul caso. Il Daily Bugle aveva fame di sangue…anzi, ce ne aveva messo di tempo, il vecchio JJJ, per contattarmi. Credo proprio che Fisk Sr. gli abbia elencato, con quel tono pacato ed implacabile, i rischi corporali della diffamazione. Mio padre sarà stato lì ad ascoltare, ad annuire condiscendente, mentre la sua mente elaborava il prossimo pezzo.

Bisognava dargliene atto, al vecchio era fegatoso quanto ambizioso: ho pochi dubbi che mi abbia mandato al fronte urbano per avere una fonte affidabile, altro che ‘responsabilità civile’. Non ho mai creduto a quelle fesserie, ma avrei fatto qualunque lavoro per sfuggire alla presenza del bastardo!

Guardai il foglietto, sperando che fosse un braccio del vecchio, per poterglielo sbocconcellare a lungo e con gusto…Ma dovevo rispondere alla chiamata, o sarebbe arrivato il settimo cavalleggeri per il controinterrogatorio a tutto il distretto.

Composi il numero, il diretto di J. Jonah Jameson, e dovetti aspettare solo il tempo di uno squillo -come DG, JJJ aveva il dono di essere sempre in prossimità del suo telefono, quando lo cercavi. “Ce ne hai messo di tempo, lazzarone!” rispose la familiare voce roca da anni dei migliori sigari.

“Sono felice anch’io di sentirti, JJJ. Cosa posso fare, per te? Sto lavor…”

“Lavoro? Non sai nemmeno cosa voglia dire! Dovevi entrare in un’agenzia privata, mica stare lì a sbracarti per una latta da sceriffo! Davvero, tua madre non ha saputo tirarti su come…”

La mia presa sulla cornetta si fece di colpo talmente forte da sbiancare le nocche. La mia voce, in compenso, era degna del mio ‘sguardo assassino’. “Menziona mia madre anche solo per caso, e questa telefonata termina qui.”

Testardo o no, il vecchio ebbe abbastanza buon senso da venire a più miti consigli. “Cosa avete scoperto sul caso Fisk?”

“Saprai tutto dal nostro addetto stampa, JJJ. Non ti preoccupare: loro, almeno, sono sinceri quando dicono qualcosa.”

“Certo,” il tono tornò al sarcasmo forza 10. “Come sul caso del licantropo, vero? ‘Tutte le prove raccolte indicano…’”

Misi giù il telefono. Con calma. Ne avevo abbastanza di esposizione al vecchio, per oggi, e non intendevo sprecare energie sbattendo con tale forza da rompere l’apparecchio -dopo me lo detraevano dallo stipendio.

Non sapevo se considerarmi fortunato o no, che l’uomo-lupo, il Man-Wolf, fosse ancora considerato roba da leggenda metropolitana. Qualcuno aveva proposto l’ipotesi del mutante, ma era durata poco: le Sentinelle, i super-robot concepiti per localizzare e contenere (eufemismo carino per ‘eliminare’) i mutanti, non avevano trovato alcuna traccia di un mutante lupino. In compenso, nella loro caccia ne avevano trovati parecchi altri, di quei disgraziati.

Dopo altre ricerche, i soliti manifesti di ‘ricercato’, e un breve spasmo orgasmico dei media, il lupo era tornato un fantasma di cui si parlava occasionalmente, o come di un angelo custode o come di un sanguinario killer. E a me andava benissimo.

Davanti a me, Kristine faceva pietosi tentativi di ignorare la telefonata involontariamente origliata -se nessuno di voi aveva mai sentito JJJ al telefono, allora non sapevate cosa volesse dire sbraitare. Chissà se i suoi vecchi erano stati come il mio? Kristine aveva perso i genitori a sei anni. Entrambi poliziotti, entrambi caduti sul dovere, lo stesso giorno, in un’assurda catena di coincidenze. La poveretta aveva preso molto sul serio il suo compito di portatrice della bandiera di famiglia…

Guardai l’orologio -Dio, ancora tutto il pomeriggio da trascorrere. Meglio dedicarsi alle scartoffie, va’; sempre meglio che indugiare in quegli allegri pensieri…

 

Decisi di non fare gli straordinari -tanto non li pagavano, il budget era più rosso del mio sangue- ed uscii chiudendomi nell’impermeabile. Il caldo si era un filo attenuato, ma non mollavo la mia ‘divisa’, il mio trademark.

Le indagini del resto della squadra non avevano portato a risultati migliori. Il resto della giornata era trascorso in un silenzio carico di tensione, in attesa della risposta della mala al guanto lanciato da Fisk. Compativo i poveracci del turno di notte: a loro sarebbe toccato non solo di guardarsi le spalle con più cautela del solito, ma avrebbero anche dovuto tenere le orecchie aperte per il cacciatore…

 

Arrivai a casa a piedi. Sei isolati, ma me li ero mangiati come niente. La Luna stava sorgendo; era ridotta ad uno spicchio crescente, ma bastava al cacciatore. L’adrenalina cresceva col passare del tempo. Ancora prima del cambiamento, i miei sensi erano tesi al massimo.

Dovetti fare uno sforzo cosciente per non salire le scale del condominio di corsa, ed entrare nel mio appartamento senza sfondare la porta. Una volta dentro, procedetti a spogliarmi. Ero talmente su di giri che quasi mi strappai gli abiti di dosso -calma, cucciolo! I soldi non crescevano sugli alberi. Una volta nudo, il corpo accarezzato piacevolmente dall’aria condizionata, mi crogiolai nell’idea di mettermi a correre per tetti senza la ‘divisa’…Ma quel minimo di protezione mi serviva. Soprattutto per la caccia di stasera.

Andai all’armadio. Con mani tremanti, estrassi una stampella su cui stavano appesi una specie di gilet nero e shorts dello stesso colore. Un fil di ferro teneva agganciati alla stampella anche due paia di bracciali dorati semplici, lisci.

Con i movimenti ormai divenuti familiari, mi infilai il costume e i bracciali. L’ideatore del costume avrebbe voluto qualcosa di più coprente, ma sapevo bene come il cacciatore si sarebbe sentito all’idea di imprigionare il proprio corpo, quando la protezione naturale gli bastava…Sì, il cacciatore era arrogante, ma lo capivo…

Così vestito, andai in cucina. L’appartamento non era una cosa spaziale, 90 metri quadri circa, divisi in quattro stanze, ma a NY era un miracolo potersi permettere un simile spazio ad un affitto bloccato…Ma quella è un’altra storia.

Per ora, mi importava solo della caccia. La mia mente si stava concentrando solo su quella. Ebbi la lucidità necessaria ad aprire il frigorigero e tirare fuori un bel pezzo di carne ben scongelata. Il giorno dopo l’ultima volta che il cacciatore si era mosso a stomaco vuoto, il coroner si era messo a vomitare alla vista dei resti del fiero pasto.

Mi sedetti in modo che la Luna mi illuminasse per bene attraverso la finestra. Guardai l’orologio appeso al tavolo: le 08:00. La Luna era uno spicchio argento, innaturale, a malapena visibile nel cielo al tramonto, ma non importava che la vedessi o meno. Se lei era lì, in qualunque condizione meteo o luminosa, il cacciatore rispondeva. Come adesso.

La trasformazione era come fare l’amore. La prima volta era goffo, doloroso. Poi, notte dopo notte, si imparava e si migliorava. Adesso, era un processo non proprio veloce, ma fluido. Avevo imparato a ridistribuire le sensazioni, mentre le ossa si ingrossavano, si ispessivano, i muscoli si adattavano, diventando duri come l’acciaio, e gli organi seguivano a ruota, le ghiandole del cervello intente a produrre un rush di adrenalina che mi mandava in visibilio. La bocca si estese, riempiendosi di zanne aguzze. Quando i sensi si acuirono, per un solo secondo associai la pletora di odori ad una puzza moltiplicata per mille. Poi, si svilupparono le aree cerebrali che gestivano l’input sensoriale. La pelle pizzicava dappertutto, mentre il pelo cresceva, e mi avvolgeva in un calore pazzesco…

Quando fu finita, in piedi accanto al tavolo c’era il cacciatore. Man-Wolf. Il nero del costume di tessuto antiproiettile ultrasottile spiccava come non mai sulla pelliccia bianca. La coda, quella ancora non ne voleva sapere, di crescere, e il cacciatore continuava a percepirla come una specie di offesa alla sua dignità personale.

Lasciai che il lupo mangiasse, saziasse la fame indotta dalla trasformazione -avevo scelto una carne ricca di grasso apposta. Sentii il sapore buono ma ancora insoddisfacente dello sterile sangue della ‘preda’, ma il desiderio di cacciarne di viva era chetato con lo stomaco pieno. Ora avrei potuto guidare il mio ‘alleato’ senza troppi problemi nella notte.

Per fare giustizia.