PROLOGO: Upper East Side, Manhattan, New York City
Niente di nuovo, sotto il
Sole. Giorno diverso, stessa merda…Hmm, forse no. Qui eravamo nella zona
‘alta’, quartieri eleganti, vetrine più scintillanti. A parte un eccesso di
maledetti mutanti, qui la merda puzzava ancora di più. Perché qui tutti
facevano finta che non esistesse. Tanto, per spazzarla c’eravamo noi, e in un
modo o nell’altro, obbedivamo agli ordini ed alle mazzette -quelle sì che sono
un argomento con-fottuto-vin-cen-te.
Oggi, dovevamo spalare un
brutto mucchio: un giovane, massimo 26 anni, biondo, capelli corti e ricci,
atletico. E molto morto. Indossava un abito che per comprarlo mi ci voleva la
pensione di due lavori. La manica destra era arrotolata, e si potevano ben
vedere i segni dell’ago e dell’elastico usato per l’endovena. Uno scemo che
aveva deciso che la solita coca non bastava, e aveva deciso di farsi un
viaggetto con roba forte, pura 100%, non tagliata. A parità di dose, la punta
di un cucchiaino, pare che ti regalasse un gran bell’orgasmo prima di mandarti
all’altro mondo. Era un dato di fatto che i tossici schiattati da ‘pura’
avevano un’espressione più scema del solito.
Dite che mi ero messo un po’
sul piedistallo? Naah, è che quando uno aveva il mio problema, be’, non si sentiva ben disposto verso chi i problemi
se li cercava in nome di uno sballo istantaneo. Nossignori, non John Jameson,
Detective di III grado del glorioso NYPD… “Apro, chi è lo sfigato?”
Questo mi valse una gomitata
dal mio compagno, una delle poche donne al mondo con i controcoglioni, il
Detective di II grado Kristine Saunders.
Capelli biondi che illuminavano una stanza, e un volto che sapeva trasformarsi
da quello di fanciulla indifesa ad amazzone tagliateste. “John, se tanto ci
tieni a dirle, ‘ste menate,” mi sibilò, “almeno fallo sottovoce. Lo vedi quello
laggiù?”
Lo vedevo sì: classico
tombolone da ricchezza abbondante e consolidata. Uno che mandava il servo a
comprare pane, latte e politici per colazione. Lo vidi e lo riconobbi: Wilson Fisk, dirigente di uno studio
legale di giorno, e malavitoso di ferro di notte. Uno col quale, stranamente,
ero in sintonia, almeno per quanto riguardava l’aspetto della doppia esistenza.
Eravamo come dei cugini, molto, molto in fondo.
Fisk se ne stava là,
appoggiato sul suo bastone, a una ventina di metri di distanza. Credo che fosse
già un miracolo trovarlo così vicino alla scena del delitto. Sono convinto che
per uno come lui la sola vista di un crimine possa portargli qualche germe,
tipo il senso di colpa. L’horreur! Se ne stava lì, e rispondeva alle domande di
un agente –altro miracolo!- muovendo appena le labbra. Neppure un esperto
avrebbe potuto capirci qualcosa…Ma persino la sua imperturbabilità sembrava un
pochino scossa…
Feci la connessione in un
lampo: il cadavere era quello di Richard
Fisk, suo figlio!
Sospirai. Sentivo odore di
parecchie notti di straordinario in arrivo…
MARVELIT presenta
di
Valerio Pastore
Episodio 1 - LA LUNA DEI CACCIATORI (I Parte)
“È un brutto affare, gente.”
Bisognava dirlo, del Tenente Harryson Turk: non indorava la pillola.
Mai. Tanti anni di servizio gli avevano messo su una corazza tosta, e una
lingua che tagliava & cuciva. La sua faccia sarebbe stata bene sulla statua
di un dio irato, con i capelli nerissimi corti ed una barbetta che gli accentuava
il volto affilato. O lo amavi, o lo odiavi. Al Distretto, lo temevamo.
Nella stanza eravamo,
miracolo delle leggi della geometria, in sei detective: quattro uomini e due
donne. Tre uomini, se fingevate che io ne fossi uno…Oh, sì, e il Tenente. Non
si era sicuri che fosse umano. Una cosa era certa: Turk si ergeva come il
Colosso di Rodi: pare che fosse entrato in polizia per una frattura che lo
costrinse a lasciare prematuramente una promettente carriera di cestista. Il
fisico gli era rimasto. “Fisk ha deciso che questa cosa va risolta in fretta.
L’alternativa è l’inizio di una guerra fra bande.
“Stiamo analizzando la roba
che Fisk Jr. si è sparato, ma quello che ci sfugge è perché quel piccolo
finocchio debba essere venuto proprio qui, a comprare. Sappiamo bene che roba
gira in zona, e non si è mai vista
della ‘Pura’. Quindi fate quello che volete con i vostri informatori,
strizzateli, minacciateli, ricattateli, ma trovate una pista. In fretta.”
Quando uscimmo dal suo
ufficio, ci sentivamo come se fossimo stati appena redarguiti per una grave
cazzata. Per questo, temevamo Turk: ci faceva capire esattamente cosa ci aspettava, se non facevamo meno che un buon
lavoro.
“Parla facile, il S.o.B.,”
disse il detective William Bertolini.
“Almeno ci avessero lasciato il cadavere del ragazzo! Invece no! Papino non
vuole vedere il suo bel figlioletto tutto rovinato da un brutto coroner
cattivo!”
“E’ nel suo diritto chiedere
il rispetto delle spoglie del sangue del suo sangue,” gli disse il suo partner.
Lo conoscevo da sei anni, cioè da quando avevo iniziato a fare il detective, e
ancora non riuscivo ad andare oltre il suo nome, Sun. E poiché mi ricordava
troppo un nome femminile, ho deciso di chiamarlo come fan tutti, qui, cioè
Bruce.
‘Berto non bestemmiò, era troppo
religioso per un simile reato morale. Bruce era un formalista tutto casa &
lavoro & senso dell’onore; sapeva fartele scendere, ma compensava
ampiamente in azione –credetemi, se lo meritava, quel soprannome.
“Quello che mi ruga,” disse
la seconda leonessa del gruppo, Mafalda
Aguillera (NON prendetevi gioco del suo nome!), “è che Fisk può
praticamente dire a tutto il mondo di essere una feccia e noi che gli facciamo
i salamelecchi.”
“Tesoro,” le ribatté il suo
compagno, Alfred Comb, “non farti
venire il sangue cattivo adesso. Fai questo lavoro per altri 15 o 16 anni, e lo
vedrai cosa ti fa veramente
vomitare.” Come quel bel gagà di Berto, Alfred era un uomo ben messo, in forma
e accorto nel vestire. Era un veterano indurito giunto al primo grado con gli onori
ed un sacco di alcol e schifezze varie in corpo. Lui conosceva l’ambiente
urbano come un biologo di fama mondiale conosce un pezzo di jungla, e solo per
questo non era stato scacciato a calci in culo dal Capitano e da tutto il corpo
della Disciplinare…Ma non poteva durare, se mi bastava il fiuto in questa forma
per sentire che il fiato fetava di brandy da metà stanza.
Infatti, Mafalda –ogni
tentativo di diminutivo era già stato accolto da rappresaglia feroce- che aveva
la rogna di trovarsi affianco ad Alfred, arricciò vistosamente il naso. “Per
ora, hombre, mi accontenterei che tu
non mi facessi vomitare.”
Nessuno
osò infierire, ma i sorrisetti si sprecarono. Kristine mi afferrò per il
braccio. “Ora di muoversi, mister. Diego Garcia ci aspetta.”
Diego Garcia. Un nome, una
promessa. Era la nostra oasi, l’isola sicura dove trovare di tutto di più. A
dire il vero, non sapevo neppure come si chiamasse veramente, quel ragazzo;
l’avevo ‘ereditato’ dal mio predecessore, che morì di infezione da piombo.
Fortunatamente, tale evento non aveva spento la determinazione di DG…
Il più era riuscire a
contattarlo in maniera discreta. Turk poteva essere inviperito all’ultimo
stadio e stillare acido dalle zanne, ma avrei preferito rischiare il posto che
bruciarmi un informatore dandogli addosso come un toro arrabbiato.
Fortunatamente, DG sapeva
stare al passo coi tempi. Quando non faceva delle cose sulle quali mi toccava
chiudere gli occhi, se volevo usufruire dei suoi servizi, faceva il geek. Aveva la sua bella casella e-mail,
ed io avevo Rufus, il mio bar ed internet-point preferito.
Rufus era la prova vivente
che i genitori possono essere dei sadici, quando si tratta di affibbiare un
nome ad un innocente. Quando uno sentiva nominare Rufus per la prima volta,
pensava subito ad un omaccio, un oste d’altri tempi, il burbero padre-padrone
del suo territorio…
Rufus era un bibliotecario.
Non c’era altro modo per definirlo: aveva la struttura genetica, i colori ed i
modi di un impiegato grigio ed anonimo. Nel suo bar, Rufus sembrava svanire:
non ti accorgevi di lui. Per riflesso, il poverino si era impegnato come un
pazzo a metter su un locale degno dei quartieri di lusso, un vero tempio del
piacere dell’incontro; persino i delinquenti incalliti in doppiopetto evitavano
di portarsi il lavoro dietro, quando varcavano le porte a vetri di Rufus…Certo,
dei camerieri palestrati grossi come guardie del corpo e pagati come tali
aiutavano non poco. Rufus era un mite, ma se qualcuno gli scheggiava solo un
bicchiere, erano dolori! La sua ‘lista nera’ era l’equivalente di una radiazione
dai club più esclusivi. Questo non valeva per me. Stavo simpatico a parecchi,
da queste parti, a dire il vero.
Kristine entrò prima di me
nel locale; l’occhiata diffidente che Rufus le lanciò si addolcì subito alla
mia vista. Il locale era moderatamente affollato da clienti con una gran voglia
di farsi spennare per un panino di lusso. La vera vita, ed i veri soldi,
iniziavano non prima delle dieci.
“John! Cominciavo a temere
che ti fossi dimenticato di me. Il solito?”
Risposi al suo cenno con uno
uguale. C’era una tale pulizia, là dentro, che mi sentivo stonato con
l’impermeabile tutt’altro che nuovo, color crema, che mi portavo addosso. Io e
Kristine ci dirigemmo alla stanza dell’internet point –proibito sbrodolare
sulle tastiere!
Una volta dentro, ci sedemmo
ad un terminal. Lo accesi, estrassi un CD da una tasca interna
dell’impermeabile, e lo inserii nel lettore. Il tempo di installare il
programma di posta, uno svolazzo di mani sulla tastiera, ed ero nel cyberspazio.
Dunque, oggi era…controllai la data sull’orologio, sì. Oggi era il turno di
‘Ratpack’. DG non poteva permettersi di possedere un nick e una casella fissi,
non importa quanto ben protetti. Mi mandava regolarmente una lista dei turni
dei suoi ‘nick’, che cambiavano con una frequenza maniacale; il ragazzo avrebbe
dovuto farsi assumere dal Pentagono, i grigioverdi ne avrebbero guadagnato.
Digitai la richiesta di un
incontro in merito al giovane Fisk. Quella sera, a mezzanotte, al Central Park.
Niente convenevoli, solo la mia firma elettronica. Il programma si
autodisinstallava, e la casella di partenza diventava irrintracciabile. Non
proprio legalissimo, ma uno doveva pure fare il suo lavoro, no?
Mentre spegnevo il terminale,
Kristine sbuffò.
“Se hai un’idea migliore…”
dissi io, con un sorrisetto –come Mafalda, anche lei odiava chiedere aiuto a
gente che avrebbe volentieri arrestato. A suo onore, Kris si era guadagnata le
promozioni senza scendere a patti, andando avanti in una linea perfettamente dritta…ma
lei era un’eccezione, non la regola. Anzi, nel Distretto fioccavano scommesse
su quanto sarebbe durata: ormai era quotata forte! Taccio pietosamente su cosa
si pensava l’avrebbe fermata per prima.
“A
dire il vero,” fece lei, con un sorrisetto identico al mio, “sì.”
‘Mors tua, vita mea’, recita
un proverbio.
Niente di più vero, nel
nostro caso: gli atti terroristici firmati Bin Laden prima e Fronte Liberazione
Mutante poi avevano fatto molto di più che lasciarsi dietro una scia di paura.
Avevano dato la sveglia ai più reticenti a spendere qualcosa in più per la
sicurezza domestica.
Niente grandi progressi,
intendiamoci. Perlopiù, roba che avrebbe davvero dato da lavorare a parecchi
avvocati, se i media ne avesse avuto sentore. Come un certo dispositivo
inventato dal Dott. Reed Richards…vabbe’,
un perfezionamento più che un’invenzione vera e propria: una scatolina capace
di trovare molto in fretta
l’indirizzo di una chiamata telefonica, cellulare o no che fosse. Non ci credereste,
a quanti ‘spiritosoni’ erano stati multati nelle ultime settimane: qualcuno
nella tesoreria del Comune aveva brindato a champagne.
Con la macchina, ritornammo
sul luogo del delitto. Parcheggiammo di fronte ad un edificio bianco circondato
da un prato più verde del verde. Una consistente parte di me trovava alquanto
odiosa quella macchietta patetica, sulla quale avrei potuto al massimo pisciare
il mio sdegno…ma tant’è, quello sputo faceva lievitare i prezzi degli affitti
di diverse cifre. Bleah!
Ci dirigemmo all’ingresso.
Dopo avere suonato il pulsante della portineria, il solo pulsante del videocitofono,
esibimmo i documenti all’occhio elettronico. Dopo un lungo scrutinio –non ci si
fidava più neanche degli sbirri, che tempi!- la porta si aprì con uno scatto.
“Posso fare qualcosa per
voi?” Il portiere doveva essere un ex-poliziotto, imparavi a riconoscerli. Un
servitore della legge che aveva deciso che tanto valeva rischiare la pelle per
parecchi soldi in più.
Ci presentammo, poi Kristine
disse, “Vorremmo parlare con la Sig.ra Bennet, al settimo piano, interno 71. E’
in casa?”
“Non è in casa. E’ in
vacanza, partita due settimane fa.”
Io e Kris ci scambiammo
un’occhiata, poi lei riprese a parlare, “Ci abita qualcuno, in
quell’appartamento? Un custode, un amico, un parente..?”
Il portiere scosse la testa
ad ogni domanda. “Ci viene solo la donna delle pulizie, una volta alla settimana.
Ma c’era solo ieri mattina.” Ci guardò come se fossimo stati dei sorci in
rapido avvicinamento al formaggio. “Avete un mandato per entrare là dentro?”
Non ce l’avevamo. Il
Procuratore ce lo avrebbe dato, se eravamo fortunati, quella sera; quanto alla
burocrazia, il terrorismo non aveva fatto molto per accelerarla, semmai il
contrario!
Va bene, lo ammetto: lo
scatolino aveva un punto debole. Questo. Una chiamata fatta dal domicilio di un
altro ed una rapida fuga.
“A parte la donna delle
pulizie, chi è entrato nell’appartamento fra ieri ed oggi?” ‘E non parlarmi
delle troiate sulla privacy degli inquilini rispettabili o ti spezzo in due’,
dissero i suoi occhi. Fortunatamente, da ex-collega, lui capì al volo. Si
schiarì la gola, e disse, in tono meno da primo della classe, “Nessuno.
Registro meticolosamente tutti gli ingressi e le uscite, e…”
“Potremmo
dare un’occhiata a quel registro?”
“Non smetterò mai di
chiedermi perché tu non abbia accettato di fare carriera nell’aeronautica. Saresti
stato un astronauta perfetto, con la memoria che ti ritrovi.”
Stavamo tornando in macchina
al distretto. Ripensavo alla telefonata di quella mattina -le 08:45, una voce
femminile allarmata, che in fretta e furia disse che un corpo umano era stato
gettato da una macchina in corsa.
Fisk era convinto che si
trattasse di omicidio, e questo non faceva bene alla tensione per le strade.
C’era almeno da sperare che la guerra sarebbe stata contenuta; con la paranoia
sul terrorismo ancora alta, nessuno aveva voglia di passare per primo per un
emulo del vecchio Bin.
Era un omicidio? O, più prosaicamente, i compagni di
sbornie del giovane Fisk avevano deciso di scaricare un cadavere accidentale
molto scomodo? Se così era, la loro vita era quantificabile in qualche giorno
al massimo. I testimoni dello ‘scarico’ non avevano visto il numero di targa
della macchina, e il veicolo, pur non andando piano, stava rispettando i limiti
di velocità, ed era solo passato col rosso subito dopo, quindi nessuna
segnalazione. Fisk avrebbe saputo spremere, per dirla come piaceva a Turk, in
modo tale da ottenere le informazioni che voleva.
Si
trattava, in pratica, di essere più veloci di lui. Diego Garcia era una fonte
sufficientemente rapida, ma avrei dovuto fare un po’ di più, questa notte.
Avrei dovuto spremere a mia volta…E, incidentalmente, i metodi che usavo erano
proprio quelli che mi rendevano poco adatto a fare l’astronauta. Per il resto,
sì, faceva comodo avere una memoria fotografica…
“JJ, hai due chiamate.”
L’agente alla reception mi porse un foglietto scritto a mano.
“Grazie,” bofonchiai, perso
nelle mie elucubrazioni. Mi tersi la fronte con il dorso della mano. “Caldo
fottuto. Hanno deciso di incentivare così i prepensionamenti? Per selezione
naturale?”
Il Sergente O’Brien
ridacchiò. “Ce ne accorgeremo per davvero, quando sarà troppo caldo: Comb
prenderà fuoco spontaneamente.”
Mi fermai sul primo gradino,
di colpo, voltando la testa altrettanto rapidamente. Un gesto che riusciva
sempre a richiamare l’attenzione periferica degli altri. O’Brien si trovò a
fissare il mio sguardo, a scrutare appena per un momento il cacciatore dentro
di me. Ed impallidì, le sue battutine del cavolo mortegli in gola.
Ripresi a salire le scale.
Odiavo fare una simile cosa ad un altro essere umano, ma Comb, per ora, era un
vecchio maestro, e meritava supporto, non disprezzo. Mi annotai di riprovare,
per l’ennesima volta, a mettere in pratica il buon proposito. Poi, forse, se mi
sputava di nuovo in faccia, lo avrei ucciso.
Mi misi seduto alla
scrivania. Kristine sedette a quella di fronte. Pensando distrattamente ad un
progettino per un muro divisorio, guardai i messaggi. Uno era DG; come sempre,
era stato rapido. Aveva chiamato sotto il falso nome convenuto, ed aveva
confermato l’appuntamento. Sospettavo, e non ero il solo, che fosse un mutante.
L’altro messaggio era di mio
padre: come sempre, voleva una dritta e tutte le info esclusive sul caso. Il Daily
Bugle aveva fame di sangue…anzi, ce ne aveva messo di tempo, il vecchio
JJJ, per contattarmi. Credo proprio che Fisk Sr. gli abbia elencato, con quel
tono pacato ed implacabile, i rischi corporali della diffamazione. Mio padre
sarà stato lì ad ascoltare, ad annuire condiscendente, mentre la sua mente
elaborava il prossimo pezzo.
Bisognava dargliene atto, al
vecchio era fegatoso quanto ambizioso: ho pochi dubbi che mi abbia mandato al
fronte urbano per avere una fonte affidabile, altro che ‘responsabilità
civile’. Non ho mai creduto a quelle fesserie, ma avrei fatto qualunque
lavoro per sfuggire alla presenza del bastardo!
Guardai il foglietto,
sperando che fosse un braccio del vecchio, per poterglielo sbocconcellare a
lungo e con gusto…Ma dovevo rispondere alla chiamata, o sarebbe arrivato il
settimo cavalleggeri per il controinterrogatorio a tutto il distretto.
Composi il numero, il diretto
di J. Jonah Jameson, e dovetti aspettare solo il tempo di uno squillo -come DG,
JJJ aveva il dono di essere sempre in prossimità del suo telefono, quando lo
cercavi. “Ce ne hai messo di tempo, lazzarone!” rispose la familiare voce roca
da anni dei migliori sigari.
“Sono felice anch’io di
sentirti, JJJ. Cosa posso fare, per te? Sto lavor…”
“Lavoro? Non sai nemmeno cosa
voglia dire! Dovevi entrare in un’agenzia privata, mica stare lì a sbracarti
per una latta da sceriffo! Davvero, tua madre non ha saputo tirarti su come…”
La mia presa sulla cornetta
si fece di colpo talmente forte da sbiancare le nocche. La mia voce, in
compenso, era degna del mio ‘sguardo assassino’. “Menziona mia madre anche solo
per caso, e questa telefonata termina qui.”
Testardo o no, il vecchio
ebbe abbastanza buon senso da venire a più miti consigli. “Cosa avete scoperto
sul caso Fisk?”
“Saprai tutto dal nostro
addetto stampa, JJJ. Non ti preoccupare: loro, almeno, sono sinceri quando
dicono qualcosa.”
“Certo,” il tono tornò al
sarcasmo forza 10. “Come sul caso del licantropo, vero? ‘Tutte le prove
raccolte indicano…’”
Misi giù il telefono. Con
calma. Ne avevo abbastanza di esposizione al vecchio, per oggi, e non intendevo
sprecare energie sbattendo con tale forza da rompere l’apparecchio -dopo me lo
detraevano dallo stipendio.
Non sapevo se considerarmi
fortunato o no, che l’uomo-lupo, il Man-Wolf, fosse ancora considerato
roba da leggenda metropolitana. Qualcuno aveva proposto l’ipotesi del mutante,
ma era durata poco: le Sentinelle, i super-robot concepiti per
localizzare e contenere (eufemismo carino per ‘eliminare’) i mutanti, non
avevano trovato alcuna traccia di un mutante lupino. In compenso, nella loro
caccia ne avevano trovati parecchi altri, di quei disgraziati.
Dopo altre ricerche, i soliti
manifesti di ‘ricercato’, e un breve spasmo orgasmico dei media, il lupo era
tornato un fantasma di cui si parlava occasionalmente, o come di un angelo
custode o come di un sanguinario killer. E a me andava benissimo.
Davanti
a me, Kristine faceva pietosi tentativi di ignorare la telefonata
involontariamente origliata -se nessuno di voi aveva mai sentito JJJ al
telefono, allora non sapevate cosa volesse dire sbraitare. Chissà se i suoi
vecchi erano stati come il mio? Kristine aveva perso i genitori a sei anni.
Entrambi poliziotti, entrambi caduti sul dovere, lo stesso giorno, in
un’assurda catena di coincidenze. La poveretta aveva preso molto sul
serio il suo compito di portatrice della bandiera di famiglia…
Guardai
l’orologio -Dio, ancora tutto il pomeriggio da trascorrere. Meglio dedicarsi
alle scartoffie, va’; sempre meglio che indugiare in quegli allegri pensieri…
Decisi di non fare gli
straordinari -tanto non li pagavano, il budget era più rosso del mio sangue- ed
uscii chiudendomi nell’impermeabile. Il caldo si era un filo attenuato, ma non
mollavo la mia ‘divisa’, il mio trademark.
Le
indagini del resto della squadra non avevano portato a risultati migliori. Il
resto della giornata era trascorso in un silenzio carico di tensione, in attesa
della risposta della mala al guanto lanciato da Fisk. Compativo i poveracci del
turno di notte: a loro sarebbe toccato non solo di guardarsi le spalle con più
cautela del solito, ma avrebbero anche dovuto tenere le orecchie aperte per il
cacciatore…
Arrivai a casa a piedi. Sei
isolati, ma me li ero mangiati come niente. La Luna stava sorgendo; era ridotta
ad uno spicchio crescente, ma bastava al cacciatore. L’adrenalina cresceva col
passare del tempo. Ancora prima del cambiamento, i miei sensi erano tesi al
massimo.
Dovetti fare uno sforzo
cosciente per non salire le scale del condominio di corsa, ed entrare nel mio
appartamento senza sfondare la porta. Una volta dentro, procedetti a
spogliarmi. Ero talmente su di giri che quasi mi strappai gli abiti di dosso
-calma, cucciolo! I soldi non crescevano sugli alberi. Una volta nudo, il corpo
accarezzato piacevolmente dall’aria condizionata, mi crogiolai nell’idea di
mettermi a correre per tetti senza la ‘divisa’…Ma quel minimo di protezione mi
serviva. Soprattutto per la caccia di stasera.
Andai all’armadio. Con mani
tremanti, estrassi una stampella su cui stavano appesi una specie di gilet nero
e shorts dello stesso colore. Un fil di ferro teneva agganciati alla stampella
anche due paia di bracciali dorati semplici, lisci.
Con i movimenti ormai
divenuti familiari, mi infilai il costume e i bracciali. L’ideatore del costume
avrebbe voluto qualcosa di più coprente, ma sapevo bene come il cacciatore si
sarebbe sentito all’idea di imprigionare il proprio corpo, quando la protezione
naturale gli bastava…Sì, il cacciatore era arrogante, ma lo capivo…
Così vestito, andai in
cucina. L’appartamento non era una cosa spaziale, 90 metri quadri circa, divisi
in quattro stanze, ma a NY era un miracolo potersi permettere un simile spazio
ad un affitto bloccato…Ma quella è un’altra storia.
Per ora, mi importava solo
della caccia. La mia mente si stava concentrando solo su quella. Ebbi la
lucidità necessaria ad aprire il frigorigero e tirare fuori un bel pezzo di
carne ben scongelata. Il giorno dopo l’ultima volta che il cacciatore si era
mosso a stomaco vuoto, il coroner si era messo a vomitare alla vista dei resti
del fiero pasto.
Mi sedetti in modo che la
Luna mi illuminasse per bene attraverso la finestra. Guardai l’orologio appeso
al tavolo: le 08:00. La Luna era uno spicchio argento, innaturale, a malapena
visibile nel cielo al tramonto, ma non importava che la vedessi o meno. Se lei
era lì, in qualunque condizione meteo o luminosa, il cacciatore rispondeva.
Come adesso.
La trasformazione era come
fare l’amore. La prima volta era goffo, doloroso. Poi, notte dopo notte, si
imparava e si migliorava. Adesso, era un processo non proprio veloce, ma
fluido. Avevo imparato a ridistribuire le sensazioni, mentre le ossa si
ingrossavano, si ispessivano, i muscoli si adattavano, diventando duri come
l’acciaio, e gli organi seguivano a ruota, le ghiandole del cervello intente a
produrre un rush di adrenalina che mi mandava in visibilio. La bocca si estese,
riempiendosi di zanne aguzze. Quando i sensi si acuirono, per un solo secondo associai
la pletora di odori ad una puzza moltiplicata per mille. Poi, si svilupparono
le aree cerebrali che gestivano l’input sensoriale. La pelle pizzicava dappertutto,
mentre il pelo cresceva, e mi avvolgeva in un calore pazzesco…
Quando fu finita, in piedi
accanto al tavolo c’era il cacciatore. Man-Wolf. Il nero del costume di
tessuto antiproiettile ultrasottile spiccava come non mai sulla pelliccia
bianca. La coda, quella ancora non ne voleva sapere, di crescere, e il
cacciatore continuava a percepirla come una specie di offesa alla sua dignità
personale.
Lasciai che il lupo
mangiasse, saziasse la fame indotta dalla trasformazione -avevo scelto una
carne ricca di grasso apposta. Sentii il sapore buono ma ancora insoddisfacente
dello sterile sangue della ‘preda’, ma il desiderio di cacciarne di viva era
chetato con lo stomaco pieno. Ora avrei potuto guidare il mio ‘alleato’ senza
troppi problemi nella notte.
Per fare giustizia.