Quindici anni fa il
Comandante Steven Rogers, che un tempo era stato l’Originale Capitan America,
fu invitato dall’allora Direttore dello S.H.I.E.L.D. Nick Fury radunare persone
di cui si fidava per creare una squadra che potesse intervenire sotto copertura
in missioni che si potrebbero definire impossibili. Furono scherzosamente
denominati Vendicatori Segreti e il nome attecchì diventando praticamente quello
ufficiale.
In questi 15 anni molte
cose sono cambiate: Steve Rogers è il nuovo Direttore dello S.H.I.E.L.D. e quasi
tutti i membri originali se ne sono andati e sono stati sostituiti. Una cosa è
rimasta uguale: quando lo S.H.I.E.L.D. ha bisogno di qualcuno che riesca in un
compito ai limiti dell’impossibile chiama i…
(UN VIAGGIO DI 15 ANNI IN UN FUTURO
POSSIBILE)
GIOCHI
PERICOLOSI
Di
Carlo Monni, & Carmelo Mobilia
PROLOGO
I GIOCATORI
Appartamento di James Buchanan Barnes, Red Hook, Brooklyn.
L’uomo uscì dalla doccia con indosso solo un asciugamano a cingergli i fianchi. Non dimostrava nemmeno trent’anni e aveva capelli e occhi castani, un fisico atletico e muscoli scattanti. Guardandolo da vicino ci si sarebbe potuti accorgere di qualcosa di strano nel suo braccio sinistro, forse una sfumatura di colore differente o qualcosa di simile, ma pochi avrebbero comunque potuto indovinare che si trattava di un braccio bionico.
Borbottò qualcosa di inintelligibile mentre prendeva il cellulare dal comodino accanto al letto su cui si sedette. Era un telefono speciale e solo una persona lo usava per chiamarlo e mai per chiamate di cortesia.
Premette un pulsante e sul display apparve il volto di un uomo dai capelli biondi e occhi azzurri che dimostrava a malapena quarant’anni e che disse:
<<Ciao Bucky, mi spiace di disturbarti ma…>>
James Buchanan “Bucky” Barnes sorrise quasi involontariamente. Il vecchio Steve non cambiava mai.
<Steve, dovresti smetterla di scusarti ogni volta, lo sai?> replicò <Se la squadra è stata formata c’è un motivo, dopotutto. Siamo qui per questo.>
<<Immagino di essere davvero vecchio stampo, amico mio. Veniamo
al dunque allora: ho per il tuo gruppo una missione difficile e complicata.
Come al solito, una volta sentito di che si tratta sarai libero di accettare o
rifiutare la missione.>>
<Nulla di nuovo sotto il sole. Dimmi pure, Steve.>>
Steve Rogers, Direttore dello S.H.I.E.L.D. spiegò all’amico di una vita i dettagli della missione e alla fine lui disse:
<Accetto Steve.>
La comunicazione fu chiusa e Bucky attese che una serie di file fossero scaricarti sullo Starkphone, li visionò rapidamente poi estrasse da uno scomparto segreto del comodino una tessera color azzurrino su cui spiccava una A dorata. Aveva delle chiamate da fare.
Un appartamento a Jamaica Hills, Queens, New York.
La ragazza finì i suoi esercizi di stretching e si rizzò in piedi. Era alta circa un metro e settanta, aveva un fisico tonico, profondi occhi blu e capelli di media lunghezza color verde scuro, un particolare che ormai suscitava solo scarsa curiosità in chi la incontrava.
Il nome con cui era nata era Thasanee Rappaccini ma lei preferiva farsi chiamare Carmilla Black. Negli ultimi anni ne aveva usati anche altri ma era particolarmente affezionata a questo, le ricordava tempi felici, prima che scoprisse oscuri segreti del suo passato e diventasse quello che era adesso.
Si stava avviando a fare una doccia quando udì il ronzio della communicard.
Il suo pensiero immediato fu: guai in vista.
Little Tokyo, New York.
Il kendo è un'arte marziale giapponese di combattimento con la spada, anticamente utilizzata dai guerrieri samurai. Il kendoka utilizza un'attrezzatura simile ad un’armatura chiamata bogu , la sua testa è coperta da un elmo stilizzato chiamato men con una griglia metallica a protezione della faccia che rende difficile distinguere chi si celi di sotto. Per questo gli altri membri del dojo erano incredibilmente incuriositi nel vedere quell’atleta di bassa statura che stava “facendo a pezzi” il maestro Mitsui.
Era piccolo, ma incredibilmente agile e veloce. Usava lo shinai di legno come un prolungamento del suo corpo. Stava dominando l’incontro senza alcuna fatica.
<IPPON!> gridò l’arbitro, aggiudicando l’incontro al piccolo atleta.
Tutti nel dojo rimasero senza parole, incluso il maestro Mitsui. Rimasero ancora più sorpresi quando questi si tolse il casco e scuotendo i capelli rivelò essere una donna.
Per Amiko Kobayashi era stato poco più di un riscaldamento. Non per qualche mancanza del povero sensei Mitsui, ma perché la donna era stata addestrata nell’uso della katana nientemeno che dall’uomo chiamato Wolverine, un vero e proprio samurai odierno, e dalla donna di nome Yukio, che amava definirsi un ronin[1] dei tempi moderni. Il ronzio della tessera interruppe il suo allenamento.
La squadra stava per riunirsi. Doveva essere accaduto qualcosa.
Central Park. New York.
Lemar Hoskins era cresciuto a Chicago. Nella sua vita aveva girato molti stati americani ed era stato anche in molti paesi stranieri, per cui ne aveva visto, di mondo. Eppure, stare nella Grande Mela lo entusiasmava ancora come un turista. Visitare Times Square, Manhattan, il Rockefeller Center e, come oggi, fare jogging a Central Park rientravano tra le cose che preferiva fare più di ogni altra quando era, per così dire, fuori servizio. Si fermò a bere un sorso d’acqua da una fontanella quando casualmente sentì due anziani seduti in una panchina lì vicino parlare di politica e del “presidente Cooper”. Valerie Cooper, la donna che aveva cambiato la sua vita. Lemar non s’era affatto stupito quando era divenuta presidente degli Stati Uniti . Val aveva una grinta come pochi.
Fu lei che propose il suo amico John Walker nel ruolo di nuovo Capitan America e di conseguenza lui in quello di sua spalla. Da quel giorno di vent’anni prima Lemar è stato un supereroe, un agente governativo, un mercenario, un addetto alla sicurezza e oggi una spia segreta. Una vita movimentata, non c’è che dire.
Tante volte in questi anni, nei panni di Battlestar, aveva rischiato la vita e aveva assistito a diversi orrori da togliere il sonno... tuttavia, Lemar non rimpiangeva nulla.
Forse non era un “perfetto soldatino” come il suo ex socio John Walker, che ancora oggi metteva le sue capacità al servizio del governo (specie ora che come ex amante del presidente aveva con lei una sorta di rapporto privilegiato) ma era anche lui un uomo ligio al dovere. E proprio a quel senso del dovere si rifaceva la chiamata che proveniva dalla sua communicard.
Manhattan, New York.
La donna in tuta nera arrestò la sua moto davanti ad un edificio apparentemente deserto. Ne scese e si tolse il casco integrale rivelando il volto di una bella ragazza bionda di circa vent’anni con splendidi occhi azzurri.
Entrò nell’edificio e poi restò immobile in attesa che un sofisticato sistema di controllo nascosto la analizzasse da cima a fondo.
<<Identità
confermata.>> scandì
una voce elettronica <<Carter, Shannon Margaret. Ingresso
consentito.>>
La porzione di pavimento sotto i suoi piedi la inghiottì letteralmente mentre contemporaneamente, all'esterno, la sua moto veniva a sua volta inghiottita dal terreno.
Lo strano ascensore si arrestò in una sorta di palestra, dove un uomo, apparentemente di una trentina d’anni, dai capelli castani, vestito di un costume scuro con una maschera domino sul viso stava in piedi fissandola con aria contrariata.
<Sei in ritardo di quattro minuti, Shannon. Non è accettabile.> le disse.
<C’era traffico zio Bucky.> rispose lei.
<Non cercare scuse, cerca piuttosto, di fare di meglio la prossima volta… e non chiamarmi zio Bucky sul lavoro.>
<Non fare il sergente istruttore con me. Non funziona… zio Bucky.>
<A volte mi chiedo dove hai preso la tua impertinenza. Non da tuo padre e tua madre, ne sono sicuro.>
<Avrò avuto qualche cattivo maestro.>
Bucky Barnes, il Soldato d’Inverno , rise divertito e replicò:
<Mi chiedo chi possa mai essere stato. Su, vieni. Gli altri sono già in sala riunioni.>
<Roba seria?> chiese Shannon.
<Lo saprai presto.> fu la secca risposta.
PARTE PRIMA
IL GIOCO
La Casa Bianca, Washington D.C. Dodici ore prima.
C’erano dei giorni in cui Sharon Carter, Assistente del Presidente degli Stati Uniti per gli Affari Superumani, rimpiangeva i tempi in cui era un agente operativo. L’azione sul campo le mancava, anche se riconosceva l’importanza del suo lavoro attuale. Quando si era arruolata nello S.H.I.E.L.D. i supereroi e supercriminali attivi erano appena una manciata ed era facile tenerli sotto controllo, poi avevano cominciato a crescere esponenzialmente e a divenire sempre più incontrollabili. Una risorsa e al tempo stesso una potenziale minaccia in grado di influenzare, anche non volendo, la politica di un’intera nazione.
L’interfono emise un ronzio e la voce della sua segretaria risuonò nella stanza:
<<Miss Carter, la Presidente vuole vederla.>>
<Le dica che arrivo subito.>
Mentre percorreva il corridoio che portava all’Ufficio Ovale Sharon si chiese quale potesse essere l’emergenza. Era rimasta sinceramente sorpresa quando Valerie Cooper le aveva offerto il ruolo che ora ricopriva. Non aveva votato per lei e la Cooper lo sapeva ma non le importava. Quando l’aveva chiamata per offrirle il posto, le aveva detto che voleva al suo fianco gente in gamba che le avrebbe detto quello che pensava sinceramente e non solo quello che lei avrebbe voluto sentire e in questo Sharon era decisamente una specialista, come sapevano bene quelli con cui aveva lavorato in passato.
Quando Sharon entrò nell’Ufficio Ovale, la donna bionda apparentemente poco più vecchia di lei vestita con un sobrio tailleur nero la stava aspettando in piedi accanto alla grande scrivania di legno a cui tutti i Presidenti da Bill Clinton in avanti si erano seduti e dove avevano meditato le loro decisioni.
Seduta su uno dei divani posto ai lati c’era Maria Hill, Direttrice del F.B.S.A. e di fronte a lei un uomo dai capelli biondi tagliati corti nello stile dei Marines, il cui corpo era un fascio di muscoli mal contenuti dall’abito scuro che indossava. Jack Daniels, Segretario alla Sicurezza Interna, il cui volto di solito impassibile non nascondeva stavolta una certa preoccupazione. Sharon era una delle poche persone al mondo a conoscere certi segreti del passato di Daniels, segreti che lo connettevano a Steve Rogers ed alla storia di Capitan America. Anche Valerie Cooper li conosceva ed erano stati un fattore determinante nello spingerla ad offri re a quell’uomo il suo incarico attuale una volta giunta alla Presidenza.
<Venga avanti Sharon.> disse Valerie < C’è una cosa di cui sono stata appena informata e voglio il suo parere su come gestirla.>
Una minaccia superumana ovviamente, rifletté Sharon, ma di che cosa poteva trattarsi?
Quando lo seppe rimase a bocca aperta.
Elivelivolo dello S.H.I.E.L.D. Due ore dopo.
Nel suo ufficio il Direttore Steve Rogers stava, come suo solito, monitorando la situazione mondiale quando ricevette una chiamata personale. Vedendo sul display del telefono chi lo stava cercando, fece un sospiro e rispose:
<Ciao Sharon, che novità mi porti? Non buone immagino >
<<No Steve, purtroppo no.>> rispose lei con voce cupa
che rifletteva perfettamente l’espressione del suo volto sul minischermo <<Si tratta di quel genere di
emergenze adatte alla squadra segreta di cui un tempo facevamo parte entrambi,
ricordi?>>
<Come potrei dimenticarlo? Quella squadra, come ben sai, è ancora in piena efficienza e nostra figlia ne fa parte.>
<<Contro il parere di entrambi.>>
<E tu pensi che avremmo avuto una sola chance di impedirle di percorrere la nostra stessa strada, anche se ci avessimo provato seriamente?> ribatté Steve con un sorriso.
<<No, immagino di no.>> rispose Sharon sorridendo a sua
volta, poi tornò subito seria <<Veniamo
agli affari, Steve.>>
-Giusto. Deve essere una cosa davvero seria, se hai deciso di chiamare lo S.H.I.E.L.D. invece di usare le vostre risorse.>
<<Le nostre risorse, come le chiami tu, non sono adatte a
fronteggiare la situazione, anche se immagino che loro non la vedano allo stesso
modo, così mi sono permessa di attingere alle tue.>>
<Ne devo dedurre che questa non è una chiamata ufficiale?>
<<Questa chiamata non è mai avvenuta, è una mia iniziativa personale. Se Daniels ne fosse al corrente, potrebbe chiedere la mia testa al Presidente.>>
<Non sottovalutarlo: è meno rigido di quanto la gente pensi.>
<<Può darsi, ma non è questo il punto. Uno dei nostri infiltrati
nell’A.I.M. ci ha appena informati che quella sinistra organizzazione sta per
vendere una nuova superarma che ha creato. L’Hydra ha deciso a metterci sopra
le mani ed usarla al prossimo summit del G20 qui negli Stati Uniti.>>
<Sarebbe un disastro per gli equilibri mondiali in questo momento delicato. È decisamente una faccenda di competenza dello S.H.I.E.L.D. L’arma di cui parli, qualunque cosa sia, deve essere neutralizzata. Nessuno deve metterci le mani sopra, nessuno.>
Sharon rifletté sulle implicazioni di quella frase. Conosceva bene Steve e sapeva cosa avrebbe deciso ancor prima di chiamarlo. La lealtà verso il Governo di cui faceva parte avrebbe dovuto spingerla a non fare quella chiamata, ma in fondo al cuore lei era d’accordo con Steve ed era convinta che quello che lui avrebbe fatto sarebbe stata la cosa migliore anche per il suo paese.
Steve aggiunse;
<Dammi tutti i particolari, Sharon.>
Sharon lo fece contemporaneamente gli inviò i dati in un file criptato.
Mentre i dati erano scaricati nel suo computer, Steve stava pensando a quanto tempo era passato da quando aveva incontrato per la prima volta la graziosa “agente 13” dello S.H.I.E.L.D. e se ne innamorò, di come più di una volta temette di averla persa e di quante ne avevano passate nel corso dei decenni. Il suo “cammino tra i ricordi” venne interrotto quando il suo auricolare cominciò a ronzare fastidiosamente.
<Ma chi diav...?>
<<Scusa se interrompo le tue scaramucce d’amore, testa alata, ma
ho delle notizie che potrebbero esserti utili.>>
C’era soltanto un uomo in grado di intromettersi su quella linea privata. Lo stesso uomo che, decenni dopo che Steve aveva rinunciato al ruolo di Capitan America, continuava a rivolgersi al lui con quel sopranome.
<Fury! Che ci fai su questa linea? Dove sei?>
<< Sempre a Tahiti. Un posto magico, credimi.>> disse Fury
ridacchiando <<Mi godo la vita del
pensionato.>>
In quel momento Nick Fury si trovava realmente in una spiaggia di Tahiti, sorseggiando un drink tropicale. Era molto invecchiato, i capelli erano ormai totalmente bianchi, il viso pieno di rughe, ma era comunque ancora arzillo e in forma. In una mano teneva il suo consueto sigaro, mentre con l’altra smanettava sulla tastiera di un PC portatile.
<<Ascolta Rogers, ho notizie sulla superarma di cui ti ha appena
avvertito Carter.>>
<E tu come ne sei a conoscenza?>
<<Ho ancora i miei contatti, lì allo S.H.I.E.L.D. e altrove. Ma
non è questo il momento di discutere. C’è un tizio che i tuoi ragazzi devono
tener d’occhio... il nostro uomo si chiama Vladimir Illych Ulianov >
<Un russo.>
<<Già. Ex Spetsnaz,[2]ex
S.V.R.[3] ed altro ancora. Da anni è un mercenario ben
pagato al servizio del miglior offerente. Il suo nome in codice è
Lenin.>>
<E capisco il perché.>[4]
<<Fino a qualche anno fa lavorava con il gemello Vassily poi lui
è morto e…>>
<Aspetta… ora mi ricordo di loro: 15 anni fa a Mosca. Quella storia con Natasha…>
<<Esatto. Pare che tocchi a lui ritirare l’ordigno e portarlo sul
luogo dell’attentato.>>
<Così ucciderebbe anche il suo Presidente.>
<<Dubito che gli import: è nella lista nera dei Russi da anni ormai. I tuoi ragazzi dovranno darsi da fare per fermarlo.>>
<Ce la faranno, Nick.>
Steve non poteva permettersi dubbi al riguardo e la sua squadra non poteva permettersi di fallire.
Sede dei Vendicatori Segreti, Manhattan. Adesso.
Quando entrò in sala riunioni Shannon vide che effettivamente era stata l’ultima ad arrivare. Si sedette accanto a Yurei. Sorrise pensando che nonostante fosse la più giovane del gruppo era in un certo senso una veterana lì dentro. Doveva aver avuto sei, al massimo sette anni, la prima volta che aveva messo piede nel luogo dove ora si trovava. Con due genitori come i suoi, era praticamente inevitabile che finisse a fare quel tipo di lavoro anche se né suo padre né sua madre ne erano stati entusiasti, questo era certo.
Il Soldato d’Inverno si posizionò davanti ai membri del suo gruppo con alle spalle un maxischermo e cominciò a parlare:
<La nostra nuova missione è delicata. L’A.I.M. ha realizzato un pericoloso congegno, una sorta di superarma, e intende venderlo al miglior offerente. L’asta, chiamiamola così, si terrà su una nave da crociera in acque internazionali.> sullo schermo apparve l’immagine di una nave dall’apparenza decisamente lussuosa <Sono stati invitati a partecipare varie organizzazioni terroristiche e criminali, per tacere dei governi di alcuni Stati canaglia. Possedere quel congegno significherebbe acquisire il potere assoluto o quasi sulle altre nazioni. Senza contare che l’Hydra vuole usarlo per un attentato al prossimo G20. Quest’uomo…> sullo schermo apparve la stessa immagine che Nick Fury aveva inviato a Steve Rogers <… è il sicario che l’Hydra ha assoldato: un mercenario russo molto pericoloso. Se avrà l’arma la userà per incenerire il luogo dove si svolgerà il G20 e noi dobbiamo impedirlo a qualsiasi costo. Steve vuole che nessuno metta le mani su quella superbomba, nemmeno governi amici, compreso quello americano. Il potere assoluto corrompe in modo assoluto e io sono d’accordo con lui. Il nostro compito consiste nell’infiltrarci nella nave, rubare l’unico prototipo o distruggerlo e possibilmente neutralizzare gli agenti dell’Hydra e dell’A.I.M. prima di andarcene.>
<Se posso fare una domanda…> interviene Amiko Kobayashi <… cosa impedirà all’A.I.M. di ricostruire il congegno. Quelli sono tutti dei geni e se l’hanno fatto una volta, la seconda ci metteranno meno tempo.>
<Giusta osservazione. Introdurremo nel loro server un virus informatico che cancellerà ogni dato e ne impedirà la ricostruzione. Prima o poi troveranno il modo di superarlo ma per allora gli scienziati dello S.H.I.E.L.D. avranno reso obsoleto il congegno.>
<Quindi dovremo infiltrarci in un luogo isolato, senza quasi vie di fuga, in mezzo a centinaia di uomini e donne armati e pericolosi e tutti potenzialmente ostili?> chiese Carmilla Black alias Scorpia.
<Esatto.> confermò Bucky Barnes.
<Mi piace.> disse, sorridendo, la giovane donna.
Dipartimento della Sicurezza Interna, Washington D.C.
Jack Daniels fremeva dalla voglia di entrare in azione e malediceva in cuor suo il ruolo che aveva attualmente che lo costringeva nelle retrovie, come le chiamava lui, ma al momento non aveva scelta. Alla sua non più verde età era ancora in eccellente forma fisica ed avrebbe potuto agire personalmente, invece si rivolse al giovane in costume davanti a lui:
<Ti chiederai perché abbia voluto vederti.>
<In effetti, signore, sì.> ribatté il giovane mentre rimaneva in piedi apparentemente impassibile.
<Il punto è che se devo
ordinare a qualcuno di andare in una potenziale missione suicida preferisco
dirglielo in faccia,mi sono spiegato?>
<Perfettamente signore.> rispose il suo interlocutore.
<Bene, perché, se c’è troppo in gioco stavolta e a te tocca un ruolo ingrato.>
<Non sono abituato a fallire, signore e non lo farò neanche stavolta.>.
Jackson Daniels, il cui nome un tempo era John Walker, guardò il giovanotto che lui stesso aveva scelto per sostituirlo nel ruolo di U.S.Agent e disse:
<Me lo auguro ragazzo, me lo auguro davvero.>
PARTE SECONDA
LA NAVE
Caribbean Queen, Mar dei Caraibi, acque internazionali.
Le lance a motore portarono gli ultimi passeggeri a ridosso della gigantesca nave da crociera. Nessuno sapeva con certezza chi ne fosse il proprietario: qualunque ricerca avrebbe portato a società off shore possedute da altre società off shore in un gioco di scatole cinesi praticamente infinito. Si diceva anche che la Caribbean Queen non attraccasse mai in nessun porto, a parte due approdi sicuri in paradisi fiscali come Santa Providencia e Isla Suerte. Quale che fosse la verità, quello che era certo, era che a bordo di quella vera e propria città galleggiante oltre ai tradizionali comfort di una classica crociera era possibile giocare a qualunque gioco d’azzardo ed abbandonarsi a vari altri tipi di trasgressione. Una copertura perfetta per un covo dell’A.I.M. oltre che una fonte aggiuntiva di reddito illegale o quantomeno esentasse.
Appena le lance si arrestarono davanti ad una delle fiancate della nave, l’apertura di una paratia consentì ai passeggeri il trasbordo sul transatlantico. Successivamente degli ascensori li portarono su uno dei ponti superiori.
Tra i passeggeri c’era James Buchanan Barnes, la cui identità fittizia era quella di un manager della Stark-Fujikawa di nome Ethan Bauer, ed era vestito di conseguenza, con un completo bianco ed immancabile valigetta. Al suo fianco c’era Shannon Carter nei panni della sua assistente Sydney Peel, panni che consistevano in un tubino nero decisamente corto e scarpe dello stesso colore dai tacchi vertiginosi come la scollatura che la ragazza esibiva.
Buck si chinò su di lei e le sussurrò:
<Se tuo padre ti vedesse ora, vestita così, gli verrebbe un infarto.>
<Ma non mi sta vedendo.> ribatté Shannon in tono divertito <E comunque è geneticamente impossibile che abbia un infarto o qualunque altro malanno, se è per quello. In ogni caso, quel che pensa non m’interessa: sono adulta e mi vesto come mi pare… e poi… devo essere credibile nel ruolo di segretaria/amante, no?>
Buck sospirò. Sapeva per esperienza che era del tutto inutile discutere con quella ragazza. Da Steve e Sharon aveva preso una decisa indipendenza di carattere e aveva anche un caratterino pepato che decisamente non aveva preso dal padre. Inevitabilmente Bucky si sentiva come uno zio nei suoi confronti, dopotutto l’aveva conosciuta da bambina e l’aveva letteralmente vista crescere. Il suo atteggiamento non mancava di irritare Shannon di tanto in tanto. Succedeva lo stesso con Julia, una delle sue vere nipoti, che, in barba alle raccomandazioni del prozio, aveva deciso di intraprendere la carriera di supereroina al fianco di Capitan America usando come nome di battaglia proprio Bucky.[5] Lui non glielo aveva mai detto ma si era sentito lusingato.
Lasciò perdere questi pensieri e si concentrò sulla missione.
<Siamo dentro.> sussurrò Bucky ad un microfono nascosto e non rilevabile nemmeno dai migliori sensori, esattamente come il suo braccio sinistro bionico.
<<Ottimo.>> rispose Battlestar dall’altra parte <<Visto qualcosa di fuori dall’ordinario?>>
<Non per adesso. Ti terrò aggiornato. Chiudo.>
Finora non c’era nulla di strano. L’atmosfera e i passeggeri sembravano proprio quelli tipici di una nave bisca di lusso ma non poteva durare, lui se lo sentiva e le sue sensazioni raramente sbagliavano.
Non si avvide che alle sue spalle una passeggera lo stava fissando con sorpresa.
Quinjet dei Vendicatori Segreti
Il sofisticato velivolo prodotto congiunto dell’ingegneria Wakandana e americana stazionava sopra la nave in modalità invisibile ai radar ed a sensori più sofisticati. Scoprirne la presenza era praticamente impossibile perfino per la tecnologia avveniristica dell’A.I.M.
Battlestar si rivolse alle due giovani donne in piedi davanti a lui:
<Siete pronte?>
Amiko Kobayashi, in tenuta da ninja, indossò la mascherina che le copriva la parte inferiore del volto e rispose:
<Sono sempre pronta , ormai dovresti saperlo.>
<Lo stesso vale per me.> replicò Carmilla Black alias Scorpia <Quando entriamo in azione?>
<Dopo il tramonto.> rispose Lemar Hoskins <Il vostro compito sarà entrare di nascosto nella nave e trovare il congegno dell’A.I.M. senza farvi scoprire.>
<Non dimenticare che il mio nome in codice è Yurei, cioè “spettro” nella tua lingua.> ribatté Amiko.
A volte l’arroganza di quella ragazza lo irritava davvero, pensò Lemar. Dai genitori adottivi aveva preso anche una notevole dose di coraggio che sforava decisamente nell’incoscienza. Avrebbe dovuto ricordarsi che non possedeva il fattore di guarigione di Wolverine e che Yukio era finita su una sedia a rotelle alla fine.
<Tutto chiaro.> aggiunse Carmilla <La solita routine di infiltrazione e sabotaggio. Ci sono abituata sin da quando lavoravo con mia madre invece che contro di lei.>
Scorpia era anche lei una variabile imprevedibile. Del resto viso che aveva due genitori fuori di testa come Bruce Banner, ovvero l’Incredibile Hulk, e Monica Rappaccini, lo Scienziato Supremo dell’A.I.M. ed esperta di veleni e altri mezzi di dare la morte, il minimo che ci si poteva aspettare era che anche lei non fosse propriamente un esempio di stabilità.
In azione, però, si erano sempre mostrate capaci e questo era quello che contava.
<Solite regole d’ingaggio?> chiese Carmilla.
<Naturalmente: niente forza letale se non è assolutamente necessario.> rispose Battlestar.
Ora non restava che aspettare.
Mar dei Caraibi
Se qualcuno fosse stato presente in quel momento, avrebbe potuto vedere una snella figura femminile tuffarsi da un punto imprecisato nel cielo e piombare con eleganza nelle calde acque dei Caraibi senza riemergere.
Scorpia nuotava vigorosamente verso la chiglia della nave non molto lontana. In breve la raggiunse ed usando delle speciali ventose si arrampicò sulla fiancata.
Se quello che le avevano detto era vero, il congegno applicato sulla sua cintura avrebbe disabilitato gli allarmi che l’A.I.M. aveva certo messo dovunque. Se invece non aveva funzionato, beh era meglio prepararsi ad una dura battaglia.
Non accadde nulla e Carmilla tirò un sospiro di sollievo. La sua prossima mossa fu di applicare alla fiancata un altro congegno che in pochi secondi decifrò il codice di apertura e spalancò una porta segreta.
Scorpia si sbarazzò della bardatura da sub e si guardò intorno. Come aveva sospettato, c’era un intero compartimento segreto nella parte della nave sotto il pelo dell’acqua. I passeggeri paganti ne ignoravano quasi certamente l’esistenza ma c’era da scommettere che fosse pieno di tute gialle. Avrebbe dovuto stare molto attenta. Del resto, era praticamente la storia della sua vita.
Si mosse molto circospetta. Un paio di volte si imbatté in qualche guardia ma la sistemò senza troppi problemi.
Raggiunse una porta blindata che aveva tutta l’aria di portare in qualche posto interessante. Ancora una volta si avvicinò agli uomini in tuta gialla che erano di guardia senza che la sentissero arrivare. Le bastò un colpo ben mirato della neurotossina che le scorreva nel sistema linfatico e che era rilasciata attraverso il suo braccio sinistro e i due uomini caddero tramortiti.
Scorpia si avvicinò alla porta. Serratura a combinazione. Avrebbe potuto usare il suo decifratore portatile ma decise di fare prima un tentativo e digitò la propria data di nascita, magari era possibile che la spietata Monica Rappaccini si fosse dimostrata sentimentale una volta tanto.
Niente da fare. Probabilmente ci voleva uno scan retinico o addirittura del DNA. Aveva preteso troppo dalla fortuna.
Improvvisamente la porta si aprì davanti a lei. Dopo una breve esitazione Carmilla entrò nella stanza, chissà, forse era stata davvero fortunata.
Cambiò idea quando la porta si chiuse di scatto alle sue spalle e la stanza s’illuminò di colpo rivelando di essere piena di uomini armati in tuta gialla e casco da apicoltore in testa. Dietro a loro, la Scienziata Suprema dell’A.I.M. Monica Rappaccini, ovvero sua madre.
<Mi deludi, Thasanee…> le disse usando il nome che le aveva dato alla nascita prima di abbandonarla e darla in adozione <… davvero credevi che non mi sarei accorta della tua intrusione?>
<Sai com’è, mammina…> rispose lei <… sono sempre stata un inguaribile ottimista.>
<Non essere impertinente con me, ragazza, sono molto meno paziente di tuo padre io.>
<Interessante, visto che la pazienza non è una delle sue migliori virtù.>
Monica Rappaccini sospirò.
<In compenso hai ereditato il suo sarcasmo. Perché sei qui?>
<Lo sai: hai creato un’arma di distruzione di massa e ti appresti a venderla a gente che non esiterà ad usarla.>
Monica aprì un comparto nella parete da cui uscì una sfera di metallo lucente non più grande di una palla da basket poggiata su un supporto trasparente.
<Parli di questa?> chiese alla figlia <È un prototipo unico. Fabbricarla è costato una piccola fortuna, ma dalla sua vendita conto di ricavare dieci volte tanto. Si tratta di una bomba portatile. Pesa pochissimo ed è assolutamente innocua finché non è attivata. Potrebbe cadere a terra e non succederebbe niente ma quando viene innescata sviluppa una potenza distruttiva che incenerisce ogni cosa nel raggio di 5 ettari con una minima dispersione di radiazioni. Non ti spiegherò come sia possibile, ti basti sapere che lo è. Non per nulla gli scienziati dell’A.I.M. sono geni abituati a realizzare quello che per gli scienziati comuni sarebbe impossibile.>
<E te ne vanti senza alcun pudore. Non ti interessa che qualcuno usi quella… quella cosa per uccidere della gente?>
La Rappaccini si strinse nelle spalle e replicò:
<L’uso che ne faranno non mi riguarda. Io costruisco armi avanzate di distruzione di massa. È il mio lavoro e lo faccio anche molto bene. Che male c’è se ci guadagno sopra come qualunque imprenditrice di successo? È così che funziona il capitalismo, bambina mia.>
<Non sono più una bambina da un pezzo, mamma, e sono decisa a fermare il tuo commercio di morte.>
Un altro sospiro. Monica Rappaccini esitò prima di parlare:
<Che dovrei fare con te, adesso?> chiese retoricamente <Il buon senso mi suggerirebbe di ucciderti ma…>
Non finì la frase, la stanza piombò improvvisamente nel buio.
“Ottimo tempismo, Amiko”, pensò Scorpia con un leggero sorriso sotto la maschera.
In un altro corridoio
La chiamavano Yurei, cioè Spettro ed era un nome ben meritato.
Amiko Kobayashi aveva studiato l’arte del ninjutsu con i migliori maestri che il Giappone potesse offrire. La sua madre affidataria, Yukio, era stata inflessibile nell’allenarla pretendendo da lei solo il meglio e anche Logan non era stato da meno. Il risultato era stato che se lei non voleva essere vista, nessuno l’avrebbe vista, tutto qui.
Infiltrarsi nello scomparto segreto della nave le aveva dato meno problemi che a Scorpia probabilmente. Trovare la sala di controllo fu ancora più facile
Se gli uomini di guardia allo studio della Scienziata Suprema avevano visto Scorpia un attimo prima di essere abbattuti, quelli nella sala controllo non ebbero nemmeno quest’opportunità. Non avrebbero mai saputo chi o cosa li aveva colpiti.
Yurei li superò senza badare troppo a loro e si diresse al quadro comandi.
Era ora di fare un po’ di distruzione.
Caribbean Queen, Ponte Passeggeri Superiore.
Shannon Carter si aggirava tra la folla guardandosi intorno con discrezione. C’era un certo brivido nell’agire sotto copertura, nel fingere di essere un’altra persona e nella possibilità di essere scoperta da un momento all’altro. Lei era nel giro solo da poco tempo ma, viste le sue connessioni familiari, la probabilità di essere in qualche database era molto elevata. Del resto il rischio faceva parte del mestiere che si era scelta, che era anche parte di una tradizione di famiglia.
Si appoggiò al bancone del bar scrutando con noncuranza i presenti cercando un uomo in particolare e finalmente lo vide: era ad un tavolo che parlava con una donna bionda di una ventina d’anni più vecchia di lei, vestita con un abito lungo che le lasciava scoperte le spalle ed aveva una generosa scollatura. L’avrebbe riconosciuta dovunque: Andrea Strucker. Quando Strucker era morto i suoi figli si erano insediati ai vertici dell’Hydra ed ora lei ricopriva il ruolo di Madame Hydra.
Shannon sussurrò nel microfono nascosto nella sua collana:
<Zio Bucky, ho trovato il nostro uomo.>
Non ricevette risposta ma non ebbe modo di preoccuparsene perché in quel momento Andrea Strucker alzò lo sguardo e la vide. Shannon ebbe la brutta sensazione che anche lei l‘avesse riconosciuta.
Altrove, ponti inferiori.
Bucky Barnes si era avventurato sui ponti inferiori della nave in cerca di indizi che lo portassero al covo segreto dell’A.I.M. e magari al Russo che stava cercando. Se si fosse imbattuto in qualche guardia avrebbe cercato qualche scusa e se non l’avessero creduto… beh, non era sopravvissuto sino ad allora per caso, se la sarebbe cavata.
Il freddo acciaio della canna di una pistola sulle sue reni lo riportò alla realtà. Come aveva potuto farsi sorprendere in modo così stupido?
Quando udì la voce di donna alle sue spalle, che parlava Inglese con appena un lieve accenno di accento russo, capì:
<Non muoverti, James, non voglio farti del male.>
<Yelena? Sei davvero tu? Posso girarmi?>
<Molto lentamente e con le mani bene in alto, James. Ti conosco troppo bene.>
Lui obbedì e si trovò faccia a faccia con Yelena Belova. Anni prima era stata sua compagna di squadra nella prima formazione dei Vendicatori Segreti ed erano stati anche amanti. All’epoca lei era la Vedova Nera Ufficiale dei Servizi Segreti Russi, un ruolo che aveva perso in anni recenti a quanto si diceva ma forse non era del tutto vero.
Lui la guardò. Era sempre bellissima. Il tempo non aveva toccato il suo viso che sembrava sempre di porcellana. Gli occhi sembravano ghiaccio puro e la piega corrucciata del suo labbro superiore che era così sexy ora sembrava avere una sfumatura crudele ma forse era solo una sua impressione dovuta alla situazione.
<Mi dispiace davvero James…> disse lei e sembrava sincera <… so perché sei qui, ma quel congegno deve finire nel mio paese.>
<Dispiace anche a me, Lena.> ribatté Buck <Un tempo mi avresti aiutato a distruggerlo.>
<Quel tempo è lontano ormai. Le mie lealtà sono cambiate e io…>
Non finì la frase. Un improvviso rollio della nave la sbilanciò e Bucky ne approfittò per saltarle addosso afferrandole il polso per disarmarla.
Yelena cercò di sbilanciarlo ma lui riuscì a portarla con sé a terra.
<Non ti ricorda un po’ i vecchi tempi?> le chiese in tono ironico mettendosi sopra di lei.
<Roba passata.> ribatté lei e gli sferrò una ginocchiata all’inguine che lui evitò per un pelo, rotolando di lato.
<Non è stata una mossa leale, Lena,> commentò Bucky rialzandosi di scatto.
<In amore e in guerra tutto è permesso.> ribatté Yelena rimettendosi a sua volta in piedi.>
<E quella tra noi è una guerra adesso?>
Prima che la donna potesse rispondere, si udì un’esplosione e la nave s’inclinò pericolosamente. Yelena si ritrovò sbalzata lontano da Bucky che riuscì a sostenersi ad una colonna per poi perdere la presa alla scossa seguente.
La sirena dell’allarme risuonò per tutta la nave. A quanto pareva, c’era un naufragio in corso.
Doveva essere opera di Yurei: quella ragazza era bravissima a distruggere le cose, pensò Bucky mentre cercava di rimettersi in piedi. Dov’era finita Yelena?
Centralina di comando.
Yurei si concesse un sorriso soddisfatto sotto il fazzoletto che ne mascherava il viso. Portare la nave ad incagliarsi era stato facilissimo. Con la sala comandi fuori uso la nave non sarebbe andata da nessuna parte. Adesso era meglio sfilarsi da lì prima che arrivasse qualcuno. Nulla di più facile.
Forse aveva parlato troppo presto. Erano già lì e stavano per entrare.
Ponte Passeggeri
Da come Andrea Strucker l’aveva guardata, Shannon era certa che avesse capito chi fosse, il che voleva dire che doveva andarsene alla svelta. Bucky non aveva risposto alle sue chiamate e questo voleva dire che doveva essere nei pasticci anche lui, doveva cavarsela da sola.
Andrea sussurrò qualcosa al suo accompagnatore russo poi i due si alzarono contemporaneamente dal tavolino e vennero verso di lei
Shannon esitò. Per quanto ne sapeva, l’intera sala poteva essere piena di agenti dell’A.I.M. o dell’Hydra o di una qualunque altra organizzazione criminale che alle parole “Agente dello S.H.I.E.L.D.” non avrebbero esitato ad usare ogni tipo di arma conosciuta o sconosciuta per farla fuori. Lei era in gamba ma anche se nelle sue vene scorreva il Siero del Supersoldato ereditato da suo padre, non era affatto sicura di poter battere da sola e disarmata tutta quella gente.
Tuttavia, se nella sala ci fossero stati ignari passeggeri paganti, i suoi avversari non avrebbero osato agire apertamente rovinando la loro copertura. Doveva rischiare.
Ostentando calma si staccò dal bancone e si avviò all’uscita. Madame Hydra e il suo galoppino le vennero dietro.
Shannon giunse all’aperto e si appiattì contro la parete vicino all’entrata del bar
Udì distintamente la voce di Andrea Strucker che, probabilmente tramite un auricolare, parlava, con qualcuno in Tedesco, una delle lingue che Shannon capiva perfettamente:
<Sì, ne sono certa: la somiglianza con la Carter è notevole, deve essere…>
Non finì la frase: qualcosa la colpì all’addome sbattendola contro la parete.
Il Russo, quello che chiamavano Lenin, si mise in posizione di combattimento.
Shannon teneva in mano una delle sue scarpe, che aveva appena usato per colpire Andrea Strucker, e fronteggiò il suo avversario. “Zio” Bucky l’aveva avvertita che era un osso duro che in passato aveva tenuto testa anche a Natasha Romanoff e Devil[6] per tacere di lui stesso. Poteva essere invecchiato ma conosceva ancora un bel po’ di modi per uccidere un avversario a mani nude, ne poteva essere certa. Il suo sguardo era privo di qualunque emozione.
Shannon gli lanciò contro la scarpa ma lui la evitò con noncuranza. Il lieve sorriso che affiorò per un istante sul suo viso sembrava dirle: “Tutto qui quello che sai fare?”
Shannon si sbarazzò dell’ormai inutile altra scarpa e si preparò allo scontro. L’abito che indossava era appariscente ma troppo attillato, con mossa rapida ne strappò gli angoli sulle cosce dando più manovrabilità alle gambe. Gran peccato, era un Madame Natasha originale.
Il Russo ne approfittò per sferrarle un calcio rotante che lei evitò di misura, poi fece una capriola all’indietro atterrando elegantemente sulle punte dei piedi come le aveva insegnato suo padre.
Parò un altro assalto del suo taciturno avversario ma lui non si scompose. Il tempo giocava contro di lei: presto gli scagnozzi dell’A.I.M. e magari anche quelli dell’Hydra sarebbero accorsi e lei si sarebbe trovata in netto svantaggio. Per colmo di sfortuna aveva perso anche i contatti col resto della squadra.
La distrazione le fu fatale: l’uomo che chiamavano Lenin riuscì a penetrare la sua guardia e le afferrò un braccio tirandola verso di sé. Shannon si ritrovò con le braccia dell’uomo strette al suo collo nella presa che nel wrestling chiamavano Mezzo Nelson. Sentì la testa spinta indietro e seppe che entro breve il suo collo sarebbe stato spezzato. Le sue gambe scalciarono l’aria mentre lottava per liberarsi.
Improvvisamente la nave ondeggiò sbilanciando il suo aspirante assassino facendogli allentare la presa sul suo collo e lei ne approfittò. Con una rapida mossa riuscì a farlo volare oltre la sua testa. Lui piombò oltre il parapètto ma riuscì ad aggrapparsi alla fiancata. Con un balzo fu di nuovo a bordo ma un nuovo rollio più forte del precedente lo sbilanciò prima che potesse completare la manovra. Riuscì ad afferrare il polso di Shannon e quando la nave si inclinò ancora di più, la trascinò con sé fuori bordo.
Studio della Scienziata Suprema.
Il sistema di emergenza riaccese le luci nella stanza dopo poco più di 10 secondi, ma furono più che sufficienti per Scorpia.
Una scarica di veleno neutralizzo l’uomo più vicino a lei mentre, contemporaneamente, un altro si beccava un calcio all’inguine. Dopo tutti gli anni passati dalla fondazione di quella sinistra organizzazione non avevano pensato ad una protezione contro simili attacchi. Potevano anche avere un Q.I. da geni ma come combattenti facevano pena, per sua fortuna.
In quello spazio ristretto Scorpia era più avvantaggiata dei suoi avversari. In breve, usando una combinazione dei suoi poteri e delle sue doti atletiche ne abbatté un buon numero e si trovò di fronte al basamento su cui era poggiata la bomba. Doveva agire in fretta. Estrasse dalla cintura un aggeggio quadrato che cominciò ad emettere un ronzio.
<Ferma!>
Monica Rappaccini le stava puntando contro una pistola. Sotto la bandana che le copriva la metà inferiore del volto Scorpia sorrise amaramente.
<Se vuoi fermarmi, mamma, dovrai spararmi. Immagino non sia un problema per te. In fondo cos’è la vita della figlia che hai abbandonato davanti alla realizzazione dei tuoi piani?>
Monica non rispose: rimase con la pistola puntata contro la figlia che nel frattempo applicò il congegno che aveva in mano alla bomba
Alla fine abbassò l’arma e sospirò dicendo:
<Perché devi sempre opporti a me, Thasanee?>
<Perché è giusto, suppongo.> rispose lei.
Nel frattempo la bomba si stava rapidamente fondendo.
<Giusto e sbagliato sono categorie morali che non mi hanno mai interessato.> disse la Scienziata Suprema
<Vedremo che ne penserà un giudice.>
<Io non lo vedrò mai un giudice.>
Scorpia non seppe mai cosa avesse intenzione di fare sua madre. Improvvisamente la nave si inclinò su un fianco ed entrambe persero l’equilibrio e caddero a terra. Quando la giovane donna rialzò la testa, sua madre si stava infilando in un passaggio segreto.
“Tanto per cambiare” pensò.
Cabina di comando.
Yurei si compiacque con se stessa: il virus informatico che aveva inserito nei sistemi dell’A.I.M. ne aveva azzerato completamente il database. Quei geni in tuta gialla prima o poi avrebbero superato il problema ma almeno per un po’ si sarebbero trovati in seria difficoltà.
Quanto a lei, eliminati i suoi avversari, non le restava che scomparire come uno spettro.
Coi sistemi di guida disattivati e il timone inutilizzabile l’enorme nave si mosse senza meta apparente poi finì dritta contro degli scogli . Si inclinò su un fianco e cominciò ad imbarcare rapidamente acqua.
Yurei si era già dileguata da tempo.
Non lontano dalle Florida Keys, in acque territoriali americane.
Shannon Carter ed il suo avversario erano stati separati al momento dell’impatto con le acque. La ragazza non si preoccupò di appurare che fine avesse fatto: doveva pensare alla propria salvezza. Con vigorose bracciate nuotò verso la superficie ed emerse traendo un profondo respiro.
In quel momento una scaletta di corda apparve davanti a lei. Alzò la testa e vide il Quinjet appena uscito dalla modalità stealth. Senza esitare si aggrappò alla scaletta e si fece issare a bordo.
<Tutto bene?> le chiese Battlestar.
<Me la sono vista brutta, ma a parte l’essere bagnata come un pulcino, sto bene.> rispose Shannon.
<Pare che le tue amiche abbiano fatto un ottimo lavoro.> commentò Lemar osservando la nave sempre più inclinata.
<Ma temo che non sia ancora finito.> replicò la ragazza.
Tampa, Florida.
Quelli seduti ad un tavolo riservato di un locale di prestigio potevano sembrare comuni turisti o affaristi: due uomini, un bianco ed un nero apparentemente più anziano, e tre donne di cui due bianche, una bionda, una dai capelli corvini, ed una giapponese. Pochi potevano sospettare che si trattasse di un gruppo di agenti segreti dalle doti particolari specializzati in missioni al limite dell’impossibile.
<Tutto sommato non è andata male.> commentò Lemar Hoskins <Le autorità sono Intervenute e i cattivi sono stati arrestati >
<Ma Monica Rappaccini e Andrea Strucker sono riuscite a fuggire, purtroppo.> replica Bucky Barnes.
<Quello che mi preoccupa è che è scomparso anche quel killer Russo: Lenin. Magari è annegato ma…>
<Ma non siamo mai così fortunati, giusto?> ribatte Amiko Kobayashi.
<Non possiamo correre rischi.> aggiunge Bucky <Dovremo comportarci come se fosse sopravvissuto ed intendesse portare a termine il suo compito anche senza bomba.>
<Quindi si va tutti ad Aspen, giusto?> chiede Carmilla Black <Dovrò procurarmi un paio di sci?>
<Temo che avremo poco tempo per divertirci.> replica Bucky.
PARTE TERZA
IL SUMMIT
Aspen, Colorado.
Le misure di sicurezza erano tra le più imponenti che avesse mai visto. Shannon Carter ne era impressionata. Del resto, lì, nella nota città sciistica americana erano presenti i Capi di Stato e di Governo, ministri economici e capi delle Banche Centrali delle 19 nazioni economicamente più forti del Mondo più l’Unione Europea.
Quell’anno per la riunione del cosiddetto G20 era stata scelta Aspen e precisamente un complesso sciistico che era raggiungibile solo per funivia o con elicottero e la funivia era stata disattivata.
Chi avesse voluto attentare a questo summit avrebbe fatto una gran fatica ma ciò non voleva dire che la cosa fosse impossibile.
Ogni paese partecipante aveva portato con sé una squadra delle proprie forze di sicurezza e vista la caratura del Summit c’era anche lo S.H.I.E.L.D. ma il grosso del lavoro di protezione ricadeva, ovviamente, sulla nazione ospitante.
Shannon si trovava lì nei panni di una stagista della Casa Bianca. La foto sul cartellino sul bavero della sua giacca la ritraeva com’era adesso: capelli annodati a coda di cavallo e occhiali. A fianco della foto un nome: Rogers Margaret.
Nel corso della giornata aveva distribuito badge di riconoscimento ed aveva visto passare agenti federali di tante di quelle sigle che aveva fatto fatica a ricordarle tutte.
Amiko era nella delegazione giapponese col suo vero nome come interprete, il suo lavoro di copertura all’ONU. Carmilla era lì come cameriera e Lemar Hoskins nei panni di un agente dello S.H.I.E.L.D. mentre Bucky era nella delegazione americana.
Se qualcosa fosse accaduto loro erano pronti.
Locali riservati alla delegazione americana.
Il Presidente degli Stati Uniti Valerie Cooper stava esaminando gli ultimi dettagli prima dell’inizio del summit. Tra i presenti c’era anche il Segretario alla Sicurezza Interna, che aveva insistito per esserci, anche se il protocollo del G20 non prevedeva la sua presenza, ma era difficile dire di no ad un uomo come Jack Daniels e Valerie Cooper lo sapeva bene. Anche per questo lo aveva scelto per quel posto. Ricordava ancora cosa gli aveva detto prima della partenza:
<Se vogliono ucciderti, dovranno prima passare sul mio cadavere.>
Valerie sorrise a quel ricordo e la cosa fu notata dal giovanotto in costume che stava in piedi in un angolo che se ne chiese il perché.
Erano solo pochi anni che Michael Van Patrick aveva assunto il ruolo di U.S.Agent ma aveva già avuto un bel po’ di avventure. Ancora prima che nascesse qualcuno aveva pasticciato col suo DNA ed aveva fatto in modo che il suo corpo producesse naturalmente il cosiddetto Siero del Supersoldato inventato dal suo trisnonno Abraham Erskine. Questo fatto aveva suscitato l’interesse di oscuri gruppi di potere ed organizzazioni criminali e terroristiche come Hydra, A.I.M. ed altre sigle altrettanto sinistre. Rapimenti più o meno riusciti, attentati ed incontri con supereroi e supercriminali erano diventati la regola per lui. Aveva attirato anche l’attenzione del Governo. Il Pentagono si era offerto di pagargli gli studi sino alla laurea in cambio dei suoi servigi come ufficiale e come superumano. Parallelamente alla scuola aveva frequentato corsi di addestramento speciale ed alla fine il capitano dei Marines Michael Van Patrick si era ritrovato in prima linea nella difesa del suo paese. Fare da guardia al Presidente sembrava un compito di tutto riposo, inadatto ad uno con le sue capacità ma il Segretario Daniels sosteneva che c’era un pericolo imminente ed era uno che sapeva il fatto suo. L’attesa, però, era stancante.
<Andiamo.> disse la Presidente.
Finalmente ci si muoveva.
Terrazza panoramica.
La donna dai capelli biondi appoggiata al parapetto non si voltò nemmeno sentendo i passi alle sue spalle e si limito solo a dire, in un Inglese impeccabile appena venato da una traccia di accento russo:
<Ciao James.>
James Buchanan Barnes le si affiancò e disse:
<Sono colpito, Yelena. Mi hai identificato subito.>
<Conosco bene il tuo modo di camminare, il profumo del tuo dopobarba e tante altre cose di te ricordi?> replicò Yelena Belova con una punta di rimpianto nella voce.
<Ed io di te.> ribatté lui con lo stesso tono, poi aggiunse <Sapevo che ti avrei trovata qui. Sai anche tu che l’ultimo capitolo di questa storia sarà scritto qui: il killer ingaggiato dall’Hydra ci è sfuggito nei Caraibi e non è il tipo da lasciare un lavoro a metà, anche se gli abbiamo sottratto un’arma micidiale.>
<Lenin. Lui ed il suo gemello ci dettero filo da torcere a Mosca, lo ricordo bene. Chi lo avrebbe detto che dopo 15 anni ci saremmo trovati di nuovo insieme contro di lui?>
<A me non dispiace affatto averti rivisto, Yelena, anche in queste circostanze.>
<James…>
Prima che Yelena potesse continuare, dall’interno si udirono uno sparo ed un grido. I due si mossero simultaneamente.
Salone bar.
Col pretesto di una pausa caffè Shannon ne approfittò per dare un’occhiata in giro un’alta volta. Doveva essere pronta a qualsiasi evenienza. In teoria il loro avversario era un uomo solo ma ormai non potevano essere più sicuri di nulla e comunque un assalto da parte di un gruppo terroristico ad un bersaglio così grosso era tutt’altro che escluso.
Shannon entrò nell’ampio salone del bar in cui si erano radunati i membri delle varie delegazioni per rilassarsi un po’ prima dell’inizio dei colloqui ufficiali. La sala risuonava di voci in varie lingue.
SI diresse al bancone ed ordinò un caffè.
<Posso offrirle qualcosa di più forte.>
A parlare era stato un giovanotto dai capelli biondi apparentemente poco più vecchio di lei che era seduto sullo sgabello vicino a lei
<Grazie.> rispose Shannon <Ma non bevo quasi mai e comunque mai in compagnia di sconosciuti.>
Il giovanotto rise e Shannon dovette ammettere con se stessa che era simpatico.
<A questo si rimedia subito.> replicò lui <Mi chiamo Jason Philip Macendale III.>
<Sembra un nome molto impegnativo.> commentò Shannon.
<E lo è… in più di un senso.> era un’impressione o Shannon colse nella voce dell’uomo un tono amaro?
Lui prosegui:
<Sono un agente dell’F.B.S.A. , uno dei buoni insomma.>
<Mi fa piacere saperlo Agente Macendale, ora mi sento più sicura.>
Se colse l’ironia nelle sue parole, il giovane fece finta di nulla e replicò:
<Chiamami pure Jason o Jay se preferisci..., Margaret, giusto? Come ti chiamano gli amici: Maggie? Meg?>
Oddio , ci stava forse provando con lei? Shannon soffocò una risata. Non era proprio il momento adatto.
<Peggy, in realtà.> si trovò a rispondere sostenendo il gioco.
<Peggy… mi piace.>
Shannon stava per replicare quando dallo specchio panoramico vide entrare un uomo. Provò un’immediata sensazione di dejà vu. Non poteva credere ai suoi occhi: era proprio Vassily Ilyich Ulianov in persona.
Il tempo sembrò congelarsi mentre anche lui la riconosceva
Un’arma apparve quasi magicamente nella sua mano e lui le sparò.
Corridoio
Lo sparo echeggiò seguito dal grido di una donna.
<Maledizione, me lo sentivo che sarebbe successo qualcosa!> esclamò Jack Daniels.
Davanti a lui U.S.Agent scattò di corsa verso il salone.
Alle sue spalle il suo predecessore mormorò:
<Bravo ragazzo.>
Salone bar.
Le cose accaddero quasi simultaneamente.
Shannon vide il gesto del suo nemico e gridò:
<Attenti!>
La mano di Jason Macendale corse alla sua pistola nella fondina ascellare.
Shannon lo gettò a terra buttandosi sul pavimento a sua volta.
Uno sparo echeggiò nel salone.
Una donna della delegazione australiana gridò mentre il proiettile che era diretto a Shannon mancò quest’ultima per colpire lei alla spalla.
Sul vano della porta finestra della terrazza panoramica apparvero Bucky Barnes e Yelena Belova.
Quel che accadde dopo non fu meno frenetico: gli uomini che accompagnavano il Russo estrassero le armi e cominciarono a sparare all’impazzata nel locale imitati da altri uomini e donne seduti ai tavoli e tutti insieme gridarono:
<Heil Hydra!>
Fuori dal complesso sciistico.
La donna dai lunghi capelli biondi e gli occhi color azzurro intenso vestita con un’attillata tuta color verde udì gli spari attraverso un comunicatore e disse:
<Il segnale: è cominciata.> si rivolse agli uomini con lei, che indossavano la classica uniforme dell’’Hydra <Squadra Tigre 1 con me sul lato nord. Squadra Tigre 2 entrate in azione dal lato est, Squadra Tigre 3 sul lato sud.>
<Heil Madame Hydra!> fu la risposta.
Le tre squadre d’assalto azionarono i loro jetpack e si diressero sul bersaglio.
Salone bar.
Scoppiò immediatamente il panico e pochi riuscirono a mantenere un minimo di sangue freddo. Tra questi c’era Shannon Carter. Ormai non doveva più preoccuparsi della sua copertura. Dalla sua borsetta prese una piccola pistola e rispose al fuoco degli agenti dell’Hydra. Jay Macendale la stava già imitando.
Bucky parò istintivamente un proiettile con il braccio bionico. Yelena estrasse due pistole e gliene porse una.
<Grazie tesoro.> le disse <Proprio come ai vecchi tempi.>
<Lascia perdere le inutili nostalgie e mostrami cosa sai ancora fare, Soldato.>
U.S.Agent irruppe nel salone e subito gli agenti dell’Hydra ne fecero il loro bersaglio favorito. Il suo scudo parò i proiettili poi lui lo lanciò e ne abbatté alcuni come fossero birilli. Lo riprese al volo mentre saltava e ne abbatteva due a calci ed un terzo con un ben assestato sinistro, quindi atterrò in mezzo a loro.
<Chi vuol essere il prossimo?> chiese.
Approfittando della confusione l’uomo chiamato Lenin si infilò in una porticina a lato del bancone.
<Accidenti!> borbottò Shannon <Non posso farmelo scappare un’altra volta.>
Si alzò per corrergli dietro e Jay fece altrettanto.
<Chi sei?> le chiese <Non una semplice stagista, questo è certo.>
<Non è il momento di parlarne.> ribatté lei <Ti basti sapere che, come te, sono una dei buoni.>
Correndo, la ragazza si sbarazzò delle scarpe e poi della giacca e della camicetta, quindi, si sganciò la gonna rivelando una pratica calzamaglia azzurra. Senza esitare infilò la stessa porta in cui era scomparso il suo bersaglio.
Eliveicolo dello S.H.I.E.L.D.
L’attacco combinato da tre lati delle forze dell’Hydra provocò il panico tra le delegazioni ma gli aggressori si scontrarono con la decisa reazione degli agenti dello S.H.I.E.L.D. che dopotutto erano ormai abituati a battersi con l’Hydra. Il Direttore Rogers si aspettava qualcosa di simile ed aveva predisposto una linea di difesa che si stava rivelando efficace, Steve era consapevole che sua figlia si trovava sulla linea del fuoco ma sapeva anche di non poterci fare niente per il momento. Poteva solo sperare che le cose andassero bene,
Terrazza panoramica.
La cameriera stava servendo da bere ad alcuni clienti quando arrivò la prima squadra dell’Hydra. Con prontezza di riflessi li spinse a terra un attimo prima che una raffica di proiettili potesse falciarli. Aveva solo guadagnato qualche secondo, ne era perfettamente consapevole. Mentre rotolava agilmente sul pavimento la parrucca corvina le cadde dalla testa rivelando una chioma dai capelli verdi.
Carmilla Black alias Scorpia abbatté due avversari con i suoi colpi tossici ma mentre si stava rialzando qualcosa di freddo si posò sulla sua nuca.
<Non muoverti se vuoi rimanere viva ancora per qualche minuto.>
A dire quelle parole era stata una voce fredda con un duro accento tedesco.
“Andrea Strucker in persona” pensò Carmilla, “Che onore.”
<Tu sei la figlia bastarda della Rappaccini non è vero?> la apostrofò la sua avversaria <Che ci fai qui?>>
<Arrotondavo le mie entrate con un lavoretto estivo.> rispose sarcastica.
<Non prendermi in giro.> ribatté Madame Hydra <Hai incrociato la mia strada una volta di troppo.>
Carmilla si voltò lentamente verso di lei e si concesse un sorrisetto di scherno.
<Vogliamo fare una scommessa?>
<Sei forse impazzita?>
<Io dico che sarò più veloce io a colpirti con la mia biotossina che tu a farmi saltare la testa con la tua pistola. Vogliamo provare?>
Il dito di Andrea Strucker si strinse sul grilletto.
Da un’altra parte dell’edificio.
Non appena era cominciato l’assalto Lemar Hoskins si era gettato dentro una stanza e ne era uscito indossando il costume di Battlestar.
Non era nuovo a scontri con l’Hydra. Si era scontrato con quei nostalgici del Nazismo fin troppe volte e non sarebbe stato tenero con loro, questo era certo.
Ne vide un gruppetto che stava minacciando la delegazione messicana e balzò loro addosso senza esitare.
Il Governo Messicano gli aveva offerto protezione in un periodo piuttosto buio della sua vita[7] e Battlestar colse al volo l’opportunità di sdebitarsi.
Gli agenti dell’Hydra gli spararono ma i proiettili s’infransero sul suo scudo ed uno rimbalzò colpendo uno degli avversari
Battlestar poteva anche aver superato i quarant’anni ma il suo fisico super potenziato era in piena forma e lui si teneva in costante allenamento. Pochi colpi ed ebbe ragione dei suoi avversari.
Chissà come se la stavano cavando gli altri?
Salone bar.
Mentre saltava evitando i colpi dei suoi avversari, Bucky si chiese come avessero fatto gli sgherri dell’Hydra a far passare le armi ai controlli. Complici interni senza dubbio. Al momento, però, la cosa non aveva tutta questa importanza. Mentre saltava i suoi vestiti mutarono nella sua abituale tuta da combattimento, il camuffamento olografico aveva funzionato alla perfezione.
Come al solito i suoi colpi furono precisi ed abbatterono un avversario dopo l’altro. In queste circostanze neanche Steve Rogers avrebbe obiettato all’uso della cosiddetta forza letale.
Con la coda dell’occhio osservò Yelena. Dopo tutti questi anni era ancora una combattente eccezionale, doveva ammetterlo.
Non si era accorta, però, di un manipolo di uomini armati che, alle sue spalle, stava entrando nel salone dalla terrazza panoramica.
Con una serie di impeccabili capriole il Soldato d’Inverno piombò su di loro e ne abbatté due con calci gemelli poi ricadde in ginocchio e sparò contro un terzo freddandolo,
Un quarto cadde colpito in piena fronte prima che potesse sparargli. Yelena era stata rapida ed efficiente come suo solito.
Lato Sud
Amiko Kobayashi fu colta di sorpresa non tanto dall’assalto dell’Hydra, che in fondo si aspettava, quanto dal fatto che uno dei membri della delegazione giapponese aveva estratto una pistola e sparato ad una delle guardie di sicurezza, imitato da altri due suoi colleghi e poi aveva puntato l’arma contro di lei dicendo:
<Non si muova Kobayashi-san o mio malgrado sarò costretto ad ucciderla.>
<Lei…> esclamò Amiko <… lei è un agente dell’Hydra, Tanaka-san?>
<Sono fedele agli antichi valori.> rispose Hideo Tanaka <Combatto per restituire la dignità perduta al Giappone.>
<Mi risparmi la retorica nazionalista. Non nasconde il fatto che è un assassino.>
<Mi dispiace che la pensi così, Kobayashi-san.>
L’uomo si rivolse al resto dei presenti tenuti a bada dalle armi dei suoi complici:
<State calmi e nessuno si farà male: i nostri soli bersagli sono solo il Primo Ministro il Ministro delle Finanze e il Governatore della Banca del Giappone. Non è nostra intenzione uccidere nessun’altro, ma lo faremo se opporrete resistenza.>
Se si fosse fermata a riflettere, la ragazza il cui nome in codice era Yurei forse non avrebbe agito, ma la donna che l’aveva cresciuta, Yukio la Ninja, non era certo nota per la prudenza ma per un coraggio che sfociava nell’incoscienza.
Senza stare a pensarci troppo Amiko saltò addosso a Hideo Tanaka lanciando un urlo di battaglia e stendendolo con un calcio ben piazzato.
La ragazza fece una capriola e si ritrovò accanto ad una parete. Da una panoplia staccò una katana e la impugnò saldamente.
Gi uomini davanti a lei risero.
<Cosa credi di poter fare con quella spada contro le nostre pistole, stupida donna.>
Un attimo dopo lo seppero.
Terrazza panoramica.
Un dito contro una supertecnologica pistola: una sfida impari, si direbbe, ma non èra così scontato pèr chi lo fosse.
Il dito di Madame Hydra si contrasse sul grilletto ma prima che potesse sparare una scarica di biotossina la colse in pieno volto.
Andrea Strucker urlò portandosi le mani al viso e lasciando cadere la pistola. Il proiettile destinato a Scorpia la mancò e colpì invece uno dei membri del commando dell’Hydra.
Carmilla si rimise in piedi e sparò altri colpi di biotossina ed in breve gli agenti dell’Hydra erano a terra in preda ad atroci dolori, spasmi e febbri.
Dall’interno non provenivano più spari. Buono o cattivo segno? C’era un solo modo di scoprirlo.
Salone bar.
Carmilla Black entrò per scoprire che ormai tutto era finito. I pochi avventori che non erano riusciti a fuggire ma erano, in qualche modo, rimasi incolumi si stavano rialzando timidamente. Si udivano i lamenti dei feriti. Nell’aria aleggiava il puzzo di cordite.
Il Soldato d’Inverno si stava aggiustando sul viso la mascherina domino. Con un po’ di fortuna nella confusione nessuno l’aveva visto in faccia e comunque c’era stata poca scelta.
<I soccorsi per i feriti stanno arrivando.> annunciò Yelena Belova che aveva appena finito di parlare ad un auricolare.
Si rivolse alla nuova venuta:
<Scorpia, ti fai chiamare ancora così? E così ci sei tu nella squadra adesso.>
<Guarda chi si rivede: la giovane Vedova Nera, non più tanto giovane ormai.> ribatté Carmilla <Avevo sentito dire che ti eri ritirata e che un’altra aveva preso il tuo posto.>
<Si dicono tante cose.> tagliò corto Yelena poi si rivolse al Soldato d’Inverno <Con chi stai parlando James?>
<Stavo cercando di mettermi in contatto con Shannon ma c’è un’interferenza.>
<Shannon? Quella bionda era la piccola Shannon Carter? Avrei dovuto riconoscerla subito ma è parecchio cresciuta da quando l’ho vista l’ultima volta. Dovevo aspettarmelo che una col suo pedigree sarebbe finita nella tua squadra.>
<Prima che la linea cadesse ha fatto in tempo a dirmi che stava seguendo Lenin in un corridoio sotterraneo.>
<Lenin era qui? Non ha molto senso.> obiettò Yelena <Sapeva che ci aspettavamo la sua presenza e che l’avremmo riconosciuto.>
<O è molto stupido o molto arrogante o…>
Carmilla non finì la frase mentre il pensiero di tutti andò inevitabilmente in un’unica direzione.
<O l’attacco dell’Hydra era solo un diversivo.> concluse Bucky <Un’elaborata falsa pista per distrarci dal vero obiettivo.>
Il Soldato d’Inverno si guardò intorno mentre estraeva un congegno dalla cintura.
<Abbiamo impedito che l’Hydra mettesse le mani sulla superbomba dell’A.I.M. ma i figli di Strucker non sono privi di risorse.> disse.
Il congegno che aveva in mano prese a ronzare. Bucky indicò una valigetta ventiquattrore posata a terra.
<Bingo!> esclamò.
<Che diavolo è?> chiese Scorpia temendo la risposta.
<Una bomba nucleare portatile ci scommetto.> concluse Yelena <Piccola,ma abbastanza potente da uccidere chiunque qui dentro.>
<Stando al mio rilevatore hai perfettamente ragione.> precisò Bucky <Deve avere un timer o un detonatore azionabile a distanza. Probabilmente quanto basta perché Lenin e Madame Hydra potessero mettersi al sicuro prima dell’esplosione. Ovviamente avrà un qualche sistema di difesa.>
<Che possiamo fare?> chiese Scorpia.
<Un’evacuazione in tempo utile è impossibile.> rispose Bucky <C’è solo una cosa che possiamo provare a fare.>
<Disinnescarla.> concluse Yelena.
Una galleria sotterranea.
Shannon era decisa a non farsi sfuggire il suo nemico. In un modo o nell’altro questa storia doveva finire.
Alle sue spalle due uomini la tallonavano.
Jason Philip Macendale era deciso a non perderla di vista. Quella ragazza doveva essere un agente dello S.H.I.E.L.D. o di qualche altro servizio segreto, c’erano pochi dubbi su questo. Era ovvio che ne sapeva parecchio su quanto stava succedendo e Jay era deciso a scoprirlo.
U.S.Agent aveva deciso di seguirli dopo aver sbaragliato gli agenti dell’Hydra nel salone. Il Segretario Daniels gli aveva detto che era imperativo fermare quel Russo e Daniels non scherzava mai.
Le sue gambe dai muscoli potenziati dal siero del supersoldato gli avevano fatto rapidamente raggiungere gli altri due giusto in tempo per vedere la ragazza evitare di misura un proiettile sparato dal fuggiasco.
<State dietro a me.> disse a Shannon e Jay.
La ragazza sbuffò. Solo perché indossava un costume ed era super potenziato quel tipo si credeva in diritto di dare ordini? E che costume poi? Era il rimpiazzo di un rimpiazzo di suo padre e si comportava come se lei fosse una classica damigella in pericolo.
<So cavarmela benissimo da sola.> ribatté.
<Non ne dubito, Miss, l’ho vista in azione nel salone ed è chiaro che è abituata a questo genere di cose.> la squadrò perplesso <Ci conosciamo forse? Ho la sensazione di averla già incontrata, il suo viso mi è familiare.>
La cosa non sorprese Shannon. Da quando sua madre era diventata una figura pubblica per tacere di suo padre, era consapevole che qualcuno potesse riconoscerla.
<Ne possiamo parlare dopo?> replicò <Ora dobbiamo pensare a quel tizio.>
<E chi sarebbe?> chiese Michael Van Patrick
<Un mercenario russo che lavora per l’Hydra. È qui per un attentato che dovrebbe uccidere tutti i leader presenti, anche se non so come.>
<Non le chiederò come fa a saperlo. Lo fermerò.>
Senza aspettare risposta da Shannon, U.S.Agent si lanciò lungo la galleria proteggendosi con lo scudo.
La ragazza borbottò qualcosa e scattò dietro di lui.
Salone Bar.
Traendo un lungo respiro Bucky fece scattare la serratura della valigetta
“E il primo passo è fatto.” pensò.
<Sei davvero sicuro di saperla disinnescare?> gli chiese Scorpia.
<Ho imparato a disinnescare le bombe a 13 anni e non ho dimenticato come si fa.> ribatté lui <Il fatto che questa sia nucleare non cambia molto le cose. I principi sono sempre gli stessi: devi individuare i fili giusti e tagliarli.>
<E se sbagli filo?>
<Allora credo che le nostre preoccupazioni saranno finite per sempre… assieme a quelle di chiunque altro nei paraggi.>
Il sudore gli imperlò la fronte mentre la mano che impugnava un paio di piccole cesoie si avvicinava al primo filo.
Yelena Belova fece una cosa che non faceva ormai da tempo: pregò.
Nel cuore della montagna
U.S.Agent lanciò il suo scudo, che descrisse un breve arco nell’aria, colpì un agente dell’Hydra poi rimbalzò su una delle pareti rocciose e ne colpì un secondo. Un terzo fu steso da un calcio rotante di Shannon che era appena sopraggiunta.
<Grazie, Miss.> le disse Agent.
<Questi sono solo bassa manovalanza. Io voglio lui.> ribatté la ragazza indicando il killer russo che stava indossando un jetpack. Davanti a lui la parete di roccia aveva rivelato un’apertura.
Chiunque fosse stato a preparare la via di fuga sotto il complesso sciistico aveva fatto le cose per bene, nessuno si era accorto di niente nonostante tutte le ispezioni che il luogo aveva subito in vista del summit.
Shannon non perse tempo a pensarci: balzò sul suo bersaglio prima che potesse alzarsi in volo.
<Io e te abbiamo un conto in sospeso.> gli disse.
L’uomo non ne sembrò impressionato. Era un ottimo combattente, addestrato ad uccidere a mani nude. Respinse la ragazza e le sferrò un colpo col taglio della mano che Shannon evitò di misura.
La figlia di Steve Rogers era determinata a vincere a tutti i costi. Rintuzzò i colpi del nemico e prese ad incalzarlo.
U.S.Agent la stava osservando e capì che lei aveva avuto il suo stesso addestramento. Non poteva sbagliare: stava usando le tecniche di Capitan America come se fosse nata per questo e c’era qualcosa nel modo in cui si muoveva, nella scioltezza delle sue mosse, che gli fece capire che in lei c’era qualcosa di più del semplice allenamento: era una specie di supersoldatessa?
Quale che fosse la verità, non poteva stare semplicemente a guardare. Lanciò il suo scudo tranciando il jetpack del Russo.
<Ti consiglierei di arrenderti amico. Non hai scampo ormai.> affermò.
<Non credo.> replicò lui <Compirò .la mia missione anche se dovrò sacrificare la mia vita per farlo.>
La sua mano corse rapida alla cintura.
Shannon gridò:
<NO!>
Uno sparo echeggiò e il Russo si guardò il petto su cui si stava allargando una macchia rossa.
Jason Macendale gli aveva sparato ma il suo gesto fu inutile perché l’altro riuscì a premere il pulsante sulla sua cintura.
Non accadde nulla.
<Sembra che le cose ti siano andate storte, amico.> gli disse Shannon <Direi che i miei amici sono riusciti a disattivare la tua bomba o quel che era.>
L’uomo che chiamavano Lenin non rispose. Tenendo una mano premuta sul petto arretrò e cadde all’indietro oltre l’apertura da cui si preparava a fuggire.
I tre suoi avversari lo osservarono cadere nell’abisso sottostante finché non lo persero di vista.,
“Stavolta…”, pensò Shannon “… è davvero finita.”
Le tremarono le gambe e U.S.Agent fu pronto a sostenerla
Jason Philip Macendale si chiese se avrebbe mai saputo cosa era veramente successo, ma a pensarci bene, in fondo non aveva davvero importanza.
EPILOGO UNO
Quartier Generale dei
Vendicatori Segreti Manhattan, New Tork
Alla fine Bucky Barnes aveva trovato il filo giusto. La bomba ormai
innocua fu presa in consegna dalle autorità americane. Madame Hydra,
alias Andrea von Strucker, fu arrestata e trasferita in un carcere di massima
sicurezza di cui non fu divulgata l’ubicazione in attesa del processo.
I media riportarono la notizia del fallito attentato ma parlarono solo
di una squadra di agenti altamente addestrati. I Vendicatori Segreti erano
ancora tali.
In una dichiarazione alla TV il Segretario alla Sicurezza Interna
lodò l’opera degli agenti intervenuti, il cui nome non sarebbe
stato divulgato per motivi di sicurezza.
“E bravo Johnny!” pensò Battlestar “Sei riuscito a preservare il nostro segreto senza mentire,”
<Mai una volta che riconoscano i nostri meriti.> commentò Carmilla
Black.
<Personalmente non m’interessa.> ribatté Yurei <Siamo una
squadra segreta , ricordi?>
<Lo so, ma per una volta
almeno… magari la prossima.>
Yurei fece una cosa che non le capitava spesso: sorrise.
EPILOGO DUE
Appartamento di James Buchanan Barnes, Red Hook, Brooklyn
Bucky Barnes si stava facendo una doccia quando udì un rumore sospetto. Qualcuno stava aprendo la porta? Impossibile: solo lui aveva la chiave ed i codici di sicurezza. Uscì dalla doccia, si annodò rapidamente un asciugamano alla vita ed afferrò rapidamente una delle sue pistole che teneva a portata di mano su un comodino.
La porta si stava veramente aprendo e sul vano apparve una figura familiare. Bucky fece un sospiro di sollievo.
<Non hai cambiato la serratura da quando ci siamo lasciati? Grave mancanza da parte tua, James, non me l’aspettavo da te.> gli disse Yelena Belova
<Non sono perfetto, dovresti saperlo.> ribatté lui
<E pensi di aver bisogno di quella pistola con me. Pensi che io sia pericolosa?>
<Pericolosissma.> rispose Bucky sorridendo e depositando l’ama su un tavolino, poi le chiese <Perché sei qui?>
<Domani ripartirò per Mosca e visto che non sapevo cosa fare, ho pensato che magari potevamo ricordare insieme i vecchi tempi.> rispose Yelena avanzando nella stanza dopo essersi chiusa la porta alle spalle.
<Beh… se la metti così…>
Sorrise ancora.
EPILOGO TRE
Una famosa discoteca di
Manhattan.
Shannon Carter si stava rilassando seduta su un divanetto quando un giovanotto le si avvicinò e le
chiese:
<Se ti offro un drink analcolico, stavolta lo accetti?>
La ragazza alzò gli occhi e si vide di fronte Jason Philip Macendale III.
<Qualcosa mi dice che non è un caso che tu sia qui.> gli disse.
<Mi dichiaro colpevole Shannon.> replicò lui <Posso sedermi?>
Lei gli fece cenno di sì e poi aggiunse:
<E così hai scoperto chi sono.>
<Sono un bravo investigatore. A dire il vero, ho capito perché il tuo viso mi sembrava familiare quando ho visto tua madre in TV l’altro giorno. Il resto è stato facile.>
<Anch’io mi sono informata su di te, Jay. So perché sei entrato nell’F.B.S.A. tanto per cominciare. Tuo padre Jason Philip Macendale Jr., era un supercriminale: Hobgoblin, un Hobgoblin per essere esatti. È stato ucciso dall’originale una ventina d’anni fa anche se ci sono segnalazioni non confermate di chi dice dio averlo visto in Scozia ma sono state ritenute prive di fondamento.>
<Preferisco non parlare di mio padre, se non ti dispiace.> ribatté lui in tono cupo <Avevo anche pensato di cambiar nome, poi ho deciso che invece l’avrei riscattato: avrei dimostrato che meritava ancora rispetto.>
<Ti capisco. So cosa vuol dire avere dei genitori ingombranti… anche se non a livello del tuo.>
<Non parliamone più. Allora, per quel drink?>
<Accetto volentieri.>
rispose Shannon sorridendo.
I problemi del Mondo potevano aspettare l’indomani.
FINE
NOTE DEGLI AUTORI
Nulla di veramente importante da
dire: i personaggi sono ampiamente presentati nella storia e tanto basta.
Speriamo che abbiate gradito questo
sguardo nel futuro che celebra 15 anni di Marvelit e vi aspettiamo per le
solite, regolari, avventure dei nostri Vendicatori Segreti.
Carlo & Carmelo
[1] Samurai rimasto senza
padrone.
[2] Voyska Specialnogo
Naznacheniya: Forze per Incarichi Speciali in Russo. Truppe altamente addestrate delle Forze
armate e dei servizi segreti russi.
[3] Služba vnešnej razvedki, Servizio Informazioni dall’Estero.
[4] Per chi lo ignorasse, Vladimir Illych Ulianov era, appunto, il
vero nome di Lenin.
[5] Come mostrato su Capitan
America Speciale Next.
[6] Come visto nei recenti
episodi di Devil & la Vedova Nera.
[7] Ne saprete di più prima
o poi su U.S.Agent MIT