CHAPTER 1

di sergio gambitt20

 

La luce è accecante.

Uomini e donne in camice bianco camminano avanti ed indietro per i corridoi, con passi veloci e leggeri, come fantasmi oppressi da qualche oscuro compito a causa del quale non possono permettersi un po’ di pace. Le pareti sono bianche, asettiche, illuminate in pieno dai raggi di un sole che penetra attraverso le ampie finestre e che mette in risalto qualche incrostatura dell’intonaco qua e là. Nella stanza si trovano tre letti circondati da ampie volute di candide lenzuola e da macchinari per la respirazione e il controllo cardiaco, a due dei quali sono attaccati altrettanti ospiti, mentre amici e parenti si danno il cambio al capezzale bisbigliando parole di conforto per quei malati ormai in fase terminale. Nel letto centrale, una donna anziana, calva ed ossuta, sta tenendo la mano ad una ragazzina di non più di dieci anni, che, per niente spaventata dall’aspetto della donna, ascolta le sue parole con insolita attenzione per una creatura così giovane.

“Topaz… piccola… sto morendo…”

La ragazzina sembra avere un sussulto, ma il dolore causato dalla stretta delle dita scheletriche della vecchia sulla sua mano la riporta subito alla lucidità.

“Ascoltami… ti chiedo solo questo…” riprende la donna “…in questi giorni… <koff> …sei stata l’unica della famiglia che mi è rimasta veramente vicina… <ack-koff> …e quindi prima di morire…”

La ragazzina ha un singulto, ma la donna riprende prima che si trasformi in un pianto dirotto.

“…prima di morire voglio darti qualcosa di prezioso… un segreto…”

“Non voglio che tu muori” dice la bimba, il mento tremolante e gli occhi lucidi.

“Ma… <ack> …sta per succedere… Non sempre otteniamo quel che vogliamo… ora avvicinati…”

Senza tradire neanche un minimo di riluttanza, la bambina si avvicina fino a che il suo orecchio non è sfiorato dalle secche labbra della vecchia.

“Io vedo… vedo un grande potere dentro di te… qualcosa di mai visto, di inimmaginabile… qualcosa che cambierà il mondo… e quando non ci sarò più a difenderti…”

“Nonna Agatha non dire così…”

“…quando non ci sarò più andrai incontro a molte insidie e molti inganni… ecco… questo talismano ti proteggerà dai pericoli al posto mio…” e si sfila dal collo un medaglione raffigurante un gatto nero, che non senza qualche difficoltà mette al collo della ragazzina “Ebony… Ebony è il suo nome… sappilo… <koff> …i nomi hanno potere…”

La ragazzina prende il medaglione con una mano e fissa per qualche secondo i felini occhi d’ossidiana che ricambiano lo sguardo ipnotici.

“…e per quanto riguarda la… <ack> …la seconda parte, devi farmi una promessa prima che per me sia troppo tardi…”

“Nonna Agatha…”

“Devi promettermi che qualsiasi cosa accada non agirai mai solo per te stessa… devi sempre essere dalla parte del bene, figlia mia, non devi mai farti ingannare dalle lusinghe del pote… <ack-koff> …del potere… ricorda… da un grande potere deriva una grande corruzione… e tu non devi permetterle di avvelenarti!”

L’enfasi della donna quasi la porta ad alzarsi a metà letto, ma le sue stanche membra non riescono a reggerla per più di qualche secondo, così sprofonda nuovamente nel soffice cuscino.

“Devi essere una forza del bene…” riprende lei “…promettimi che sarai una forza del bene…”

“Io…” dice la bimba, non troppo convinta.

“Promettimelo!” e le sue dita quasi stritolano quelle della bambina, che tenta di divincolarsi dalla sua stretta incredibilmente senza alcun successo.

“Sì sì, te lo prometto!” quasi urla la bambina. Quasi istantaneamente la vecchia molla la presa sulla sua mano e distende del tutto la testa sul cuscino, socchiudendo gli occhi.

“Brava, piccola mia…” quasi sussurra “…c’è già troppo male nel mondo…” e poggiando la testa di lato socchiude la bocca, ora pervasa da una espressione serena, quasi un sorriso. Quindi rimane lì, placida. La bambina poggia anche l’altra mano su quella della donna, mentre i suoi occhi vanno a osservare il grafico cardiaco il cui BIP è rimasto frequente per tutto il tempo in cui è rimasta con la nonna. Adesso, però, il segnale sonoro si va facendo più debole, le arcate del grafico più basse. Il momento in cui la bambina si accorge di ciò è lo stesso momento in cui la vecchia comincia a vibrare su tutto il corpo in preda a piccole convulsioni. La ragazzina si guarda intorno smarrita, nemmeno l’ombra di un infermiere nella stanza.

“Aiuto…” quasi sussurra, guardando terrorizzata la nonna che trema sempre più “Aiuto” dice a voce più chiara girando la testa verso l’ingresso della stanza, e nello stesso istante la vecchia viene presa da un violento spasmo che la fa alzare a mezzo letto a schiena inarcata e labbra rivolte verso il soffitto e riabbassate subito dopo piene di vomito verde in cui navigano frammenti rossi di tessuto corporeo e grumi di sangue marrone scuro.

“AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHH!!” grida la bambina e in un moto di ribrezzo lascia la mano della nonna e indietreggia di qualche passo senza smettere di guardarla dimenarsi. Dal corridoio qualcuno sente il suo urlo, e precipitandosi nella stanza grida:

“Oh, merda!!”

“Cosa succede?!” esclama allarmata una infermiera appena affacciatasi nella stanza.

“La Harkness!” risponde il primo mentre armeggia con una boccetta ed una siringa “Chiama il primario!!”

La ragazza scompare, per riapparire dieci secondi dopo in compagnia di altri tre uomini vestiti di bianco. Il primo di essi corre accanto all’infermiere che si appresta ad introdurre l’ago nel braccio ossuto della donna.

“Qualcuno la tenga ferma!” grida, e l’infermiera corre a stabilizzare il braccio.

“Portate un defibrillatore!!” urla il primario, e gli altri due uomini corrono fuori dalla stanza per ritornare subito dopo con un grosso macchinario biancastro. Nel frattempo l’infermiere ha ficcato l’ago nella prima vena che ha trovato disponibile, ma sebbene sia riuscito a somministrarle il liquido contenuto nella siringa, a causa della debolezza della vecchia la vena si è sfaldata al primo contatto, con conseguente schizzo di sangue su lenzuola e pavimento sottostante.

“AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHH!!” continua ad urlare la ragazzina, mentre il BIP del rilevatore cardiaco adesso risuona ad un ritmo forsennato. Gli infermieri adesso tengono le braccia della vecchia ancorate al letto, con così tanta forza che quasi rischiano di spezzarle una scapola quando un ultima violenta convulsione la fa rialzare di scatto, per poi crollare subito dopo sul cuscino, inerte. Il BIP del rilevatore si tramuta in un suono fisso, monotonale, pungente. Il dottore afferra entrambi gli elettro-stimolatori del defibrillatore e strappando la vestaglia della donna li poggia con forza sul suo petto. Quindi urla:

“Libera!” e la donna ha un piccolo sussulto, a cui non seguono altri cambiamenti.

“Merda…” impreca a bassa voce il primario, quindi premendo qualche altro pulsante sulla consolle del defibrillatore poggia di nuovo gli stimolatori sul petto della donna.

“Libera!” e un altro piccolo sussulto.

“Aumenta il voltaggio!” dice il primario ad un infermiere, e subito dopo riappoggia gli stimolatori sul petto della donna e urla nuovamente:

“Libera!” il sussulto questa volta è più potente delle prime due. Il petto della vecchia quasi raggiunge il collo del primario. Ma, come i primi due, niente altro succede.

Nella stanza comincia a diffondersi odore di carne bruciata.

Gli infermieri guardano il primario, che risponde allo sguardo sconsolato e porta un lembo delle lenzuola sul viso della vecchia.

“Ora del decesso…?” chiede un infermiere, mentre la ragazza si accorge, finalmente, della presenza di Topaz, che ha smesso da un po’ di gridare per rimanere immobile davanti al corpo della nonna, il cui piede rinsecchito sporge da sotto un lenzuolo.

“Ehy piccola vieni con me, ti porto fuori di qui…” dice l’infermiera piazzandosi tra lei e la nonna.

“N-No…” balbetta la bimba, una lacrima metà dentro e metà fuori dalla cornea.

“Non puoi restare qui. Non è…”

“NO!” e con una forza incredibile si libera delle braccia della ragazza e riesce a toccare il piede della nonna. In quel momento però l’altro infermiere la vede e la afferra con forza per la cintola, tentando di scostarla da lì.

“No, no, no!” continua a gridare la bambina senza voler mollare la presa sul piede della nonna.

“Qualcuno mi aiuti!” urla l’infermiere “Si è attac…”

 NO!

 

 
Un’esplosione bianca.
Il tempo si ferma.
 

 

La luce è accecante.

Uomini e donne in camice bianco camminano avanti ed indietro per i corridoi, con passi veloci e leggeri, come fantasmi oppressi da qualche oscuro compito a causa del quale non possono permettersi un po’ di pace. Le pareti sono bianche, asettiche, illuminate in pieno dai raggi di un sole che penetra attraverso le ampie finestre e che mette in risalto qualche incrostatura dell’intonaco qua e là. Nella stanza si trovano tre letti circondati da ampie volute di candide lenzuola e da macchinari per la respirazione e il controllo cardiaco, a due dei quali sono attaccati altrettanti ospiti, mentre amici e parenti si danno il cambio al capezzale, bisbigliando parole di conforto per quei malati ormai in fase terminale. Nel letto centrale, una donna anziana, calva ed ossuta, si sta guardando attorno smarrita. Accanto al suo letto infatti si trovano sia il primario che tre infermieri ed una infermiera, anche loro abbastanza confusi. La donna continua a muovere gli occhi per cercare un punto di riferimento. Quando finalmente lo trova, il suo viso si rasserena. Accanto al capezzale, Topaz sfiora con dolcezza le dita della nonna, mentre risponde alla sua espressione con un sorriso.

 

Altrove.

Un uomo si trova al centro di una stanza illuminata solo da cinque candele, che segnano le cinque punte della stella disegnata sul pavimento al centro della quale è accovacciato nella posizione del loto. Solo, nudo, dalle basette di uno stanco color bianco e con il mento ornato da una barbetta molto curata. Gli occhi chiusi, in meditazione. Sulla fronte spicca qualcosa che potrebbe sembrare un tatuaggio, se non spandesse luce gialla tutt’attorno e non fosse fatto esso stesso di luce. E’ un triangolo con un occhio al centro, anch’esso chiuso, placido, in raccoglimento. La meditazione per questo uomo è tutto. Riesce a liberarlo di tutte le preoccupazioni terrene e a metterlo in contatto con il tutto che lo circonda, alleviando momentaneamente le sue sofferenze.

Non stavolta.

L’onda di irrealtà lo assale tutt’assieme. Per un attimo -per un’eternità-, tutto cessa di esistere. Poi, semplicemente, tutto ritorna.

L’occhio sulla fronte dell’uomo si spalanca, spandendo luce in ogni direzione. Subito dopo anche i suoi occhi si aprono, di scatto, tradendo una espressione esterrefatta. Era in contatto con il tutto. Era il tutto! E per un nanosecondo –infinito?- non c’è stato più. Per poi tornare, subito dopo. Uguale, in linea di massima. Ma i dettagli… sono i dettagli che non tornano.

E questo, l’uomo chiamato Stephen Strange, non può permetterlo.

 

Una settimana dopo.

Patricia Reynolds è esausta. Non che l’allenamento da cheerleader le dispiaccia, e neanche l’essere guardata con interesse dai migliori stalloni della Lincoln High School. Solo che dopo le prove per la partita della settimana successiva ed una pomiciatina veloce con Buzz adesso tutto quello che vuole è sdraiarsi sul letto e mettere a tutto volume il cd di Britney Spears, la colonna sonora perfetta per i suoi sogni di gloria. Quindi appena entra dal portone di casa saluta distrattamente la madre Kathryn che sta parlando al telefono e si fionda su per le scale verso la stanza sua e della sorellastra. Quando però la raggiunge, sente delle voci, appena sussurrate, provenire dal suo interno. In realtà la voce è una sola, ed anche familiare, sebbene faccia domande e dia risposte come se nella stanza ci fosse un altro interlocutore. Patricia si avvicina alla porta e la scosta leggermente quel tanto che basta per guardare all’interno. Quel che vede conferma i suoi dubbi. Topaz, la sua sorellastra, è seduta sul pavimento al centro di una camera da letto totalmente buia, e parla guardando un angolo scuro della stanza come se lì ci fosse qualcun altro che risponde alle sue domande. Purtroppo però, oltre a non vedere nessuno, Patricia non sente nemmeno le risposte a cui Topaz invece ribatte con altre affermazioni.

“Mammaaaaaaaaaaaaa!” grida Patricia dalla sommità delle scale verso l’ingresso “Topaz parla di nuovo da sola!!”

Kathryn Reynolds distoglie un attimo il ricevitore del telefono per sentire lo strillo della figlia. Poi, tenendo il palmo della mano sul microfono sussurra “…piccola sgualdrina ritardata…”. Quindi poggia di nuovo la cornetta all’orecchio e dice:

“Va bene… passeremo a prenderla Giovedì al Memorial Hospital allora. Sì… sì, è stato un vero miracolo. La ringrazio per la sua disponibilità, dottore. Arri… sì, arrivederci.” e mette giù la cornetta con uno sbuffo di esasperazione. Ci voleva solo questa, pensa, una vecchia con i polmoni ridotti a due masse scure ed informi e arrivata a vivere come un vegetale all’ospedale che miracolosamente guarisce e torna arzilla come se avesse vent’anni di meno. Non per essere cinici, ma dopo tutte le difficoltà a cui la vita l’aveva sottoposta Kathryn pensava che almeno con la morte della vecchia ed i soldi dell’eredità sarebbe riuscita a tirare avanti comodamente per un altro po’. E invece no, adesso non solo aveva perso l’eredità ma si sarebbe dovuta occupare di nuovo della vecchia. Il suo secondo matrimonio era stato un vero disastro. Non solo non era riuscita a risolvere i problemi economici consecutivi al suo precedente divorzio, ma le aveva lasciato anche sul groppone una figlia non sua e la vecchia a cui aveva dovuto badare da sola dopo la morte di quel fallito del secondo marito. Ed è con questi pensieri che sta salendo le scale diretta verso la stanza delle ragazze, con l’intento di dare a quella bastardella di Topaz una lezione definitiva su come comportarsi in modo tale da non essere considerate ritardate dalla gente comune. Ma è proprio a metà della scalinata che il campanello della porta squilla, bloccandola su un gradino. Kathryn lancia un’occhiata di sospetto alla figlia Patricia, che ricambia la perplessità del suo sguardo, poi si gira su sé stessa e si avvia verso la porta. Con passi veloci e leggeri anche Patricia scende le scale e si va a posizionare accanto al telefono, curiosa come un gatto di scoprire chi è l’ospite inatteso. Kathryn apre la porta bloccata da una catenella e sbircia fuori, pronunciando nello stesso tempo un diffidente:

“Sìììì?”

Al di fuori della porta un uomo alto, sulla quarantina, dai capelli scuri ma con due ciocche bianche sulle basette e una sottile barbetta attorno al mento. E’ vestito con un abito totalmente nero, mentre sul colletto della camicia spicca una stringhetta bianca che lo identifica come un…

“Padre… A cosa devo questa visita?”

“Sono il reverendo provvisorio della Chiesa del Sacro Cuore, giù all’angolo. Sto facendo un giro per presentarmi ai fedeli dei dintorni. Lei è…”

“Cristiana? Sì, certo!” risponde frettolosamente Kathryn. Poi, armeggiando con il lucchetto della porta “Un attimo, lasci che le apra, padre.” e finalmente lo lascia entrare. Con naturalezza l’uomo porge la propria mano alla donna e dice:

“Mi chiamo Strange, Stephen Strange.”

“Kathryn Reynolds.” risponde lei ricambiando la stretta di mano “Mi scusi se l’ho tenuta troppo fuori dalla porta ma in questa casa viviamo solo io, mia figlia e la mia figliastra, e come immagina questi non sono tempi sicuri…”

“Comprendo benissimo…” risponde Stephen entrando nell’uscio e notando la bella ragazza dai capelli rossi che lo scruta con curiosità dal comodino “Immagino che questa bella signorina sia sua…”

“Sì, lei è mia figlia Patricia” lo anticipa Kathryn andando da lei ed abbracciandola con l’orgoglio di una madre. Poi voltandosi verso le scale grida: “Topaaaaz!!” e, senza aspettare una qualsiasi reazione: “Topaz, scendi!! C’è gente!!”

Quindi, quasi a volersi scusare in anticipo con il reverendo:

“Bisogna sempre ripetersi due volte con i ragazzini della sua età, anche se ricordo che Patricia a nove anni aveva già vinto il premio di reginetta di bellezza dell’Ohio. Topaz invece, sa, non è molto sveglia.” e voltandosi di nuovo verso le scale urla nuovamente “Topaz!”

“Sono qui, mamma”

Stephen Strange si volta verso la sommità delle scale e vede con i suoi occhi una minuta bambina bionda di circa 9 anni che lo scruta incuriosita reggendosi al corrimano delle scale. Nello stesso momento, ed in un’altra dimensione, un occhio al centro di un triangolo gli si apre sulla fronte e comincia a risplendere con una luce intensissima: acuta tanto da far male agli occhi ma nonostante ciò nemmeno lontanamente paragonabile a quella che la bambina spande naturalmente nell’ambiente circostante. Una luminosità così forte, così innaturale, così incontrollata, da riempire di desiderio e terrore allo stesso tempo l’anima del reverendo Strange.

“Incredibile…” sussurra…

 

     
  In un luogo di luce.  
  E’ giunto il momento. Il segnale è stato lanciato, e adesso Lui non può tirarsi indietro. Con un gesto infinitesimale di quella che con un concetto umano si potrebbe definire una mano, qualcosa compare davanti a Sé. Un uomo dalla pelle rossa, come arsa dal sole, dagli occhi gialli e dai lunghi capelli corvini. A Lui non serve nemmeno parlare. L’uomo che ha davanti semplicemente recepisce e si inchina leggermente. Poi dice:  
  “Manderò l’agente migliore” e scompare, lasciandoLo di nuovo solo.  
     

 

“Reverendo Strange…? Padre…?”

Le parole di Kathryn Reynolds riportano alla realtà Stephen Strange. Con un notevole sforzo di concentrazione distoglie lo sguardo dalla bambina e dalla sua luce, massaggiandosi le tempie per la fatica.

“Sta bene…?”

“Sì… Sì, sto bene miss Reynolds. Il fatto è che è da quando sono arrivato qui nell’Ohio che non mi riposo… avrei bisogno di stendermi nel mio letto…”

“Se vuole… può accomodarsi nella camera delle ragazze…”

“No!” esclama bruscamente il reverendo. Poi, notando l’espressione perplessa che la sua reazione ha provocato sui visi di Kathryn e Patricia, si affretta ad aggiungere “No, devo ancora sistemare i bagagli, ed una passeggiata mi farà bene. La ringrazio comunque della disponibilità.” e si avvia verso l’uscio.

“Io… si figuri, padre” dice Kathryn accompagnandolo alla porta ancora un po’ dubbiosa “Torni quando vuole…”

“Sì… Sì lo farò. Le auguro una felice settimana, e si ricordi di non mancare alla funzione di Domenica. Il sermone sarà sul potere di cui Dio ci ha forniti per fare del bene…”

“Non mancheremo.”

“Bene…” risponde distrattamente Stephen. Poi, lanciando un’ultima veloce occhiata alla bambina, si volta ed aggiunge “Dio protegga questa casa…” e se ne va.

 

 

Otto ore più tardi.

La cittadina di Greentown sta dormendo. I suoi locali non offrono molto, e a meno che non si vada fuori città durante la settimana lavorativa non c’è alcun tipo di svago. Per questo le strade alle tre di notte sono già deserte, e tutti si trovano all’interno delle loro abitazioni a dormire placidi sonni. O quasi tutti. Vicino una villetta di periferia, sulla casella delle lettere della quale è scritto il nome Reynolds, si aggira furtivo un uomo vestito con pantaloni e camicia nera, sul cui colletto spicca una sottile stringhetta bianca, mentre a coprire parzialmente tutto ci pensa un lungo impermeabile nero. L’uomo cammina con passo spedito, ma i suoi piedi quasi non producono rumore sulle rinsecchite foglie autunnali. Arrivato sotto una finestra del primo piano, l’uomo si ferma e comincia a frugare nelle tasche interne dell’impermeabile. A sinistra, proprio accanto al cuore, un piccolo libricino rilegato in rosso sulla cui copertina spicca in caratteri dorati il titolo -LA BIBBIA-. Le dita sfiorano appena questo libro, ma invece di afferrarlo ne prendono un altro, messo nella tasca destra dell’impermeabile. E’ un libro scuro, con parole nere scritte sulla copertina in una lingua antica e defunta ormai da parecchi millenni. Stephen Strange lo osserva per qualche secondo, poi sussurra:

“Apriti”

Come animato da volontà propria, il libro sfugge alla sua presa e, levitando nell’aria, si apre alla prima pagina. Stephen compie il gesto di sfogliare il libro, senza toccarlo veramente, e dice:

“Pagina 20”

Le pagine del libro cominciano a scorrere da sole, fino ad arrivare a quella desiderata. Quindi Stephen comincia a pronunciare parole nella stessa lingua arcana in cui il libro è stato scritto, per finire il suo incantesimo con la parola:

“Levitazione”

Ed immediatamente dopo sia lui che il libro iniziano a sollevarsi lentamente. Stephen tiene entrambi i palmi delle mani rivolti verso l’alto finché non raggiunge la finestra del primo piano. Quindi abbassa un palmo. Così come aveva cominciato ad elevarsi si ferma a mezz’aria. Le sue mani armeggiano con la finestra della camera, che dopo poche e abili mosse si apre lasciandolo entrare. Quindi si avvicina al letto in cui riposa placida Topaz, stando ben attento a non svegliare la sorella che dorme beata dall’altro lato della stanza.

“Pagina 23”

Due pagine si muovono di nuovo. Come prima, Stephen inizia a pronunciare delle parole dal senso oscuro, e conclude l’incantesimo mettendo una mano sulla fronte di Topaz e sussurrando:

“Sonno…”

Quindi, facendo attenzione a non provocare troppo rumore, prende in braccio la bambina sprofondata in un sonno profondissimo e si rivolge nuovamente al libro:

“Pagina 44”

Per la terza volta le pagine si sfogliano da sole. Stephen pronuncia una nuova formula, che conclude con la parola:

“Illusione”

Nel letto di Topaz, dove prima lei riposava tranquilla, adesso si forma dal nulla un’immagine tremolante. Mentre Stephen Strange porterà la bambina con sé, tutti vedranno e crederanno che la bambina sia ancora lì. Questo gli darà il tempo necessario per effettuare i controlli cui deve sottoporla. Ancora una volta, il suo sguardo incrocia quello del libro. Sebbene a prima vista possa sembrare un oggetto inanimato, Stephen lo sente ogni volta che lo usa. Le sue orecchie percepiscono la sua voce, il suo naso fiuta il dolce ed acre odore che emana, la sua pelle sente il suo calore. Ed ogni volta, richiuderlo è sempre più difficile. Per questo Stephen sospira lievemente e chiude gli occhi, prima di mimare con la mano il gesto di chiudere il libro, che asseconda il movimento delle mani serrandosi. Quindi Stephen porta la mano libera a fare il segno della croce, prima di poggiarla sulla copertina e di sussurrare:

“Casa”

Un attimo dopo, né lui né la bambina sono più lì.

 

     
  In un luogo di tenebre.  
  C’è una donna, alla destra di un trono fatto di ossa e carcasse in decomposizione. Un telo copre la metà superiore del suo volto, e scivola giù leggero sulle sue spalle candide. Il resto del corpo è nudo.  
 

“Mio signore…” dice senza muoversi, all’indirizzo della figura seduta sul trono “Il Guaritore di Anime ha evocato il Darkhold, stanotte. L’ha usato per neutralizzare una entità potenzialmente più forte di lui. E non solo di lui, temo…”

 
 

La figura sul trono scende da esso e con passi leggeri raggiunge la donna. Quindi si cala su di lei e le sussurra all’orecchio.

“E tu cosa suggerisci, mia bella Victoria?”

 
  “Manderei un agente a controllare di cosa si tratta… signore”  
  “Mmmm… ottimo… Manderò Zarathos allora”  
  “Temo sia già impegnato, signore[1]  
  “Ah sì? E chi consiglieresti al posto suo?”  
  “L’Oscuro sarebbe perfetto, signore”  
 

“E Oscuro sia! A volte non so proprio cosa farei senza di te, Victoria” la sua lingua corre a leccare velocemente l’orecchio della donna “Meriti una ricompensa, per la tua fedeltà” e le sue mani scompaiono all’interno del mantello della donna.

 
     

 

CONTINUA…

 

 

[1] per scoprire il significato di queste parole dovrete aspettare l’Extreme Ghost Rider di Pablo.

 

Note dell’autore: tutto è cominciato una sera in chat, quando Paolo (come ha fatto con tutti, credo) mi chiese se avrei avuto intenzione di scrivere qualcosa per l’universo Extreme. “Solo quando mi verrà in mente un’idea geniale” fu la mia risposta. Il giorno dopo, pensando tra me e me, mi venne un’idea davvero rivoluzionaria, ma che avrebbe coinvolto i Fantastici Quattro, già prenotati da Eriugena per la loro serie Extreme. Senza darmi per vinto selezionai le parti che avrei potuto riutilizzare da quelle che ormai erano bloccate (ma non nego la possibilità di una mini extra continuity dei F4, prima o poi) e man mano che passavano i giorni, il progetto si faceva sempre più grande e multisfaccettato. Partendo dall’idea di un Extreme Doctor Strange, sono arrivano ad Extreme Universe, una maxiserie di dodici (se ce la faccio a “limitarmi”) che dovrebbe coinvolgere tutto il pantheon magico dell’universo Extreme e che per molti versi si prepara ad essere la serie più ambiziosa della linea Extreme (se non dell’intera MarvelIT). Ora come ora le idee non mi mancano, e già in questo numero ho gettato i semi per la saga più “extrema” di MarvelIT. Al momento, vi basti sapere che NIENTE, né nomi né altro, è lasciato al caso. Quindi potete già cominciare a rimuginare sul dove la maxi andrà a parare e sui personaggi che in futuro verranno coinvolti. Per il momento, vi lascio qui.

Come al solito, per commenti, suggerimento o insulti l’indirizzo è: gambittolo@hotmail.com

 

Nel prossimo numero: non vi dico niente. Aspettatevi di tutto.