PROLOGO: In una località
sconosciuta
Sapete quando vi dicono ‘ho
una buona notizia ed una cattiva notizia’?
Io ne avevo un po’ di
entrambe. Cominciamo dalle buone.
Avevo scoperto che il corpo
senza vita del giovane Richard Fisk, figlio del più noto Wilson -il Kingpin del
Crimine, sapete?- era falso come una moneta da tre dollari. Un buon falso, anzi
ottimo, ma pur sempre un lavoro di chirurgia plastica ai danni di chissà quale
cristo.
Avevo scoperto che il
responsabile di questa mirabolante trasformazione era la Dottoressa Carla
Bennet, vedova e filantropa con l’hobby dei ‘travestimenti’ per i malavitosi
d’alto bordo.
Le cattive notizie?
Per il momento, non potevo
dirlo a nessuno. E questa era una.
La seconda cattiva notizia era
che non potevo dirlo a nessuno perché ero in gabbia. Letteralmente. Come un
animale da zoo.
Può capitare, se il tuo nemico
ha strani hobby, e tu sei un genuino uomo-lupo come il sottoscritto, il
Detective John Jameson…
MARVELIT presenta
Episodio 3 - La Luna dei Cacciatori (III Parte)
“Ah, vedo che sei sveglio, mio
nuovo esemplare.”
Insieme alla voce, giunse una
zaffata di carne cruda e di un buon brandy. E per carne cruda, non intendevo
una bella Tartara. Gesù, ma perché non mi tocca almeno uno psicopatico con dei
gusti alimentari decenti??
Ignorando il mio anfitrione,
consultai il mio orologio interno. L’alba era vicina, ma la Luna sarebbe
rimasta visibile per almeno altre tre ore dopo il sorgere del Sole. Visibile,
ma pallida, ed io sarei stato meno forte. Se volevo almeno uscire di qui, dovevo
farlo in fretta…
Una mano mi afferrò la gola,
poi Kraven mi tirò a sé, facendomi cozzare contro le sbarre! Cavolo, questo
tipo era forte, dovevo concederglielo. Feci scattare gli artigli verso il suo
braccio…poi mi accorsi della sua pistola. Il cacciatore in me liberò un ringhio
tremendo, e sono sicuro che dovevo avere un’espressione paurosa.
Il pazzo ne sembrava
addirittura eccitato. Sorrise, e fu quel sorriso a fare paura a me. Tacqui di
colpo.
“Creatura fiera,” disse Kraven.
“Indubbiamente intelligente se sai capire cosa è meglio per te.” Mi lasciò la
gola. “Dalla tua sottomissione otterrò un premio più soddisfacente di ogni
somma in denaro.”
? E ora di che diamine stava
parlando?!
Quello che Kraven fece
l’istante successivo fu talmente veloce, che quasi non me ne accorsi: la sua
mano volò alla frusta che reggeva alla vita. Poi la frusta mi si avvolse
intorno al collo! Una frusta elettrificata! Sentii di nuovo i muscoli andarmi
in gelatina, ed emisi un uggiolio disperato.
La mia resistenza a quella
tortura fu di breve durata, anche se per me durò la classica eternità. Caddi in
ginocchio, invano cercando di strappare via quel maledetto aggeggio, poi
crollai, a stento cosciente, a faccia in avanti.
Kraven ritirò la frusta. “Pochi
sarebbero sopravvissuti ad un’esposizione prolungata come questa.” Era
ammirato, il bastardo, ci credeva a quello che diceva.
In una specie di nebbia, vidi
Kraven andare verso un mobile. Lo aprì, e ne estrasse qualcosa. Poi gettò quel
qualcosa nella gabbia. Carne! Carne fresca e sanguinolenta. Lo stomaco brontolò
mio malgrado.
“Tieniti in forma, lupo.
Stasera, ci sarà la prima, vera lezione sull’addomesticamento. Faremo sul
serio.” Si voltò ed uscì.
Appena la porta si fu chiusa, mi
misi in ginocchio -scusatemi tanto, ma fin quando non fossi tornato in forze,
di più non potevo proprio fare.
Mi avvicinai alla carne. Il
cacciatore si sarebbe gettato su di essa all’istante, ma lo costrinsi almeno a
lasciarmela nasare. Non so lui, ma io nutro una certa diffidenza per il cibo
drogato.
Pochi
colpi di naso, e capii che la carne era perfetta sotto ogni aspetto. Quindici
chili di manzo di prima scelta. A quel punto, mi persi nel delizioso compito di
inghiottirla quanto più in fretta possibile.
Avevo
decisamente l’impressione che non sarei tornato in tempo per timbrare il
cartellino…
Ore 09:00. Edificio del 7mo
Distretto
“Non ci posso credere!” il
Detective William Bertolini, uno di quegli italoamericani più stereotipati che
non si può, era un fan di un celebre trio comico. L’accento siciliano gli
veniva molto bene, quando pronunciava quella frase. “Siamo arrivati prima di
Jameson! Questo giorno devo giocarmelo al Powerball.”
Il suo partner, un sino
americano che di nome faceva Sun, ma che tutti chiamavano Bruce, per la sua
somiglianza con il sempre rimpianto attore, non disse una parola e andò
direttamente alla sua scrivania.
Il Tenente Turk si affacciò
dal suo ufficio. “Conoscendo Jameson, sarà già sulla scena del crimine.”
“Che crimine, capo?” fece
Bertolini.
“Effrazione,
nell’appartamento di Carla Bennet. Sembra che ci sia stata una piccola guerra,
là dentro. Ho già mandato Saunders, visto che la Bennet sembra coinvolta in
qualche modo nel caso.”
‘Piccola guerra’ rendeva bene
l’idea.
L’appartamento era stato trasformato
in un ring. Finestra rotta dall’esterno, mobili rovesciati… Eppure, il posto
non era stato perquisito. Neanche un cassetto aperto. Naturalmente c’era la
possibilità che in realtà la perquisizione fosse già stata effettuata, e che il
casino nel salotto servisse a distrarre l’attenzione.
Ma ciò che arrovellava la
mente della detective Kristine Saunders, era la vistosa assenza di John. Lo
conosceva, quel segugio sarebbe stato presente ad ogni scenario del caso Fisk.
Non era normale per lui, questa assenza, no.
E Turk l’avrebbe presa ancora
meno bene: se lo sarebbe mangiato.
Lei
fece una smorfia acida. Il che voleva dire che lei avrebbe dovuto coprire
quello scavezzacollo un’altra volta.
“Cavolo!”
“Detective?”
Lei
si voltò. A parlarle era stato uno dei forensi. In mano reggeva una bustina di
plastica per i reperti, ed aveva un’espressione molto perplessa. “Dia
un’occhiata qui.”
Lei
prese la bustina. Corrugò la fronte. “Cenere?”
“Già.
Non sembra cenere di sigaretta. Ed è sparsa un po’ dappertutto in questa
stanza, e sempre a piccoli mucchietti. Ne abbiamo trovato anche sopra i
mobili.”
Kristine
annuì. “Voglio i risultati delle analisi quanto prima, Stan.”
Uno, due, tre… Respira. Uno,
due, tre… Respira.
Il lupo era un golosone che
non si faceva tanti problemi in fatto di cibo. Tanto, poteva digerire anche le
pietre.
Il guaio era che se il lupo
tornava ad essere uomo con ancora della roba cruda in pancia, ero io che dovevo sopportarla e non
vomitare. Non mi avreste voluto vedere, la prima volta che successe, credetemi.
La terza minaccia di conati
passò. Ed io ero ancora prigioniero.
La porta della stanza si aprì.
Era il pazzo. In un braccio reggeva un abito ripiegato.
“Buon giorno, mio graditissimo
ospite.” Si avvicinò alla gabbia e mi porse l’abito -un costume, per la
precisione. Un modello senza braccia e gambe, bianco e azzurro.
“Indossalo. Quei due stracci
lì non si addicono ad un mio ospite. Inoltre, si adatterà alla tua forma
bestiale quando verrà il momento.”
“Il momento per cosa, mister?
Chi diamine sei?”
“Prima vestiti. Le domande a
quando ti sarai reso presentabile.”
Purtroppo, il capo era lui.
Per ora. Mi tolsi gli short e il gilet -in effetti, ne erano rimasti pochi
brandelli bruciacchiati. Cavolo, dovevo essermi preso delle belle scosse!
Quando ebbi finito di
vestirmi, lui prese un telecomando, lo puntò ed aprì la gabbia. “Vieni pure
fuori. Non intendo farti del male.”
“Sì, padrone.”
Kraven sorrise. “A cominciare
da stanotte, il tuo sarcasmo diventerà sincerità. Dunque, desideri delle
risposte?”
Uscimmo dalla stanza, e ci
ritrovammo in un corridoio con i mattoni a vista, candelabri di bronzo e quadri
enormi, di quelli che un museo avrebbe apprezzato. Per essere il covo di un
folle, non era niente male davvero!
“Mi chiamo Sergei Kravinoff,
amico mio. Sono l’ultimo rappresentante di una dinastia che voi occidentali
chiamereste…decaduta. A differenza dei miei più recenti antenati, che si erano
accontentati di osservare il mondo da questo castello, in un’intollerabile
stato di apatia, io ho preferito dare sfogo alla mia vera natura predatrice.
“All’inizio, ho lavorato come
mercenario, e ne ho collezionati di successi… Ma, alla lunga, anche
quell’attività si era rivelata noiosa. Non avevo avversari degni di me. Almeno,
fino a quando non ebbi il privilegio di incontrare un ragazzino. Un moccioso,
ci crederesti?”
Entrammo in un salone che da
solo valeva gli stipendi e le pensioni di tutto il Dipartimento. Al centro
della stanza, ci aspettava un tavolo circolare imbandito per una colazione
reale. Nonostante fossi sazio, lo stomaco mi brontolò.
Kraven si sedette ad un lato
del tavolo. Io lo imitai -c’erano solo due sedie, in fondo.
Mentre il mio anfitrione si
serviva del caffè, disse, “L’Uomo Ragno, questo era il suo nome. Giovane, ma
dotato di poteri straordinari. La mia sconfitta per sua mano mi ha fatto capire
quanto in fondo fossi arrivato.
“Ho meditato a lungo la
vendetta contro quel ragazzino, ma alla fine ho deciso di lasciare perdere: se
volevo riscattare il mio onore, avrei dovuto farlo nel modo giusto. Cacciando.”
Bevve un sorso di caffè, quindi, depositata la tazzina, passò a spalmarsi burro
e marmellata.
“Ora caccio quelli come te,
amico mio: gli uomini-bestia, la combinazione suprema di due specie, i migliori
avversari che il sottoscritto possa avere.” Addentò il pane. Parlava con una
tale calma da mettere i brividi.
“E che ne fai di ‘quelli come
me’?” chiesi. “Ne fai pelliccia? Trofei? Li vendi agli zoo?” non aveva parlato
di fare soldi, prima? Avevo una nausea che non ci vedevo e sentivo.
Kraven depose il piattino del pane. Si pulì le labbra con un
tovagliolo di seta immacolato, e disse, “Dipende. Di sicuro, un esemplare unico
come te o come l’Uomo Ragno non li ucciderei. Sarebbe un inutile spreco, una
macchia sull’onore di un cacciatore.
“In alcuni casi, se la preda
si dimostrasse eccessivamente…intrattabile per essere tenuta nel mio zoo o ai
miei ordini, la venderei a persone che hanno bisogno di cavie…speciali.
“Come ti ho già detto, tu sei
mio. Sarai il mio fedele segugio, mi affiancherai nelle mie battute, a volte
caccerai per me, mi darai soddisfazione… Diventerò il tuo dio, come si
conviene. Perché te ne parlo, ti starai chiedendo. La risposta è semplice:
voglio che tu capisca fin da ora che non hai altra scelta. Questa notte
passeremo alla prima lezione di addestramento, così che anche il tuo lato
animale lo capirà. Un po’ alla volta, il resto verrà da sé.”
Arrogante. Sicuro di sé fino
alla maniacalità. Incapace di capire che la sua prima preda sarebbe stata anche
la sua ultima… Quasi mi faceva pietà. Poteva avermele suonate, ma in quel caso
era in vantaggio sul lupo grazie alla fame ed alla sorpresa. Stasera sarei
stato sazio ed in forze. Idiota!
“Abbiamo parlato a
sufficienza. Desideri servirti?” Kraven indicò il banchetto.
Credo che divenni verde, ma
non chiesi uno specchio. “Dove ci troviamo?” chiesi, invece.
“In una mia villa a Long
Island. Naturalmente, l’intero edificio è costellato di allarmi e trappole
antiuomo. Sconsiglio caldamente di uscire senza il mio permesso.” Kraven si
alzò in piedi. “Sentiti libero di esplorare l’ambiente. Vuoi vedere l’arena,
già che ci sei?”
“Perché no?”
Non aveva scherzato,
chiamandola ‘arena’.
Un perfetto cerchio di sabbia,
delimitato da un anello metallico ad altezza di torace. Alle pareti erano
appese file di armi bianche, dai coltelli alle mazze. Roba fine, me ne
intendevo: una volta, avevo sequestrato la collezione di un narcotrafficante.
“Originale, per un
appuntamento,” commentai. “Ma ancora non mi hai detto una cosa, anzi magari più
d’una.”
“Parla pure.”
“La Bennet non c’entra, vero.
Tu mi stavi seguendo da prima che arrivassi al suo appartamento. Da quanto
tempo mi stavi alle costole?”
Kraven andò a prendere una
mazza con catena. Rigirandosi l’arma fra le mani, disse, “Diciamo che la Bennet
c’entra fino ad un certo punto…anche se non riesco a capire cosa tu c’entrassi con lei.
“E, sì: ero sulle tue tracce
da un po’ di tempo. Vedi, amico mio, per cacciare gli uomini-bestia, bisogna
prima trovare tracce concrete della loro esistenza. New York, come ogni altra
metropoli che si rispetti, può essere il nascondiglio ideale per la tua specie,
in mezzo a milioni e milioni di individui, protetti da fitti strati di burocrazia.
“La tua prima caccia di cui i
giornali abbiano parlato è stata a spese di un rifiuto della società. Lo hanno
trovato letteralmente sbranato. Si è parlato di uno o due wolfdog addestrati, ma quando ho dato un’occhiata alle immagini
classificate nell’archivio dell’FBI, ho compreso la natura dell’assassino.”
Una parte di me era ancora
morbosamente curiosa, in merito. Non ho alcun ricordo di come avevo lasciato
quel disgraziato…
“Da allora, attraverso i miei
contatti, ho atteso le altre segnalazioni sulla tua attività. E devo dire che
non sono mancate. E per quanto, come ogni lupo che si rispetti, la tua area di
caccia sia ampia, essa è ben delimitata.
“Ho pensato come te, amico
mio. Ho immaginato che andare per tetti sarebbe stata per te una necessità,
l’innato desiderio di spazi aperti, patetico surrogato della vita dei boschi. E
così ho atteso ancora. Fino a quando, stanotte, non ti ho visto. E da quel
momento, non ti ho mollato, in attesa di poterti prendere senza testimoni
scomodi di mezzo.”
Kraven rimise a posto la
mazza. Io quasi mi misi a deglutire -dovevo ricordarmelo, per il futuro, di non
essere così prevedibile… “E non sei curioso sulla mia identità? Credevo che
quelli come te ci tenessero a sapere cose del genere.” La misi giù casualmente,
appellandomi al cacciatore dentro per non tradire il mio nervosismo.
Kraven ridacchiò. “E cosa me
ne farei, di simili informazioni, visto che la tua vita mi appartiene? Non sei
certo un personaggio importante, e i media si limiteranno a sollevare un
polverone irrilevante. Le forze dell’ordine non perderanno più tempo di tanto
dietro alla tua scomparsa. Il tuo prezioso anonimato ti si rivolterà contro.
Cerca di capire fin d’ora che non uscirai più da qui, se non alle mie
condizioni.”
“Io capisco solo che non me ne
andrò di qui senza prima averti strappato la gola, mister.”
Kraven si voltò e si diresse
verso la porta. “A stasera, allora.” E se ne andò. Così, senza neppure
preoccuparsi di chiudermi dentro.
E
adesso, che facevo?
“Ancora nessuna notizia di
Jameson?”
Kristine, in piedi davanti
alla scrivania del Tenente, fece un mesto cenno di diniego col capo.
Turk tamburellò sulla
scrivania con la penna. “Per quanto gli piaccia fare il lupo solitario, non è
da lui tagliare ogni comunicazione.” Sun e Bertolino, mandati a casa di John
subito dopo il rientro di Saunders alla centrale, non avevano trovato alcun indizio
utile alla misteriosa scomparsa. La porta era chiusa a chiave, non c’era alcun
segno di lotta…
“Sono
sicuro fino alla nausea che c’entra il caso Fisk,” disse Turk. “Wilson lo ha
fatto rapire, sicuro come le tasse. Saunders, chiama gli altri qui: voglio che
il sottobosco criminale sia passato al pettine e subito. Ogni informatore, ogni
contatto, chiunque possa esserci di aiuto, deve
esserci di aiuto…”
In
quel momento, uno dei forensi entrò nella stanza. Aveva un’aria a dir poco
trafelata. “Detective, cercavo proprio lei. Tenente, abbiamo fra le mani
qualcosa di…” esitò, in cerca del termine adatto.
“Prego,
Stan. Abbiamo solo tutta la giornata, in fondo,” fece Turk, con quel suo tono
mielato da esplosione imminente.
Stan
prese un DVD dalla giacca, quindi si avvicinò al set TV del capo. “Forse è
meglio che vediate con i vostri occhi.” Infilò il disco nel lettore e accese la
TV.
Le
prime immagini che scorsero furono quelle dell’atrio del palazzo dove viveva
Carla Bennet.
“Un
difetto della telecamera?” fece Turk, non troppo convinto.
Lo
schermo mostrava un’immagine nitida…a parte una specie di macchia confusa,
delle dimensioni di un uomo, ma dai contorni indefiniti. Fissarla troppo a
lungo faceva quasi male agli occhi.
Il
forense si strofinò gli occhi per l’ennesima volta. Lui aveva dovuto studiarsi
quel materiale dall’inizio alla fine. Con il telecomando, mandò in avanti fino
a un’altra ripresa: l’interno dell’appartamento Bennet. “Non è un difetto, come
vedrete ora.”
La
porta si aprì. E la ‘macchia’ entrò.
“Un
mutante,” mormorò Turk. “Ci mancava solo questo, un maledetto mutante…”
La
registrazione proseguì fino all’arrivo in scena di Kraven. Seguì la scena della
breve lotta, e infine Kraven che sollevava per il ‘collo’ il suo trofeo.
L’immagine si fermò.
“Voglio
nome e cognome di quel buffone in costume,” disse Turk, senza smettere di
guardare lo schermo. Il fermo immagine aveva fatto addirittura sparire la ‘macchia’.
“E voglio capire che c’entrasse la Bennet con i mutanti.”
Porta blindata, di quelle che
avrebbero retto anche al lupo. Rigorosamente chiusa a chiave, ovviamente.
Finestre a triplo cristallo antiproiettile e sbarre di acciaio temprato.
La villa poteva essere ampia,
ma mi dava decisamente un senso di claustrofobia.
Anche i telefoni erano fuori
questione: erano controllati da una centralina, e le chiamate in uscita non
erano permesse. Del tutto superfluo scommettere sulle misure
anti-radiocomunicazioni. Per quanto valeva, qui potevamo trovarci nel mezzo del
Sahara.
Cristo, non potevo aspettare fino a stasera! Per
giunta, a quel punto mi sarei trovato di fronte quel pazzo tosto e pronto, sul
suo territorio, sapendo cosa lo aspettava. Sarebbe stato un match forse troppo
duro per me.
In realtà, qualcosa la potevo fare…se solo avessi trovato il
coraggio di farla.
Il vecchio mi aveva avvertito:
il contatto fra il Lupo e la Luna non era mai interrotto. Su nel cielo, è
sempre Luna piena.
In teoria, era possibile
invocare la Luna anche dopo il Suo tramonto… Ma questo significava anche dare
al Lupo il pieno potere, il totale controllo. Fin quando le energie della
bestia fossero state al loro apice, l’uomo sarebbe stato relegato in un angolo.
Sarei stato come in blackout.
A quel punto, poteva succedere
di tutto. Dipendeva dagli istinti della bestia.
Mi avvicinai alla finestra, e
guardai verso il cielo. Lei era lassù, la sentivo, così come un marinaio
avverte la presenza del faro lontano…
Ma questo faro non mi avrebbe
condotto in acque sicure. Inoltre, il corpo era più che sazio, le energie della
bestia non sarebbero scemate prima che un disastro fosse compiuto.
Mi appoggiai con le mani alla
finestra, tenendo la testa bassa. Non potevo aspettare fino a stasera, ma
dovevo. E già che c’ero, avrei fatto meglio ad inventarmi una gran bella scusa
per Turk.
Cazzo!
“Allora, Detective Saunders:
cosa è questa ‘emergenza’ di cui ci ha parlato al telefono?”
Erano in tre, al tavolo
d’angolo al Rufus’ Place. Kristine,
con il suo immancabile impermeabile, da un lato. Dall’altro, un uomo e una
donna. Lui, basso, tozzo, camicia sgargiante, capelli neri lunghi e
intrecciati, barba nera corta su un volto solare, sembrava l’ultimo residuato
dell’era degli hippies. Lei, capelli rossi e lunghi, gli occhi duri di chi la
strada l’ha vissuta nel modo più duro. La sua voce era perennemente intonata ad
un’impronta di scetticismo.
Kristine spiegò ai suoi
informatori tutto quello che sapeva sulla scomparsa di John. Quando ebbe
finito, la donna si limitò ad annuire. “Il vecchio saprà cosa fare. Sei
fortunata che voglia bene a John come ad un figlio, o per quanto mi riguarda,
potreste andare tutti al diavolo.”
Kristine non si fece
impressionare. “Lo so che per te il migliore sbirro è quello morto, Sasha.
Contiamo su di voi… John conta su di voi.” Allungò una mano in una tasca, e ne
estrasse un DVD. “Questa è la copia di un…reperto che potrebbe aiutarvi. È
connessa con il caso a cui John stava lavorando.”
Sasha prese l’oggetto e lo
mise nella tasca dei pantaloni. Poi la coppia si alzò. L’uomo, senza dire una
parola, mise una mano sulla spalla della Detective e le sorrise. Bart poteva
essere muto, ma i suoi occhi parlavano per lui. E Kristine vi lesse ottimismo.
Kristine
li guardò allontanarsi. Avrebbe aspettato almeno un quarto d’ora prima di
muoversi a sua volta, per non comprometterli. Sorseggiò il suo caffè -ordinare
qualcosa era obbligo, da Rufus, o non potevi neppure dire buongiorno- e
considerò che John aveva davvero fatto un’ottima cosa tenendo quella banda in
libertà…
Fra il dire e il fare, c’è una
bella differenza.
Una seconda personalità, per
la precisione.
Era facile dire ‘aspetta fino
a sera’, a quell’animale. Meno facile era che mi ascoltasse.
Negli ultimi quaranta minuti,
avevo cambiato idea una dozzina di volte. Mi stava venendo il mal di testa.
Appena sentivo di potere accettare la prigionia fino al sorgere della Luna,
l’animale diceva ‘col cavolo’, e tornavo a bramare di essere fuori. Cercavo di
trattenermi, di sedare quella brama, e arrivavo sfinito a convincere l’animale.
E si ricominciava.
Di questo passo, sarei
arrivato all’ora fatale con la coda fra le gambe. E la cosa non andava certo
meglio, mano a mano che la sera si avvicinava: avrei perso il controllo, ne ero
certo…
Calmati, cane maledetto, calmati!
Seduto in posizione di
meditazione, nudo, in ginocchio, le mani appoggiate sulle cosce, Kraven
osservava i frutti di quel tormento da uno schermo.
“Continua così, soffri per me.
Ogni minuto speso in questa condizione ti indebolirà, fino a quando non
desidererai di essere tenuto al guinzaglio, pur di essere libero da inutili
pensieri di civiltà.” Inalò a fondo, come se stesse assaporando un prezioso
aroma.
La
pozione psicotropa nel caffè -pozione di cui Kraven aveva ingerito l’antidoto
prima del colloquio con il suo prigioniero- stava funzionando alla perfezione:
l’uomo stava diventando penosamente debole. Se Kraven avesse potuto separare
fisicamente quella bipolare creatura ed uccidere l’uomo, lo avrebbe fatto senza
rimorso. L’uomo era un inutile ostacolo.
“Taxi!” la donna ‘modello
manager’ alzò la mano e senza neppure aspettare che l’auto si fermasse, le si
avvicinò a passo affrettato, da buona Newyorchese.
L’auto si fermò. La donna fece
per allungare la mano verso la portiera…e fu bruscamente strattonata per le
spalle da un paio di robuste mani maschili! Gli occhiali firmati le finirono di
sghembo sul volto, e la cartella italiana di pelle cadde a terra.
“Scusa, sorella, ma questa
corsa è nostra,” disse Sasha, schizzando a bordo. Bart lasciò andare la donna,
che cadde sedere a terra, ancora incredula.
Mentre il taxi si allontanava
con i due prepotenti, la donna inveì in modi davvero creativi.
“Hai mai sentito parlare di
buone maniere, Sasha?” fece l’autista, un armadio muscoloso, che entrava a
stento al posto di guida, infilandosi agilmente nel traffico. “Mi toccherà cambiare
targa, dopo questa figura.”
“Preoccupati di raggiungere
Lambert in fretta, piuttosto, Garth. Ci sono rogne.” E spiegò per filo e per
segno quanto Kristine le aveva raccontato.
Il
biondo svedese perse di colpo ogni traccia di giovialità. “Cazzo, a Lambert non
piacerà. Non piacerà per niente.” Scalò velocemente le marce, e prese a manovrare
nel traffico al limite del suicidio.
Avevo voglia di dormire.
Era una strana sensazione.
Buffa, avrei detto, se non avessi saputo quanto era grave ormai: gli occhi
erano pesanti come piombo, la vista era annebbiata, ma allo stesso tempo mi
sentivo sveglissimo come dopo una caraffa di caffè.
Era lui. Ormai stava
emergendo. Ma non era possibile, non avevo neppure pensato di invocare la Luna.
Droga. Cazzo, ma perché non ci
avevo pensato subito?!
Mi scossi, tentai di camminare
verso una direzione, una qualunque pur di tenere dell’adrenalina in circolo.
Urtai contro un comodino, che cadde a terra, su un piede. Mi fece male, benedissi
il dolore, ma durò poco, troppo poco.
Tagliarmi, fare scorrere il
sangue per purgarmi dalla droga…
Incoerente. Avevo solo sonno,
volevo solo dormire, recuperare le forze…
Sbattei un debole pugno contro
la finestra. Non mi spellai neppure le nocche.
Era come avere melassa al
posto del cervello. E ancora provavo un montante piacere all’idea di essere
libero.
NO! Sono i suoi pensieri, non
i miei. Io sono un…uomo…non…un…lupo…
Caddi in ginocchio. Il cuore
martellava ad un ritmo irregolare, caotico.
Kraven, maledetto idiota!
Il taxi entrò in un garage
malconcio. Non si era neppure fermato, che Garth suonò il clacson a fondo un
paio di volte.
Sasha e Bart scesero in
fretta. Allo stesso tempo, sulla piattaforma del pianerottolo apparve un uomo:
capelli bianchi impomatati, corti, baffi pure bianchi e folti, pizzo pure
bianco. Indossava un gessato elegante, scarpe italiane lucide, e nel pugno
stringeva un bastone d’ebano con una testa dorata a forma di lupo.
“Ragazzi,” disse l’uomo, in un
impeccabile inglese oxfordiano, “vi auguro di avere un’ottima ragione per
comportarvi come dei selvaggi.”
Sasha
prese il DVD e lo lanciò all’uomo, che lo prese con un gesto elegante. “John è
nei pasticci fino alla coda, Lambert. Dai un’occhiata qui.”
Tramonto
Kraven si avvicinò alla figura
riversa sul pavimento. Con un piede, saggiò prudentemente che John stesse
dormendo: almeno, non avrebbe pensato a sprecare altre forze per tentare di
evadere.
Kraven si chinò a prendere
l’uomo per le braccia. Al suo risveglio, la creatura sarebbe stata troppo
stordita per opporre degna resistenza alla frusta ed ai pugni.
Poi successe!
Sotto gli occhi di Kraven, la
figura di John Jameson, semplicemente, scomparve. In un batter d’occhio, non
c’era più. Al suo posto, in piedi, perfettamente sveglio e ringhiante, c’era
l’uomo-lupo! E non la creatura con la quale il Cacciatore si era confrontato la
sera prima… No, questo era alto almeno il doppio, i muscoli erano come metallo
liquido, guizzanti sotto una pelliccia più irsuta e folta. Lo stesso muso era
più…tozzo, malevolo, costellato di canini e molari a sciabola. Le mani -o erano
più zampe con artigli enormi?- presentavano spessi cuscini callosi, e gli arti
inferiori erano ora digitigradi.
E i suoi occhi! Occhi non più
ambrati e duri, ma rossi come braci, luminosi. Occhi in cui Kraven vide una
sete di sangue pura, il desiderio assassino del predatore assoluto. In quel lunghissimo
istante, Kraven capì di avere fatto un errore di valutazione madornale: questa
creatura non avrebbe accettato di essere addomesticata, avrebbe combattuto per
la sola morte del nemico!
Distrattamente, la mente del
Russo vagò verso quel suo errore. Aveva raccolto indizi, fatto osservazioni, e
niente faceva solo pensare ad un simile…
Poi, non ci fu il tempo di
pensare ad altro. La bestia lo tirò a se come se fosse un debole vecchio. Una
zampa lo cinse per la schiena, affondando gli artigli nella carne. Un’altra lo
tenne saldamente per la testa, con un artiglio ad ogni lato dell’occhio
destro…e il lupo baciò l’uomo! Quel muso enorme si chiuse sulla bocca di
Kraven. L’uomo mugolò qualcosa…e poco dopo, quei mugolii divennero soffocate
grida di dolore! Sangue iniziò a colare dal muso del mostro, lungo i corpi avvinghiati.
Il corpo di Kraven si tese
come una molla, mentre faceva appello a tutte le sue forze per liberarsi di
quell’atroce abbraccio. E quando ci riuscì, si udì un orrendo suono come di
carne lacerata, ed il sangue schizzò sul muso e sul petto della creatura.
Kraven si tenne le mani sulla bocca…o meglio, su quello che ne rimaneva. Sul
suo volto e sulla schiena c’erano i marchi lasciati dagli artigli. Solo per un
miracolo, si era tenuto l’occhio destro.
L’Uomo-Lupo scodinzolava,
mentre, con deliberata lentezza, masticava la lingua e le labbra della sua
preda, senza staccarle gli occhi di dosso. Kraven capì che il mostro gli stava
mostrando quello che avrebbe fatto del resto del suo corpo. Era certo che
sarebbe stato vivo fino a quanto umanamente possibile.
Kraven si voltò e fuggì lungo
le scale, lasciandosi dietro una scia del proprio sangue.
Il mostro deglutì il boccone e
si leccò le labbra con una lingua oscenamente lunga. Guardò la sua preda
fuggire, attraversare una soglia e chiudersi la porta alle spalle.
Si raccolse per saltarle
dietro -aveva giocato abbastanza, ora era tempo di ucc*
Il suono di un discreto
bussare alla porta lo fece voltare di scatto! “Mgrr..?”
Dalla stanza, Kraven non perse
neppure tempo a chiedersi chi potesse essere il suo inatteso salvatore. Andò al
citofono e fece scattare la serratura. Ogni secondo guadagnato era un secondo
prezioso: era sicuro che la bestia avrebbe avuto facilmente ragione anche dei
pannelli blindati.
La porta si aprì con uno
scatto.
La bestia si acquattò, pronta
a colpire… e si trovò di fronte alla vista di un uomo distinto, dalla barba e
dai capelli bianchi, con un nero bastone in mano e un cilindro in capo.
“Eccoti qui, John vecchio
mio,” disse Lambert, in un tono paternalistico. “Sei stato un cane davvero
cattivo, lo sai?”
Il lupo non perse tempo.
Ringhiò orrendamente, ed attaccò!