PROLOGO: Manhattan, esterno notte

 

Il ragazzo si chiamava Diego Garcia. Di professione, faceva il piccolo programmatore e il troubleshooter per hardware e software.

Praticamente era un hacker ed un informatore. E se la cavava più che bene in tutti i summenzionati.

Diego, 22 anni, discretamente palestrato, cresciuto nelle strade più toste, cinico quanto basta. Non era esattamente un fan della legge, ma non era neppure il miglior hacker del mondo: ebbe la sfortuna di farsi beccare da me, durante un’indagine congiunta con l’FBI.

Io ero arrivato per primo sulla preda. Non credo che debba scendere nei particolari su come il poveraccio reagì alla mia sola vista.

Quando capii che le colpe del ragazzo consistevano al massimo in qualche violazione di copyright e di appropriazione indebita ai danni di gente già piena di soldi, decisi di offrirgli una possibilità: io gli davo una zampa e lui mi dava una mano. Lui prometteva di cercarsi almeno un lavoretto onesto per fare qualche soldo in modo costruttivo, ed io gli facevo fare il cattivo ragazzo a vantaggio del Distretto. E non lo avrei morso, se avesse duplicato qualche film o canzone per integrare i guadagni. È un mondo cinico, gente.

Diego accettò con entusiasmo…anche se credo che fosse più per l’idea di essere sfuggito al mio stomaco. Non gli dissi mai che non me lo sarei mangiato comunque: la carne di città è troppo inquinata.

 

E così, eccolo qui, il mio caro salvagente per i casi difficili; appoggiato con la schiena al muro di un vicolo cieco, intento ad attendere il suo ‘protettore’.

Mica potevo deluderlo, no?

Saltai giù dal tetto.

 

 

MARVELIT presenta

Episodio 2 - La Luna dei Cacciatori (II parte)

 

 

Atterrai come un gatto, ad un passo da Diego.

Lui si voltò di colpo. In mano gli scintillò una lama a serramanico -buoni riflessi, naturalmente del tutto inutile con me. Se avessi voluto farlo secco, s’intende.

Lui guardò la mia forma: glielo dovevo concedere, si era abituato in fretta a 105 Kg di lupo mannaro dalla pelliccia bianca, con zanne ed artigli di ordinanza.

“Ancora non ho capito se ci provi gusto a fare così, lobo” Diego rinfoderò la lama. I suoi occhi saettarono nervosi verso la strada -abitudine, ovviamente. Se avessi percepito la presenza di qualcuno, non mi sarei certo presentato.

Non ci provavo gusto…vabbe’, solo un pochino. Il fatto era che la gente nervosa era più sincera, i loro odori ed i loro gesti più rivelatori.

Allora, che novità?” chiesi io, restando accosciato.

La sua mano andò alla tasca dove stavano le sigarette. Al cacciatore sfuggì un breve ringhio di avvertimento -se a un essere umano può dare fastidio il fumo, figurarsi un lupo.

La mano si allontanò dalla tasca. Diego disse, “Sai quella Bennet, la proprietaria dell’appartamento da cui ti hanno chiamato?”

Continua.

“È un medico. Un chirurgo plastico, per la precisione.”

Le orecchie mi fliccarono, ed io inclinai leggermente la testa di lato in curiosità. Carla Bennet, per quanto riguardava l’anagrafe, era la vedova di un medico, una persona con tanti soldi e l’istruzione di una persona agiata e di buona famiglia che non aveva mai frequentato un’università…

Ma aveva frequentato suo marito!

“Già,” sottolineò Diego. “Spulcia che ti spulcia, scopro che la Bennet ha di tanto in tanto intascato somme strepitose provenienti da mezzo mondo, e sempre attraverso passaggi accuratamente mascherati. Se il Fisco volesse veramente nasare a fondo, li troverebbe, credimi. Ma sai com’è, con la storia della privacy e col fatto che la vedova Bennet è una tale santarellina, ecc ecc. Una bella somma l’ha ricevuta proprio una settimana fa.”

E credo anche di sapere da chi. Mi resta solo da fare una cosa, a questo punto.” Mi alzai in piedi, torreggiando sul ragazzo. “Sei stato di grande aiuto, Diego. Torna a casa e cerca di non fare troppo casino, in cambio.

Lui mi squadrò dal muso ai piedi. “Non hai bisogno di dirmelo, quando ti presenti così. Credimi.” Si voltò, facendo un distratto cenno di saluto. “Oh, a proposito: Joline ti manda i suoi saluti.”

Risposi con un sorriso. Poi mi raccolsi e spiccai un salto verso la parete. Da lì, come una molla, rimbalzai sull’altra e così via fin sui tetti.

 

Il cacciatore fremeva per spazi aperti incontaminati, foreste, montagne. I canyon di New York andavano bene fino a un certo punto. Avvertivo la sua tensione, mentre sondava costantemente un ambiente saturo di minacce. Se fossi stato un mutante, sarebbe stato anche peggio, il Governo era diventato un tantino paranoico a riguardo, negli ultimi mesi. E le azioni del Fronte di Liberazione Mutante non aiutavano certo a rilassare gli animi…

Saltai da un tetto all’altro, assaporando il vento nella pelliccia, la pletora di odori della città, le infinite combinazioni di luci e suoni che ai miei sensi erano melodia.

In momenti come questi il cacciatore mi compativa, ed io compativo il resto dell’umanità ‘normale’, cieca al proprio stesso ambiente. Mi chiesi per l’ennesima volta se fossi stato vittima di una maledizione o santificato da una benedizione…

Di sicuro, essere Man-Wolf era la sola cosa per cui dovessi ringraziare mio padre…

 

Il vecchio non voleva un figlio, voleva l’eroe che lui non era mai stato. Ambizioni frustrate da un mondo che premiava i farabutti, questo era JJJ. Fondare un giornale era stata la sua risposta a quei farabutti: se non poteva unirsi al circolo, avrebbe affondato il circolo.

Io ero nato per uno scopo preciso, essere quello che lui non era stato. Un cane selezionato per un lavoro -ripensandoci, mai metafora sarebbe stata più adatta, vero?

Per qualche ragione nota solo a madre natura, avevo mantenuto un’assurda timidezza mentre i miei compagni di scuola e di giochi facevano sempre più a gara per primeggiare. Mio padre era molto paziente, non urlava, non mi picchiava: quel trattamento lo riservava alla mamma, incolpata di avere fatto nascere un esemplare meno che perfetto.

Io ero il destinatario della sua freddezza, del suo mutismo. J. Jonah Jameson non accettava scuse balbettanti, voleva da me fatti concreti. Quando scazzavo, non mi rimproverava; mi guardava come se fossi stato uno scarafaggio su un cuscino broccato; uno sguardo e via, non mi rivolgeva la parola fino a quando non riparavo al ‘torto’.

In pratica, crebbi da solo in famiglia. Mamma era troppo spaventata per aiutarmi. Oggi è in una clinica psichiatrica e vive a flebo di antidepressivi, dopo il secondo tentativo di suicidio.

Sì, incontrare quel figlio di una lupa fu una bella fortuna.

La mia laurea a pieni voti all’accademia di Polizia mi aveva fatto guadagnare un viaggio-premio in Europa. Era la prima volta che mettevo piede nel ‘vecchio continente’. Decisi di approfittare appieno del lampo di generosità del vecchio -soprattutto, volevo fare finta di avere una vita mia, prima di dovere tornare in America.

Girai molte fra le più importanti mete turistiche, prima di passare dalla Germania alla Transilvania, sulle tracce del Conte Dracula.

Certe volte, a ripensarci su, cerco di abbellire i ricordi…inutilmente, purtroppo. L’unica cosa fedele alla leggenda era la Luna piena. Era una splendida notte, senza una nuvola, fredda da paura, ed io ero intento a passeggiare in un bel sentiero tracciato a prova di turisti sprovveduti. Il giro del castello del Conte si era rivelato inconcludente, le solite menate di una guida turistica esperta nello spaventare turisti pecoroni; a un certo punto del giro quasi avevo proposto di esporre il mio vecchio, quello sì che avrebbe messo la strizza!

Insomma, in quella serata perfetta per una passeggiata non udii alcun fruscio premonitore, non ci fu un terribile ringhio di avvertimento, nessun confronto vis-a-vis. Un momento stavo pensando ai fatti miei, l’attimo dopo ero a terra, e sopra di me c’era una bestia uscita dai peggiori incubi di tutte le fiabe!

Ricordo che non ebbi neppure il tempo di avere paura. Seppi solo che sentii le zanne del licantropo sulla mia gola.

Poi svenni.

 

Fui ritrovato sette giorni dopo, lontano da qualunque centro abitato, dal cane di un contadino in cerca di funghi. Ero nudo, e con parecchi graffi addosso, ma a parte il comprensibile stordimento e un comprensibile raffreddore avanzato, non sembravo avere nulla di grave.

Mio padre, in quell’occasione, aveva mostrato uno slancio di preoccupazione: aveva smosso mezzo mondo per trovarmi, ed aveva pagato forte perché mi venissero chiesti al massimo i dati anagrafici. Cosa avrei risposto, se mi avessero interrogato su quei sette giorni di vuoto?

Perché non c’è ancora parola adatta per definire quello che mi successe. Sette giorni di buio assoluto, che nessuna terapia, per quanto avanzata, riuscì a spezzare. Dopo quei tentativi, JJJ si arrese.

La mia vita cambiò definitivamente poco tempo dopo, durante una notte di Luna Piena.

Mi trovavo in periferia. Ero da poco tempo entrato in servizio, e lavoravo per mia scelta nei turni di notte…per scelta del Cacciatore, come scoprii in seguito. Lui voleva un posto ed un momento adatti alla trasformazione, senza testimoni scomodi.

Il mio primo cambiamento fu anche l’inizio della leggenda metropolitana: ero irrequieto, per tutta la sera non avevo fatto che toccarmi ripetutamente l’uniforme come se mi stesse troppo stretta; reagivo con ostilità a chiunque mi rivolgesse la parola. Turk decise di farmi fare il turno da solo: era convinto che il mio fosse solo un atteggiamento da giovane Callaghan, che un po’ di azione da solo avrebbe ridimensionato.

A pagare furono un paio di ladruncoli che incontrai mentre uscivano da un negozio di pegni. Nel vedermi, fecero un paio di occhioni spaventati. Si diedero a gambe bestemmiando.

Io li inseguii. Il sangue mi ribolliva più che mai: il Cacciatore stava emergendo, ed era eccitato come non mai! Il fiato mi usciva come lava dai polmoni, sentivo l’odore della loro paura e mi leccai le labbra. Era bello!

I ladri erano giovani, ed erano abituati a correre. Avevano un discreto vantaggio, su di me. Ma al Cacciatore non importava: a lui piaceva doversi sudare la sua preda.

La notte si fece più luminosa: erano i miei occhi che acquisivano nuove capacità di ricezione. Sentivo il loro respiro accelerato.

Ad un certo punto si separarono. Non seppi mai cosa ne fu di quello che se la squagliò, ma seppi cosa feci al disgraziato che raggiunsi in un vicolo. Non mi ero accorto neppure di essermi trasformato, ma ancora ricordo che sapore aveva la mia prima preda umana…

 

Dire che ero caduto in depressione è poco. Ci volle il suo tempo, l’aiuto di uno ‘specialista’., e soprattutto molto, molto allenamento a convivere con una creatura che si mette a nanna solo nelle notti di Luna nuova. Il tutto cercando di incontrare gli standard di qualità di quel perfezionista del nostro Tenente Harrison Turk.

Ma ci riuscii, ed ora eccomi qui, Detective di III grado con la fissa delle scappatelle notturne. Lo devo ammettere: mi torna molto utile sul lavoro. Anche se cerco ancora di avere i turni di notte, quando mi capita di lavorare per 24 ore filate, mi sento riposato dopo avere lasciato la notte al Cacciatore. E a caval donato, ecc ecc

Finalmente giunsi a destinazione: la strada dove Richard Fisk, il figlio dell’Avvocato Wilson Fisk, era stato trovato cadavere per abuso di sostanze tossiche.

Guarda caso, proprio dall’appartamento della Sig.ra/Dott.ssa Bennet era giunta la telefonata al Distretto che avvertiva della consegna del morto. Sfortuna volle che fossi stato io a riceverla. E se le rotelle stavano girando nel senso giusto, a questo punto avevo anche un’idea di chi avesse fatto la chiamata…

Saltai giù: un bel volo, niente da dire. Anche se solo l’argento poteva ferirmi e/o uccidermi, non ci avevo mai tenuto più di tanto a testare la mia resistenza a trenta piani di caduta. Per fortuna c’erano le aste di bandiera, e per fortuna erano tempi in cui il patriottismo tirava.

Ma non scesi fino a terra: mi bastò arrivare ad uno dei due alberi del ‘giardino’ condominiale. Per qualche ragione, mentre ero in forma lupina, le telecamere ed i dispositivi elettronici rifiutavano di registrare la mia presenza. Intendiamoci, mi riflettevo negli specchi e potevo essere fotografato e fissato su pellicola, ma non ‘digitalizzato’ o registrato su supporti magnetici. Tutto quello che si vedeva, in casi del genere, era una macchia indefinita.

E considerando che ormai tutti i sistemi di sicurezza a NYC non usavano certo la pellicola fotografica, per me era manna!

Dalla mia posizione, scrutai attentamente i dintorni. Digitai un artiglio sulla superficie di uno dei bracciali dorati che portavo ai polsi. Un momento dopo, sul metallo apparve brevemente l’indicazione luminosa dell’ora. Annuii: sapevo chi era di turno, e sapevo che in quella zona ci sarebbe passato fra almeno mezz’ora. Era sufficiente, per me, e al momento la strada era deserta.

Via! Saltai giù e corsi verso l’ingresso.

Scrutai verso la guardiola del portiere, e la trovai vuota. La porta era chiusa, naturalmente…ma non importava. Bastava usare le maniere gentili, spingere quel tanto che bastava ed ecco qua: la serratura si ruppe con uno schiocco soddisfacente. Ora avevo una manciata di minuti: in questo preciso istante, un allarme ‘discreto’ stava segnalando al Distretto dell’effrazione in corso.

Schizzai verso la guardiola. Indubbiamente, lo stesso allarme stava suonando in casa sua. Se avevo fatto bene i conti, doveva stare uscendo dall’appartamento in quell’istante -era normale che a un certo punto la tranquillità del suo lavoro lo spingesse a rintanarsi un po’ piuttosto che starsene seduto a rompersi la schiena per guardare l’androne, non con le telecamere nossignore.

Aprii la porta della guardiola con un altro tiro secco. Il portiere uscì di casa. Ebbe appena il tempo di vedere qualcosa di bianco e grosso venirgli addosso, prima di trovarsi un pugno infilato nel plesso solare. Andò giù come un sacco vuoto.

È una bella cosa essere un poliziotto: ad un certo punto impari dove cercare quello che ti interessa. E il passepartout magnetico era proprio quello che il dottore aveva ordinato! Presi la preziosa tessera dal taschino e mi involai lungo l’androne, e da lì saltai le scale -appena in tempo, oserei dire. Percepii l’arrivo dell’autopattuglia. Era stata più vicina di quanto avessi pensato!

Raddoppiai i miei sforzi. Avevo qualche minuto extra, prima che la gente cominciasse a venire fuori: il Newyorchese tipico non è davvero il tipo di persona che si interessa agli affari degli altri, quando si trova nella sua tana.

 

Ed eccolo qui, settimo piano. Ora, l’appartamento 71...Sì. Passai velocemente la tessera nella serratura. Avevo steso a dovere il custode, e fin quando il sistema non avesse segnalato un’effrazione, non avrebbero neppure pensato di disattivare la scheda.

La porta si aprì con uno scatto delicato. Entrai e me la richiusi altrettanto piano alle spalle.

 

Inutile accendere la luce, ovviamente. Ce n’era abbastanza per capire che l’appartamento era immacolato, asettico. Il tipo di posto che viene usato per darsi lustro, per dormirci o per portarci l’amante di turno. Un posto senza vita.

Ma non mi interessava. Non cercavo impronte digitali od odori speciali; era chiaro che la Bennet non ospitava qui i suoi clienti, e non c’era certo una sala operatoria nascosta dietro la parete.

Mi interessava un oggetto molto più triviale, ed eccolo lì: caro, vecchio telefono, modello cordless con la sua brava segreteria telefonica… Voilà, un tocco d’artiglio e via!

*Beep!* “Questa è la segreteria telefonica di Angela Bennet…” ascoltai il breve messaggio, mentre mi concentravo sulla voce che aveva chiamato il distretto. E se un essere umano avrebbe potuto dubitare della sua memoria, il fine orecchio di lupo no.

Le voci erano identiche.

Spensi la segreteria. Bingo! Ora sapevo che molto probabilmente la Bennet sapeva la verità sul corpo di Fisk. E spiegava anche perché il vecchio Wilson non aveva voluto un esame del coroner.

Molto probabilmente, e molto troppo tardi, la Bennet aveva capito che quella sarebbe stata la sua ultima operazione. Sapeva di essere comunque fregata, ed aveva deciso almeno di scoprire questo barattolo di vermi.

Domanda: a che ti serve un finto figlio morto?

Risposta: a scatenare una guerra di bande. E magari a qualcos’altro…

Avrei voluto scodinzolare -ahi ahi ahi, Wilson: piano carino, peccato che qualcuno abbia il naso giusto da ficcare nel posto giusto…

Fame! Lo stomaco gorgogliò contemporaneamente a quel pensiero.

Accidenti!

Mossi la testa, sollevando il naso a fiutare in cerca di cibo.

Aspetta un altro po’, cucciolo! Abbiamo altri problemi di cui…

Mangiare,ora. Sono debole. E non era solo una sua opinione, purtroppo: mi sentivo sempre più fiacco. Come al solito, avevo ragionato in termini umani, quando avevo mangiato prima di trasformarmi. Solo la trasformazione aveva esaurito metà delle calorie ingerite!

Il mio corpo si mosse quasi contro la mia volontà, diretto verso la cucina. Anche se il lupo prediligeva carne fresca, l’odore del cibo da dispensa lo stava mandando in visibilio. Credo che avrebbe mangiato anche le lattine, pur di*

Movimento! Mi tesi, voltando la testa verso la grande finestra, spalancando la bocca in un ringhio a zanne snudate.

Troppo tardi! La figura fu dentro infrangendo il vetro, riempiendo il salotto di una pioggia di schegge. Per quanto potessi essere lesto ad intercettare il nuovo venuto, i suoi piedi uniti piombarono comunque sul mio torace, togliendomi il fiato!

Volai all’indietro, contro il tavolino del telefono.

“Mi aspettavo davvero qualcosa di diverso, quando mi hanno menzionato un ficcanaso,” disse l’intruso. Il mio sguardo era annebbiato dalla debolezza. Il mio corpo si stava riprendendo dalle ferite, ma lo faceva attingendo alle riserve. Capii solo che era un uomo, un esemplare forte e in piena forma. Sentivo l’odore delle sue armi e della sua confidenza.

Dovevo farla finita in fretta, e il Cacciatore era decisamente d’accordo. Saltai addosso all’idiota, ero ancora abbastanza forte da dargli una *YOOWLLP!*

Scariche elettriche! Colpi che investirono il mio sistema neurale come una tonnellata di mattoni. I miei muscoli andarono in gelatina in un istante. Il dolore fu breve, ma solo perché svenni subito, ai piedi di…chi..?

Una mano robusta mi afferrò per la collottola come fossi stato un cucciolo inerme. “Bene bene, una preda davvero inaspettata… Avevo l’ordine di uccidere i ficcanaso, lo sai? Ma sarebbe davvero un peccato sprecare una preda preziosa come te, amico mio.”

Il nuovo arrivato era un uomo dai lunghi capelli neri, baffi ed un pizzetto che esaltavano il suo volto squadrato. Indossava un costume imbottito, una specie di sahariana a motivi di animali africani, con una testa di leone disegnata sull’addome. Il suo sorriso di trionfo aveva qualcosa di maniacale.

“Sì, Kraven il Cacciatore farà di te l’esemplare migliore del suo zoo!”

 

“Signor Morgan, benvenuto,”

L’’ospite’ in questione, un omone dal fisico di chi è stato troppo lontano dalle palestre, vestito di lusso, capace di portare gli occhiali da sole anche a notte fonda, fu rudemente spinto in avanti dalla guardia del corpo di Wilson Fisk. L’avvocato più in vista della città, nonché zar del crimine organizzato, sedeva immobile alla scrivania, le spesse braccia appoggiate sul mogano lucido. Un gioco d’ombre rendeva il suo volto quasi un’ombra esso stesso.

Morgan si aggiustò la cravatta. Sapeva di essere praticamente alla mercé del suo anfitrione,ma il suo volto conservò un’espressione sprezzante. “Qual è il tuo gioco, Fisk?”

“Le domande le faccio io, Morgan. Si sieda, prego.”

Morgan lo fece. “Sai bene che nessuno dei miei spacciatori ha somministrato droghe a tuo figlio. Credi che io non conosca le conseguenze di una simile stronzata?”

Fisk non rispose.

Morgan iniziò a sudare freddo. “Non puoi pensarlo davvero. Fisk, abbiamo spartito la torta senza pestarci i piedi, lo facciamo da un bel pezzo e le occasioni di attrito hanno sempre riguardato…be’, ordinaria amministrazione.”

Fisk non rispose.

La baldanza iniziò a sgretolarsi. “Fisk, una guerra non conviene a nessuno. Ci manca solo che qualche politico si metta in testa di proporre le Sentinelle come supporto alla Polizia, ed allora tutti ci rimetteremo. I super-esseri sono impegnati a farsi le scarpe fra loro, e meno male, altrimenti dovremmo preoccuparci anche di un nuovo fronte. Quindi, credimi, non avevo alcun interesse a fare del male a tuo figlio!” La voce, da leggermente tremolante, era salita fino ad un acuto quasi femminile.

“Vuoi sapere perché ti ucciderò lo stesso?” nel momento in cui quelle fredde parole furono pronunciate, la punta di una canna di pistola fu appoggiata alla nuca di Morgan.

Morgan divenne terreo. “Chi..?”

Dietro di lui stava una figura maschile, vestita da un immacolato gessato nero, con una splendida rosa nera che sporgeva dal taschino. La sua testa era coperta da un cappuccio di pelle pure nero, con un paio di occhiali dalle lenti a specchio affusolate. La sua voce era attutita, irriconoscibile. “Non voglio una guerra, Morgan. Quella era l’intenzione del vecchio Fisk, una soluzione antiquata e pericolosa, proprio per quelle ragioni che lei stesso ha elencato.

“Io la ucciderò, Morgan, così come ho ucciso Fisk…” in quel momento, la massiccia figura sulla poltrona vacillò…e cadde in avanti, inerte. Morgan emise uno squittio di paura. “…è che ho bisogno di capi selezionati e forti, nel mio esclusivo circolo: gente che porterà avanti gli affari dell’esclusivo Circolo della Rosa Nera con disciplina e determinazione. Un perdente come lei ci sarebbe di intralcio, alla lunga.”

“NO! Aspetta, io*” lo sparo troncò le ultime parole e la vita di Paul Morgan.

L’uomo che si faceva chiamare Rosa Nera rinfoderò la pistola in una fondina ascellare dentro la giacca. In quel momento, nella stanza entrò un uomo dai capelli biondi, che indossava un pullover e pantaloni neri.

“Alfredo, fai sparire i cadaveri; con discrezione. Come hanno reagito gli altri capibanda al mio messaggio?”

L’uomo sorrise. “Silvermane ha qualche riserva, ma gli altri aderiscono con entusiasmo.”

La Rosa Nera si avvicinò alla finestra -era un vero peccato non potere più usare questi uffici, ma era meglio muoversi in un contesto più…anonimo, d’ora in poi. “Silvermane è vecchio e le sue idee moriranno con lui. Gli permetterò di vivere, in fondo in troppi lo rispettano sinceramente. Spero solo che anche il Conte Nefaria sia disposto a entrare nel Circolo; una più salda presenza in Europa ci farà comodo…”