Ma#velit presents:
Uomo Ragno
#53.
Vacanze Romane. Part IV
Di Yuri N. A. Lucia.
Villa Borghese, Roma –
Ore Martedì 11.00 p.m.
Pur essendo sera, l’afa era insopportabile, e il suo costume di elastan
non lo aiutava di certo. Dentro di sé lo maledì e si chiese perché non si
decidesse a farsene uno con materiali un po’ più freschi e cercò di aggiustare
quanto rimaneva del suo guanto: sotto, le mani erano ridotte piuttosto male, e
anche se non sanguinavano più, gli dolevano parecchio, tutte ricoperte di
lividi e tagli, le nocche arrossate e spellate. Era piuttosto imbarazzato, ma
non poté evitare che lo sguardo gli cadesse nuovamente su quella casetta,
mentre Romeo sembrava imbambolato e Rugantino ridacchiava maliziosamente.
“Senti, non dovremmo stabilire un piano
d’azione per prendere Quest?”
L’avventuriero fece un cenno e gli disse:
“Dovresti imparare a rilassarti.”
“Questa non è propriamente la mia idea di
relax…”
“Me è la mia.”
“E’ disgustoso…”
“E’ eccitante.”
“Cosa ci trovi di tanto eccitante nel fare il
guardone?!”
“Ogni tanto ci si deve concedere qualche
vizio.”
“Ma stai spiando quelle persone!”
“Quelle persone, si riuniscono lì per praticare
lo scambio di coppia e l’orgia: non credo gli dispiaccia esibirsi un po’.”
“E tu saresti un paladino delle forze del
bene!”
“Mai detto di esserlo, sei tu che sei convinto
di essere una specie di crociato senza macchia né paura, dovresti prendere
esempio dal ragazzo: lui si che sa divertirsi.”
L’Uomo Ragno portò una mano alla fronte
guardando Romeo che ormai cominciava a sbavare.
“Ehi, non ti sembra di aver guardato
abbastanza?”
“No… cioè, si… cioè… si, insomma, forse hai
ragione… ma quelli si dovevano infilare in una casa con finestre così grandi?”
“Andiamo,”disse l’U.R. mettendogli una mano
sulla spalla e tirandololo via, mentre il lupo girava la testa cercando di
sbirciare ancora qualche particolare.
Erano in un angolo del parco poco conosciuto,
deserto di giorno, ancora di più la notte, immerso in un tale silenzio da
sembrare al di fuori della realtà, cosa incredibile tenendo conto che ci si
trovava in una città.
“Quest,” iniziò Rugantino che
passeggiava tenendo le braccia dietro la schiena “vive all’interno di quella
che in pratica sembra una specie di fortezza inespugnabile, che, ufficialmente,
risulta essere la sede di uno studio di avvocati, ed effettivamente è anche questo.
E’ osservata a vista dalle guardie di Quest, uomini addestrati e ben preparati,
dei veri professionisti. Anche superando la loro vigilanza, ci sono diversi
tipi di dispositivi di rilevamento: sensori termici, infrarossi, di pressione, di
movimento; sono riuscito a risalire alle ditte che li hanno costruiti e sono
venuto in possesso degli schemi, che potrebbero esserci d’aiuto per
disattivarli. Adesso, partendo dalla seconda ipotetica situazione favorevole,
ovvero superamento di sorveglianza esterna ed elettronica senza problemi,
dentro troveremo altre guardie ben addestrate, e pronte a tutto… a cui vanno
addizionate quelle che seguono sempre Quest.”
L’Uomo Ragno assentiva pensieroso, mentre Romeo
cercava di seguire il discorso tra i due sentendosene un po’ tagliato fuori:
“Che ci faccio con questi professionisti?” Si
stava trattenendo dall’urlarlo, e dal dire che avrebbe dovuto scapparsene via,
invece rimase in silenzio, sforzandosi di far finta di capire quello che i due
stavano dicendo.
“Gli allarmi e i sensori possono essere
disattivati, e se mi dai gli schemi, ci penserò io.” Disse il tessiragnatele.
“Ti intendi di elettronica?” Chiese Rugantino.
“Quanto basta. Anche io ho maturato una certa
esperienza nel corso degli anni.”
“Ottimo! Questo tipo di capacità fa sempre
comodo, e un po’ ci contavo, perché io, a dirti il vero, ci capisco veramente
poco di queste cose.
“E allora che ti sei procurato a fare gli
schemi dei sistemi d’allarme?”
“Preferisco giocare d’anticipo, sai com’è.”
“Si, so com’è: e dimmi, hai anche un piano?”
“Certo.”
“Lo immaginavo.”
“Si basa sul giocare d’anticipo.”
“In che senso?”
“Oggi Quest è uscito.”
“Cosa?! E perché…”
“Come facevo a dirtelo? Sono sicuro che era
lui, la macchina era strasorvegliata, sempre a distanza e con discrezione,
ovvio, ma c’era lui la dentro e non è ancora tornato…”
“… e potrebbe non tornare.”
“E’ andato ad un incontro: pare che stia
trattando affari con quello di Nazion Mutante..”
Un lampo attraversò gli occhi di Romeo, che
istintivamente drizzò le orecchie e mandò un basso mugugno che attirò
l’attenzione dell’ Uomo Ragno e di Rugantino.
“Hai detto Nazion Mutante?” Chiese con
una nota di rabbia nella voce” E cosa ha a che fare con quei porci?”
“Vedo, Ragno, che il tuo amico ha parecchio a
cuore la storia di Nazion Mutante… dopo quello che è accaduto oggi in via Nazionale!
Mi dispiace non esser stato presente, ma purtroppo non ho ancora sviluppato il
potere dell’ubiquità… Mi pare ovvio, ragazzo, che Quest voglia trattare affari
con loro.”
“Allora, dovremmo andare sul luogo
dell’appuntamento, e prenderlo!” Commentò il ragazzo lupo.
“Calma ragazzo,“” disse l’Uomo Ragno
mettendogli una mano sulla spalla” credo di aver capito il piano di
Rugantino: l’incontro sarà ben sorvegliato, e oltre alle truppe di Quest, ci
saranno anche parecchi mutanti esaltati; e invece ci introduciamo ora nella sua
base… e lo aspettiamo nascosti da qualche parte… lui non si aspetterebbe mai
una cosa del genere, e se colpiamo laddove si sente più sicuro, otterremo il
massimo risultato.”
“Ma quelli di Nazion Mutante!…”
“Ascoltami, so cosa vuol dire esser
ossessionati da qualcosa, sentire il dovere di occuparsene ma non si può
strafare, non si può affrontare più pericoli alla volta, non quando si ha un
alternativa. Se prendiamo Quest, lui non potrà vendere loro armi, peggiorando
ulteriormente le cose.”
”Forse dovrei occuparmene io…”
“Ma noi abbiamo bisogno di te… tu hai dei sensi
molto sviluppati, vero?”
“Io… si…”
“Sono indispensabili per riuscire a penetrare
in modo sicuro nel covo di quel verme. Ti chiedo, amico mio, di non
abbandonarci.”
Romeo sorrise, e assentì, sentendosi onorato di
quello che l’eroe che aveva sempre ammirato gli stava dicendo.
“Ma come fai a sapere dei miei sensi?”
“I lupi mannari, ne hanno sempre, ed io di lupi
mannari, me ne intendo!”
“Scusa se mi intrometto, ragno,” intervenne
Rugantino” ma mi sono accorto che non hai mai chiamato per nome il tuo
amico: ne deduco che non abbia ancora un nome da battaglia.”
Romeo sbatté le palpebre, rendendosi conto solo
in quel momento, che stava per lanciarsi in una missione insieme a due eroi,
due vigilantes, e che quello lo rendeva un po’ tutte e due le cose.
“Warwolf…” mormorò, prima timidamente”
Warwolf!” Ripeté con più convinzione ed entusiasmo.
“Bene! Il ragazzo ha scelto il suo nome, e
direi che non è niente male!”
Disse soddisfatto l’U.R. Era felice di aver
convinto Romeo ad andare con loro: aveva taciuto del suo senso di ragno ma era
comunque vero che i suoi sensi e le sue speciali capacità gli sarebbero state
parecchio d’aiuto; inoltre l’aveva visto in azione, e preferiva averlo vicino,
visto che non poteva impedirgli di stargli appresso. E poi, pensò, che anche
lui era stato un principiante, e quando aveva iniziato era solo un quindicenne:
Warwolf aveva fatto una scelta, chiedendogli di seguirlo, e lui non aveva il
diritto di discutere quella scelta.
Greenwich, un elegante caffè alla moda. Ore 12.00 p.m.
La cameriera servì il chili fumante, il pane e le
uova, e lui ringraziò, lasciandole una generosa mancia. L’altro guardò famelico
i piatti, ed era sul punto di abbandonare ogni parvenza di dignità per
gettarvisi a capofitto ma invece si trattenne, inghiottendo la saliva.
“Lei è stato molto generoso, mon
amì.”
“Lei ha fatto la scelta
migliore, mi creda.”
“Cambiare vita alla mia età?
Non ne sono così sicuro.”
“Io, invece, insisto sul
fatto che si è trattata di una mossa saggia, e oculata.” Sorrise, ripensando
all’idiota che invece aveva cercato di fare il furbo ed ora se ne stava su di
un tavolo d’obitorio con il collo spezzato.
“L’attrezzatura, i dischi e i
disegni con i progetti, tutto quanto, è in una valigia custodita in una
cassetta di sicurezza alla First Bank. Quando il danaro sarà depositato sul mio
conto, lei potrà andare a ritirarlo.”
Lui tamburellò con le dita
sul tavolino, alzò lo sguardo, e ghignò cattivo:
“Lei è una persona molto
accorta, anche se questo mi fa pensare che non si fidi di me.”
“Mio
caro signore, è per questo che sono qui a mangiare piacevolmente con lei: non
mi fido di nessuno, neanche della mia vecchia madre.”
“Certamente, anche se
comunque questo non l’ha resa di certo ricco.”
Osservò con sarcasmo, senza
preoccuparsi di nascondere il suo disprezzo.
“Comunque sono io che sto
conducendo il gioco, o sbaglio?”
“Sbaglia: lei non conduce
nulla; è venuto qui, con lo stomaco che brontola dalla fame, e si atteggia a
grand’uomo, pensando che stia dettando legge. Sono una persona ragionevole, ed
onesta, ed è per questo che stiamo trattando, ma è alle mie condizioni, non lo
scordi mai… ora, mangi pure, vedo che ormai non riesce più a trattenersi.”
Disse con condiscendenza, e,
lo sguardo gelido lo scoraggiò dal rispondere o dal solo tentare di farlo:
silenziosamente, prese le posate, e cominciò a mangiare, ingoiando i bocconi
più amari di tutta la sua vita.
East side, Giovedì
– Ore 11.30
Market street era famosa per
la massiccia presenza di prostitute e di spacciatori che la infestavano per la
quasi totalità della sua lunghezza. Molti dei lampioni erano rotti e le
facciate annerite o grigio scuro dei palazzi, contribuiva solo a renderla più
oscura ed opprimente. Eugene trovava detestabile l’odore dell’immondizia
ammassata presso i secchioni, spesso rovesciati o addirittura bucati, e ancora
di più quel via vai di macchine, come fameliche iene in cerca di carogne da
spolpare. Non si era mai accorto di quanto la televisione filtrasse quelle
immagini, quella bruttura, rendendola sopportabile o persino familiare nei
servizi ai tg, quando si lanciavano appelli per il recupero di quartieri
divenuti quasi zona di frontiera. Fece un piccolo movimento, per sporgersi di
più da dietro il muretto che lo nascondeva e sentì un dolore al fianco. Il
nuovo esoscheletro rinforzato lo stringeva un po’ troppo alle costole e ancora
fresco di botte il fastidio era poco tollerabile. Derek lo scrutò dalle tenebre
piuttosto preoccupato.
“Tutto bene?” Chiese in un
sussurro.
“Si, stringe un po’ troppo la
calzamaglia speciale che mi porto qui sotto.” Fece allegramente in risposta,
minimizzando l’evidente disagio fisico.
“Forse siamo usciti troppo
presto. Solo ieri eravamo mezzi moribondi e poi stavolta tuo padre ci ammazza
entrambi. Tu perché hai trasgredito i suoi ordini, io perché ti ho
assecondato.”
“Chi non risica non rosica,
caro amico mio. Bash è uscito stamattina dal carcere, i suoi avvocati hanno
versato la cauzione ed è di nuovo qui, indisturbato, a vendere la sua roba. Non
voglio che la passi liscia, non voglio che si convinca che può fare quello che
vuole quando e come gli pare.”
“Eu… Uomo Rana, se non ti
conoscessi, giurerei che vuoi vendicarti.”
“No Phantom, non voglio
vendetta, anche se non sono propriamente ben disposto nei confronti di quel
delinquente. Sfido chiunque ad esserlo con chi ti ha pestato a sangue. Voglio
solo fare il mio dovere e poi c’è un’altra questione.”
“Quale?”
“Blue Bird.”
“La tizia che ci ha salvato?”
“Mi sono messo in contatto
con alcuni amici del bar ma non mi hanno saputo dire niente di lei. Nel giro
nessuno la conosce bene, anche se non è la prima volta che interviene. Sai qual
è la peculiarità di questa fanciulla?”
“Aspetta, fammi indovinare.
Tutte le volte che è stata vista in azione era perché salvava qualche vigilante
mascherato da quello capitato a noi.”
Eugene tirò leggermente su la
maschera, spostò il visore notturno e chiese con l’aria allibita:
“Ma sei sicuro di non
possedere anche qualche potere telepatico? Perché in caso contrario, ti prego
di dirmelo, sai, magari eviterei di pensare certe cose quando vedo qualche
bella ragazza.”
“No, ti giuro, nessuna
abilità telepatica. Ho sentito di mutanti che manifestano poteri secondari
crescendo ma a me non è ancora capitato. Ho solo tirato ad indovinare.”
“Mhhh, va beh, diciamo che ti
credo,” disse un poco convinto Uomo Rana, scoccandogli un ultima
occhiata sospettosa prima di nascondere di nuovo il proprio volto”
comunque hai fatto centro. Step one two, Dinamite kid, Brass +, Captain Horny…”
“Chi?”
“Dai, quello che si riempie
le mutande di ovatta. Comunque, sono alcuni di quelli che hanno beneficiato del
suo intervento.”
“Scusa, e perché non ne hai
mai sentito parlare prima? Tu frequenti quel posto da un sacco di tempo.”
“Per venirne a conoscenza, ho
dovuto fare parecchie pressioni e riscuotere un sacco di favori. Non è stato
facile. Lo sai quanti aspiranti super eroi sono ansiosi di rivelare che
qualcuno ha dovuto toglierli di impaccio? Io stesso, a ben pensarci, mi sento
un po’ stupido. A parte questo, non ha mai detto molto di sé, solo il nome e lo
stesso monito: lasciate stare; ora, mi sto chiedendo una cosa.”
“Come fa questa persona ad
intervenire sempre al momento e nel posto giusto?”
“Phantom Rider III? Tu dovevi
farti chiamare Sherlock Holmes II! Blue Bird sorveglia in qualche modo noi ed i
nostri amici e siccome facciamo parte tutti del giro del bar...”
“Deve essere qualcuno di lì.
Scommetto che non hai contattato i tuoi amici solo per avere informazioni, più
che altro per fargliene diffondere.”
“Sono tutti bravissimi
ragazzi, però alcuni di loro chiacchierano troppo. La nostra benefattrice a
quest’ora saprà che siamo qui e non sospetterà nulla.”
“Ho capito ma una volta
incontrata?”
“Le parlerò. Sono curioso e
credo anche tu e poi…”
“Poi?”
“Si vedrà… adesso pensiamo a
Bash. Forse stasera prendiamo due piccioni con una fava.”
“Sei sicuro che il tuo nuovo
esoscheletro funzioni bene?”
“Ci ho lavorato su parecchio,
era ancora allo stadio sperimentale ma speriamo vada tutto come deve. Le
componenti di Scorch sono eccezionali! Dovresti farti fare qualche arma da
lui.”
“Ci penserò su.”
Fece sorridendo e si
prepararono ad entrare in azione.
Nei pressi di Las Vegas. Lunedì, ore 9.00 a.m.
Scivolò di lato, pugnale con
la lama rivolta all’esterno, pollice posto all’estremità del manico per evitare
all’arma di scivolargli all’interno del palmo ferendolo. Colpì realizzando il
primo contatto con il bersaglio, scostò con l’altra mano il braccio usato da
questi per parare e fece penetrare il pugnale Smith and Wesson dall’alto verso
il basso, poco più su della clavicola, recidendo con un colpo netto l’arteria
polmonare destra. Nell’estrarre l’arma ruotò il polso, tagliando la gola all’uomo
che cadde in terra; si voltò abbassandosi, evitò un calcio rovesciato, bloccò
la gamba e la pugnalò dietro la coscia strappando all’altro un ringhio di
dolore. Feng si passò per un istante la lingua sul labbro superiore, un guizzo
così rapido da essere impercettibile, fece scivolare fuori il metallo e cominciò
ad aprire il ventre del tirapiedi di Fei Long. Le budella si srotolarono in
pochi istanti e terminò l’opera con due velocissimi affondi al diaframma e tra
le costole.
Senza perdere tempo si lanciò
all’inseguimento di Fei Long, deciso a prenderlo e in poche rapide falcate gli
fu addosso. Non poté evitare il pugno che gli si schiantò il volto ma ne
approfittò per bloccare l’arto tirandoselo vicino. Lo pose al fianco, per
esercitare controllo, e colpì due volte l’uomo dei Jong vicino l’inguine, poi
si spostò e aiutandosi con l’altro braccio, che si mosse con l’agilità del
serpente. Quindi eseguì una presa articolare rompendogli l’articolazione.
“Arghhhhhh!!! Feng!!! Per
gli Dei e il Botisatwa!!! Fermati!!! Mi uccidi!!! Così mi uccidi!!!”
“Signor Fei Long, sono
davvero spiacente ma se non erro, questo programma l’avevate riservato al mio
padrone, Jing Go.”
“Eseguivo solo degli
ordini!!! Maledizione, una volta hai lavorato con mio padre!!! Diceva che eri
un uomo leale e fidato!!!”
“Maestro Fei Tong era un
uomo d’onore e fui felice di prestare la mia opera al suo servizio. Sarebbe
decisamente contrariato nel sapere che suo figlio non gli è all’altezza. Conosco
gli ordini che avevate e non contemplavano l’uccisione di Jing Go. E’ stata una
vostra iniziativa per eliminare quello che per voi è sempre stato uno scomodo
rivale. Avreste sempre potuto dire che era stato lui a minacciarvi per primo,
dico bene?”
Prese l’altro braccio tra i
suoi e con un movimento secco lo lussò, facendo levare un altro grido di
dolore. Le lacrime rigavano il volto di Fei, ormai stravolto dal dolore.
“Ti pagherò tutto quello
che vuoi! Non uccidermi però! Se, se mi lasci in vita e mi aiuti ad uccidere
Jing Go ti assicuro che…”
“Ditemi chi altro fa parte
di questa congiura. Sono sicuro che non siete solo nel vostro intento. Quanti
altri tra i membri dei Jong intendono non rispettare la decisione del consiglio
di offrire a Jing l’occasione di chiarire la propria posizione? Quanti e chi lo
vuole morto?”
“Xiao Shu, Ji ki e Quao
Zao.”
La speranza che per un attimo
si era dipinta sul volto di Fei scomparve subito quando si accorse che lo
sguardo dell’altro era rimasto impassibile e freddo. Feng non aggiunse altro,
lo gettò in terra, accoltellandolo diverse volte, finché il corpo non si mosse
solo sconvolto da occasionali tremiti.
“Signor Fei, non
prendetevela a male. Vi ho solo fatto una domanda, voi mi avete risposto. Non
promisi mai di risparmiarvi la vita.”
Pulì la lama del pugnale su
di un lembo di camicia pulita della stessa vittima. Rinfoderò l’arma e si
apprestò a tornare sui suoi passi.
Jin Go lo attendeva nella
piccola sala da tè tramutata in un mattatoio, proprio come la guardia del corpo
gli aveva richiesto e quando ne vide la sagoma triste e funerea varcare la soglia, ebbe un moto di gioia
irrefrenabile.
“Amico mio! Sono felice di
vederti ancora vivo e vegeto! Non che ne avessi mai dubitato! Ma cosa vedo? Il
tuo braccio sta sanguinando!”
“Nulla di grave signore,
quando ci si scontra con i coltelli è normale. Si deve sempre sacrificare
qualcosa al genio delle lame.”
Feng aveva di nuovo indossato
i suoi occhiali scuri ma non ne aveva bisogno per nascondere ciò che pensava.
Osservò con la consueta indifferenza la scena davanti e vide un uomo stanco e
tirato, in fuga da giorni, spezzato nello spirito e pronto a cedere in
qualsiasi istante alla follia. Jin go ormai era l’ombra di sé stesso e sapeva
non sarebbe durato ancora a lungo. Tuttavia doveva tenerlo ancora in vita,
poiché il suo ruolo nel dramma che si andava consumando in seno alla famiglia
Jong era ben lungi dall’essersi concluso. Lo prese delicatamente per il
braccio, tirandolo in piedi. In un inaspettato gesto d’affetto, gli pulì la
guancia da alcuni schizzi di sangue che
lo avevano raggiunto e rispettosamente gli fece notare l’urgenza di
allontanarsi quanto prima da quel luogo ormai non più sicuro.
Scientifica del dipartimento di Manhattan, ufficio
di Peter
Suschitziky - Martedì ore 8.00 p.m.
Suschitziky aveva notato che Rucker si stava
costringendo a mantenere l’attenzione. Cosa si agitasse nelle sua mente era
difficile dirlo. Dal canto suo il poliziotto si sentiva stanco. La discussione
con Dean lo aveva lasciato svuotato ma non poteva permettersi di lasciarsi
andare all’autocompatimento. Del resto non aveva di certo sperato di poter
aggiustare la situazione dopo tutti quegli anni. Ripensò, solo per un istante a
Micky e provò un brivido lungo la schiena che dissimulò immediatamente.
Roper, un ometto di quasi quarant’anni, l’aria
perennemente imbronciata e vagamente sciatta, stava esponendo i risultati del
proprio lavoro. Scott e Mansel stavano trattendo a stento gli sbadigli e quando
furono sul punto di venire vinti dalla verbosità dell’uomo, questi concluse:
“E questo, riportato di seguito, è la lista degli
uomini che per conoscenze e profilo psicologico potrebbero corrispondere
all’identikit del nostro assassino.” Indicò con la bacchetta una per una
le foto accompagnate da breve biografia dei sospettati.” Criss Shif, 54
anni, ex marine, guerra del Vietnam, una medaglia al valore, pensionato per
gravi problemi psicologici nel 1977. Due arresti per rissa, una denuncia
dell’ex moglie per comportamenti violenti. Un processo per presunto omicidio da
cui però ne è venuto fuori pulito. Nguy Iki, 49 anni, anche lui la stessa
guerra ma dall’altra parte. Vive qui negli Stati Uniti dal 1979, diverse
denunce per ubriachezza molesta e violenza casalinga. Nel 1985 ha steso un paio
di rapinatori che hanno cercato di rubargli l’incasso del negozio di casalinghi
in cui lavorava. Se la cavò con la legittima difesa ma poi ci furono altri tre
casi come questo in due stati diversi ma tutte le volte è stato prosciolto
dalle accuse. Nel 1990 è stato accusato di aver ucciso uno spacciatore che
viveva nell’appartamento di fianco al suo ma anche qui niente prove. John
Morten, trent’anni, veterano del golfo e del Kossovo, congedato con disonore
per maltrattamenti ai prigionieri. Fermato diverse volte nel New Jersey per
possesso di armi illegali. E’ stato processato due anni fa con l’accusa di aver
massacrato una banda di motociclisti. Prosciolto per insufficienza di prove.
Herbert Danahue, cinquant’anni, Vietnam, ex assaltatore. La moglie fu uccisa
diversi anni ad un semaforo. Il suo assassino era un ladruncolo uscito da poco
di prigione che aveva commesso un altro furto e voleva fuggire prima di essere
pizzicato dalla polizia. Gli serviva una macchina e la donna era lì. Danahue è
stato a più riprese in psicoanalisi e cinque anni fa venne arrestato per aver
pestato quasi a morte un ladro introdottosi a casa dei vicini. Il giudice
simpatizzò per lui e gli riconobbe tutte le attenuanti del caso e si fece solo
qualche mese di carcere. Ecco, questi signori sono i nostri primi candidati: li
accomuna il fatto che vivono a New York, hanno un passato che ne
giustificherebbe il comportamento da vigilante, sanno utilizzare diverse armi
da fuoco in maniera eccellente, conoscono la lotta corpo a corpo, l’utilizzo
del coltello e la strategia militare. Inoltre, pare ci sia il sospetto che due
di essi abbiano subito violenze nell’ambito della famiglia da piccoli, e sono
tutti di religione cattolica, hanno tutti studiato presso istituti religiosi.”
“Tutti?”<Chiese Scott improvvisamente scettico.
“Tutti.” gli rispose Roper”Nguy ha
frequentato la scuola dell’amore fraterno di Gesù ad Hanoi. Faceva parte della
minoranza cattolica del sud Vietnam.”
“Hai detto che ha fatto parte del nemico.” Ribatté
Mansel.
“Non tutti i cattolici erano filo americani.”
“Molto bene!” Esclamò Rucker improvvisamente
ravvivatosi. Batté le mani e si mise in piedi.” Per il momento questo è
quello che abbiamo, cioè un inizio che è molto meglio del niente di prima.
Educazione di tipo religioso, carattere violento, addestramento di tipo
militare, tendenza ad imporre la propria idea di ordine. Mansel, Scott, tornate
a lavorare sui casi di omicidio similari ai nostri. Restringete il campo agli
ultimi due anni. Suschiztky, prendo in prestito Roper, mi aiuterà con gli
interrogatori. Voglio che sia presente mentre parlerò con loro, così mi dirà che
cosa ne pensi. Ora, andiamo a cena qui da Mugnez, poi ci metteremo al lavoro.”
Stava uscendo dal locale quando Peter Suschiztky lo
fermò.
“Ma dove vai così di gran passo?”
“Niente, ho un po’ di sonno e si lavora male quando
non si dorme bene. Lo conosci il detto, no?”
“Te lo sei inventato ora. Comunque non voglio
indagare sul tuo privato.”
“Apprezzo la tua riservatezza.”
“Come ti vanno le cose?”
“In che senso?”
“E’ un bel po’ che noi due non si lavorava insieme.
E’ un bel po’ che non si chiacchiera amichevolmente.”
“Non mi risultava fosse mai successo.”
“Spiritoso. Vai dritto al sodo, sono troppo vecchio
per i giri di parole.”
“Mi sembri un po’… stanco.”
“Stai mettendo in dubbio la mia capacità di
lavorare su questo caso?”
“Ultimamente ti hanno sbalzato da un caso
all’altro, e poi c’è stata la storia dei Jong e… dello Scorpione.”
“Ci siamo.”
“Come scusa?”
“Pete, è da quando ti conosco che non hai mai
imparato a dissimulare quello che pensi veramente.”
“Oh, beh, hai ragione.” Ammise per nulla
offeso” Ed è per questo che non ho fatto una gran carriera. Voglio dire,
provo a fare il leccaculo ma in faccia poi mi si legge quello che penso
veramente. Come sono andate davvero le cose, quel giorno?”
“Mi risultava ci fosse un rapporto in proposito. Mi
sembra addirittura di averlo scritto io.”
“Io conosco la versione ufficiale. Volevo sapere la
verità.”
“Pete, ti ricordi il caso di Marvin Dillinger?”
“Certo, come potrei scordarmelo? Feci l’autopsia
personalmente ai suoi compagni. Con Cristpher Blyte giocavo a bowling ogni
venerdì. Erano stati freddati da Blake Jackson, un aspirante capo gang di
Harlem.”
“E come finì Jackson?” Incalzò Rucker, dando un
occhiata all’orologio.
“Una sparatoria, proprio con Dillinger. Dillinger
disse che si trattò di difesa personale.”
“Disse così.”
“Ho capito cosa vuoi dire. Quando qualcuno tocca
uno sbirro, non deve farla franca. Consideri il Ragnetto una specie di sbrirro
o un una specie di amico?”
“Mi riferivo all’ambiguità della storia, hai
sospetti che la scena del crimine fosse stata sofisticata per coprire
Dillinger.”
“Si, certo, ho capito.”
“Pensa un po’ quello che ti pare. Ci vediamo
domani, d’accordo?”
Detto questo, si voltò e si incamminò sotto lo
sguardo indagatore del collega.
Con Dean aveva solo peggiorato le cose, le indagini
andavano ancora troppo a rilento e Perkins cominciava a sbavare troppo per i
suoi gusti ed ora ci si metteva anche Pete. Si chiese quando Peter sarebbe
tornato. Gli mancava e avrebbe voluto farci una bella chiacchierata. Sentì
tutto il peso dei suoi quasi quarantanove anni gravargli addosso.
Non aveva tempo per commiserarsi, però. Fece
spallucce e andò all’appuntamento con Kaine, preoccupato per quello che gli
stava succedendo.
Villa Falconieri, Lungotevere, Roma – Martedì ore 1.30
a.m.
“Certo che il nostro amico Quest è un vero e proprio
stacanovista del crimine, vero?”
L’Uomo Ragno era appena
giunto sul luogo dell’appuntamento, dove Romeo e Rugantino lo stavano
attendendo. Con una scusa si era momentaneamente separato da loro che del resto
non gli avevano posto troppo domande, era passato in albergo e si era cambiato
di costume, prendendo anche alcune cartucce di fluido per tela. Non poteva
esibirsi negli stessi numeri di casa sua ma un uomo capace di spiccare balzi di
dieci e passa metri e veloce quanto una buona moto da corsa non ci metteva
molto a spostarsi da posti relativamente vicini in linea d’aria. Da San Lorenzo
a lì aveva impiegato meno di mezz’ora.
“Il nero ti sta bene.” Commentò
Rugantino.
“Wow! Ho un paio di tuoi
poster con indosso quello.” Fece entusiasta Romeo.
“Grazie a lor signori per i
gentili complimenti. Desideravo adottare una livrea, come dire, più discreta.
Nessuna traccia del nostro uomo?”
“Ancora no,” fece il
vigilante romano il cui sguardo era tornato a fissarsi sull’elegante palazzo
signorile” però potrebbe tornare da un momento all’altro.”
“Le tue fonti cosa ti hanno
detto?”
“Niente di preciso.
L’incontro con quelli di Nazion Mutante si sta svolgendo in un luogo top
secret. Neanche loro ne hanno saputo nulla. Le trattative potrebbero ancora
andare per le lunghe ma non credo nei colpi di fortuna. Se vogliamo agire,
tocca farlo proprio ora.”
“Non mi piace. Di solito le
strategie d’azione preferisco pianificarle meglio.”
“Dimmi la verità. Hai paura
di infilarti nella tela del ragno?”
Il Ragnetto rimase qualche
istante a fissarlo senza parole, poi lanciò un’occhiata di disapprovazione al
lupo che aveva iniziato a sghignazzare senza riuscire a trattenersi. Con aria
imbarazzata questi alzò le mani e disse:
“Non era male come battuta.”
“Nooo, l’amico qui ha un
futuro in tv, come comico.”
“Io l’ho sempre pensato,”
rispose il diretto interessato” sai, come capo comico in un varietà mi
ci vedrei proprio bene. Dai, potremmo anche fare un bel trio comico, tipo Aldo,
Giovanni e Giacomo.”
“Chi?”
“A me fan morire dalle
risate.” Commentò Romeo.
“Sono contento ragazzo. Però
ora dovremmo tornare a concentrarci sugli obbiettivi.”
“Il Ragno ha ragione,
Lupacchiotto. Magari dopo aver preso Quest andiamo a farci un quartino in un
posto che conosco e continuiamo la conversazione. Dimmi, testa di tela, hai
memorizzato lo schema dei sistemi d’allarme?”
“Ce li ho tutti qui.” E nel
dirlo si portò simbolicamente un dito all’altezza della tempia, mentre Romeo
sperava di averli imparati anche lui ed evitare di creare problemi alla
compagnia.
“Allora direi che si può
passare all’azione. Coraggio, inizia la fase uno.”
Si alzò un leggero venticello
che in un altro momento sarebbe stato accolto con gratitudine ma che venne
silenziosamente maledetto dal terzetto mentre scivolava lungo il filo di
ragnatela grigio scuro. Stavano oscillando leggermente e la sensazione non
piacque soprattutto a Warwolf che incominciava a sentire una certa nausea. Si
stavano muovendo con cautela, ad un altezza che li teneva ragionevolmente fuori
sia dalla portata delle telecamere, sia dalla vista delle guardie in borghese
che passeggiavano per strada. Quando giunsero all’edificio più vicino, il primo
a muoversi fu l’Uomo Ragno, spiccando un balzo che lo portò su di un balconcino
di villa Falconieri, uno dei pochi punti dove non era presente un sensore di
movimento. Si issò lentamente dopo aver agganciato una grondaia presa di mira
con il suo lanciaragnatele, contò cinque tegole a partire dalla sua destra e
sollevò quella che conteneva la scatola comandi dei sistemi di sicurezza di quella porzione della casa. Estrasse gli
strumenti dalla cintura, usando un piccolo cacciavite per aprirla e iniziò a
trafficarvi all’interno con un paio di pinzette e un coltellino. Ripassava nella
sua mente gli schemi, i collegamenti, le resistenze, cominciando a tagliare e
bypassare con mano sicura ed esperta.
Romeo si rese conto che anche
con la sua vista particolarmente acuta non riusciva a vedere perfettamente il
Ragno e allora capì che quel veterano, se solo lo avesse voluto, si sarebbe
potuto rendere completamente invisibile tra le ombre, persino a lui. Invidiò la
calma che sembrava trasudare da tutto il suo essere, e si sentì ancora una
volta quasi un impaccio alla compagnia.
“Oi, cuccioletto… tieni
giù la crapa. Il riflesso dei tuoi occhi potrebbe allertare quelli là.”
Quelle parole appena
sussurrate, lo scossero dall’ammirazione estatica in cui sembrava essere
scivolato e s’affrettò subito a ritirarsi mentre sotto stavano passando due
persone dall’aria apparentemente innocua che però sapeva essere guardie
assoldate da Quest.
“Scusa…” Cerco
di giustificarsi timidamente.
“Non c’è problema.
Effettivamente è un vero piacere guardarlo all’opera. Alla voce professionista
sul dizionario, ci deve essere anche una sua foto.”
“Puoi dirlo forte. Credo
sia il migliore.”
“Questo non te lo so dire.
Ci sono altri campioni in giro. Sicuramente il ragazzo si difende parecchio
bene.” Si massaggiò istintivamente il braccio destro, memore dell’incontro
della notte precedente.
“Non mi dirai che vi siete
scontrati?” Chiese interessato Warwolf.
“Il solito fraintendimento
tra buoni. Sai com’è? Una tradizione irrinunciabile per noi super eroi.”
“Ma tu sei davvero uno dei
buoni?” Non riuscì a trattenere né la domanda, né il dubbio che cominciava
a farsi largo nel cuore. La maschera che copriva il volto di Rugantino si
deformò leggermente all’altezza della bocca, segno che la sua reazione non era
di sdegno ma null’altro che un sorriso comprensivo.
“Di sicuro posso dirti che
Quest non è uno dei buoni. E’ un trafficante di armi che fomenta conflitti ed
odi, appoggia la criminalità rinforzandola. Mette in circolazione tecnologia
sempre più pericolosa e questo non è di certo positivo.”
“Chi… chi ha avuto la
meglio? Voglio dire, chi ha vinto lo scontro tra te e il Ragno?”
“Un pareggio. Mi sono
difeso bene, credo di averlo persino sorpreso. Se fosse andata qualche secondo
di più per le lunghe, probabilmente mi avrebbe steso.”
La risposta era stata sincera
ed onesta e Romeo non vi aveva percepito alcun inganno. Sorriso soddisfatto tra
sé e sé nel sapere che il suo eroe preferito sarebbe uscito vittorioso anche da
quello scontro.
Peter aveva fatto un ottimo
lavoro, poi era riuscito a far arrivare
sin lì i suoi amici con un paio di fili di tela.
La piantina di Rugantino
indicava la presenza di un vecchio abbaino privo di sorveglianza in cui
sarebbero potuti penetrare dal tetto e in cui avrebbero atteso l’arrivo di
Quest.
“Un cavallo di Troia già
dentro Troia.” Commentò con un filo di voce l’Uomo Ragno.
L’ambiente era estremamente
piccolo, il soffitto bassissimo, tanto che dovevano stare chinati per non
sbattervi la testa. Pareva proprio che nessuno vi entrasse da parecchio tempo,
tanta era la polvere e la sporcizia accumulatesi. C’erano diverse casse,
bauletti che per foggia e condizioni dovevano essere risalenti agli inizi del
‘900 o anche più vecchi. Da uno di essi fuoriusciva un vestito di raso verde
chiaro, bucato in più punti. A coprire il pavimento di assi vi era un tappeto
di fattura turca, color vermiglio e decorato con motivi geometrici giallo ocra.
Ne illuminò la superficie con la torcia della cintura e per qualche istante fu
rapito dalla ritmica simmetria del disegno e dai riflessi che mandava
nonostante il pesante strato di polvere che lo copriva.
Alzò il capo ed illuminò una
trave dove solitario, se ne stava un ragno. Ebbe la bizzarra sensazione che
stesse ricambiando il suo sguardo. Tornò subito all’esplorazione di quel luogo
ma non vi era molto altro, eccettuato un tavolinetto in ferro battuto, quella
che sembrava ghisa su cui stavano tutta una serie di carte disordinate e quello
che pareva un libro rilegato in pelle. C’era un armadio con le vetrinette
smerigliate completamente sporche e alcuni quadri al muro. I soggetti erano
probabilmente alcuni tra gli ultimi proprietari della casa e lo stile era
curiosamente inquietante. Avevano tutti un espressione eccessivamente austera,
venata da un guizzo di malinconia che l’autore era riuscito a congelare insieme
alle forme. I colori smorti aumentavano l’aura di tristezza che emanavano e non
poté fare a meno di deglutire nell’osservare il volto di una fanciulla, morta
sicuramente da tempo stando alla datazione che lesse in calce al quadro. I suoi
occhi sembravano quelli di un animale selvaggio ferito e catturato. Pronto in
qualsiasi momento ad infrangere le barriere che li separavano e saltargli alla
gola per vendicarsi della violazione di quel luogo consacrato al passato.
Scivolarono letteralmente sul
pavimento, attenti a non produrre il benché minimo rumore. Scostarono un po’ il
tappeto e Rugantino, usando un trapano a mano, praticò un piccolo foro così da
poter spiare quanto accadeva di sotto.
“Per ora pare tutto
tranquillo.” Commentò Rugantino reprimendo a stento uno sbadiglio. L’Uomo Ragno
lo guardò interdetto.
“Hai sonno? In un momento del
genere?”
“Faccio le ore piccole.”
“Alla tua età devi andarci
cauto. Dovresti pensare a condurre uno stile di vita più sano.”
“Alla mia età? Perché scusa,
quanti me ne dai?”
“Sei tra i venticinque e i
trenta.”
“Se avessi ragione non sarei
mica così vecchio.”
“Ecco il punto. Voi
giovinastri pensate di essere indistruttibili ed immortali, quando invece
dovreste pensare che anche a voi verranno i capelli bianchi e gli acciacchi.”
“Ho capito, nonno. Da oggi in
poi mi curerò di più. Ora però come ammazziamo il tempo?”
“Consoci qualche passatempo
con cu ci si potrebbe divertire mentre aspettiamo qui?”
Rugantino estrasse dalla cintura
un mazzo di carte ancora chiuse nella loro confezione. Warwolf batté piano le
mani.
“Wow, le carte!”
“Si, però sono quelle
piacentine. Io di solito uso quelle napoletane.” Si giustificò il vigilante
romano mentre le mescolava. L’Uomo Ragno le fissava incuriosito.
“Non conosco questo tipo di
carte… sono come quelle francesi?”
“Ok, facciamo così. Giochiamo
due alla volta, il terzo osserva dal buco se succede qualcosa nel corridoio
sottostante. Lupacchiotto, insegna all’ospite americano qualche gioco
facile facile. Mi darai il cambio quando avrete finito la partita. Non
metteteci troppo, perché non ho voglia di passare tutta la notte con l’occhio
incolato al pavimento.”
Il ragazzo sorrise,
mostrando una fila luminosa di denti aguzzi e fece un cenno affermativo con il
capo.
“Che cosa le insegno, signor
Uomo Ragno?”
Questi rispose divertito.
“Come ha detto il nostro bene
emerito Rugantino, un gioco che sia semplice.”
“Allora ecco a lei la Scopa.”
Rugantino lanciò loro un ultimo
sguardo prima di iniziare il suo turno di sorveglianza. Il Ragno intanto
tentava di seguire le istruzioni sussurrate nell’oscurità rotta solo in parte
dalla sua torcia, la cui luminescenza era stata regolata a basso livello.
New York, Cirra Theater –
Mercoledì ore 5.00 p.m.
“Allora, stasera ceniamo
insieme?” Chiese Lorena Sunbridge. Mary Jane cadde letteralmente dalle nuvole.
“Come? Come hai detto,
scusa?”
“Oh Mary! Non mi dirai che il
nostro buon regista oggi ti ha messo troppo sotto! Sai delle volte ho idea che
pretenda un po’ troppo da tutti noi, anche se va detto che è un vero
professionista e grazie a lui abbiamo ottenuto un vero successo di critiche.”
“No, Morty delle volte sembra
il sergente di Full Metal Jacket ma ha un cuore d’oro e sa quando è il momento
di lasciarti respirare.”
“Allora cos’ha la mia amica
preferita?”
“La tua amica preferita, ha
una fame che sta per…”
Per un istante, un breve
unico istante, fu come se nella sua vita fosse avvenuta un impercettibile
interruzione. Il gelo le morse il cuore e sentì il respiro della morte alle
proprie spalle. Si voltò quasi di scatto, facendo sobbalzare Lorena. Strizzò
gli occhi, cercando qualcosa, un particolare, un ombra, una sagoma. Sembrava un
rapace in cerca della preda, mentre scrutava tra le ombre proiettata dagli
alberi lungo il viale.
“Cosa?...”
Mary Jane le fece un cenno
con la mano.
“Scusami… devo andare. Ti
prego, di a Mortimer che mi dispiace che ho… avuto un emergenza. Poi ti
spiego.”
Senza aggiungere altro si
avviò chiamando un taxi che era passato vicino.
L’amica era interdetta e si
chiedeva cosa fosse successo per giustificare un cambio d’umore tanto repentino
in una persona che le era sempre parsa piuttosto equilibrata.
Mary si era infilata nel
taxi, continuando ad osservare lo specchietto retrovisore.
“A Central Park, per favore.”
Prese il cellulare e chiamò
subito Kristy.
“Kristy, ciao, ascolta, devi
fare quello che ti dico. No, aspetta, ascolta me, poi ti dirò tutto. Voglio che
tu vada subito all’asilo, prenda May, e vada a casa del signor Rucker, l’amico
di Peter. Devi star tranquilla, va tutto bene, poi ti spiegherò meglio. Dopo
vai dai zia Anna e andate in un posto dove c’è molta gente, al centro
commerciale magari e rimaniate lì finché non vi richiamerò. Si, si Kristy, ora
devo andare, ok? Un bacio.”
Riattaccò selezionando il
numero di Rucker.
“Terenzio? Ciao, sono Mary
Jane. Ascolta, credo di averlo visto. Sono su di un taxi ora e sto andando a
Central Park. Ho chiesto a mia cugina Kristy di portare mia figlia a casa tua.
Si, sono tranquilla, non preoccuparti. Avverti tu Kaine, ti prego. Ora devo
telefonare a mia sorella… si, vi aspetto lì, grazie, grazie mille.”
Non perse tempo e contattò
subito Gayle.
“Gayle, ti prego, rimani
calma. Credo di averlo visto. Si… non mi sono sbagliata… era lui. Ascolta, ora
sono su di un taxi e sto andando a Central Park… vedo… c’è una macchina che ci
si è accodata da un po’… d’accordo…. Voglio che tu prenda i ragazzi e vada in
un posto dove c’è gente. Non ti preoccupare. Ho chiesto aiuto all’amico
poliziotto di Peter. Vedrai, andrà tutto bene. Un bacio.”
Chiuse il cellulare e lo
rimise in borsa.
“Pensavi di fare con me il
gioco del gatto con il topo? Hai sbagliato di grosso stavolta… come sempre
nella tua vita.”
“Scusi signora? Ha detto
qualcosa?”
“No. Non si preoccupi,
parlavo tra me e me. Ho visto un topo che passeggiava per strada.”
“Un gran brutto spettacolo.”
“Un gran brutto spettacolo.” Convenne
lei.
Installazione segreta nel Jersey – Martedì, ore 12.00
p.m.
Toninev bestemmiò rabbioso,
battendo il pugno contro la consolle. Ignorò il dolore mentre osservava le
immagini trasmesse dal monitor.
“Quando sono entrati?!”
“Probabilmente si sono
introdotti ieri sera, signore.”
“Probabilmente?! Spendiamo
milioni di dollari per la sicurezza di questo posto la cui esistenza dovrebbe
tra l’altro essere segreta e lei non mi sa dire nient’altro che probabilmente si sono infiltrati ieri sera!”
Leon Kavanagh non batté
ciglio, mani dietro la schiena, la solita aria controllata e sicura di sé che
probabilmente non avrebbe perso neanche se il mondo fosse crollato in quel
momento e per certi versi, da come la vedeva lo scienziato, stava accadendo
proprio quello. I suoi cinquantanove anni non se li portava propriamente bene e
con i capelli grigi dalla sfumatura alta, le rughe sulla fronte e le borse
sotto gli occhi, veniva naturale chiedersi se fosse mai stato giovane.
“Capisco il suo disappunto,
signore.”
“Capisce il mio disappunto?
Il mio disappunto!!! Ci stanno attaccando dall’interno, sono morti cinque
agenti della sicurezza ed uno dei miei ricercatori. Stanno distruggendo
attrezzature costosissime e mettendo a repentaglio anni e anni di lavoro.
Certo, indubbiamente lei mi può capire! Sa dirmi qualcosa d’altro sui nostri
aggressori?”
“Cinque, professionisti ben
addestrati. Uno di loro è dotato di facoltà extraumane, non abbiamo ancora
determinato se di origini mutanti o paraumane. Non si sono mossi a caso,
rivelando una buona conoscenza della planimetria dell’edificio e
dell’ubicazione e natura, di gran parte dei sistemi di sicurezza. Sapevano
anche come si comportano le nostre squadre di sicurezza e sono piuttosto sicuro
affermando che qualcuno, all’interno, gli ha passato delle informazioni
piuttosto dettagliate.”
“Un basista?” Era come
se Toninev avesse preso per la prima volta coscienza della propria
vulnerabilità e fallibilità come essere umano.” Ho selezionato
personalmente ogni elemento che lavora qui. Come è possibile?!”
Kavanagh non tradì lo
scetticismo con cui aveva ascoltato quelle parole. A suo avviso Toninev era una
persona da ammirare per molti versi. Sempre ben organizzato, dedito al lavoro,
pieno di risorse e brillante. Era però troppo sicuro di sé e delle volte si
dimenticava di considerare l’eventualità di poter commettere errori.
“La lettura telepatica
dall’esterno è da considerarsi altamente improbabile. Abbiamo scelto una zona
lontana da centri abitati per questo e all’ultimo check di ieri i dissimulatori
psichici funzionavano perfettamente. Sono convinto che qualcuno possa aver
tradito. Se le può essere di consolazione, potrebbe essere stato un membro del
mio staff. Comunque la responsabilità ricade su di me: avrei dovuto
accorgermene.”
Toninev trovava Kavanagh un
professionista affidabile e leale, però estremamente irritante per via del suo
modo di fare. Tornò ad osservare la scena con aria costernata.
Il fascio d’energia venne
proiettato dai suoi occhi, colpendo una delle guardie che si era troppo
esposta. Superò la protezione del giubbotto ai polimeri e andò a sciogliere i
legami molecolari delle sue carni provocandogli una morte rapida ma orrenda. I
compagni di squadra dell’uomo lo maledirono per la sua stupidità e per il modo
in cui si era esposto ad un attacco. Si trovavano in una posizione svantaggiata
da cui non potevano sparare senza correre il rischio di venire colpiti per
primi.
Il ragazzo sorrise
selvaggiamente sotto la maschera, divertito dalla morte che andava portando a
quegli uomini che non aveva mai visto. Era eccitato, e a stento riusciva a
trattenersi. I suoi compagni ne erano consci, avevano capito che tipo di
persona fosse e più di una volta espresso i propri dubbi in merito alla sua
partecipazione a quella missione. Nonostante i suoi poteri si fossero rivelati
effettivamente utili, l’instabilità dimostrata rischiava di danneggiarli tutti.
Adrian Raabe, 38 anni, era
uscito vivo da decine di contratti estremamente pericolosi, guadagnandosi così
fama di grande professionista, affidabile ed estremamente bravo nel proprio
lavoro. Il suo segreto, aveva sempre risposto a chi glielo chiedesse, era
l’attenzione con cui sceglieva i propri collaboratori, un duro lavoro di
squadra, una scrupolosa preparazione delle strategie in cui nulla era lasciato
al caso. Tuttavia il soggetto B -77 avrebbe potuto porre fine a tutto questo.
Il committente glielo aveva quasi imposto e non capiva perché non si fosse
rifiutato, lui che aveva detto no a compensi milionari per questioni di
principio. L’autonomia nelle decisioni inerenti al lavoro era la condizione
indispensabile per l’accettazione o meno di un incarico.
“Come procede?” Chiese a
bassa voce. Ricardo Ligeti era chino sul pannello di controllo, strumenti alla
mano, intento nel suo lavoro.
“Bene. Hanno cambiato il
codice, come previsto, invece non hanno capito che non è il suo bypassaggio il
mio obbiettivo. Il nostro macellaio sta facendo un gran bel lavoro, no?”
“E’ troppo irruento, è colpa
sua se ci hanno scoperto.”
“Che cosa suggerisci?”
“Per ora ci serve ancora.”
“Soluzione A 1?”
“Si. Ormai, poi, è anche una
questione di principio.”
Ken Rashad aveva accettato
quell’incarico attirato dal guadagno e da null’altro. Non gli interessava per
niente quel lavoro ma era un veterano del Kossovo e voleva mettere a frutto la
sua esperienza. Un paio di anni come mercenario in Colombia, prima tra la
squadre deputate a colpire i signori della droga, poi al soldo del cartello
stesso. Anche lì era una questione di danaro e niente più. Nella vita di Ken
Rashad era l’unica cosa che contasse. Il vivere agiatamente. In quel momento,
invece, il suo obbiettivo era semplicemente continuare a vivere. Aveva ricevuto
un addestramento specifico da parte del suo Governo, quando lavorava per esso,
volto ad affrontare esseri dotati di facoltà extra umane. Si rendeva conto di
quanto le simulazioni di incontri con individui dotati di poteri speciali di
vario genere fossero dissimili dalla realtà. Gli U.S.A. temevano che le nazioni
povere potessero cominciare a sfruttare i mutanti come risorsa bellica e voleva
mettere i propri soldati nelle condizioni di poter far fronte a tale
eventualità.
Lanciò un occhiata carica di
disapprovazione al corpo senza vita di Jack Shefield. Si era esposto
stupidamente e aveva pagato cara la propria avventatezza.
“Un pessimo soldato, merita
sempre di morire. L’unica cosa che ci si può augurare e che non si tiri dietro
dei bravi soldati. Quando ne avete l’opportunità, piantategli voi stessi una
pallottola nella nuca e vi risparmierete un sacco di problemi.” Questo gli
aveva insegnato il sergente che aveva addestrato la sua unità, anni prima.
Raferty e Le Roy erano
sdraiati ventre a terra, tentando senza successo di inquadrare il bersaglio. Mc
Cormick era con la schiena attaccata al muro, innanzi a lui, gli altri erano in
posizione arretrata. Il paraumano aveva il vantaggio della posizione una
precisione di fuoco di cui loro, per forza di cose, non potevano disporre. A
lui bastava guardare qualcosa e pensare di colpirla per farlo. Cadere sotto il
suo sguardo equivaleva a morire. Doveva trattarsi di un disgregatore molecolare
particolarmente efficace con le sostanze organiche, capace di superare quelle
sintetiche. Aveva letto diversi fascicoli su persone in cui si era manifestata
tale capacità.
Cercava di tenere sotto
controllo il proprio respiro e si impose di smettere di sudare freddo ma ogni
scarica che gli passava a pochi millimetri, facendo vibrare sinistramente l’aria
riempiendola di scintillii dorati, gli provocava una fitta alle budella.
“Così non và!” imprecò
al comunicatore nel suo casco.” Siamo in stallo da troppo tempo. Quel
tipo sembra essere ancora in forma. Non abbiamo idea della reale estensione dei
suoi poteri. Potrebbe non esaurirsi tanto presto come speriamo e potrebbe
addirittura non esaurirsi e prima o poi, faremo anche noi una cazzata. Ci sta
prendendo sulla stanchezza il bastardo e di questo passo ci riuscirà.”
“Che vuoi fare, Rashad?” Chiese
McCormick facendogli ronzare leggermente le orecchie.
“Voglio provare a prendere di
sorpresa l’amico. E’ l’unica speranza che abbiamo.”
“Hai visto anche tu che quei
raggi sono in grado di penetrare senza problemi nelle nostre tute corazzate.”
“Ho visto che ne ha già
uccisi troppi dei nostri ed io, ho una mezza idea di come fregarlo ma mi serve
una copertura. Te la senti?”
“Amico, per venirne fuori
tutto intero, farei qualsiasi cosa! Non mi va proprio di finire come quel
povero sfigato là in terra.”
“Bene. Allora al mio tre,
devi aprire il fuoco su di lui.”
“Aspetta. L’unico modo che ho
di beccarlo è quello di mettermi sulla sua linea di tiro!”
“Si, però io lo caricherò a
testa bassa e aprirò contemporaneamente il fuoco. Non può ucciderci tutti e due
allo stesso istante. Il raggio necessita di almeno un secondo e mezzo per avere
effetto e si interromperà immediatamente quando morirà. Dobbiamo mirare alla
gola o al cervello. Tutto chiaro?”
“Ne sei certo?”
“In Kossovo ne ho fatto fuori
uno di questo tipo con questo trucchetto.”
McCormick assentì. I numeri
scanditi dal compagno sembrarono durare un eternità e quando arrivò al fatidico
zero, si apprestò ad eseguire l’ordine. Curiosamente, solo quel preciso istante
si rese conto di non avergli chiesto che fine avesse fatto il tizio che lo
aveva aiutato a mettere in atto quel tipo di strategia in Kossovo. Non ebbe
invece il tempo di accorgersi che Rashad non si era neanche mosso, sconvolto
come era dal dolore di sentire le sue carni sfaldarsi da quella luce aurea che
l’aveva accecato. Era una sensazione curiosa, come di metallo freddo che gli
ricopriva il volto, gocciolandogli sul cervello. Ormai era solo un corpo
inconsapevole e scosso da tremiti quando Rashad gli si mise alle spalle e lo
spinse in avanti usandolo come scudo.
Aveva ragione, il piano
funzionava. I raggi del tipo avevano effetto soprattutto sulle sostanze
organiche e ignoravano quasi del tutto quelle inorganiche, e tra loro due ce ne
erano abbastanza da proteggerlo per qualche secondo. Secondi preziosi per
portarsi a distanza di tiro per piantargli un proiettile in testa. Gli
dispiaceva non poter ringraziare McCormick per averlo aiutato a guadagnarsi un
encomio speciale e probabilmente un sostanzioso premio in danaro. Tutto sommato
lui invece era stato un buon soldato ma Rashad pensava di essere decisamente
migliore e quindi gli spettava di diritto sopravvivere.
“Senza rancori, amico…”
Non avrebbe mai creduto che
quelle potessero essere le sue ultime parole.
La raffica del fucile
mitragliatore ad impulsi era stata come il colpo di una lama invisibile che
l’aveva fatto saltare via dalle gambe e dal bacino. Molti si sarebbero chiesti
se avesse sofferto o no in quell’istante. Un idea se la sarebbe fatta quello
che gli avrebbe tolto l’elmetto più tardi, osservandone il volto sconvolto
dalla sofferenza e dalla sorpresa. Il volto di un uomo terrorizzato perché
all’ultimo, aveva realizzato che la morte era giuta per ghermirlo.
“Oh Cristo!!!! Cristoooo!!!!
Aiutooo!!! Aiutooo!!!”
I lamenti carichi di pianto
di una guardia a cui la stessa raffica aveva maciullato il braccio spaccandolo
in due come una mela riempirono il corridoio asettico mentre il suo sangue
schizzava abbondante sul pavimento. Un altro, si accorse solo un paio di
secondi dopo che gli mancava una gamba, recisa di netto come dalla mano di un
immateriale, abilissimo chirurgo.
“Figli di puttana!!! Nessuno
mi frega!!!” Urlò B – 77. Doveva ricordarsi di ringraziare il compagno di
squadra che l’aveva aiutato ma mentre si ritirava capì che non avrebbe potuto
farlo. Sandra Dillinger si era beccata l’unico colpo esploso da quello che
aveva provato il trucchetto dello scudo umano. Dalla testa colava un rivolo di
sangue sul passamontagna che copriva il bel volto.
“Peccato, bimba. Oltre ad
esserti debitore, speravo di chiamarti finita ‘sta storia.”
Sospirò malinconicamente
mentre continuava a sparare i suoi raggi davanti a sé.
Il black out stavolta fu
totale e i sistemi d’emergenza non entrarono in funzione.
“Che significa!?” Chiese
esasperato Toninev.
“Sono costernato signore. Non
volevano aprire la porta usando il pannello secondario. Hanno diffuso un virus
informatico che spento tutti i nostri computer infettando in pochi secondi ogni
nostro apparecchio automatizzato.”
Christian Chung temeva che in
un eccesso di collera, l’arcigno direttore del progetto potesse prendergli a
morsi la nuca uccidendolo. Invece questi era troppo infuriato per concentrarsi
su quella singola idea.
“Kavanagh! Non mi importa
come, voglio che mi ritrovi i quattro fuggiaschi e mi riporti qui quello che
hanno rubato. Scopra chi è la talpa qui dentro. Potrebbe darci informazioni
utili.”
Il maturo responsabile della
sicurezza rispose in modo affermativo e giratosi sui tacchi, si diresse verso
il suo ufficio dove aveva indetto una riunione lampo con i suoi sottoposti.
Lungo i corridoi osservò con
un certo disappunto e dispiacere i corpi straziati dei propri uomini.
“Tante ore di addestramento,
tanti anni di esperienze sul campo per finire così miserevolmente. La vita
della volte sa essere davvero beffarda.”
Il distacco di quella
considerazione, pronunciata soprapensiero ad alta voce, fece rabbrividire un
infermiere che stava fasciando il moncherino sanguinante di uno dei pochi
sopravvissuti.
Toninev non era solo
infuriato. Era impaurito. Avevano rubato i suoi preziosi elementi transuranici
e questo significava che i suoi finanziatori sarebbero stati decisamente poco
contenti.
“Accidenti! E’ stata davvero
una bella storia! Voglio dire, se non teniamo conto della povera Dillinger.
Cazzo, ne abbiamo fatti fuori parecchio, eh?”
B -77 era entusiasta, come
uno scolaretto che pensava di aver svolto bene i propri compiti a scuola e si
aspettava un riconoscimento dal proprio maestro. Raabe era seduto davanti a lui
nel furgoncino in cui erano salito dopo aver abbandonato la monovolume su cui
si erano allontanati dal centro ricerche. Lo guardava con aria divertita.
“Si, ci siamo divertiti
davvero stasera.”
B – 77 sorrise compiaciuto.
Era la prima volta che Raabe si dimostrava così espansivo da quando l’aveva
conosciuto.
Il veterano sapeva quanto
fosse importante in quel tipo di affari, il totale controllo della mimica
facciale, così come lo era per un prestigiatore l’abilità con le mani. Una
distraeva il pubblico, attirandone l’attenzione, l’altra eseguiva il trucco.
Raabe in questo senso, era un grande prestigiatore. Il ragazzo non notò neanche
il rapido movimento con cui estrasse la pistola portandogliela sotto il mento.
Con uno sguardo, B – 77 poteva uccidere una persona in modo orribile ma doveva
aver il tempo di pensarlo, attivando le sue facoltà speciali. Invece era gratificato, compiaciuto da quel
sorriso benevolo, addirittura paterno e un istante dopo il suo cervello schizzò
insieme a schegge d’osso contro il tetto del veicolo.
Raabe si voltò verso Ligeti.
Quest’ultimo sollevò il sopraciglio con fare indifferente.
“Non ti aspetterai che dica
qualcosa per commemorarlo, vero? Mi stava anche antipatico.” Fece in tono
caustico.
“Quel rotto in culo ha fatto
ammazzare Sandra!” intervenne
Wiskonsin Kinkaid” Meritava quello che gli hai fatto.” La rabbia
trapelava chiaramente dalle sue parole. Lui e Sandra Dillinger erano stati
compagni di squadra già in tre contratti e cinque anni prima avevano
partecipato ad un assalto su commissione ad un blindato della First Bank. La
settimana prima, erano finiti a letto insieme dopo una sbronza che avevano
preso insieme. Lei sembrava aver gradito la cosa, una volta riavutasi e ormai
la considerava la sua ragazza.
“Comunque,” disse
Ligeti” il nostro committente sarà scontento. Abbiamo ucciso il suo
cuccioletto. A proposito! Ma B – 77 aveva un nome decente o solo quello schifo
di sigla?”
“Ligeti,” fece Raabe
con la sua usuale flemma” credo proprio non abbia più importanza se
questo fallito avesse o no un nome.”
Villa Falconieri, Roma – Mercoledì ore 4.00 a.m.
Peter Parker guardò con
dolcezza ed affetto il ragazzo che sonnecchiava accucciato in terra.
“Sei stato anche tu così?”
“Tu no?” Rispose alla domanda
di Rugantino. Il vigilante romano era di nuovo in turno ad osservare il
corridoio sottostante.
“E’ passato tanto di quel
tempo da quando ero una matricola che neanche mi ricordo più i particolari. L’unica
cosa ben presente era l’incoscienza delle mie azioni e la paura che subentrava
quando me ne rendevo conto. Tu? Che cos’è che ti ricordi in particolare?”
“La pressione.”
“Pressione?”
“Non so tu ma per me
conciliare la mia vita in calzamaglia e quella da civile, non era facile.”
“Ora lo è?”
“No. Però ora ci sono
abituato. Divenire un vigilante, è un po’ come ricevere una chiamata. Quasi
essere in missione per conto di Dio.”
“Quelli non erano Dan Aykroid
e John Belushi?”
“Ogni tanto mi capita di
pensare a me come al terzo Blues Brother. Senti questa voce dentro di te che
nessun altro sente. La gente si chiede perché tu lo faccia, cosa ti spinga a
conciarti come ad Halloween, vagando per un punto all’altro della città appeso
ad un filo. Ti guardano con aria disgustata o interdetta e si chiedono da quale
manicomio tu sia scappato. Il più delle volte le tue azioni gli risultano
inintelligibili e il peggio e che risultano inintelligibili anche a te stesso.
Provi a fare del bene, a fare del tuo meglio ma pare che tutto si risolva
sempre o quasi in un disastro. Dopo, quando torni a casa, pesto e livido perché
sei stato malmenato da qualche psicopatico che è sempre avvantaggiato su di te
perché lui gioca sporco e tu no, ti trovi a dover far quadrare i conti di casa.
Magari scopri che ti hanno staccato il telefono perché ti sei scordato di
pagare la bolletta o devi vedertela con un maledetto rubinetto che perde e non
ti permette di dormire almeno quelle due ore a notte necessarie a non perdere
il bene della ragione. Allora ti chiedi: ma chi diavolo me lo fa fare? Perché
domani dovrei ricominciare tutto da capo?”
“E tu? Che risposta ti dai?”
“Perché posso farlo. Posso
aiutare gli altri.”
Rugantino sollevò un attimo
la testa e sorrise da sotto la maschera. L’Uomo Ragno ricambiò.
“E tu? Perché lo fai?”
“Vorrei dirti qualcosa di
nobile come la tua motivazione. Mentirei. Sotto questa maschera mi è rimasto
ben poco. Fuori da questo mondo fatto di appostamenti, pedinamenti, scontri
nella notte, pericoli mortali, non c’è niente che mi aspetti. Oramai non esiste
nient’altro che Rugantino. Non ricordo neanche come o quando sia accaduto. La
maschera è divenuta il mio volto.”
“Wow. Senza offesa ma,
ultimamente ho temuto che potesse succedere anche a me. Mi sono chiesto se
l’Uomo Ragno è ancora il mio travestimento o è divenuta la mia vera identità.”
“Non ti so rispondere. Solo
tu lo puoi sapere ma credo che fintanto tu abbia qualcosa da amare e di cui
curarti oltre quelle lenti a specchio, sarai al sicuro.”
L’Uomo Ragno si irrigidì all’improvviso
e Rugantino, notandolo, istintivamente tornò ad osservare attentamente dal
buco.
“Sveglia, ragazzo.”
Warwolf aprì gli occhi,
emettendo un sospiro semi soffocato, rispondendo alla chiamata del suo eroe. Lo
osservò per alcuni istanti un po’ stralunato riacquistando però quasi
immediatamente la propria lucidità mentale.
“Dobbiamo tenerci pronti,
capo?”
“Si. Però non chiamarmi capo,
d’accordo?”
“Ok!”
Quest era veramente
soddisfatto. Anche se per le lunghe, la trattativa era andata bene ed ora avrebbe
avuto ottimi clienti nel suo port folio. Ms Perfection stava alla sua destra,
Mr. Weird lo precedeva leggermente. Intorno a sé una scorta di sei guardie ben
addestrate e modificate. Si bloccò a metà del corridoio. L’attività bioelettrica
del cervello era inconfondile. Solo a distanza si poteva confondere con i
segnali di fondo emessi dal pianeta. Inoltre il sobbalzo nella curve armoniche
era stato tale ed improvviso da essere paragonabile ad un esplosione di luce e
di rumore al buio, nel silenzio di un ambiente chiuso.
“Ospiti!” Esclamò divertito e
senza perdere tempo, la scorta estrasse le proprie armi, puntandole sul
soffitto. Aprirono il fuoco e i silenziosi fasci laser forarono gli ostacoli
incontrati in un istante.
“Signore…” Fece Weird ma fu
subito interrotto da Quest.
“Il nostro amico non demorde!
E’ incredibile. Dovrebbero dargli una targa per la costanza.”
“A quest’ora sarà…”
“No. E’ dotato di facoltà
precognitive estremamente efficienti. Ha avvertito il mio arrivo con largo
anticipo e le raffiche prima ancora che venissero emesse. Ho perso il segnale…
è come se qualcosa ora interferisse con… ma non è solo. Altri due compagni con
lui. Eccoli di nuovo!”
La finestra di fianco andò in
frantumi e fece il suo ingresso l’Uomo Ragno.
Rimase sconvolto nel vedere
Quest. Un sorriso sensuale, il corpo sinuoso e conturbante. Era una donna!
Eppure era certo che fosse lui. Ne era assolutamente sicuro.
“Sono felice di rivederti,
amico mio.”
“Non so come tu abbia fatto
ma non mi importa. Metterò fine alle tue attività una volta per tutte.”
“Vedremo amico mio, vedremo.”
Controbatté sorridendo deliziata.
Fine dell’episodio.