Ma#velit presents:
Uomo Ragno #51.
Vacanze Romane. Part I I
Di Yuri N. A. Lucia.
Trastevere, Roma - Martedì ore 1.00 a.m.
In giro ora
c'era meno gente, e questo gli aveva permesso di cambiarsi in un oscuro vicolo
nei pressi di P.zza Trilussa. Aveva lasciato i suoi vestiti nello zainetto,
attaccato con un po' di tela ad un sottotetto in legno di una vecchia
palazzina. Saltando da un edificio all'altro si era avvicinato in fretta a
Palazzo Falconieri, tenendo sempre sulla sua sinistra il Ponte Garibaldi e, più
in giù, la sinagoga del ghetto, ed ora lo poteva guardarla ad una settantina di
metri di distanza. Estrasse il binocolo che aveva comprato e cominciò ad
osservare le finestre, senza però risultati apprezzabili: era tutto buio.
Sentì il
verso di alcuni gabbiani che volavano al di sopra del Tevere, e per alcuni
istanti la sua attenzione venne catalizzata da quello spettacolo a cui non
avrebbe mai pensato di assistere nell'Urbe Eterna.
Quando si era
reso conto che il Tevere in quanto inquinamento faceva concorrenza all'Hudson,
aveva provato una specie di morsa al cuore: gli doleva sapere che nel cuore di
una città così bella vi fosse quello che considerava un orribile sfregio della
civiltà moderna. Ricordò quando era piccolo, dopo aver scoperto il Signore
degli Anelli, di essersene appassionato così tanto che zio Ben e zia May gli
regalarono tutte le altre opere di Tolkien e, in una di queste, c'era nella
prefazione scritta dall'autore medesimo, un violento attacco contro la civiltà
tecnologizzata: sempre più tecnologica e sempre meno civile. Secondo quello, il
progresso stava instradando l'uomo verso un futuro senz'anima e senza speranza.
Non condivideva quel pensiero, visto il suo amore per la scienza che lo
accompagnava sin da quei lontani giorni e la sua fiducia in essa come mezzo di
riscatto dell'Uomo dalle molteplici miserie che l'affliggevano, ma lo
considerava comunque un monito che doveva far riflettere sulle conseguenze di
certe scelte, e sul fatto che il potere a disposizione della razza umana
cresceva ogni giorno di più e necessitava di maggior responsabilità nella
gestione.
Osservò i
bianchi uccelli che si abbassavano in cerca di cibo tra i rifiuti e si figurò
orde di ratti che, muovendosi veloci tra le pietre e l'acqua, fuggivano
squittendo infastiditi.
La città
giaceva sotto un manto di luci d'avorio e gialline, quasi si fosse staccata
dalla realtà e nuotasse in una visione di sogno e pensò che era molto diversa
dalla Roma mostratagli dal gentile Romeo durante il giorno, avvolta in un
luminoso trionfo di marmi bianchi e pietra grigia, quasi quella città avesse
due anime.
Si erano
scambiati volentieri i numeri di cellulare, e anche se il ragazzo era molto più
giovane di lui, ci si era trovato benissimo: era una persona divertente ed
estremamente cortese, buffa ma anche a conoscenza di tante storie divertenti da
raccontare. Dopo aver deciso di pranzare insieme a quella che senza mezzi
termini Romeo aveva definito essere una "bettola semi nascosta e al di
fuori di qualsiasi criterio sanitario comunitario", e dopo aver mangiato i
più buoni spaghetti della sua vita, si diressero dalla zona di Tor Pignattara,
dove era sita, verso il centro, scendendo con l'autobus estremamente affollato
e maleodorante, alla stazione Termini e da lì mossero a piedi verso Piazza
Barberini. Il percorso organizzato da Romeo comprendeva una visita
all'inquietante e pittoresco Ossario dei Cappuccini, un salto alla famosa
Fontana di Trevi scolpita forse dal Bernini, come gli spiegò lui, quello che
era considerato il più importante architetto - scenografo del barocco
capitolino.
Nonostante il
suo bersaglio principale rimanesse Palazzo Falconieri, che sapeva essere uno
dei rifugi segreti di Quest, non poté far a meno di cedere al fascino
dell'escursione tra quelle vetuste vie, e, in sandali aperti, calzoncini color
cachi e t-shirt in cotone bianca, si lasciò trasportare e conquistare
dall'atmosfera della Città.
Romeo, che
parlava in buon inglese, anche se l'accento italiano si faceva sentire in più
di un’occasione, gli raccontava dei palazzi, delle piazze, delle fontane e
degli aneddoti legati ad ognuna di esse, mentre gli spiegava la filosofia di
vita e il carattere di quello che chiamava l'estinto popolo romano.
"Ormai i
così detti romani non esistono più da decine di anni. La capitale è stata la
meta di numerose migrazioni dal sud dell'Italia ma anche dal resto del centro
durante lo scorso secolo, e già negli anni '50 c'era chi cantava
malinconicamente del cambiamento ormai palese a tutti. Se dai un occhiata ai
cognomi sui citofoni ti renderai conto che quelli dall'origine romana, sono un
esigua minoranza. Roma è una città prevalentemente di calabresi, poiché è da lì
che sono venuti i flussi migratori più ingenti. San Lorenzo è l'emblema di
questo fenomeno: la sua storia come quartiere nasce quando vi vennero costruiti
gli alloggi per gli operai della fabbrica della Peroni e per quelli delle
ferrovie, tutta gente che veniva da fuori. I romani de sette generazioni,
per usare un termine molto amato da questa città, che vuol dire di sette
generazioni, non esistono quasi più."
"Davvero?
E tu? Anche tu hai origini non romane?"
"Almeno
in parte, e comunque come ormai tutti. Il mio cognome è Doria, e deriva da
quello del ramo dei Doria - Pamphili, una famiglia del patriziato romano
all'epoca dei papa re."
"Ah,
allora sei un nobile!"
"No!
Ehehehe, assolutamente no. Mi ero divertito a fare una piccola ricerca sulle
mie radici qualche tempo fa, e ne venne fuori che l’antenato capostipite della
mia famiglia fosse caduto in disgrazia in seguito a violenti litigi con il
patriarca dei Doria - Pamphili nel 1680; fece la bella vita per un po', dopo
essere stato interdetto dai beni di famiglia, grazie ad alcuni risparmi
personali ma non era molto cauto nell'utilizzare il danaro, né molto abile nel
farlo fruttare e finì i suoi giorni in miseria.
I suoi due
eredi non gli furono da meno e si ridussero ancora di più in povertà, per
quanto fosse possibile, e Marcello, il nostro capostipite, dette alla luce un
figlio, Aurelio che divenne addirittura un brigante."
"Un
cosa?"
"Scusa,
anche questo è un termine italiano: un criminale, un rapinatore che derubava i
ricchi o i mercanti che si avventuravano lungo le strade che portavano fuori o
verso Roma, e lui era specializzato nella sua quasi omonima, l'Aurelia, una
così detta strada consolare, agendo all'altezza di Cerevetus, nei pressi del
mare, verso il Lazio del Nord; la sua carriera fu lunga e divenne una vera e
propria spina nel fianco delle autorità papali che non riuscivano a mettergli
le mani addosso. Oltraggiò persino degli alti prelati, che durante i loro
viaggi divennero le sue vittime. Si dice che il Sommo Pontefice, piuttosto
seccato, istituì un corpo speciale che aveva il compito di catturarlo."
"E ci
riuscirono?"
"Ah si!
La speciale squadra dei Dragoni papalini lo prese, e venne impiccato sulla
pubblica piazza, e per intenderci era
piazza del Popolo. Vennero persino da fuori per vedere l'impiccagione del
flagello dei preti, così lo chiamavano. Ma aveva tre eredi, Alfredo, Mariano e
Cassiodoro, quest'ultimo mio avo, che continuarono la tradizione da lui
iniziata, anche se in altre zone e con meno successo del loro celeberrimo
padre."
Raccontò
altre storielle del genere ed episodi divertenti che avevano contraddistinto i
suoi antenati, facendo ridere Peter più volte.
Romeo aveva
17 anni, ma sembrava molto maturo per la sua età e, nonostante il look un po'
aggressivo, era estremamente educato e aveva modi molto amichevoli.
Peter gli
raccontò di sé e del suo lavoro, poiché proprio mentre andavano a pranzare, il
ragazzo l'aveva riconosciuto dicendogli:
"Hey!
Con la barba di un paio di giorni e i capelli un po' più lunghi non l'avevo
capito subito! Ma tu sei Peter Parker! L'autore di Webs!"
"Beccato!
Sono proprio io." Rispose un po' imbarazzato ma anche lusingato per essere
stato riconosciuto dopo un po' che era uscito quel libro.
Gli fece
molte domande, chiedendogli quanto fosse pericoloso il suo lavoro e quanto lo
fosse vivere in una metropoli come New York. Chiese anche dell'Uomo Ragno e gli
disse che per lui era un vero mito e lo considerava un grandissimo eroe. Con
sorpresa di Peter, gli mostrò un tesserino di membro del fan club romano
dell'U.R.
"So che
in America è dipinto quasi fosse una specie di criminale senza scrupoli, e che
è proprio il giornale per cui lavori che porta avanti questa tesi
diffamatoria."
"Ma tu
non gli credi?"
"Ho un
cervello, ringraziando iddio, e cerco di non farmi influenzare troppo dai
media, e poi, non sono l'unico a pensarla così: nel web ci sono diversi siti di
informazione super eroistica, e ti assicuro che parecchi di essi difendono a
spada tratta il tessiragnatele, che tra l'altro qui da noi ha sempre goduto di
una grande popolarità."
"Davvero?"
"Uh uh!
In generale, negli ultimi cinque anni, è scoppiata una vera mania per i Super
eroi americani. Guarda lì."
Indicò un cartellone pubblicitario e Peter
vide che c'era Iron Man intento a gareggiare al fianco di una fiammante
Ferrari.
"Cosa
c'è scritto?"
"C'è
solo una testa rossa più veloce della nostra. Quello è il nuovo modello Testa
Rossa Iron Man, dedicato al vostro vendicatore."
"Non lo
sapevo!"
"La
Ferrari ha fatto una proposta a Tony
Stark, utilizzare la sua guardia del corpo in cambio di una grossa somma: lui
ha accettato in cambio della promessa che il danaro fosse invece devoluto
interamente in beneficenza, e anche perché è notoriamente appassionato delle
auto del cavallino. Quando era ancora vivo Enzo Ferrari, fece di tutto per
conoscerlo personalmente, e ha dei buoni rapporti con l'attuale presidente
della casa modenese. Non è comunque l'unico che si sia prestato a campagne
pubblicitarie a scopo benefico; Capitan America, accettò di farsi riprendere
per un messaggio contro l'uso di droghe, Wasp per la campagna alla prevenzione
sull'AIDS, e potrei farti almeno altri centinaia di esempi."
"Ma io
credevo... che aveste problemi con chi possiede capacità fuori dal comune..."
Si limitò a dire Peter, mantenendosi sul vago. Voleva sentire cosa ne pensasse
Romeo sulla situazione mutanti in Italia.
"Fai
riferimento a Calcagallo?" Rispose tristemente, assumendo
improvvisamente un aria costernata e preoccupata." In Italia i problemi
non sono tanto con i cosiddetti Paraumani, ovvero coloro i quali hanno
acquisito speciali capacità grazie ad eventi fortuiti o ad esperimenti: tra
l'altro, proprio ora abbiamo due super gruppi italiani ufficiali, Gemini e
Squadra Italia; i problemi ci sono con i mutanti."
"E
perché?"
"Perché
nascono così, mentre il paraumano ci
diventa. Quest'ultimo viene percepito come uno della massa che acquisisce
incredibili poteri e simboleggia un po' quell'occasione di riscatto da un vita
comune da cui un po' tutti sognano di evadere."
Peter sorrise
amaramente, pensando che spesso si era sentito così: come qualcuno che per
quanti pesi avesse sulle spalle, aveva avuto la fortuna di poter vivere
esperienze eccezionali; Romeo, dopo una breve pausa, continuò.
"Ma un
mutante? Esso è il prodotto di uno spartiacque genetico attualmente in corso:
forse provocato dall'Uomo stesso, o forse da sempre destinato a verificarsi...
chissà? Certo, oggi i mutanti non sono una razza, perché rimangano pur sempre
umani ma, la caratteristica di una specie è essenzialmente quella di potersi
riprodurre, trasmettendo i propri caratteri agli eredi genetici. Anche la
nostra razza è frutto di una lunga catena evolutiva in cui si sono verificate
delle mutazioni..."
"E solo
i rami in cui si erano verificate delle mutazioni favorevoli andavano
avanti..."
"Contribuendo
a generare quello che noi siamo."
"Dici
che succederà la stessa cosa per i mutanti?"
"Perché
no? Probabilmente, generazione dopo generazione, si formeranno diverse specie
umane, che è l'inverso di quello accaduto millenni addietro."
"Parli
del Neanderthal e del Cro Magnon."
"E di
tutte le altre specie umanoidi scoperte di recente, e non dimenticarti che
alcune di esse non sono state sterminate dalla furia dei nostri antenati."
"L'homo
mermanus..."
"Noi, i
discendenti della specie predominante, abbiamo ancora le mani lorde del sangue
di cui si macchiarono nella lotta al dominio della Terra... forse
istintivamente, ci aspettiamo che i mutanti, futuri progenitori di nuove
specie, facciano lo stesso con noi, o semplicemente vogliamo assicurarci il
predominio biologico del pianeta, evitando il verificarsi di un simile
evento."
"Quindi
per te, questo odio per i mutanti, ha addirittura origini inconsce, ed affonda
le sue radici nella nostra memoria atavica?"
"Perché
no? Che il D.N.A. registri esperienze e codifichi comportamenti in
atteggiamenti istintivi, lo si sospetta da tempo e l’ipotesi è tutt’altro che
inverosimile ormai: la nostra paura del buio, ci deriva da quegli antenati che
dovevano sfuggire a predatori in maggior parte notturni; così come la nostra
paura dei rettili è il retaggio del periodo in cui questi dovevano essere
decisamente più forti dei mammiferi. Potrei andare avanti per ore e citarti
esempi simili."
Peter gli
sorrise compiaciuto.
"Ti
intendi di biologia?"
"Mi
interesso di genetica... forse, studierò questo all'università. So che ora ti
dedichi a tempo pieno alla ricerca! Sei uno scienziato!"
"Si,
anche se devo ancora terminare il dottorato, cosa che voglio fare al più
presto. Ma non mi hai detto una cosa importante..."
"Dimmi."
"Tu, che
ne pensi dei mutanti?"
"Sono
persone come le altre, ma è difficile per l'uomo comune accettare che
potrebbero essere quelli i cui figli rimpiazzeranno i loro. Inoltre ci sono
alcuni mutanti che non facilitano le cose: come al solito le voci dei più
esagitati prevalgono su quelle dei ragionevoli."
"Ho
sentito parlare di due movimenti..."
"Fazione
Umanità e Nazione Mutante: i primi sono stati coinvolti in uno scandalo riguardante
la produzione di armi antimutanti di cui sarebbero in possesso, armi, si
sospetta anche se non ci sono le prove, originariamente commissionate dai
passati Governi per la prevenzione di una loro eventuale rivolta. I secondi
invece, hanno iniziato come movimento per la difesa dei diritti dei propri
simili, ma ora sono implicati in azioni di sabotaggio ed incitando apertamente
alla distruzione del genere umano."
Continuarono
a parlare per ore, mentre passeggiavano ed ammiravano le bellezze della città.
L'Uomo Ragno
continuava a stare in attesa, sperando che presto accadesse qualcosa di
interessante: non voleva ancora provare ad introdursi nel certo
sorvegliatissimo palazzo, non senza prima saperne qualcosa di più; desiderava
non sprecare l'occasione di prendere Quest di sorpresa, nella speranza che
quella fosse l'occasione giusta per assicurarlo alla giustizia. Si trovò a
riconsiderare la lunga catena di eventi che lo aveva portato sin lì, partendo
dalla guerra della famiglia criminale Jong per imporsi sulla malavita
newyorkese, passando per la lotta con lo Scorpione che lo aveva segnato a vita,
sino all'incontro con il P.H.A.D.E. e la missione in Portogallo. La pausa
scozzese gli aveva fatto bene, dandogli modo di riflettere sulle sue azioni:
certo, Rucker gli aveva consigliato di collaborare con l'organizzazione, almeno
al momento, però non gli aveva detto di accettare proposte che andavano contro
ogni suo principio morale, cosa che invece aveva fatto nella foga di poter
fermare quello che aveva inconsciamente additato come responsabile di quanto
accaduto nella sua città.
Aveva
sviluppato una sorta di ossessione maniacale per quell'uomo, aumentata a
dismisura dopo il loro primo incontro, e si chiese, per la prima volta, se non
fosse quello che provavano i suoi numerosi nemici nei suoi confronti.
Era così che
Octopus, l'Avvoltoio, Electro e tutti gli altri occupavano le loro giornate?
Organizzandosi per prenderlo di sorpresa, per colpirlo dall'ombra senza
lasciargli via di scampo... dopo tutti quegli anni passati per la strade, era
divenuto simile a loro a furai di averci a che fare?
Guardò una
delle mani guantate, e pensò che forse ultimamente l'Uomo Ragno aveva preso per
troppo tempo il sopravvento sopra Peter Parker, spezzando quell'equilibrio che
si era venuto a creare nel corso degli anni.
Ma cosa gli
era successo? Si chiedeva quasi con disperazione: era quanto accaduto dopo la battaglia con Gargan?
Che Darion
avesse ragione? Che ci fossero davvero entità immateriali all'opera dietro
tutto quello che gli era capitato e che il rapporto con esse fosse
drasticamente cambiato dopo la sua esperienza al limite della morte... o forse
era quel sospetto mai del tutto fugato... forse era stato l'aver ucciso con le
proprie mani lo Scorpione ad aver avviato tutta quella serie di eventi.
Gli sembrava
di sentire ancora le insinuanti parole dello Stregone dei Ragni:
"Il tempo di decidere verrà prima
di quanto tu possa immaginare, e allora dovrai essere in grado di fare la cosa
giusta.... ma ci riuscirai? Io so la risposta, io c'ero, ho visto tutto... so
come andrà a finire... ma non te lo dirò ora.... sappi solo che tu mi hai già
incontrato, svariate volte, e che arriverà il momento in cui ci rivedremo
ancora... ho aspettato tutto questo tempo solo per potertelo dire, ma a sapevo
di questo incontro... ricordati, quello che deciderai, cambierà per sempre te e
il tuo mondo. .. scegli saggiamente!!! Ahahahahaahah..."
Cosa voleva
realmente dire quell'avvertimento, e in che modo loro due erano legati?
Tornò a
concentrarsi sull'edificio in cerca di segni utili alla sua missione.
Un istallazione segreta, da qualche parte nel New Jersey. Martedì, ore
3.20 'ca p.m.
"Allora,
direttore Toninev, come procede il lavoro?"
La voce
proveniente dallo schermo era calma e misurata come al solito, ma stavolta non
era riuscita a trattenere una certa aspettativa che l'altro, segretamente
divertito, si apprestò a non deludere, parlando però con l'abituale tono
moderato:
"I
risultati sono soddisfacenti, e tutti i reparti stanno lavorando a pieno ritmo.
Il ritrovamento di due dei tre elementi transuranici sino ad ora teorizzati, ha
provocato un accelerazione del nostro lavoro, tuttavia, consiglio di procedere
con cautela, poiché l'eccessiva fretta e il troppo entusiasmo potrebbero essere
fonte di problemi più avanti."
"Certamente,
dottore, capiamo il suo punto di vista e, nutrendo in lei la massima fiducia,
accettiamo il suo parere affidandoci ancora alla sua preziosa guida. Però
capirà che dopo questi 12 anni, abbiamo, come dire, una certa ansia..."
"Comprendo
anche, signore, che desiderato il compimento del progetto più di ogni altra
cosa, e per far si che questo avvenga, dovrò ancora una volta fare a modo
mio."
"Questo
è fuori da ogni discussione: le ribadisco la nostra totale
collaborazione."
"Bene,
la farà piacere sapere che tra poco tempo potremo dedicarci ad un test vero e
proprio sul prototipo attualmente in preparazione."
"Eccezionale!"
Non era
riuscito a trattenere l'entusiasmo, provocando una risatina da parte di Toninev
che invece manteneva, nonostante l'eccitazione interiore, un aria composta e
anche un po' distaccata.
"Mi
scusi dottore... continui pure."
"Non le
posso però garantire il pieno successo... il ritrovamento del terzo elemento ci
darebbe un margine superiore di probabilità di esito positivo."
"I
nostri uomini sono alla sua costante ricerca..."
"A mio
avviso, il loro lavoro dovrebbe concentrarsi nelle quattro aree indicate,
poiché è molto probabile che si trovino là tracce di esso. Anche se si tratta
di piccolissime quantità, potrebbero determinare una radicale svolta a tutto il
nostro lavoro, e farci compiere un gigantesco balzo in avanti in poche
settimane."
"Molto
bene! La terrò informata sugli esiti delle nostre ricerche. Per ora la saluto e
le auguro una buona giornata."
"Anche a
lei."
Lo schermo
tornò ad oscurarsi, mimetizzandosi di nuovo con la parete color crema. Toninev
allungò i piedi su un apposito appoggio, acquistato di recente da un negozio di
arredamenti a New York City considerato molto alla moda. Non gli importava
niente se fosse trendy oppure no, ma dopo averlo provato, desiderò ardentemente
possederlo tanto era comodo.
Poteva
permettersi qualche ora di relax, anzi, doveva necessariamente concedersene,
poiché sapeva di essere al limite delle sue possibilità fisiche.
Sentì il
segnalatore acustico avvertirlo della presenza di un visitatore.
"Avanti."
Disse
cortesemente, anche se gli dispiaceva non poco quell'intrusione durante la sua
autoproclamata pausa.
"Dottor
Toninev, signore, mi dispiace molto disturbarla."
"Oh
Faunt, siete voi. Accomodatevi pure. Ecco, prendete quella poltrona, è
estremamente comoda."
Enrick Faunt
constatò che quanto detto era vero, e si sedette. Negli ultimi giorni, era
rimasto stupito dal buon umore del suo superiore e sapeva che questo indicava
una cosa: era ottimista sul risultato finale del loro lavoro.
"Mi
scusi se mi permetto di importunarla qui, nella sua stanza privata."
"Non
preoccuparti, e dimmi pure."
"Abbiamo
finito di esaminare ora le reazioni ai bombardamenti beta e gamma a cui abbiamo
sottoposto i campioni di Iperium ed Eterium; i risultati sono stupefacenti: c'è
stato un incremento d'energia pari all'ottanta per cento, ben sette punti in
più di quelli presupposti."
"Me ne
compiaccio. Se avessimo anche l'Ultranium sono sicuro che potremmo persino
raddoppiare tale risultato."
"I
nostri finanziatori ne saranno contenti."
"Oh, lo
sono, e rimangano anche molto impaziente, checché cerchino di farmi
credere."
"Le
hanno fatto pressioni, signore?"
"Me ne
fanno sempre, in un modo o nell'altro, ma ormai so come prenderli."
"Non
dovrebbero, visto che siamo così vicini al risultato che loro sperano."
"Un
predatore diviene sempre impaziente, proprio un attimo prima di saltare addosso
alla preda. E' quando siamo prossimi all'oggetto dei nostri desideri, che la
tensione si fa sentire. L'importante, Faunt, e che a mantenere la calma siamo
noi. So di avervi sempre chiesto molto, e che continuerò a farlo ancora nei
prossimi giorni, forse chiedendovi anche di più: ma confido in tutti voi. Come
sai, dalla dipartita del mio collega, il dottor Ostiditch, mi sono trovato
privato dell'aiuto di una delle menti più brillanti e geniali mai esistite, e
tutto ha gravato sulle mie spalle."
"Me ne
rendo perfettamente conto, signore."
"Spero
che continuiate così. Non dobbiamo mollare proprio adesso che quasi ci
siamo."
"No! Non
accadrà, ne stia pure certo."
I due uomini
si scambiarono una stretta di mano in segno di intesa, e poi tornarono a
parlare del loro amato lavoro.
New York City. Appartamento di Terenzio Oliver Rucker. Martedì ore 5.00
p.m.
"Si
Pete, ho capito, passerò certamente da voi stasera. Si, si, non ti preoccupare,
ora devo salutarti, ciao."
Riattaccò il
telefono, e, dopo avergli dato un occhiata quasi a volergli dire, evita di
suonare ancora, tornò a sedersi di fronte a Dean.
"Scusami,
sai com'è..."
"Certo
che lo so: il lavoro; l'ho imparato bene nel corso degli anni che hai vissuto
con noi."
"Immagino."
"Ah,
davvero? Immagini? Pensavo fossi sempre troppo occupato per accorgerti di
qualcosa."
"Dean,
ti prego..."
"Che
c'è? Ogni volta che faccio accenno alla cosa, tu vuoi evadere il discorso, e lo
fai perché rifiuti ancora di prenderti le tue responsabilità. Sei tu che mi hai
invitato a passare un po' di tempo con te per parlare, ed io, ho accettato,
prendendo momentaneo congedo dai miei impegni. Vedo che però la cosa non ti
interessa più molto, perché da quando sono arrivato, siamo riusciti a parlare
si o no un quarto d'ora, tra silenzi imbarazzati e le tue continue
chiamate."
"Sei
ingiusto, lo sai che non è facile per me."
"Neanche
per me, e quando eri tu ad essere ingiusto con noi, non te ne sei mai curato
troppo."
"Questo
non è vero."
"Scommetto
che ci credi davvero a quello che stai dicendo, peccato però che io ricordo una
storia diversa da quella che sicuramente ti gira in testa. Andiamo papà, sono
stanco di girarci intorno, sappiamo entrambi perché mi hai chiesto di venire
qui: vuoi che faccia da intermediario tra te e la mamma."
"No! Non
è questo Dean, te lo assicuro! Io voglio solo assicurarmi che le cose tra noi
due inizino a funzionare."
"Le cose
tra?... Oddio! Non ci posso credere! Ma che cosa stai dicendo! Quali cose tra
di noi?! Tra di noi non c'è nessun rapporto e tu lo sai bene, specie dopo quanto
è successo..."
Dean si
bloccò all'improvviso, rendendosi conto di quanto stava per dire, e, per quanto
rancore potesse provare per l'uomo che gli stava seduto di fronte, si rattristò
nel vedere tutto il dolore e l'amarezza affacciarsi prepotentemente su quel
viso che di solito sapeva così bene dissimulare le emozioni.
Rucker
abbassò lo sguardo, incapace di guardare in viso il figlio, e sentì gli occhi
inumidirsi. Rimasero senza dire nulla, per qualche minuto, poi il poliziotto
prese un fazzoletto, e si asciugò le lacrime.
"Papà,
mi dispiace, ma quello che tu vuoi da me, io non te lo posso dare. Posso solo
dirti che se vuoi risolvere i tuoi problemi con il resto della famiglia, devi
scomodarti in prima persona e parlare con la mamma. Non credo, in tutta onestà,
che sia meglio disposta di me, ma credo sarebbe giusto tu almeno facessi un
tentativo."
"Sono
stato un così pessimo padre?" Chiese costernato l'uomo su cui
improvvisamente, erano chiari i segni di anni di dolorosi traumi e rinunce, e
in cui non era rimasta nessuna traccia dell'uomo saggio e pacato della cui
esistenza era riuscito a convincere il mondo intero, sé stesso compreso.
"Non ho
passato abbastanza tempo con te da poterlo dire. Ci hai sempre allontanati
tutti, usando come scusa quella del tuo lavoro e dei tuoi incarichi pericolosi.
La mamma la sentivamo piangere tutte le sere quando non c'eri, e anche quelle
volte che le stavi al fianco, la vedevo sempre triste e malinconica. Con noi,
eri sempre così freddo, ed era come se... come se noi non ti piacessimo."
"Oh per
l'amor di Dio, Dean! Non dire questo! Non è assolutamente vero! Non lo è! Te lo
giuro su tutto quello che ho di più caro, te lo giuro sulla mia vita!"
Dean lo
fissò, con aria comprensiva, e disse in tono sommesso:
"Forse è
così... ma tu non hai mai fatto niente per farcelo capire. Mi dispiace papà...
non ho niente altro da dirti e credo sia meglio salutarci qui."
"Ti
prego... rimani...."
"No. Ho
una famiglia, delle responsabilità a cui far fronte e non posso dedicarti altro
tempo. Addio, e abbi cura di te."
Il giovane si
alzò, dirigendosi alla porta senza dirgli null'altro. Quando la sentì
chiudersi, si portò una mano alla bocca, chiuse gli occhi e cominciò a
piangere.
Pianse per
diversi minuti, fino a farsi arrossare gli occhi, poi si alzò, andò in bagno,
si sciacquò il viso e guardò nello specchio il volto dell'uomo che era
diventato negli ultimi anni.
Si odiava per
tutte le scelte sbagliate, per tutti gli errori commessi, per aver allontanato
sua moglie ei suoi figli e per... Micky, sopratutto per lui.
Strinse i
denti e si impose di ricacciare dentro il turbinio di emozioni che minacciava
ancora una volta di rompere l'argine.
Non poteva
tornare indietro, ma poteva ancora andare avanti, e questo avrebbe fatto:
avanzare; Terenzio Oliver Rucker faceva questo da tutta una vita e non sapeva
fare niente d'altro. Dopo quell'esperienza, dopo aver visto la morte in faccia
personificata nello Scorpione, dopo aver visto quel ragazzo quasi brutalmente
strappato ai suoi affetti e ai suoi cari, aveva sentito l'irrefrenabile
desiderio di tentare ancora una volta di aggiustare le cose, pur sapendo che
non sarebbe servito a niente e che forse, come effettivamente era successo,
avrebbe persino peggiorato tutto.
"Coraggio
Terenzio! Non è il tempo per piangere! Lo hai già fatto in passato e più che a
sufficienza."
Andò al
telefono, e chiamò il recapito che Kaine gli aveva lasciato.
"Ciao,
sono io."
"Rucker?
Come stai?"
"Bene."
Erano
entrambi imbarazzati, forse per quello screzio avuto durante la storia dell'interrogatorio.
"Senti,
vorrei parlarti al più presto. Come sta la famiglia di tuo fratello?"
"Sta
bene, stavo proprio preparandomi ad andare da loro per una visita. Certo, per
me parlarti va bene... quando?"
"Stasera
dopo le 11?"
"Dove?"
"Vicino
Central Park."
"Sta
bene."
"A
dopo."
"A
dopo."
Chiuse la
comunicazione e si andò a cambiare: Mansel e Scott aspettavano una sua
chiamata, per sapere come regolarsi con il nuovo caso, mentre Perkins voleva
assolutamente vederlo per motivi che solo lui sapeva. Lo aspettava ancora del
duro lavoro, e, segretamente, ringraziò Dio che fosse così... non avrebbe
saputo come sopportare altrimenti lo scorrere del tempo.
Al confine tra Harlem e l'Upper east side. Martedì ore 10.45 p.m.
Prowler
avvertì un improvviso dolore al braccio e non riuscì a colpire il giovane
teppista come avrebbe voluto e questi, accortosi della difficoltà in cui
vessava, ne approfittò per raccogliere l'arma che poco prima, a causa di un
calcio, gli era caduta di mano. Si preparò a colpire con la spranga, caricando
un colpo che avrebbe messo a dura prova anche il nuovo elmetto del vigilante
ma, quello che non aveva calcolato, era la presenza del misterioso uomo vestito
con un costume bianco e rosso. Si mosse rapido, evitando una carica a testa bassa
scavalcando l'avversario come se nulla fosse, usò lo slancio per per colpire la
mascella del ragazzo e lo mandò a finire contro un paio di secchi
dell'immondizia che si rovesciarono con gran fragore, provocando una fuga in
massa di scarafaggi e topi.
Un altro fece
ruotare sulla testa una catena, ma ancora una volta il ninja bianco, era
preparato: estrasse un'asta telescopica e si limitò a sferzare l'ascella del
malintenzionato che si lasciò cadere l'arma addosso, con spiacevoli effetti per
la propria persona.
Nel frattempo
Prowler si era ripreso dall'improvvisa fitta di dolore, e usò il lancia dardi
pneumatico per somministrare una dose di sonnifero ad un paio di esagitati con
il coltello, dopo di ché si esibì in uno dei suoi numeri migliori: la cortina fumogena.
Questa dava a lui e al suo compagno un ampio margine di vantaggio, grazie alle
speciali lenti installate sulle loro maschere. Si muovevano vedendo con
relativa chiarezza le figure dei loro opponenti, e cominciarono a colpire
rapidamente.
Hobbie eseguì
una superba proiezione sfruttando le tecniche di Ju Jitsu che aveva imparato di
recente, mentre l'altro colpì con una veloce sequenza di due calci Tae Kwan Do,
mandando a gambe all'aria due che tossivano pesantemente per colpa del fumo.
Erano stati
rapidi e precisi e quando l'innoquo gas si sollevò, tutto era finito.
"Siamo
stati bravi."
"Discreti."
"Su via,
quando un lavoro è ben fatto lo si deve riconoscere."
"Non sei
tu quello che mi mette sempre in guardia dai pericoli dell'immodestia?"
"Certo,
ma ogni tanto un uomo deve concedersi una pacca sulla spalla, altrimenti dove
finisce l'autostima?"
I due si
allontanarono, sentendo il suono delle sirene farsi più vicine, e si
rifugiarono su di un tetto non molto lontano.
"Comunque
non sono per nulla soddisfatto."
"E come
mai fratellino?"
"Uno:
continui ad accompagnarmi nelle mie ronde notturne quando sai che sono
contrario."
"Temi
che possa rubarti la scena? E poi lo sai che lo faccio per Mindy e i
gemelli."
"Due:
non abbiamo ancora trovato nessuna traccia del Demone e la cosa comincia a
puzzarmi."
"Che
vuoi dire?"
"Che se
pensi a come agisce quel pazzo, è strano non aver sentito più nulla su di
lui."
"Magari
se ne andato via dalla città, o si è ritirato dagli affari."
"No, era
troppo determinato Abe, troppo esaltato dal suo stesso zelo, quasi avesse una
missione da compiere: quello non è tipo da mollare così."
"Allora
forse è morto: magari lo ha beccato il Punitore o qualcuno come lui."
"Il
Punitore non mi piace, ma se lo avesse fatto... beh, sarebbe come vincere alla
lotteria... e comunque preferirei poterlo catturare e sbatterlo dietro una
cella. Comunque quell'altro maniaco di solito perseguita i criminali e il
Demone finora se l'è presa solo con loro."
"Non mi
rimane che dirti quello che ti dico sempre queste notti: porta pazienza, vedrai
che sarà lui a venire da noi, presto o tardi."
Prowler
assentì, e poi si voltò, ascoltando l'eco di un grido che proveniva a qualche
decina di metri di distanza, sotto per le strade.
"Ma in
questa città i criminali non riposano mai?"
"Non c'è
riposo per i malvagi, Abe."
"Neanche
per gli eroi."
"Benvenuto
nel mio mondo."
I due, usando
i propri cavi, si lanciarono d'abbasso e la figura acquattata tra le ombre
ripeté divertita:
"Porta
pazienza Hobbie... porta pazienza..."
East Side.
Martedì ore 11.00 p.m.
L'Uomo Rana
eseguì un possente balzo, servendosi del suo nuovo sistema motorizzato che
potenziava del dieci per cento le prestazioni dei suoi stivaletti: si alzò per
oltre sette metri, ed atterrò ad una decina di metri da dove si trovava,
catalizzando così l'attenzione dei giamaicani, che gli puntarono quasi
immediatamente contro le loro armi. Per un istante, si ritrovò a raccomandarsi
l'anima a Dio, ed invece, in un altro istante, si trovò ad esultare: Phantom
Rider era comparso improvvisamente alle loro spalle, proprio come concordato, e
lì colpì usando il taglio delle mani e i pugni, dando prova di avere una buona
conoscenza del tang lang e della boxe da strada. Era piuttosto preciso nel
colpire, e scompariva subito, strappando grida di rabbia ai criminali che si
ritrovarono ad aprire il fuoco all'aria.
Eugene,
approfittò della loro distrazione, per entrare a sua volta nel vivo
dell'azione: si catapultò nel bel mezzo di quel gruppetto di cui erano rimaste
in piedi quattro persone, e, buttatosi sulla schiena, attutendo il colpo grazie
alla speciale imbottitura che aveva aggiunto, ne colpì un paio con un doppio
calcio, mirando al ventre, e li fece compire un volo di diversi metri,
mandandoli a finire in un magazzino vicino, dopo avergli fatto rompere una
grande finestra.
"Ora
t'aggiusto io, bastardo figlio di..."
L'uomo dalle
trecce rasta, non potè neanche terminare la sua minaccia, perché venne
rapidamente disarmato da Phantom che, bloccato il braccio, lo torse in modo
estremamente doloroso finché non gli costrinse a lasciare l'arma. Purtroppo non
riuscì a evitare l'altro, che gli agganciò il volto con un pugno così forte da
mandarlo a un paio di metri di distanza.
Eugene si
alzò, scattando come una molla, ma era rimasto sconvolto e perse la necessaria
concentrazione indispensabile per agire rapidamente e fu il suo turno di
prendersi un calcio nello stomaco. Quello che era stato disarmato, lo afferrò
per la maschera con una sola mano, visto che l'altra gli doleva e con rabbia
gli urlò:
"Ti
piace giocare a fare il super eroe?! Eccoti un colpo speciale, eroe dei miei
coglioni!!!"
Gli sollevò
di scatto la testa e gli fece colpire il ginocchio: sentì mancargli i sensi,
mentre qualcosa di caldo e viscoso gli cominciava a scendere copiosamente lungo
il viso, impiastricciandolo tutto. Riuscì ad aprire un occhio, e vide Phantom
che veniva preso a calci dall'energumeno che l'aveva assalito e da un altro
tizio sbucato fuori all'improvviso, forse un loro amico giunto in quel momento.
Sembrava che anche l'altro se la passasse male ed era troppo impegnato a
tentare invano di proteggersi per aiutarlo. I due gli afferrarono il mantello,
e lo usarono per legarlo, mentre stremato, l'argenteo combattente non riusciva
a reagire.
L'Uomo Rana
sentì un violento bruciore allo stomaco, e riconobbe la forma del ginocchio che
tentava di sfondarglielo.
Sentì un
disgustoso sapore in bocca e non riuscì ad ideare nulla di buono per uscire da
quella situazione.
Era strano,
pensò, come pur sapendo che quello probabilmente fosse il suo ultimo giorno
sulla terra, non provasse paura ma solo
costernazione per l'idea di dare un dolore a suo padre e sua zia.
"Non ti
preoccupare, ragazzino, il dolore sta per finire..."
Il sorriso
sardonico dell'uomo, divenne una macchia rossa da cui partirono diversi denti
che in parte schizzarono via e in parte finirono sulla testa di Eugene, che si
ritrovò la maschera imbrattata dal sangue. Quello cadde all'indietro, battendo malamente la schiena, ed emise un
grido biascicato.
I suoi amici
cominciarono a guardarsi intorno, spaventati e furenti, e due dischi identici a
quello che aveva fermato il tipo, li colpirono rispettivamente alla clavicola e
al ginocchio. Fu allora che, sentendo la sua risata, alzando istintivamente lo
sguardo in alto, vide la sua apparizione su di quel basso tetto, una figura
sinuosa dalle cui spalle calva un corto mantello che riprese al volo le armi
tornate indietro.
Si lanciò, e
notò dalla posizione da lei assunta, che doveva reggersi a qualcosa, forse un
cavo, che ne rallentava la discesa: un trucchetto in voga tra chi voleva
simulare abilità sovrumane o la capacità di levitare, e si ritrovò a sorridere
per averlo capito al volo; fu comunque bravissima. Si avventò senza timore
contro i due uomini, saltando a pochi cm di distanza, e colpendone uno con un
calcio che descrisse un cerchio nell'aria, e l'altro prima con un colpo di
palmo allo sterno, che gli fece buttare fuori tutta l'aria, e poi con una
velotutta l'aria, e poi con una veloio che lo stesero a terra.
Si girò
attorno, mantenendo la posizione difensiva, quasi si aspettasse un attacco a
sorpresa, cosa che non avvenne.
Notò anche lo
scintillio proveniente dai suoi occhi e pensò ad un paio di lenti per la
visione notturna. Tentò di tirarsi sù, solo per ricadere goffamente in terra.
Il mondo gli
girava tutto intorno, e si sentiva morire.
"Tutto
bene?" Chiese una voce preoccupata, e quando aprì gli occhi la vide china
su di lui. Parte del volto era coperto da una maschera che lasciava scoperto la
deliziosa bocca e disegnava la forma di un nasino delicato. Spuntavano fuori
delle ciocche bionde e un paio blu, così come blu era parte del costume, nero
per il resto.
Aveva anche
una cintura sulla cui fibbia era inciso il simbolo di un uccello in volo,
stivaletti sino al ginocchio e guanti al gomito, ai polsi due braccialetti e il
già notato mantello.
"Si...
io si... ma... aiutami ad arrivare da Phantom..."
"Aspetta,
vado a vedere io."
Si allontanò
e, dopo essersi chinata sul suo amico, si tirò su, sorridendogli.
"E'
ridotto peggio di te, ma sta bene, anche se fossi in voi, io andrei di corsa al
pronto soccorso."
"E'
quello che faremo..."
"Parola?"
"Si..."
"Come ti
chiami?"
"Uomo...
Uomo Rana.... e tu?"
"Blue
Bird."
"Bel
nome..."
"Grazie...
carini i vostri costumi, ma, credetemi, non mi sembrate molto tagliati per il
mestiere di vigilante."
"Ti
ringrazio..."
"Non
volevo essere offensiva," disse sinceramente e con voce
preoccupata." ma questa è una professione pericolosa. Non pensate
che sarebbe meglio lasciar perdere? Evitereste di dare una preoccupazione a chi
vi vuol bene."
Mentre gli
rivolgeva quelle parole, si era messa a legare tutti quelli svenuti, usando del
nastro estratto da un comparto della cintura.
"Mille usi, eh? Carina... comunque... so che non ci abbiamo fatto una
bella figura ma... beh... ora è meglio che io e il mio amico andiamo... grazie
ancora per averci salvato."
Si alzò, e
lei corse subito ad aiutarlo. Barcollò un po' appoggiandosi a lei, e si sentì
imbarazzato per quel contatto, anche se aveva indosso il costume.
Andò da
Phantom Rider, e anche questi si sollevò, tenendosi una mano al fianco.
"Come va?"
"Forse
un paio di costole incrinate..."
Disse
allegramente l’altro con voce soffocata.
"Grazie
per aver salvato il mio amico e me, signorina."
"Chiamami Blue Bird, Phantom Rider. Spero di che pensiate seriamente a
quanto vi ho detto, e vi ritiriate dalle scene."
"Questo
non ve lo possiamo promettere..."
Lei sorrise
dolce e comprensiva, e li salutò con un gesto. Scomparve in un vicolo e loro si
scambiarono un occhiata. Dopo essersi assicurati che i ricettatori che avevano
cercato di prendere erano ben legati, chiamarono la polizia, e si trascinarono
via molto lentamente, in cerca del più vicino pronto soccorso.
Un edificio abbandonato a Chelsea - Martedì ore 11.00 p.m
Parcheggiò il
furgone a proprio davanti la vecchia palazzina a 5 piani, risalente agli
anni'30. Non gli ci volle molto per raggiungere il nascondiglio, ormai si era
notevolmente impratichiti visto che ci era stato ben due volte, per studiare
eventuali sistemi di sicurezza, ma, come si era aspettato sin dall'inizio, non
aveva trovato nulla che non fosse alla sua portata.
"Pezzenti."
Commentò con disprezzo, pensando al pessimo lavoro che avevano svolto i suoi ex
occupanti per proteggere il loro covo.
"Non
meritavate tanto potere, mentre io saprò amministrarlo bene."
Tra il quinto
piano e il soffitto, vi era in realtà un sesto piano, costituito da una grande
intercapedine, costruita per rimediare ad un difetto di progettazione.
Vi si poteva
accedere da una rampa di scale, nascoste dietro un vecchio armadio, e veniva
originariamente usata come soffitta.
C'erano
alcuni macchinari diagnostici impolverati, un paio di computer, un televisore e
la cassa aperta con dentro il suo bottino.
"Neanche
la chiusura elettronica era un gran che! Ah, vecchio mio, mi sa che questa
volta vincerò io la nostra piccola scommessa e tutto questo perché tu hai il
vizio di far fare i tuoi lavori ad altri, mentre io me ne occupo sempre di
persona! Chi fa da sé, fa per tre!"
Prese tra le
mani l'oggetto di mesi di ricerche, e lo osservò soddisfatto.
Forrest Hill. Un parchetto per bambini. - Mercoledì ore 9.00. a.m
"Brava
amore della mamma." Disse con orgoglio M.J. mentre sua figlia le mostrava
quanto era brava ad arrampicarsi all'interno di una struttura di ferro
progettata per mettere alla prova i bambini. A dire il vero, qualcosa la
inquietava, forse, il recondito pensiero che fosse così brava per via del
retaggio paterno.
Cercò di
cacciare subito quel pensiero, indietro e fece un cenno d'assenso a Kristy che
la stava osservando da vicino, attenta che non cadesse; da qualche giorno, sua
cugina era venuta a stare da lei, ed era stata una mano santa sia per lei che
per zia Anna, che ormai cominciava a risentire della sua età. Inoltre May aveva
mostrato di avere un feeling particolare con Kristy e vicaversa. Quest'ultima
sembrava molto più responsabile di qualche anno prima, quando era venuta a
stare per la prima volta con lei e Peter, ed ora era uscita dai suoi problemi
alimentari e psicologici, riprendendo con profitto gli studi.
Lei si
sedette sulla panchina, accanto a Martin che guardava sorridente la scena della
piccola.
"Accidenti!
E' una vera acrobata tua figlia! Ma da chi ha presto?"
"Una
volta mi dissero che avevo dei lontani zii che lavoravano come acrobati al
circo Barnum."
Martin rise.
"Io dico
che ha tutta la grinta della mamma."
"E
dovresti conoscere il padre."
"Non ne
dubito! Se è riuscito a fare innamorare pazzamente una tigre del jetset come
te! Ti ho mai detto che sono un ammiratore del suo lavoro come fotografo?"
"No,
questa mi suona nuova."
"Ho il
suo libro, web a casa mia. A proposito, quando torna, non è che potresti
chiedergli di farmici un autografo sopra? Sai, mio figlio Hugh è un fanatico
dell'Uomo Ragno."
"Davvero?"
"Si, lui
e Thor sono i suoi eroi del cuore. Se gli portassi un autografo del fotografo
numero uno del tessiragnatele, impazzirebbe dalla gioia. Oggi quella peste
andava con la madre a trovare i nonni, e mi ha buttato giù dal letto alle sei
perché era così entusiasta all'idea da non esser riuscito a dormire tutta la
notte. Elly era distrutta, e mi ha detto che se quando viene a stare con me gli
faccio ancora bere bibite con la caffeina, mi ucciderà personalmente."
"Tu e la
tua ex moglie siete in buoni rapporti?"
"Uhm?
Ah, si, beh, non splendidi ma diciamo che con il tempo abbiamo superato
parecchie divergenze, ed ora ci detestiamo cordialmente. Se ora abbiamo una
parvenza di rapporto civile lo dobbiamo a nostro figlio, e per lui che l'abbiamo
fatto. E poi Elly è una madre amorevole e meravigliosa, quando Hugh è con lei
mi sento sempre tranquillo, e so che non gli manca niente. Anche se è una donna
in carriera, riesce sempre a dedicargli tutto il tempo e le attenzioni di cui
ha bisogno, e non è affatto semplice la cosa per lei: la rispetto molto, e
questo mi aiuta a superare alcuni contrasti che ho con lei."
"E' da
molto che vi siete separati?"
"Il
divorzio è arrivato sei mesi fa, ma ci siamo separati da anni, un anno dopo la
nascita di Hugh per essere precisi. Credo sia stata la cosa migliore che
potessimo fare, e prendemmo la decisione di comune accordo. Comunque, delle
volte mi chiedo se invece non sia stato peggio: il nostro bambino è un ometto
forte e coraggioso, un vero angelo, ma magari, dentro di sé, sta malissimo per
questo e non ce lo vuole dire per non darci un dispiacere."
"Però
voi siete separati da quando lui era piccolissimo, magari, ha accettato la
cosa."
"Non lo
so, penso che gli adulti diano troppe cose per scontato riguardo i bambini, e
dimenticano che non sono stupidi. Hugh si rende benissimo conto che la sua è
una famiglia particolare, anche se non ne afferra pienamente i perché."
Martin Savery
sospirò, e si estraneo per qualche secondo, quasi con la mente stesse andando in
un altro posto.
"Comunque,
mi fa piacere tu mi abbia chiamato per fare colazione M.J., a dire il vero, in
questo periodo ho davvero bisogno di stare con i miei amici, e, anche se ci
conosciamo da poco, sento di poterti considerare tale. Mi dispiace solo che
finora non abbia avuto occasione di conoscere meglio tuo marito, quelle poche
volte che sono riuscito a vederlo mi ha dato l'impressione di essere una gran
bella persona: sai, ha uno sguardo pulito e sincero, e un suo umorismo
accattivante che riesce a metterti a tuo agio; è ancora in Europa per
lavoro?"
"Si, ma,
spero torni presto. Dipenderà... da quanto durano gli incontri a cui
partecipa."
"Certo,
essere sposata ad uno scienziato deve essere emozionante."
"Direi
anche di più." Disse Mary Jane voltandosi per guardarlo negli occhi. Era
un bell'uomo, sulla quarantina, capelli neri tagliati corti e pettinati
all'indietro in una pettinatura retrò che però gli donava molto, aveva grandi e
luminosi occhi verde scuro, folte sopraciglia anche esse nere, carnagione rosea
e una pelle ancora liscia e tesa, lineamenti un po' marcati, ma non privi di un
loro fascino virile che aveva incantato più di una donna, un fisico ancora
atletico e aitante. Martin era un considerato ancora un partito molto
appetibile, ma, nonostante non nascondesse di aver avuto diversi flirt, era una
persona molto riservata sul lato sentimentale, e comunque aveva la fama di
essere un vero gentiluomo, al punto che si era sempre rifiutato di fare i nomi
delle sue amanti.
Aveva la
capacità di tranquillizare il prossimo e modi schietti e semplici, che davano
l'idea di una persona molto onesta e di grandi principi morali.
M.J. lo aveva
cercato perché anche lei aveva bisogno di un amico, e in Martin lo aveva
sicuramente trovato.
Laboratorio di Ricerche. Mercoledì ore 10.00 a.m.
Accese il
monitor e iniziò ad immettere i dati che le era stato chiesto di inserire: le
sue dita volavano leggere sulla tastiera, mentre la mente, volava altrove; aveva
un esame molto importante a breve e Rachel le aveva ingiunto di dedicarsi allo
studio, altrimenti quella sarebbe potuta divenire la sua prima macchia su un
ottimo curriculum universitario.
"Senti,
posso anche capire che tu stia ancora sotto per lui," l'aveva
rimproverata con grande affetto e decisione. "Ma il tuo Peter una vita,
una carriera, già ce le ha. Pensa pure a lui, se è questo che vuoi, il
masochismo non è reato. Ma per carità di Dio, Ilya, pensa anche a te stessa.
Quando non pensi di essere osservata, ti comporti come uno degli ultracorpi,
passando il tuo tempo a fissare il vuoto e rimuginare. Devi tornare alla
normalità, specie dopo quello che ti è accaduto a teatro. I tuoi genitori sono
molto preoccupati e qualche giorno fa mi hanno telefonato per parlarmi e
chiedermi come stavi veramente. Dicono che ti comporti in modo strano con loro,
che ti sentono distante, che quando sono venuti a trovarti sembravi
un'altra."
"Rachel...
capisco la tua preoccupazione, e ti assicuro che al di là delle apparenze sto
studiando, e che sicuramente supererò quell'esame e anche con un bel voto.
Forse sono un po' strana, è vero, ma questo è solo perché sono ancora stordita
per quello che è successo a Brodway, e poi... quando mi sono risvegliata ho
saputo di quel mostro, dello Scorpione, e di quello che aveva fatto. Due mie
compagne d'università sono rimaste ferite, e per quanto ne so, poteva andare
molto peggio. Credo di essere divenuta un po' fobica, sento di aver paura ogni
volta che metto il naso fuori dall'appartamento..."
"Oh
piccola mia..." Rachel non resistette oltre, e l'abbracciò con disperata
tenerezza, stringendola forte a sé, finché quest'ultima non ricambiò la sua
dolce stretta."... solo Dio sa quello che hai passato, ma devi
cercare comunque di venirne fuori. Se vuoi, conosco una brava psicologa con cui
potresti andare a fare quattro chiacchiere, magari ti farebbe bene."
"
Rachel... oh, forse hai ragione..."
"Dimmi
la verità... c’entra anche il tuo Peter?"
"...si."
"Ilya...
è un uomo sposato e con una figlia, e sembra molto devoto alla sua famiglia.
Stai attenta... te l'ho già detto... questo tuo sentimento potrebbe costarti
caro in termini di sofferenza."
Due voci, la
richiamarono dai suoi ricordi, e cominciò ad ascoltarle automaticamente quando
sentì il nome di Peter Parker.
"Le sue
ricerche sui super conduttori, hanno condotto a risultati stupefacenti..."
"Si, ma
la sua lentezza nel procedere è esasperante."
"E' solo
molto prudente."
"Ed ora
sta partecipando a questo giro di incontri in Europa, e secondo me sta pensando
seriamente di lasciarci per accettare un offerta da qualche istituto
privato."
"Parker
ce lo avrebbe detto..."
"Lei è
troppo ingenuo, Glass, e confida troppo nella lealtà di chi non ce ne ha mai
dimostrata molta."
A parlare
duramente era stato il Dottor Reynold Malakov, mentre quelle che aveva difeso
Peter era Alfred Glass, il suo diretto superiore al progetto a cui stava
lavorando. Ilya non era un esperta in chimica e fisica, ma aveva intuito che le
ricerche sui super conduttori che stavano compiendo dovevano essere molto
importanti.
"Signorina
Anderson!"
Si voltò e
vide il responsabile del personale aggiunto Nick Grabber guardarla preoccupato.
"Le ho
detto di fare velocemente, ne prendo atto, ma se continua così li brucerà quei
tasti."
"Oh...
oh, mi scusi signore!"
"Non ci
si deve mai scusare quando si sta facendo il proprio lavoro, ma non vorrei che
lei si affaticasse troppo, del resto è tornata da poco da una lunga
convalescenza per motivi piuttosto seri. La prego, ora si prenda pure un quarto
d'ora di pausa e si beva un caffè, un the, o comunque si rilassi un poco,
d’accordo?"
Ilya, per non
destare sospetti, obbedì, ma le dispiaceva molto non poter continuare a seguire
quella conversazione.
Trastevere, Roma - Martedì ore 1.15 a.m.
Nessun
movimento sospetto proveniva dalla palazzina e si chiese se Quest fosse ancora
lì. Con il lavoro che faceva doveva essere uno che si spostava spesso, e quanto
accaduto alla sua base nei pressi di Lisbona, doveva averlo messo ulteriormente
in guardia.
Si mosse,
scivolando tra le ombre, per cambiare punto d'osservazione...
Fu molto
rapido, e solo per un istante non colpì la figura avvolta nel mantello che fino
a poco prima l'aveva spiato dal tetto di una palazzo antistante.
"Bravo
ragazzo, quasi quasi mi acchiappavi..."
"Bene,
vedrò di rimediare al prossimo giro. Sono felice di sapere che parli la mia
lingua..."
"L'ho
imparata molto tempo fa."
Il suo
accento suonava strano, ma non dette molto peso a quel fatto.
L'uomo, alto
un metro e settanta, indossava un paio di pantaloni aderenti, che sembravano di
pelle nera lucida o un materiale molto simile, una camicia nera con le maniche
lunghe larghe sulle braccia e strette ai polsi con dei volà al collo su cui
stava una spilla ornamentale di forma circolare, un gilet dall'identico colore,
una mantella che scendeva fino alle ginocchia, una cintura con una fibbia
argentata, così come le torque ornamentali con cui teneva fermo il mantello, la
bocca coperta da quello che pareva un passamontagna su cui posava una maschera
dotata di lenti scure, una folta massa di capelli neri che gli cadevano lungo
la schiena, guanti che coprivano le mani e un bastone con la testa di lupo
stretto nella destra.
Parlò con
voce melliflua e amichevole.
"Stai
fraintendendo le mie intenzioni, Uomo Ragno."
"Mi
conosci?"
"Certo:
non c'è una sola persona che non ti conosca qui in Italia."
"E come
fai a sapere che sono l'originale?"
" Ho
visto alcuni filmati in tv, so come ti muovi, e poi ti ho parlato in inglese e
tu mi hai risposo con uno spiccato accento newyorkese..."
"Io dico
che sei uno dei tirapiedi di Quest..."
"Ti
ripeto che stai facendo..."
Perse per un
attimo di vista l'Uomo Ragno, e, solo grazie alla sua esperienza, immaginò cosa
stesse per accadere, saltando di lato evitando così l'attacco a sorpresa che
questi gli aveva preparato.
Si muoveva
molto più velocemente di una persona normale, con riflessi e coordinazione
strabilianti, senza contare che sul piano della mera forza fisica lo
surclassava decisamente.
"Amico
mio, mò m'hai fatto girà li cojoni... voi vedè chi è più bravo? E t'accontento
subito."
L'Uomo Ragno
non aveva capito cosa avesse detto, ma capì benissimo quello che accadde pochi
istanti dopo.
Era stato
veloce, e gli si era portato a pochi cm di distanza arrivando persino quasi a
sorprenderlo. Colpiva con il bastone usando colpi stretti, che
sfruttavano la rotazione del polso combinata a quella di bacino e gambe,
bloccando l'arto in modo tale da farlo sferzare come un ventaglio. Si abbassò,
si girò di lato, ma non poté evitare d'essere preso alla mascella e al braccio
sinistro da un paio di colpi che gli strapparono un lamento di dolore e rabbia.
Cominciò a
ricambiare, e il loro si trasformò in un balletto a due, dove nessuno si
preoccupava di parare, ma venivano portati attacchi a ripetizione che spesso si
annullavano tra di loro. La maschera colpiva punti estremamente dolorosi per il
ragnetto, che però riuscì a piazzargli un pugno in pieno volto, ma quello,
assecondò il colpo, cedendo all'indietro, ed eseguendo un atterraggio da
manuale e, sfruttando la spinta, rotolò su di sé, rimettendosi subito in piedi
e tornando all'attacco.
Colpì con il
bastone. L'Uomo Ragno parò usando il senso di ragno, ma l'altro ne approfittò:
insinuò il braccio libero come un serpente tra le difese dell'avversario. Con
la mano, lo spinse verso il suo stesso fianco in modo da controllarlo e nel
frattanto liberò l'arma con la quale colpì violentemente la tempia dell'eroe,
provocandogli un fortissimo senso di svenimento al quale però si oppose con
tutto sé stesso.
L’Uomo Ragno
avvertì, contemporaneamente, un dolore al ginocchio, che aveva piegato appena
in tempo alzando la gamba, così che non venisse rotto dal calcio intrusivo
obliquo che quello aveva cercato di assestargli. Provò a contraccambiare con un
calcio ma commise un enorme sciocchezza, perché si trovava troppo vicino, e non
sortì l'effetto desiderato ma anzi, lo espose ad un altro attacco che quello
portò colpendogli la coscia con un poderoso pugno.
L’Uomo Ragno
strinse i denti, e saltò all'indietro per allontanarsi, poi, si proiettò in
avanti con l'accelerazione di una moto sportiva e portò il suo avversario sul
tetto di fronte. Questi rotolò diverse volte, cercando di assorbire al meglio
l'impatto, e quando si riebbe, sentì una scarica di pugni abbatterglisi contro,
e, solo facendo appello alla sua volontà, riuscì a coprirsi usando il suo
mantello al titanio polimerizzato. Ne approfittò per arrotolarglielo intorno
all'avambraccio, poi se lo sganciò rapidamente di dosso, facendolo cadere per
la sorpresa. Lo superava anche sul piano della velocità, ma era stordito per
via della botta in testa e quindi non doveva dargli il tempo di riprendersi.
Caricò un colpo che si abbatté con forza sulla sua testa, colpo che avrebbe
diviso in due un melone, ma che il teschio dalle ossa potenziate
dell'arrampicamuri, assorbì per la maggior parte.
Lo
sconosciuto lo colpì con una ginocchiata in pieno volto, e poi con la punta del
bastone, vicino al plesso solare, provocandone lo svenimento.
Riaprì gli
occhi, e tossì, mentre sentiva il sapore del sangue misto alla saliva nella sua
bocca.
La nera
figura era appollaiata sul parapetto del tetto e lo fissava immobile.
"Ok...
se avessi voluto farmi fuori... l'avresti potuto fare mentre ero svenuto."
"Sei
molto bravo nel combattimento, e mi sei superiore fisicamente ma ti sei
trattenuto troppo, esitando quando avresti dovuto attaccare, e attaccando
quando avresti dovuto studiare..."
"La cosa
non si ripeterebbe... lo sai?"
"Probabile,
anche se non ne sarei così sicuro fossi in te. Nel corpo a corpo, come avrai
avuto modo di notare, non sono così male."
"Decisamente..."
"Possiamo
parlare civilmente?"
"Con
piacere. Non lavori per Quest, ma lo conosci?"
"Lo sto
tenendo d'occhio da quando i miei informatori mi hanno detto che si trovava
qui. Ma quel posto è una fortezza, e non è semplice introdurvisi. Ho saputo che
sei stato tu a creargli un bel po' di problemi a Lisbona."
"Ma
leggete tutti la gazzetta dell'Uomo Ragno per caso?"
"La
leggono in molti."
"Che
cosa?"
"Si, è
un simpatico giornalino per bambini."
"Oddio...
devo decidermi a depositare i diritti d'autore sul mio nome... diventerei
milionario rapidamente. Scusami per prima, ma ultimamente sono un po' sotto
pressione e poi... siccome mi stavi spiando da un po'... ho creduto fossi uno
degli uomini di Quest."
"Colpa
mia, avrei dovuto avvicinarti apertamente e subito."
"Ci
siamo chiariti. Ma chi sei?"
"Rugantino."
L'Uomo Ragno
fissò il formidabile guerriero che continuava a stagliarsi immobile contro il
cielo notturno.
Fine
dell'episodio.
Un grazie di
cuore a quanti hanno collaborato per rendere possibile l’uscita di questo
numero: F. Webley e V. Pastore.
Un grazie di
cuore a chi mi ha dato un motivo per scrivere questo racconto: ovvero chi mi
legge.
Un grazie di
cuore a tutto il sito che mi ha dato l’occasione di scrivere dei racconti:
Marvelit sei grande.
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