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Uomo Ragno  #51.

 

 

Vacanze Romane. Part I I

 

 

Di Yuri N. A. Lucia.

 

 

Trastevere, Roma - Martedì ore 1.00 a.m.

 

 

In giro ora c'era meno gente, e questo gli aveva permesso di cambiarsi in un oscuro vicolo nei pressi di P.zza Trilussa. Aveva lasciato i suoi vestiti nello zainetto, attaccato con un po' di tela ad un sottotetto in legno di una vecchia palazzina. Saltando da un edificio all'altro si era avvicinato in fretta a Palazzo Falconieri, tenendo sempre sulla sua sinistra il Ponte Garibaldi e, più in giù, la sinagoga del ghetto, ed ora lo poteva guardarla ad una settantina di metri di distanza. Estrasse il binocolo che aveva comprato e cominciò ad osservare le finestre, senza però risultati apprezzabili: era tutto buio.

Sentì il verso di alcuni gabbiani che volavano al di sopra del Tevere, e per alcuni istanti la sua attenzione venne catalizzata da quello spettacolo a cui non avrebbe mai pensato di assistere nell'Urbe Eterna.

Quando si era reso conto che il Tevere in quanto inquinamento faceva concorrenza all'Hudson, aveva provato una specie di morsa al cuore: gli doleva sapere che nel cuore di una città così bella vi fosse quello che considerava un orribile sfregio della civiltà moderna. Ricordò quando era piccolo, dopo aver scoperto il Signore degli Anelli, di essersene appassionato così tanto che zio Ben e zia May gli regalarono tutte le altre opere di Tolkien e, in una di queste, c'era nella prefazione scritta dall'autore medesimo, un violento attacco contro la civiltà tecnologizzata: sempre più tecnologica e sempre meno civile. Secondo quello, il progresso stava instradando l'uomo verso un futuro senz'anima e senza speranza. Non condivideva quel pensiero, visto il suo amore per la scienza che lo accompagnava sin da quei lontani giorni e la sua fiducia in essa come mezzo di riscatto dell'Uomo dalle molteplici miserie che l'affliggevano, ma lo considerava comunque un monito che doveva far riflettere sulle conseguenze di certe scelte, e sul fatto che il potere a disposizione della razza umana cresceva ogni giorno di più e necessitava di maggior responsabilità nella gestione.

Osservò i bianchi uccelli che si abbassavano in cerca di cibo tra i rifiuti e si figurò orde di ratti che, muovendosi veloci tra le pietre e l'acqua, fuggivano squittendo infastiditi.

La città giaceva sotto un manto di luci d'avorio e gialline, quasi si fosse staccata dalla realtà e nuotasse in una visione di sogno e pensò che era molto diversa dalla Roma mostratagli dal gentile Romeo durante il giorno, avvolta in un luminoso trionfo di marmi bianchi e pietra grigia, quasi quella città avesse due anime.

 

Si erano scambiati volentieri i numeri di cellulare, e anche se il ragazzo era molto più giovane di lui, ci si era trovato benissimo: era una persona divertente ed estremamente cortese, buffa ma anche a conoscenza di tante storie divertenti da raccontare. Dopo aver deciso di pranzare insieme a quella che senza mezzi termini Romeo aveva definito essere una "bettola semi nascosta e al di fuori di qualsiasi criterio sanitario comunitario", e dopo aver mangiato i più buoni spaghetti della sua vita, si diressero dalla zona di Tor Pignattara, dove era sita, verso il centro, scendendo con l'autobus estremamente affollato e maleodorante, alla stazione Termini e da lì mossero a piedi verso Piazza Barberini. Il percorso organizzato da Romeo comprendeva una visita all'inquietante e pittoresco Ossario dei Cappuccini, un salto alla famosa Fontana di Trevi scolpita forse dal Bernini, come gli spiegò lui, quello che era considerato il più importante architetto - scenografo del barocco capitolino.

Nonostante il suo bersaglio principale rimanesse Palazzo Falconieri, che sapeva essere uno dei rifugi segreti di Quest, non poté far a meno di cedere al fascino dell'escursione tra quelle vetuste vie, e, in sandali aperti, calzoncini color cachi e t-shirt in cotone bianca, si lasciò trasportare e conquistare dall'atmosfera della Città.

Romeo, che parlava in buon inglese, anche se l'accento italiano si faceva sentire in più di un’occasione, gli raccontava dei palazzi, delle piazze, delle fontane e degli aneddoti legati ad ognuna di esse, mentre gli spiegava la filosofia di vita e il carattere di quello che chiamava l'estinto popolo romano.

"Ormai i così detti romani non esistono più da decine di anni. La capitale è stata la meta di numerose migrazioni dal sud dell'Italia ma anche dal resto del centro durante lo scorso secolo, e già negli anni '50 c'era chi cantava malinconicamente del cambiamento ormai palese a tutti. Se dai un occhiata ai cognomi sui citofoni ti renderai conto che quelli dall'origine romana, sono un esigua minoranza. Roma è una città prevalentemente di calabresi, poiché è da lì che sono venuti i flussi migratori più ingenti. San Lorenzo è l'emblema di questo fenomeno: la sua storia come quartiere nasce quando vi vennero costruiti gli alloggi per gli operai della fabbrica della Peroni e per quelli delle ferrovie, tutta gente che veniva da fuori. I romani de sette generazioni, per usare un termine molto amato da questa città, che vuol dire di sette generazioni, non esistono quasi più."

"Davvero? E tu? Anche tu hai origini non romane?"

"Almeno in parte, e comunque come ormai tutti. Il mio cognome è Doria, e deriva da quello del ramo dei Doria - Pamphili, una famiglia del patriziato romano all'epoca dei papa re."

"Ah, allora sei un nobile!"

"No! Ehehehe, assolutamente no. Mi ero divertito a fare una piccola ricerca sulle mie radici qualche tempo fa, e ne venne fuori che l’antenato capostipite della mia famiglia fosse caduto in disgrazia in seguito a violenti litigi con il patriarca dei Doria - Pamphili nel 1680; fece la bella vita per un po', dopo essere stato interdetto dai beni di famiglia, grazie ad alcuni risparmi personali ma non era molto cauto nell'utilizzare il danaro, né molto abile nel farlo fruttare e finì i suoi giorni in miseria.

I suoi due eredi non gli furono da meno e si ridussero ancora di più in povertà, per quanto fosse possibile, e Marcello, il nostro capostipite, dette alla luce un figlio, Aurelio che divenne addirittura un brigante."

"Un cosa?"

"Scusa, anche questo è un termine italiano: un criminale, un rapinatore che derubava i ricchi o i mercanti che si avventuravano lungo le strade che portavano fuori o verso Roma, e lui era specializzato nella sua quasi omonima, l'Aurelia, una così detta strada consolare, agendo all'altezza di Cerevetus, nei pressi del mare, verso il Lazio del Nord; la sua carriera fu lunga e divenne una vera e propria spina nel fianco delle autorità papali che non riuscivano a mettergli le mani addosso. Oltraggiò persino degli alti prelati, che durante i loro viaggi divennero le sue vittime. Si dice che il Sommo Pontefice, piuttosto seccato, istituì un corpo speciale che aveva il compito di catturarlo."

"E ci riuscirono?"

"Ah si! La speciale squadra dei Dragoni papalini lo prese, e venne impiccato sulla pubblica piazza,  e per intenderci era piazza del Popolo. Vennero persino da fuori per vedere l'impiccagione del flagello dei preti, così lo chiamavano. Ma aveva tre eredi, Alfredo, Mariano e Cassiodoro, quest'ultimo mio avo, che continuarono la tradizione da lui iniziata, anche se in altre zone e con meno successo del loro celeberrimo padre."

Raccontò altre storielle del genere ed episodi divertenti che avevano contraddistinto i suoi antenati, facendo ridere Peter più volte.

Romeo aveva 17 anni, ma sembrava molto maturo per la sua età e, nonostante il look un po' aggressivo, era estremamente educato e aveva modi molto amichevoli.

Peter gli raccontò di sé e del suo lavoro, poiché proprio mentre andavano a pranzare, il ragazzo l'aveva riconosciuto dicendogli:

"Hey! Con la barba di un paio di giorni e i capelli un po' più lunghi non l'avevo capito subito! Ma tu sei Peter Parker! L'autore di Webs!"

"Beccato! Sono proprio io." Rispose un po' imbarazzato ma anche lusingato per essere stato riconosciuto dopo un po' che era uscito quel libro.

Gli fece molte domande, chiedendogli quanto fosse pericoloso il suo lavoro e quanto lo fosse vivere in una metropoli come New York. Chiese anche dell'Uomo Ragno e gli disse che per lui era un vero mito e lo considerava un grandissimo eroe. Con sorpresa di Peter, gli mostrò un tesserino di membro del fan club romano dell'U.R.

"So che in America è dipinto quasi fosse una specie di criminale senza scrupoli, e che è proprio il giornale per cui lavori che porta avanti questa tesi diffamatoria."

"Ma tu non gli credi?"

"Ho un cervello, ringraziando iddio, e cerco di non farmi influenzare troppo dai media, e poi, non sono l'unico a pensarla così: nel web ci sono diversi siti di informazione super eroistica, e ti assicuro che parecchi di essi difendono a spada tratta il tessiragnatele, che tra l'altro qui da noi ha sempre goduto di una grande popolarità."

"Davvero?"

"Uh uh! In generale, negli ultimi cinque anni, è scoppiata una vera mania per i Super eroi americani. Guarda lì."

 Indicò un cartellone pubblicitario e Peter vide che c'era Iron Man intento a gareggiare al fianco di una fiammante Ferrari.

"Cosa c'è scritto?"

"C'è solo una testa rossa più veloce della nostra. Quello è il nuovo modello Testa Rossa Iron Man, dedicato al vostro vendicatore."

"Non lo sapevo!"

"La Ferrari ha fatto una  proposta a Tony Stark, utilizzare la sua guardia del corpo in cambio di una grossa somma: lui ha accettato in cambio della promessa che il danaro fosse invece devoluto interamente in beneficenza, e anche perché è notoriamente appassionato delle auto del cavallino. Quando era ancora vivo Enzo Ferrari, fece di tutto per conoscerlo personalmente, e ha dei buoni rapporti con l'attuale presidente della casa modenese. Non è comunque l'unico che si sia prestato a campagne pubblicitarie a scopo benefico; Capitan America, accettò di farsi riprendere per un messaggio contro l'uso di droghe, Wasp per la campagna alla prevenzione sull'AIDS, e potrei farti almeno altri centinaia di esempi."

"Ma io credevo... che aveste problemi con chi possiede capacità fuori dal comune..." Si limitò a dire Peter, mantenendosi sul vago. Voleva sentire cosa ne pensasse Romeo sulla situazione mutanti in Italia.

"Fai riferimento a Calcagallo?" Rispose tristemente, assumendo improvvisamente un aria costernata e preoccupata." In Italia i problemi non sono tanto con i cosiddetti Paraumani, ovvero coloro i quali hanno acquisito speciali capacità grazie ad eventi fortuiti o ad esperimenti: tra l'altro, proprio ora abbiamo due super gruppi italiani ufficiali, Gemini e Squadra Italia; i problemi ci sono con i mutanti."

"E perché?"

"Perché nascono così,  mentre il paraumano ci diventa. Quest'ultimo viene percepito come uno della massa che acquisisce incredibili poteri e simboleggia un po' quell'occasione di riscatto da un vita comune da cui un po' tutti sognano di evadere."

Peter sorrise amaramente, pensando che spesso si era sentito così: come qualcuno che per quanti pesi avesse sulle spalle, aveva avuto la fortuna di poter vivere esperienze eccezionali; Romeo, dopo una breve pausa, continuò.

"Ma un mutante? Esso è il prodotto di uno spartiacque genetico attualmente in corso: forse provocato dall'Uomo stesso, o forse da sempre destinato a verificarsi... chissà? Certo, oggi i mutanti non sono una razza, perché rimangano pur sempre umani ma, la caratteristica di una specie è essenzialmente quella di potersi riprodurre, trasmettendo i propri caratteri agli eredi genetici. Anche la nostra razza è frutto di una lunga catena evolutiva in cui si sono verificate delle mutazioni..."

"E solo i rami in cui si erano verificate delle mutazioni favorevoli andavano avanti..."

"Contribuendo a generare quello che noi siamo."

"Dici che succederà la stessa cosa per i mutanti?"

"Perché no? Probabilmente, generazione dopo generazione, si formeranno diverse specie umane, che è l'inverso di quello accaduto millenni addietro."

"Parli del Neanderthal e del Cro Magnon."

"E di tutte le altre specie umanoidi scoperte di recente, e non dimenticarti che alcune di esse non sono state sterminate dalla furia dei nostri antenati."

"L'homo mermanus..."

"Noi, i discendenti della specie predominante, abbiamo ancora le mani lorde del sangue di cui si macchiarono nella lotta al dominio della Terra... forse istintivamente, ci aspettiamo che i mutanti, futuri progenitori di nuove specie, facciano lo stesso con noi, o semplicemente vogliamo assicurarci il predominio biologico del pianeta, evitando il verificarsi di un simile evento."

"Quindi per te, questo odio per i mutanti, ha addirittura origini inconsce, ed affonda le sue radici nella nostra memoria atavica?"

"Perché no? Che il D.N.A. registri esperienze e codifichi comportamenti in atteggiamenti istintivi, lo si sospetta da tempo e l’ipotesi è tutt’altro che inverosimile ormai: la nostra paura del buio, ci deriva da quegli antenati che dovevano sfuggire a predatori in maggior parte notturni; così come la nostra paura dei rettili è il retaggio del periodo in cui questi dovevano essere decisamente più forti dei mammiferi. Potrei andare avanti per ore e citarti esempi simili."

Peter gli sorrise compiaciuto.

"Ti intendi di biologia?"

"Mi interesso di genetica... forse, studierò questo all'università. So che ora ti dedichi a tempo pieno alla ricerca! Sei uno scienziato!"

"Si, anche se devo ancora terminare il dottorato, cosa che voglio fare al più presto. Ma non mi hai detto una cosa importante..."

"Dimmi."

"Tu, che ne pensi dei mutanti?"

"Sono persone come le altre, ma è difficile per l'uomo comune accettare che potrebbero essere quelli i cui figli rimpiazzeranno i loro. Inoltre ci sono alcuni mutanti che non facilitano le cose: come al solito le voci dei più esagitati prevalgono su quelle dei ragionevoli."

"Ho sentito parlare di due movimenti..."

"Fazione Umanità e Nazione Mutante: i primi sono stati coinvolti in uno scandalo riguardante la produzione di armi antimutanti di cui sarebbero in possesso, armi, si sospetta anche se non ci sono le prove, originariamente commissionate dai passati Governi per la prevenzione di una loro eventuale rivolta. I secondi invece, hanno iniziato come movimento per la difesa dei diritti dei propri simili, ma ora sono implicati in azioni di sabotaggio ed incitando apertamente alla distruzione del genere umano."

Continuarono a parlare per ore, mentre passeggiavano ed ammiravano le bellezze della città.

 

 

L'Uomo Ragno continuava a stare in attesa, sperando che presto accadesse qualcosa di interessante: non voleva ancora provare ad introdursi nel certo sorvegliatissimo palazzo, non senza prima saperne qualcosa di più; desiderava non sprecare l'occasione di prendere Quest di sorpresa, nella speranza che quella fosse l'occasione giusta per assicurarlo alla giustizia. Si trovò a riconsiderare la lunga catena di eventi che lo aveva portato sin lì, partendo dalla guerra della famiglia criminale Jong per imporsi sulla malavita newyorkese, passando per la lotta con lo Scorpione che lo aveva segnato a vita, sino all'incontro con il P.H.A.D.E. e la missione in Portogallo. La pausa scozzese gli aveva fatto bene, dandogli modo di riflettere sulle sue azioni: certo, Rucker gli aveva consigliato di collaborare con l'organizzazione, almeno al momento, però non gli aveva detto di accettare proposte che andavano contro ogni suo principio morale, cosa che invece aveva fatto nella foga di poter fermare quello che aveva inconsciamente additato come responsabile di quanto accaduto nella sua città.

Aveva sviluppato una sorta di ossessione maniacale per quell'uomo, aumentata a dismisura dopo il loro primo incontro, e si chiese, per la prima volta, se non fosse quello che provavano i suoi numerosi nemici nei suoi confronti.

Era così che Octopus, l'Avvoltoio, Electro e tutti gli altri occupavano le loro giornate? Organizzandosi per prenderlo di sorpresa, per colpirlo dall'ombra senza lasciargli via di scampo... dopo tutti quegli anni passati per la strade, era divenuto simile a loro a furai di averci a che fare?

Guardò una delle mani guantate, e pensò che forse ultimamente l'Uomo Ragno aveva preso per troppo tempo il sopravvento sopra Peter Parker, spezzando quell'equilibrio che si era venuto a creare nel corso degli anni.

Ma cosa gli era successo? Si chiedeva quasi con disperazione: era  quanto accaduto dopo la battaglia con Gargan?

Che Darion avesse ragione? Che ci fossero davvero entità immateriali all'opera dietro tutto quello che gli era capitato e che il rapporto con esse fosse drasticamente cambiato dopo la sua esperienza al limite della morte... o forse era quel sospetto mai del tutto fugato... forse era stato l'aver ucciso con le proprie mani lo Scorpione ad aver avviato tutta quella serie di eventi.

Gli sembrava di sentire ancora le insinuanti parole dello Stregone dei Ragni:

"Il tempo di decidere verrà prima di quanto tu possa immaginare, e allora dovrai essere in grado di fare la cosa giusta.... ma ci riuscirai? Io so la risposta, io c'ero, ho visto tutto... so come andrà a finire... ma non te lo dirò ora.... sappi solo che tu mi hai già incontrato, svariate volte, e che arriverà il momento in cui ci rivedremo ancora... ho aspettato tutto questo tempo solo per potertelo dire, ma a sapevo di questo incontro... ricordati, quello che deciderai, cambierà per sempre te e il tuo mondo. .. scegli saggiamente!!! Ahahahahaahah..."

Cosa voleva realmente dire quell'avvertimento, e in che modo loro due erano legati?

Tornò a concentrarsi sull'edificio in cerca di segni utili alla sua missione.

 

 

 

Un istallazione segreta, da qualche parte nel New Jersey. Martedì, ore 3.20 'ca p.m.

 

 

"Allora, direttore Toninev, come procede il lavoro?"

La voce proveniente dallo schermo era calma e misurata come al solito, ma stavolta non era riuscita a trattenere una certa aspettativa che l'altro, segretamente divertito, si apprestò a non deludere, parlando però con l'abituale tono moderato:

"I risultati sono soddisfacenti, e tutti i reparti stanno lavorando a pieno ritmo. Il ritrovamento di due dei tre elementi transuranici sino ad ora teorizzati, ha provocato un accelerazione del nostro lavoro, tuttavia, consiglio di procedere con cautela, poiché l'eccessiva fretta e il troppo entusiasmo potrebbero essere fonte di problemi più avanti."

"Certamente, dottore, capiamo il suo punto di vista e, nutrendo in lei la massima fiducia, accettiamo il suo parere affidandoci ancora alla sua preziosa guida. Però capirà che dopo questi 12 anni, abbiamo, come dire, una certa ansia..."

"Comprendo anche, signore, che desiderato il compimento del progetto più di ogni altra cosa, e per far si che questo avvenga, dovrò ancora una volta fare a modo mio."

"Questo è fuori da ogni discussione: le ribadisco la nostra totale collaborazione."

"Bene, la farà piacere sapere che tra poco tempo potremo dedicarci ad un test vero e proprio sul prototipo attualmente in preparazione."

"Eccezionale!"

Non era riuscito a trattenere l'entusiasmo, provocando una risatina da parte di Toninev che invece manteneva, nonostante l'eccitazione interiore, un aria composta e anche un po' distaccata.

"Mi scusi dottore... continui pure."

"Non le posso però garantire il pieno successo... il ritrovamento del terzo elemento ci darebbe un margine superiore di probabilità di esito positivo."

"I nostri uomini sono alla sua costante ricerca..."

"A mio avviso, il loro lavoro dovrebbe concentrarsi nelle quattro aree indicate, poiché è molto probabile che si trovino là tracce di esso. Anche se si tratta di piccolissime quantità, potrebbero determinare una radicale svolta a tutto il nostro lavoro, e farci compiere un gigantesco balzo in avanti in poche settimane."

"Molto bene! La terrò informata sugli esiti delle nostre ricerche. Per ora la saluto e le auguro una buona giornata."

"Anche a lei."

Lo schermo tornò ad oscurarsi, mimetizzandosi di nuovo con la parete color crema. Toninev allungò i piedi su un apposito appoggio, acquistato di recente da un negozio di arredamenti a New York City considerato molto alla moda. Non gli importava niente se fosse trendy oppure no, ma dopo averlo provato, desiderò ardentemente possederlo tanto era comodo.

Poteva permettersi qualche ora di relax, anzi, doveva necessariamente concedersene, poiché sapeva di essere al limite delle sue possibilità fisiche.

Sentì il segnalatore acustico avvertirlo della presenza di un visitatore.

"Avanti."

Disse cortesemente, anche se gli dispiaceva non poco quell'intrusione durante la sua autoproclamata pausa.

"Dottor Toninev, signore, mi dispiace molto disturbarla."

"Oh Faunt, siete voi. Accomodatevi pure. Ecco, prendete quella poltrona, è estremamente comoda."

Enrick Faunt constatò che quanto detto era vero, e si sedette. Negli ultimi giorni, era rimasto stupito dal buon umore del suo superiore e sapeva che questo indicava una cosa: era ottimista sul risultato finale del loro lavoro.

"Mi scusi se mi permetto di importunarla qui, nella sua stanza privata."

"Non preoccuparti, e dimmi pure."

"Abbiamo finito di esaminare ora le reazioni ai bombardamenti beta e gamma a cui abbiamo sottoposto i campioni di Iperium ed Eterium; i risultati sono stupefacenti: c'è stato un incremento d'energia pari all'ottanta per cento, ben sette punti in più di quelli presupposti."

"Me ne compiaccio. Se avessimo anche l'Ultranium sono sicuro che potremmo persino raddoppiare tale risultato."

"I nostri finanziatori ne saranno contenti."

"Oh, lo sono, e rimangano anche molto impaziente, checché cerchino di farmi credere."

"Le hanno fatto pressioni, signore?"

"Me ne fanno sempre, in un modo o nell'altro, ma ormai so come prenderli."

"Non dovrebbero, visto che siamo così vicini al risultato che loro sperano."

"Un predatore diviene sempre impaziente, proprio un attimo prima di saltare addosso alla preda. E' quando siamo prossimi all'oggetto dei nostri desideri, che la tensione si fa sentire. L'importante, Faunt, e che a mantenere la calma siamo noi. So di avervi sempre chiesto molto, e che continuerò a farlo ancora nei prossimi giorni, forse chiedendovi anche di più: ma confido in tutti voi. Come sai, dalla dipartita del mio collega, il dottor Ostiditch, mi sono trovato privato dell'aiuto di una delle menti più brillanti e geniali mai esistite, e tutto ha gravato sulle mie spalle."

"Me ne rendo perfettamente conto, signore."

"Spero che continuiate così. Non dobbiamo mollare proprio adesso che quasi ci siamo."

"No! Non accadrà, ne stia pure certo."

I due uomini si scambiarono una stretta di mano in segno di intesa, e poi tornarono a parlare del loro amato lavoro.

 

 

New York City. Appartamento di Terenzio Oliver Rucker. Martedì ore 5.00 p.m.

 

 

 

"Si Pete, ho capito, passerò certamente da voi stasera. Si, si, non ti preoccupare, ora devo salutarti, ciao."

Riattaccò il telefono, e, dopo avergli dato un occhiata quasi a volergli dire, evita di suonare ancora, tornò a sedersi di fronte a Dean.

"Scusami, sai com'è..."

"Certo che lo so: il lavoro; l'ho imparato bene nel corso degli anni che hai vissuto con noi."

"Immagino."

"Ah, davvero? Immagini? Pensavo fossi sempre troppo occupato per accorgerti di qualcosa."

"Dean, ti prego..."

"Che c'è? Ogni volta che faccio accenno alla cosa, tu vuoi evadere il discorso, e lo fai perché rifiuti ancora di prenderti le tue responsabilità. Sei tu che mi hai invitato a passare un po' di tempo con te per parlare, ed io, ho accettato, prendendo momentaneo congedo dai miei impegni. Vedo che però la cosa non ti interessa più molto, perché da quando sono arrivato, siamo riusciti a parlare si o no un quarto d'ora, tra silenzi imbarazzati e le tue continue chiamate."

"Sei ingiusto, lo sai che non è facile per me."

"Neanche per me, e quando eri tu ad essere ingiusto con noi, non te ne sei mai curato troppo."

"Questo non è vero."

"Scommetto che ci credi davvero a quello che stai dicendo, peccato però che io ricordo una storia diversa da quella che sicuramente ti gira in testa. Andiamo papà, sono stanco di girarci intorno, sappiamo entrambi perché mi hai chiesto di venire qui: vuoi che faccia da intermediario tra te e la mamma."

"No! Non è questo Dean, te lo assicuro! Io voglio solo assicurarmi che le cose tra noi due inizino a funzionare."

"Le cose tra?... Oddio! Non ci posso credere! Ma che cosa stai dicendo! Quali cose tra di noi?! Tra di noi non c'è nessun rapporto e tu lo sai bene, specie dopo quanto è successo..."

Dean si bloccò all'improvviso, rendendosi conto di quanto stava per dire, e, per quanto rancore potesse provare per l'uomo che gli stava seduto di fronte, si rattristò nel vedere tutto il dolore e l'amarezza affacciarsi prepotentemente su quel viso che di solito sapeva così bene dissimulare le emozioni.

Rucker abbassò lo sguardo, incapace di guardare in viso il figlio, e sentì gli occhi inumidirsi. Rimasero senza dire nulla, per qualche minuto, poi il poliziotto prese un fazzoletto, e si asciugò le lacrime.

"Papà, mi dispiace, ma quello che tu vuoi da me, io non te lo posso dare. Posso solo dirti che se vuoi risolvere i tuoi problemi con il resto della famiglia, devi scomodarti in prima persona e parlare con la mamma. Non credo, in tutta onestà, che sia meglio disposta di me, ma credo sarebbe giusto tu almeno facessi un tentativo."

"Sono stato un così pessimo padre?" Chiese costernato l'uomo su cui improvvisamente, erano chiari i segni di anni di dolorosi traumi e rinunce, e in cui non era rimasta nessuna traccia dell'uomo saggio e pacato della cui esistenza era riuscito a convincere il mondo intero, sé stesso compreso.

"Non ho passato abbastanza tempo con te da poterlo dire. Ci hai sempre allontanati tutti, usando come scusa quella del tuo lavoro e dei tuoi incarichi pericolosi. La mamma la sentivamo piangere tutte le sere quando non c'eri, e anche quelle volte che le stavi al fianco, la vedevo sempre triste e malinconica. Con noi, eri sempre così freddo, ed era come se... come se noi non ti piacessimo."

"Oh per l'amor di Dio, Dean! Non dire questo! Non è assolutamente vero! Non lo è! Te lo giuro su tutto quello che ho di più caro, te lo giuro sulla mia vita!"

Dean lo fissò, con aria comprensiva, e disse in tono sommesso:

"Forse è così... ma tu non hai mai fatto niente per farcelo capire. Mi dispiace papà... non ho niente altro da dirti e credo sia meglio salutarci qui."

"Ti prego... rimani...."

"No. Ho una famiglia, delle responsabilità a cui far fronte e non posso dedicarti altro tempo. Addio, e abbi cura di te."

Il giovane si alzò, dirigendosi alla porta senza dirgli null'altro. Quando la sentì chiudersi, si portò una mano alla bocca, chiuse gli occhi e cominciò a piangere.

Pianse per diversi minuti, fino a farsi arrossare gli occhi, poi si alzò, andò in bagno, si sciacquò il viso e guardò nello specchio il volto dell'uomo che era diventato negli ultimi anni.

Si odiava per tutte le scelte sbagliate, per tutti gli errori commessi, per aver allontanato sua moglie ei suoi figli e per... Micky, sopratutto per lui.

Strinse i denti e si impose di ricacciare dentro il turbinio di emozioni che minacciava ancora una volta di rompere l'argine.

Non poteva tornare indietro, ma poteva ancora andare avanti, e questo avrebbe fatto: avanzare; Terenzio Oliver Rucker faceva questo da tutta una vita e non sapeva fare niente d'altro. Dopo quell'esperienza, dopo aver visto la morte in faccia personificata nello Scorpione, dopo aver visto quel ragazzo quasi brutalmente strappato ai suoi affetti e ai suoi cari, aveva sentito l'irrefrenabile desiderio di tentare ancora una volta di aggiustare le cose, pur sapendo che non sarebbe servito a niente e che forse, come effettivamente era successo, avrebbe persino peggiorato tutto.

"Coraggio Terenzio! Non è il tempo per piangere! Lo hai già fatto in passato e più che a sufficienza."

Andò al telefono, e chiamò il recapito che Kaine gli aveva lasciato.

"Ciao, sono io."

"Rucker? Come stai?"

"Bene."

Erano entrambi imbarazzati, forse per quello screzio avuto durante la storia dell'interrogatorio.

"Senti, vorrei parlarti al più presto. Come sta la famiglia di tuo fratello?"

"Sta bene, stavo proprio preparandomi ad andare da loro per una visita. Certo, per me parlarti va bene... quando?"

"Stasera dopo le 11?"

"Dove?"

"Vicino Central Park."

"Sta bene."

"A dopo."

"A dopo."

Chiuse la comunicazione e si andò a cambiare: Mansel e Scott aspettavano una sua chiamata, per sapere come regolarsi con il nuovo caso, mentre Perkins voleva assolutamente vederlo per motivi che solo lui sapeva. Lo aspettava ancora del duro lavoro, e, segretamente, ringraziò Dio che fosse così... non avrebbe saputo come sopportare altrimenti lo scorrere del tempo.

 

 

Al confine tra Harlem e l'Upper east side. Martedì ore 10.45 p.m.

 

 

Prowler avvertì un improvviso dolore al braccio e non riuscì a colpire il giovane teppista come avrebbe voluto e questi, accortosi della difficoltà in cui vessava, ne approfittò per raccogliere l'arma che poco prima, a causa di un calcio, gli era caduta di mano. Si preparò a colpire con la spranga, caricando un colpo che avrebbe messo a dura prova anche il nuovo elmetto del vigilante ma, quello che non aveva calcolato, era la presenza del misterioso uomo vestito con un costume bianco e rosso. Si mosse rapido, evitando una carica a testa bassa scavalcando l'avversario come se nulla fosse, usò lo slancio per per colpire la mascella del ragazzo e lo mandò a finire contro un paio di secchi dell'immondizia che si rovesciarono con gran fragore, provocando una fuga in massa di scarafaggi e topi.

Un altro fece ruotare sulla testa una catena, ma ancora una volta il ninja bianco, era preparato: estrasse un'asta telescopica e si limitò a sferzare l'ascella del malintenzionato che si lasciò cadere l'arma addosso, con spiacevoli effetti per la propria persona.

Nel frattempo Prowler si era ripreso dall'improvvisa fitta di dolore, e usò il lancia dardi pneumatico per somministrare una dose di sonnifero ad un paio di esagitati con il coltello, dopo di ché si esibì in uno dei suoi numeri migliori: la cortina fumogena. Questa dava a lui e al suo compagno un ampio margine di vantaggio, grazie alle speciali lenti installate sulle loro maschere. Si muovevano vedendo con relativa chiarezza le figure dei loro opponenti, e cominciarono a colpire rapidamente.

Hobbie eseguì una superba proiezione sfruttando le tecniche di Ju Jitsu che aveva imparato di recente, mentre l'altro colpì con una veloce sequenza di due calci Tae Kwan Do, mandando a gambe all'aria due che tossivano pesantemente per colpa del fumo.

Erano stati rapidi e precisi e quando l'innoquo gas si sollevò, tutto era finito.

"Siamo stati bravi."

"Discreti."

"Su via, quando un lavoro è ben fatto lo si deve riconoscere."

"Non sei tu quello che mi mette sempre in guardia dai pericoli dell'immodestia?"

"Certo, ma ogni tanto un uomo deve concedersi una pacca sulla spalla, altrimenti dove finisce l'autostima?"

I due si allontanarono, sentendo il suono delle sirene farsi più vicine, e si rifugiarono su di un tetto non molto lontano.

"Comunque non sono per nulla soddisfatto."

"E come mai fratellino?"

"Uno: continui ad accompagnarmi nelle mie ronde notturne quando sai che sono contrario."

"Temi che possa rubarti la scena? E poi lo sai che lo faccio per Mindy e i gemelli."

"Due: non abbiamo ancora trovato nessuna traccia del Demone e la cosa comincia a puzzarmi."

"Che vuoi dire?"

"Che se pensi a come agisce quel pazzo, è strano non aver sentito più nulla su di lui."

"Magari se ne andato via dalla città, o si è ritirato dagli affari."

"No, era troppo determinato Abe, troppo esaltato dal suo stesso zelo, quasi avesse una missione da compiere: quello non è tipo da mollare così."

"Allora forse è morto: magari lo ha beccato il Punitore o qualcuno come lui."

"Il Punitore non mi piace, ma se lo avesse fatto... beh, sarebbe come vincere alla lotteria... e comunque preferirei poterlo catturare e sbatterlo dietro una cella. Comunque quell'altro maniaco di solito perseguita i criminali e il Demone finora se l'è presa solo con loro."

"Non mi rimane che dirti quello che ti dico sempre queste notti: porta pazienza, vedrai che sarà lui a venire da noi, presto o tardi."

Prowler assentì, e poi si voltò, ascoltando l'eco di un grido che proveniva a qualche decina di metri di distanza, sotto per le strade.

"Ma in questa città i criminali non riposano mai?"

"Non c'è riposo per i malvagi, Abe."

"Neanche per gli eroi."

"Benvenuto nel mio mondo."

I due, usando i propri cavi, si lanciarono d'abbasso e la figura acquattata tra le ombre ripeté divertita:

"Porta pazienza Hobbie... porta pazienza..."

 

 

 

East Side. Martedì ore 11.00 p.m.

 

 

L'Uomo Rana eseguì un possente balzo, servendosi del suo nuovo sistema motorizzato che potenziava del dieci per cento le prestazioni dei suoi stivaletti: si alzò per oltre sette metri, ed atterrò ad una decina di metri da dove si trovava, catalizzando così l'attenzione dei giamaicani, che gli puntarono quasi immediatamente contro le loro armi. Per un istante, si ritrovò a raccomandarsi l'anima a Dio, ed invece, in un altro istante, si trovò ad esultare: Phantom Rider era comparso improvvisamente alle loro spalle, proprio come concordato, e lì colpì usando il taglio delle mani e i pugni, dando prova di avere una buona conoscenza del tang lang e della boxe da strada. Era piuttosto preciso nel colpire, e scompariva subito, strappando grida di rabbia ai criminali che si ritrovarono ad aprire il fuoco all'aria.

Eugene, approfittò della loro distrazione, per entrare a sua volta nel vivo dell'azione: si catapultò nel bel mezzo di quel gruppetto di cui erano rimaste in piedi quattro persone, e, buttatosi sulla schiena, attutendo il colpo grazie alla speciale imbottitura che aveva aggiunto, ne colpì un paio con un doppio calcio, mirando al ventre, e li fece compire un volo di diversi metri, mandandoli a finire in un magazzino vicino, dopo avergli fatto rompere una grande finestra.

"Ora t'aggiusto io, bastardo figlio di..."

L'uomo dalle trecce rasta, non potè neanche terminare la sua minaccia, perché venne rapidamente disarmato da Phantom che, bloccato il braccio, lo torse in modo estremamente doloroso finché non gli costrinse a lasciare l'arma. Purtroppo non riuscì a evitare l'altro, che gli agganciò il volto con un pugno così forte da mandarlo a un paio di metri di distanza.

Eugene si alzò, scattando come una molla, ma era rimasto sconvolto e perse la necessaria concentrazione indispensabile per agire rapidamente e fu il suo turno di prendersi un calcio nello stomaco. Quello che era stato disarmato, lo afferrò per la maschera con una sola mano, visto che l'altra gli doleva e con rabbia gli urlò:

"Ti piace giocare a fare il super eroe?! Eccoti un colpo speciale, eroe dei miei coglioni!!!"

Gli sollevò di scatto la testa e gli fece colpire il ginocchio: sentì mancargli i sensi, mentre qualcosa di caldo e viscoso gli cominciava a scendere copiosamente lungo il viso, impiastricciandolo tutto. Riuscì ad aprire un occhio, e vide Phantom che veniva preso a calci dall'energumeno che l'aveva assalito e da un altro tizio sbucato fuori all'improvviso, forse un loro amico giunto in quel momento. Sembrava che anche l'altro se la passasse male ed era troppo impegnato a tentare invano di proteggersi per aiutarlo. I due gli afferrarono il mantello, e lo usarono per legarlo, mentre stremato, l'argenteo combattente non riusciva a reagire.

L'Uomo Rana sentì un violento bruciore allo stomaco, e riconobbe la forma del ginocchio che tentava di sfondarglielo.

Sentì un disgustoso sapore in bocca e non riuscì ad ideare nulla di buono per uscire da quella situazione.

Era strano, pensò, come pur sapendo che quello probabilmente fosse il suo ultimo giorno sulla terra,  non provasse paura ma solo costernazione per l'idea di dare un dolore a suo padre e sua zia.

"Non ti preoccupare, ragazzino, il dolore sta per finire..."

Il sorriso sardonico dell'uomo, divenne una macchia rossa da cui partirono diversi denti che in parte schizzarono via e in parte finirono sulla testa di Eugene, che si ritrovò la maschera imbrattata dal sangue. Quello cadde all'indietro,  battendo malamente la schiena, ed emise un grido biascicato.

I suoi amici cominciarono a guardarsi intorno, spaventati e furenti, e due dischi identici a quello che aveva fermato il tipo, li colpirono rispettivamente alla clavicola e al ginocchio. Fu allora che, sentendo la sua risata, alzando istintivamente lo sguardo in alto, vide la sua apparizione su di quel basso tetto, una figura sinuosa dalle cui spalle calva un corto mantello che riprese al volo le armi tornate indietro.

Si lanciò, e notò dalla posizione da lei assunta, che doveva reggersi a qualcosa, forse un cavo, che ne rallentava la discesa: un trucchetto in voga tra chi voleva simulare abilità sovrumane o la capacità di levitare, e si ritrovò a sorridere per averlo capito al volo; fu comunque bravissima. Si avventò senza timore contro i due uomini, saltando a pochi cm di distanza, e colpendone uno con un calcio che descrisse un cerchio nell'aria, e l'altro prima con un colpo di palmo allo sterno, che gli fece buttare fuori tutta l'aria, e poi con una velotutta l'aria, e poi con una veloio che lo stesero a terra.

Si girò attorno, mantenendo la posizione difensiva, quasi si aspettasse un attacco a sorpresa, cosa che non avvenne.

Notò anche lo scintillio proveniente dai suoi occhi e pensò ad un paio di lenti per la visione notturna. Tentò di tirarsi sù, solo per ricadere goffamente in terra.

Il mondo gli girava tutto intorno, e si sentiva morire.

"Tutto bene?" Chiese una voce preoccupata, e quando aprì gli occhi la vide china su di lui. Parte del volto era coperto da una maschera che lasciava scoperto la deliziosa bocca e disegnava la forma di un nasino delicato. Spuntavano fuori delle ciocche bionde e un paio blu, così come blu era parte del costume, nero per il resto.

Aveva anche una cintura sulla cui fibbia era inciso il simbolo di un uccello in volo, stivaletti sino al ginocchio e guanti al gomito, ai polsi due braccialetti e il già notato mantello.

"Si... io si... ma... aiutami ad arrivare da Phantom..."

"Aspetta, vado a vedere io."

Si allontanò e, dopo essersi chinata sul suo amico, si tirò su, sorridendogli.

"E' ridotto peggio di te, ma sta bene, anche se fossi in voi, io andrei di corsa al pronto soccorso."

"E' quello che faremo..."

"Parola?"

"Si..."

"Come ti chiami?"

"Uomo... Uomo Rana.... e tu?"

"Blue Bird."

"Bel nome..."

"Grazie... carini i vostri costumi, ma, credetemi, non mi sembrate molto tagliati per il mestiere di vigilante."

"Ti ringrazio..."

"Non volevo essere offensiva," disse sinceramente e con voce preoccupata." ma questa è una professione pericolosa. Non pensate che sarebbe meglio lasciar perdere? Evitereste di dare una preoccupazione a chi vi vuol bene."

Mentre gli rivolgeva quelle parole, si era messa a legare tutti quelli svenuti, usando del nastro estratto da un comparto della cintura.
"Mille usi, eh? Carina... comunque... so che non ci abbiamo fatto una bella figura ma... beh... ora è meglio che io e il mio amico andiamo... grazie ancora per averci salvato."

Si alzò, e lei corse subito ad aiutarlo. Barcollò un po' appoggiandosi a lei, e si sentì imbarazzato per quel contatto, anche se aveva indosso il costume.

Andò da Phantom Rider, e anche questi si sollevò, tenendosi una mano al fianco.

"Come va?"

"Forse un paio di costole incrinate..."

Disse allegramente l’altro con voce soffocata.

"Grazie per aver salvato il mio amico e me, signorina."

"Chiamami Blue Bird, Phantom Rider. Spero di che pensiate seriamente a quanto vi ho detto, e vi ritiriate dalle scene."

"Questo non ve lo possiamo promettere..."

Lei sorrise dolce e comprensiva, e li salutò con un gesto. Scomparve in un vicolo e loro si scambiarono un occhiata. Dopo essersi assicurati che i ricettatori che avevano cercato di prendere erano ben legati, chiamarono la polizia, e si trascinarono via molto lentamente, in cerca del più vicino pronto soccorso.

 

 

Un edificio abbandonato a Chelsea - Martedì ore 11.00 p.m

 

 

Parcheggiò il furgone a proprio davanti la vecchia palazzina a 5 piani, risalente agli anni'30. Non gli ci volle molto per raggiungere il nascondiglio, ormai si era notevolmente impratichiti visto che ci era stato ben due volte, per studiare eventuali sistemi di sicurezza, ma, come si era aspettato sin dall'inizio, non aveva trovato nulla che non fosse alla sua portata.

"Pezzenti." Commentò con disprezzo, pensando al pessimo lavoro che avevano svolto i suoi ex occupanti per proteggere il loro covo.

"Non meritavate tanto potere, mentre io saprò amministrarlo bene."

Tra il quinto piano e il soffitto, vi era in realtà un sesto piano, costituito da una grande intercapedine, costruita per rimediare ad un difetto di progettazione.

Vi si poteva accedere da una rampa di scale, nascoste dietro un vecchio armadio, e veniva originariamente usata come soffitta.

C'erano alcuni macchinari diagnostici impolverati, un paio di computer, un televisore e la cassa aperta con dentro il suo bottino.

"Neanche la chiusura elettronica era un gran che! Ah, vecchio mio, mi sa che questa volta vincerò io la nostra piccola scommessa e tutto questo perché tu hai il vizio di far fare i tuoi lavori ad altri, mentre io me ne occupo sempre di persona! Chi fa da sé, fa per tre!"

Prese tra le mani l'oggetto di mesi di ricerche, e lo osservò soddisfatto.

 

 

 

Forrest Hill. Un parchetto per bambini. - Mercoledì ore 9.00. a.m

 

 

"Brava amore della mamma." Disse con orgoglio M.J. mentre sua figlia le mostrava quanto era brava ad arrampicarsi all'interno di una struttura di ferro progettata per mettere alla prova i bambini. A dire il vero, qualcosa la inquietava, forse, il recondito pensiero che fosse così brava per via del retaggio paterno.

Cercò di cacciare subito quel pensiero, indietro e fece un cenno d'assenso a Kristy che la stava osservando da vicino, attenta che non cadesse; da qualche giorno, sua cugina era venuta a stare da lei, ed era stata una mano santa sia per lei che per zia Anna, che ormai cominciava a risentire della sua età. Inoltre May aveva mostrato di avere un feeling particolare con Kristy e vicaversa. Quest'ultima sembrava molto più responsabile di qualche anno prima, quando era venuta a stare per la prima volta con lei e Peter, ed ora era uscita dai suoi problemi alimentari e psicologici, riprendendo con profitto gli studi.

Lei si sedette sulla panchina, accanto a Martin che guardava sorridente la scena della piccola.

"Accidenti! E' una vera acrobata tua figlia! Ma da chi ha presto?"

"Una volta mi dissero che avevo dei lontani zii che lavoravano come acrobati al circo Barnum."

Martin rise.

"Io dico che ha tutta la grinta della mamma."

"E dovresti conoscere il padre."

"Non ne dubito! Se è riuscito a fare innamorare pazzamente una tigre del jetset come te! Ti ho mai detto che sono un ammiratore del suo lavoro come fotografo?"

"No, questa mi suona nuova."

"Ho il suo libro, web a casa mia. A proposito, quando torna, non è che potresti chiedergli di farmici un autografo sopra? Sai, mio figlio Hugh è un fanatico dell'Uomo Ragno."

"Davvero?"

"Si, lui e Thor sono i suoi eroi del cuore. Se gli portassi un autografo del fotografo numero uno del tessiragnatele, impazzirebbe dalla gioia. Oggi quella peste andava con la madre a trovare i nonni, e mi ha buttato giù dal letto alle sei perché era così entusiasta all'idea da non esser riuscito a dormire tutta la notte. Elly era distrutta, e mi ha detto che se quando viene a stare con me gli faccio ancora bere bibite con la caffeina, mi ucciderà personalmente."

"Tu e la tua ex moglie siete in buoni rapporti?"

"Uhm? Ah, si, beh, non splendidi ma diciamo che con il tempo abbiamo superato parecchie divergenze, ed ora ci detestiamo cordialmente. Se ora abbiamo una parvenza di rapporto civile lo dobbiamo a nostro figlio, e per lui che l'abbiamo fatto. E poi Elly è una madre amorevole e meravigliosa, quando Hugh è con lei mi sento sempre tranquillo, e so che non gli manca niente. Anche se è una donna in carriera, riesce sempre a dedicargli tutto il tempo e le attenzioni di cui ha bisogno, e non è affatto semplice la cosa per lei: la rispetto molto, e questo mi aiuta a superare alcuni contrasti che ho con lei."

"E' da molto che vi siete separati?"

"Il divorzio è arrivato sei mesi fa, ma ci siamo separati da anni, un anno dopo la nascita di Hugh per essere precisi. Credo sia stata la cosa migliore che potessimo fare, e prendemmo la decisione di comune accordo. Comunque, delle volte mi chiedo se invece non sia stato peggio: il nostro bambino è un ometto forte e coraggioso, un vero angelo, ma magari, dentro di sé, sta malissimo per questo e non ce lo vuole dire per non darci un dispiacere."

"Però voi siete separati da quando lui era piccolissimo, magari, ha accettato la cosa."

"Non lo so, penso che gli adulti diano troppe cose per scontato riguardo i bambini, e dimenticano che non sono stupidi. Hugh si rende benissimo conto che la sua è una famiglia particolare, anche se non ne afferra pienamente i perché."

Martin Savery sospirò, e si estraneo per qualche secondo, quasi con la mente stesse andando in un altro posto.

"Comunque, mi fa piacere tu mi abbia chiamato per fare colazione M.J., a dire il vero, in questo periodo ho davvero bisogno di stare con i miei amici, e, anche se ci conosciamo da poco, sento di poterti considerare tale. Mi dispiace solo che finora non abbia avuto occasione di conoscere meglio tuo marito, quelle poche volte che sono riuscito a vederlo mi ha dato l'impressione di essere una gran bella persona: sai, ha uno sguardo pulito e sincero, e un suo umorismo accattivante che riesce a metterti a tuo agio; è ancora in Europa per lavoro?"

"Si, ma, spero torni presto. Dipenderà... da quanto durano gli incontri a cui partecipa."

"Certo, essere sposata ad uno scienziato deve essere emozionante."

"Direi anche di più." Disse Mary Jane voltandosi per guardarlo negli occhi. Era un bell'uomo, sulla quarantina, capelli neri tagliati corti e pettinati all'indietro in una pettinatura retrò che però gli donava molto, aveva grandi e luminosi occhi verde scuro, folte sopraciglia anche esse nere, carnagione rosea e una pelle ancora liscia e tesa, lineamenti un po' marcati, ma non privi di un loro fascino virile che aveva incantato più di una donna, un fisico ancora atletico e aitante. Martin era un considerato ancora un partito molto appetibile, ma, nonostante non nascondesse di aver avuto diversi flirt, era una persona molto riservata sul lato sentimentale, e comunque aveva la fama di essere un vero gentiluomo, al punto che si era sempre rifiutato di fare i nomi delle sue amanti.

Aveva la capacità di tranquillizare il prossimo e modi schietti e semplici, che davano l'idea di una persona molto onesta e di grandi principi morali.

M.J. lo aveva cercato perché anche lei aveva bisogno di un amico, e in Martin lo aveva sicuramente trovato.

 

 

 

Laboratorio di Ricerche. Mercoledì ore 10.00 a.m.

 

 

Accese il monitor e iniziò ad immettere i dati che le era stato chiesto di inserire: le sue dita volavano leggere sulla tastiera, mentre la mente, volava altrove; aveva un esame molto importante a breve e Rachel le aveva ingiunto di dedicarsi allo studio, altrimenti quella sarebbe potuta divenire la sua prima macchia su un ottimo curriculum universitario.

"Senti, posso anche capire che tu stia ancora sotto per lui," l'aveva rimproverata con grande affetto e decisione. "Ma il tuo Peter una vita, una carriera, già ce le ha. Pensa pure a lui, se è questo che vuoi, il masochismo non è reato. Ma per carità di Dio, Ilya, pensa anche a te stessa. Quando non pensi di essere osservata, ti comporti come uno degli ultracorpi, passando il tuo tempo a fissare il vuoto e rimuginare. Devi tornare alla normalità, specie dopo quello che ti è accaduto a teatro. I tuoi genitori sono molto preoccupati e qualche giorno fa mi hanno telefonato per parlarmi e chiedermi come stavi veramente. Dicono che ti comporti in modo strano con loro, che ti sentono distante, che quando sono venuti a trovarti sembravi un'altra."

"Rachel... capisco la tua preoccupazione, e ti assicuro che al di là delle apparenze sto studiando, e che sicuramente supererò quell'esame e anche con un bel voto. Forse sono un po' strana, è vero, ma questo è solo perché sono ancora stordita per quello che è successo a Brodway, e poi... quando mi sono risvegliata ho saputo di quel mostro, dello Scorpione, e di quello che aveva fatto. Due mie compagne d'università sono rimaste ferite, e per quanto ne so, poteva andare molto peggio. Credo di essere divenuta un po' fobica, sento di aver paura ogni volta che metto il naso fuori dall'appartamento..."

"Oh piccola mia..." Rachel non resistette oltre, e l'abbracciò con disperata tenerezza, stringendola forte a sé, finché quest'ultima non ricambiò la sua dolce stretta."... solo Dio sa quello che hai passato, ma devi cercare comunque di venirne fuori. Se vuoi, conosco una brava psicologa con cui potresti andare a fare quattro chiacchiere, magari ti farebbe bene."

" Rachel... oh, forse hai ragione..."

"Dimmi la verità... c’entra anche il tuo Peter?"

"...si."

"Ilya... è un uomo sposato e con una figlia, e sembra molto devoto alla sua famiglia. Stai attenta... te l'ho già detto... questo tuo sentimento potrebbe costarti caro in termini di sofferenza."

Due voci, la richiamarono dai suoi ricordi, e cominciò ad ascoltarle automaticamente quando sentì il nome di Peter Parker.

"Le sue ricerche sui super conduttori, hanno condotto a risultati stupefacenti..."

"Si, ma la sua lentezza nel procedere è esasperante."

"E' solo molto prudente."

"Ed ora sta partecipando a questo giro di incontri in Europa, e secondo me sta pensando seriamente di lasciarci per accettare un offerta da qualche istituto privato."

"Parker ce lo avrebbe detto..."

"Lei è troppo ingenuo, Glass, e confida troppo nella lealtà di chi non ce ne ha mai dimostrata molta."

A parlare duramente era stato il Dottor Reynold Malakov, mentre quelle che aveva difeso Peter era Alfred Glass, il suo diretto superiore al progetto a cui stava lavorando. Ilya non era un esperta in chimica e fisica, ma aveva intuito che le ricerche sui super conduttori che stavano compiendo dovevano essere molto importanti.

"Signorina Anderson!"

Si voltò e vide il responsabile del personale aggiunto Nick Grabber guardarla preoccupato.

"Le ho detto di fare velocemente, ne prendo atto, ma se continua così li brucerà quei tasti."

"Oh... oh, mi scusi signore!"

"Non ci si deve mai scusare quando si sta facendo il proprio lavoro, ma non vorrei che lei si affaticasse troppo, del resto è tornata da poco da una lunga convalescenza per motivi piuttosto seri. La prego, ora si prenda pure un quarto d'ora di pausa e si beva un caffè, un the, o comunque si rilassi un poco, d’accordo?"

Ilya, per non destare sospetti, obbedì, ma le dispiaceva molto non poter continuare a seguire quella conversazione.

 

 

 

 

 

 

Trastevere, Roma - Martedì ore 1.15 a.m.

 

 

Nessun movimento sospetto proveniva dalla palazzina e si chiese se Quest fosse ancora lì. Con il lavoro che faceva doveva essere uno che si spostava spesso, e quanto accaduto alla sua base nei pressi di Lisbona, doveva averlo messo ulteriormente in guardia.

Si mosse, scivolando tra le ombre, per cambiare punto d'osservazione...

 

Fu molto rapido, e solo per un istante non colpì la figura avvolta nel mantello che fino a poco prima l'aveva spiato dal tetto di una palazzo antistante.

"Bravo ragazzo, quasi quasi mi acchiappavi..."

"Bene, vedrò di rimediare al prossimo giro. Sono felice di sapere che parli la mia lingua..."

"L'ho imparata molto tempo fa."

Il suo accento suonava strano, ma non dette molto peso a quel fatto.

L'uomo, alto un metro e settanta, indossava un paio di pantaloni aderenti, che sembravano di pelle nera lucida o un materiale molto simile, una camicia nera con le maniche lunghe larghe sulle braccia e strette ai polsi con dei volà al collo su cui stava una spilla ornamentale di forma circolare, un gilet dall'identico colore, una mantella che scendeva fino alle ginocchia, una cintura con una fibbia argentata, così come le torque ornamentali con cui teneva fermo il mantello, la bocca coperta da quello che pareva un passamontagna su cui posava una maschera dotata di lenti scure, una folta massa di capelli neri che gli cadevano lungo la schiena, guanti che coprivano le mani e un bastone con la testa di lupo stretto nella destra.

Parlò con voce melliflua e amichevole.

"Stai fraintendendo le mie intenzioni, Uomo Ragno."

"Mi conosci?"

"Certo: non c'è una sola persona che non ti conosca qui in Italia."

"E come fai a sapere che sono l'originale?"

" Ho visto alcuni filmati in tv, so come ti muovi, e poi ti ho parlato in inglese e tu mi hai risposo con uno spiccato accento newyorkese..."

"Io dico che sei uno dei tirapiedi di Quest..."

"Ti ripeto che stai facendo..."

Perse per un attimo di vista l'Uomo Ragno, e, solo grazie alla sua esperienza, immaginò cosa stesse per accadere, saltando di lato evitando così l'attacco a sorpresa che questi gli aveva preparato.

Si muoveva molto più velocemente di una persona normale, con riflessi e coordinazione strabilianti, senza contare che sul piano della mera forza fisica lo surclassava decisamente.

"Amico mio, mò m'hai fatto girà li cojoni... voi vedè chi è più bravo? E t'accontento subito."

L'Uomo Ragno non aveva capito cosa avesse detto, ma capì benissimo quello che accadde pochi istanti dopo.

Era stato veloce, e gli si era portato a pochi cm di distanza arrivando persino quasi a sorprenderlo. Colpiva con il bastone usando colpi stretti, che sfruttavano la rotazione del polso combinata a quella di bacino e gambe, bloccando l'arto in modo tale da farlo sferzare come un ventaglio. Si abbassò, si girò di lato, ma non poté evitare d'essere preso alla mascella e al braccio sinistro da un paio di colpi che gli strapparono un lamento di dolore e rabbia.

Cominciò a ricambiare, e il loro si trasformò in un balletto a due, dove nessuno si preoccupava di parare, ma venivano portati attacchi a ripetizione che spesso si annullavano tra di loro. La maschera colpiva punti estremamente dolorosi per il ragnetto, che però riuscì a piazzargli un pugno in pieno volto, ma quello, assecondò il colpo, cedendo all'indietro, ed eseguendo un atterraggio da manuale e, sfruttando la spinta, rotolò su di sé, rimettendosi subito in piedi e tornando all'attacco.

Colpì con il bastone. L'Uomo Ragno parò usando il senso di ragno, ma l'altro ne approfittò: insinuò il braccio libero come un serpente tra le difese dell'avversario. Con la mano, lo spinse verso il suo stesso fianco in modo da controllarlo e nel frattanto liberò l'arma con la quale colpì violentemente la tempia dell'eroe, provocandogli un fortissimo senso di svenimento al quale però si oppose con tutto sé stesso.

L’Uomo Ragno avvertì, contemporaneamente, un dolore al ginocchio, che aveva piegato appena in tempo alzando la gamba, così che non venisse rotto dal calcio intrusivo obliquo che quello aveva cercato di assestargli. Provò a contraccambiare con un calcio ma commise un enorme sciocchezza, perché si trovava troppo vicino, e non sortì l'effetto desiderato ma anzi, lo espose ad un altro attacco che quello portò colpendogli la coscia con un poderoso pugno.

L’Uomo Ragno strinse i denti, e saltò all'indietro per allontanarsi, poi, si proiettò in avanti con l'accelerazione di una moto sportiva e portò il suo avversario sul tetto di fronte. Questi rotolò diverse volte, cercando di assorbire al meglio l'impatto, e quando si riebbe, sentì una scarica di pugni abbatterglisi contro, e, solo facendo appello alla sua volontà, riuscì a coprirsi usando il suo mantello al titanio polimerizzato. Ne approfittò per arrotolarglielo intorno all'avambraccio, poi se lo sganciò rapidamente di dosso, facendolo cadere per la sorpresa. Lo superava anche sul piano della velocità, ma era stordito per via della botta in testa e quindi non doveva dargli il tempo di riprendersi. Caricò un colpo che si abbatté con forza sulla sua testa, colpo che avrebbe diviso in due un melone, ma che il teschio dalle ossa potenziate dell'arrampicamuri, assorbì per la maggior parte.

Lo sconosciuto lo colpì con una ginocchiata in pieno volto, e poi con la punta del bastone, vicino al plesso solare, provocandone lo svenimento.

 

Riaprì gli occhi, e tossì, mentre sentiva il sapore del sangue misto alla saliva nella sua bocca.

La nera figura era appollaiata sul parapetto del tetto e lo fissava immobile.

"Ok... se avessi voluto farmi fuori... l'avresti potuto fare mentre ero svenuto."

"Sei molto bravo nel combattimento, e mi sei superiore fisicamente ma ti sei trattenuto troppo, esitando quando avresti dovuto attaccare, e attaccando quando avresti dovuto studiare..."

"La cosa non si ripeterebbe... lo sai?"

"Probabile, anche se non ne sarei così sicuro fossi in te. Nel corpo a corpo, come avrai avuto modo di notare, non sono così male."

"Decisamente..."

"Possiamo parlare civilmente?"

"Con piacere. Non lavori per Quest, ma lo conosci?"

"Lo sto tenendo d'occhio da quando i miei informatori mi hanno detto che si trovava qui. Ma quel posto è una fortezza, e non è semplice introdurvisi. Ho saputo che sei stato tu a creargli un bel po' di problemi a Lisbona."

"Ma leggete tutti la gazzetta dell'Uomo Ragno per caso?"

"La leggono in molti."

"Che cosa?"

"Si, è un simpatico giornalino per bambini."

"Oddio... devo decidermi a depositare i diritti d'autore sul mio nome... diventerei milionario rapidamente. Scusami per prima, ma ultimamente sono un po' sotto pressione e poi... siccome mi stavi spiando da un po'... ho creduto fossi uno degli uomini di Quest."

"Colpa mia, avrei dovuto avvicinarti apertamente e subito."

"Ci siamo chiariti. Ma chi sei?"

"Rugantino."

L'Uomo Ragno fissò il formidabile guerriero che continuava a stagliarsi immobile contro il cielo notturno.

 

 

 

Fine dell'episodio.

 

 

 

Un grazie di cuore a quanti hanno collaborato per rendere possibile l’uscita di questo numero: F. Webley e V. Pastore.

 

Un grazie di cuore a chi mi ha dato un motivo per scrivere questo racconto: ovvero chi mi legge.

 

Un grazie di cuore a tutto il sito che mi ha dato l’occasione di scrivere dei racconti: Marvelit sei grande.

 

Per comunicazioni, proposte di collaborazione, suggerimenti o semplici chiarimenti, contattatemi all’inidirizzo mail spider_man2332@yahoo.it