Marvelit presents:
Ragno Nero#11.
Intrighi. 3
Di Yuri N. A. Lucia.
Hardy Investigation. – Lunedģ ore 11.00 a.m.
“Zio Ben, zio… tu sei deluso da me?”
“E perché?”
“Per tutto quello che ho fatto… per cosa sono…
per… e poi, dannazione, non sono neanche tuo nipote: noi due neanche ci siamo
conosciuti.”
“E allora perché sarei qui se fossi deluso da te,
o se considerassi influente il fatto che non ci siamo mai incontrati di
persona.”
“Questa è una di quelle allucinazioni di cui si
soffre quando si sviene, ed ho evocato io la tua immagine.”
“E perché avresti evocato proprio la mia?”
“Perché… perché nella mente di Peter, tu sei
sempre presente ed importante…”
“E siccome la tua mente è basata su quella di
Peter, anche se si è differenziata man mano che passava il tempo, la mia
immagine ha la stessa importanza anche per te, giusto?”
“Credo di si…”
“Allora hai appena avuto la risposta alla tua
seconda domanda, giovanotto.”
Kaine cominciò a ridacchiare mentre Zio Ben li
rivolse un tenero sorriso.
“Ci sei riuscito ancora… Peter si sentiva sempre
sollevato quando tu gli davi questo tipo di risposte… il tipo di risposta
saggia ma anche divertente, che tu eri capace di dargli quando sentiva qualche
dubbio tormentargli l’animo.”
“E ha avuto lo stesso effetto su di te?”
“Si.”
“Allora avevo ragione che nonostante le
differenze, c’è una parte di te che è uguale a quella di mio nipote, e quella
parte è il tuo essere una persona buona ed onesta, e con questo rispondo alla
tua prima domanda: non sono deluso da te, non posso esserlo, perché sei quello
che è Peter, e che ero sicuro diventasse, una persona buona ed onesta; il fatto
che non ci siamo mai fisicamente incontrati è poco rilevante, perché non posso
non volerti bene. Ho soddisfatto anche questo tuo quesito?”
“Credo di si… ma quello che ho fatto prima?”
“Kaine… non puoi considerartene veramente
responsabile… era come se tu fossi malato, incapace di intendere e volere
veramente, e quando sei stato guarito, quando ti è stata data la chance di
scegliere veramente, autonomamente, tu hai sempre scelto per il meglio.”
“Davvero? E tutti gli errori che ho fatto?”
“Scegliere per il meglio non vuol dire scegliere
sempre bene, ma vuol dire scegliere il bene, ed è quello che hai fatto,
nonostante tu abbia sbagliato delle volte, e soprattutto, nonostante questo per
te abbia significato rinunce, sacrifici e dolore.”
“E’ consolante quello che dici. Ma… quello che
sta succedendo con…”
“Kuro Neko?”
“Sai di lui?”
“So tutto quello che sai tu. Vorrei avere una risposta
anche per questo, ma non è semplice, ma se vuoi sapere se ti disprezzerei
perché hai scelto di amare un altro uomo, ti dirò di no, perché anche se la
cosa magari un certo effetto me lo fa, e devi capirmi e perdonarmi perché sono
cresciuto con una certa mentalità, questo non ti renderebbe meno caro a me. Se
mi chiedi se ti disprezzerei perché hai scelto di amare un assassino, la
risposta è che qualsiasi cosa tu farai, sono sicuro che come sempre deciderai
per il meglio.”
“Hai… detto che ti sono caro?”
“Si, anche se sono morto, anche se non sono più
nel mondo dei vivi, mi sei caro, proprio come mio nipote Peter e Ben… mi siete
cari, e sono fiero di tutti e tre. Quando ti sentirai solo, oppure disperato, e
sentirai che le lacrime minacciano di sommergerti, ripensa a questo e al fatto
che ti voglio bene, e te ne vorrò sempre, per la persona che sei e che mi fido
e mi fiderò sempre di te.”
Lo strinse, lo abbracciò, chiamò il suo nome,
singhiozzando più volte, impossibilitato a dirgli quanto gli voleva bene e quanto
fosse felice di averlo là, anche se solo in un sogno e per pochi istanti, di
poterlo stringere forte, stare tra le sue braccia proprio come quando era un bambino
che non era mai veramente stato ma che continuava a vivere dentro di lui, di
sentire il suo odore, la sua presenza rassicurante.
“Kaine… Kaine! Sia ringraziato il cielo, temevo
che...”
Tossì, e fu costretto a girarsi e tirare su la
maschera fino a sopra il naso per lasciar uscire fuori i filamenti di bava che
toccarono terra, rimanendo attaccati alla lingua per un po’. In bocca c’era un
sapore terribile e non era sicuro di possedere ancora un olfatto, la testa era
martoriata da invisibili chiodi che si piantavano sempre più profondamente nel
cervello, dilaniandolo, uccidendo i suoi pensieri coerenti e lottava
disperatamente per cacciarli via.
“Sono felice di sapere che sei contenta di
vedermi vivo, anche se non sono completamente sicuro di esserlo… Cristo! Per
come mi sento potrei essere una specie di zombie… non è che hai chiamato tipo
il dottor Strange per farmi rianimare?”
Felicia lo abbracciò istintivamente, poggiando la
testa sulla sua schiena, e inavvertitamente lo strinse un po’ troppo, strappandogli
un gemito soffocato.
“Oddio! Scusami! Io, non volevo…”
“Non preoccuparti gattina… lo so che non volevi…
lo so… sono solo un po’ acciaccato… non siamo sul tetto? Dove… dove siamo?”
“Prima che è arrivasse la polizia, ti ho portato
qui.”
“Scusa… scusa l’idiozia della do… domanda… ma qui
dov’è?”
“Una piccola stanzina che tengo segreta a tutti,
l’ingresso è nel corridoio in cui passano le scale segrete che portano al
tetto.”
“Mai notato prima… sono un pessimo detective eh?”
“Sono io che l’ho fatto costruire proprio perché
non lo notasse nessuno, tu sei un ottimo investigatore Kaine… il migliore!”
“Grazie per la bella bugia… senti, quand’è che
sei arrivata?”
“Un quarto d’ora dopo che mi hanno telefonato
dall’ufficio per avvertirmi che sul tetto dell’edificio s’era sviluppata una
nuvola di gas e che la polizia si stava precipitando per capire cosa stesse
succedendo. Non pensavo di trovarti là, disteso e per un attimo…”
“Ha usato etil cloruro… viene usato… per dare la
caccia a… santo iddio… deve averci mischiato anche altro perché quella roba
č stata come una palata in faccia… ho ancora i polmoni in fiamme.”
“Aspetta… apro di più la finestrella.”
“No, va bene così… ma dimmi… mi hai portato in
spalla da sola?”
“Si… dovresti mettere a dieta, lo sai?”
“Ma che dici? Io sono un figurino…”
“Si… un vero modello…”
Kaine rimase qualche istante in silenzio per
riprendere fiato e alla fine, le chiese:
“Perché non mi hai detto niente del Demone.”
“Come fai a…”
“E’ lui che ha provocato quell’esplosione di gas
sul tetto. Mi è venuto a cercare qui, sapeva che Abel Fitzpatrick e Ragno Nero
sono la stessa persona.”
“Come č possibile?!”
“Chester l’ha scoperto, e forse Chester è il
Demone stesso. Ma ora voglio che tu mi dica perché non mi hai detto del tuo
incontro con il Demone.”
Felicia chiuse gli occhi, quasi si vergognasse a
guardarlo.
“Avevi tanti di quei problemi, e non volevo
caricartene di altri, non dopo quel che ho chiesto a Fawcet…”
“Felicia… tu non sei un problema per me, e se ne
hai tu, sono automaticamente i miei… e questo perché io e te siamo… siamo…
accidenti Felicia, tu sei la mia famiglia! Ne sei una parte importante e ti
voglio bene… e ti prego… non farmi più dire queste cose sdolcinate… non sono
proprio da me…”
“Grazie, ragazzone, neanche io sono una
campionessa nell’esprimere quello che provo ma lo sai che ci tengo a te.”
Kaine si sollevò a sedere e le poggiò la fronte
contro la sua, socchiudendo gli occhi.
Un
magazzino segreto. Ore 5.00. a.m.
“Sto rischiando molto, portandoti qui: questo luogo
è blindatissimo, visto che è depositato tutto materiale che finirà ai
laboratori della volta; una volta facevano la stessa cosa, per quanto riguarda
il Progetto Pegaso. L’unica cosa cambiata è la sicurezza, che per un periodo è
stata notevolmente implementata, anche se ultimamente, causa tagli, è stata
notevolmente ridotta, ma è ancora molto rischioso. Lei sa che se ci
scoprissero, saremmo giudicati dai militari? Ci farebbero sparire entrambi dopo
un processo sommario, magari ci metterebbero un proiettile in testa, dopo
essersi assicurati con il sodio pentotal che non abbiamo trafugato i loro
segreti ai potenze straniere, oppure ci seppellirebbero in qualche prigione di
massima sicurezza vita natural durante. Cazzo, stiamo parlando di alto
tradimento.”
Lui guardava affascinato il costume posto sul
tavolino di metallo, e con la mano guantata avvicinò la lampada per poterne
ammirare meglio i particolari: non aveva dubbi, di certo era il pezzo forte
della sua caccia;
“Lei è stato profumatamente pagato, e farsi
prendere da questi scrupoli ricordando il proprio patriottismo dopo aver
incassato un cospicuo anticipo sul proprio onorario è decisamente fuori luogo.”
Liquidò con quelle parole sprezzanti il guardiano
complice del furto che stava per avvenire, e tornò alla contemplazione della
sua conquista, e seppe che ormai non poteva più rimandare, che non c’era più il
tempo per i ripensamenti, per i sogni, perché non ne rimaneva più di queste
cose, e davanti a lui solo una lunga strada nera che portava in discesa e
l’immagine di lui che ci si incamminava gli fece stringere il cuore, soprattutto
perché non era solo. Sfiorò con la punta delle dita il pezzo del puzle che ormai
era quasi terminato, e pensò a sé stesso trasfigurato, ringhiante nella sua
nuova forma, e provò paura perché proprio non voleva riconoscervisi ma poi,
pensò a quello che un tempo gli era stato detto, sullo scopo e l’abnegazione
nel raggiungerlo: perché lo scopo è tutto, ma il tentare di raggiungerlo è
ancora di più; sorrise, grato per quella sensazione di calore che gli si
spandeva nel petto, perché a distanza di tempo, sentiva forte i legami di
quell’amicizia.
“Cara mia, ti chiedo perdono per quello che
prendo, ma in fondo a te, non serve più, dico bene? Dirò una prece per te quando capiterò in chiesa, e chiederò al Buon
Dio di farti bruciare nell’angolo più remoto dell’inferno.”
L’altro rabbrividì ascoltando quelle parole
sussurrate dall’altro con divertita malizia.
Central
Park. Ore 10.00 a.m.
Gettò un po’ di briciole ai piccioni e li guardò
correre famelici verso di essi, accalcandosi con cattiveria, spingendosi l’uno
contro l’altro, desiderosi di potersi ingozzare. Era avvilito nell’osservare
tanta ingordigia, quando non si sarebbe mai aspettato di vedere un
comportamento così umano tra gli animali, e lanciò tristemente altre briciole.
“Sono molto affamati oggi.”
Si voltò verso la vecchietta che era seduta un
paio di panchine più in là, e fece un cenno di saluto rivolgendole un sorriso
amichevole:
“Quando ero piccolo, mi dicevano che i piccioni
sono sempre affamati, e che se uno gliene desse modo, mangerebbero fino a
scoppiare.”
La signora rise, e assentì:
“Ha proprio ragione: più gli getto briciole, e più
ne vorrebbero; ho paura che un giorno finirà come quel film di… com’è che si
chiamava? Quel signore inglese così distinto…”
“Hitchock.”
“Si, proprio lui, sa quel film con gli uccelli
che si rivoltano contro gli esseri umani. Andai a vederlo con mio marito, sa?
Mi fece così paura! Dicono che gli uccelli siano gli animali prediletti di Dio,
perché loro hanno le ali e gli sono sempre vicino.”
“E lei ha paura degli animali preferiti di Dio?
Dovrebbero essere buoni, perché sono i suoi prediletti, o no?”
“Oh, secondo me loro non sono buoni, proprio
perché sono i suoi prediletti: non hanno l’obbligo di esserlo; quando volano
sulle nostre teste, mi chiedo che cosa pensino e mi dico che un giorno o
l’altro, si stancheranno di tutti i noi e cominceranno a beccarci tutti a noi
cristiani. Ma lei si ricorda di quell’uccello a wall street, quello che
aggrediva tutti i passanti, perché pensava che fosse la sua casa e non
tollerava la loro presenza.”
“Anche alle persone non piace che qualcuno entri
senza permesso nelle proprie case, e sono tali solo perché loro hanno deciso che
sia così: il nostro diritto alla proprietà privata è garantito solo dalla
nostra capacità di difendere il territorio conquistato.”
“Lei mi sembra un po’ giù, giovanotto, posso
chiederle come mai?”
“Oh, affari di famiglia! Sa, incombenze di tipo
economico, che purtroppo ti portano a rapporti difficili con i parenti.”
“Non si dovrebbero mai trattare affari con i
parenti! Lo diceva sempre mio marito.”
“Suo marito è un uomo molto saggio.”
“Era: mi è venuto a mancare da quattro anni.”
“Mi dispiace.”
“Dispiace molto anche a me, ma non mi manca: lui è
sempre dentro di me; quando vivi per tanto tempo con una persona, diviene una
parte di te e l’amore che ti legava ad essa non può essere sciolto, mai.”
“Questo č bello, forse la cosa più bella
della vita di un essere umano, e sentirglielo dire, mi solleva parecchio.”
“Ne sono felice. Ma lei non è di queste parti,
vero?”
“Si vede tanto che non sono un newyorkese?”
“Certo! Lei non ha i modi nevrotici e sospettosi
di chi si è lasciato sopraffare da questa città, e poi ha un meraviglioso
accento di giù.”
“Sono di New Orleans.”
“Ah! Ma lei è un creolo! Sa, quando ero più
giovane Patrick mi portò a New Orleans, era molto tempo fa, e allora aveva dei
parenti che vivevano nell’Irish Channel: è ancora come una volta?”
“Più o meno, solo che ora ci vivono i negri e non
gli irlandesi.”
“Che peccato! Era bello quando si festeggiava
all’irlandese, con i canti, i balli, la musica e la birra! Oh oh! Quanto ci si
divertiva!”
“Si, quando ero molto piccolo, mia madre mi
portava di nascosto alle feste irlandesi, questo perché la mia famiglia è un
po’ snob, e non gradiva molto quel genere di cose. Ma mia madre, era fatta così:
le piaceva andare al di lą delle regole.”
“E lei? Anche lei è così?”
“A me piacerebbe… ma sono più simile a mio padre,
più di quanto a lui non piacerebbe ammettere.”
“Lei e suo padre non andate d’accordo?”
“Ci detestiamo cordialmente: sa, lui è uno di
quelli che si sente migliore del resto del mondo perché i nostri antenati
venivano dalla Francia; io invece mi sento più o meno come tutti, e mi
imbarazzo quando penso che ci siamo arresi senza sparare un colpo.”
Le disse ridacchiando come un bambino intento a
confidare un segreto ad un adulto. La signora lo guardò con accondiscendenza,
ridendo a sua volta:
“Comunque non dovrebbe dire queste cose, la
Francia è un bel posto, o così mi ha detto mia figlia che c’è stata due volte
con i miei nipotini. Lei c’è stato?”
“Si, ci sono stato, ed è molto bella ma ci sono
posti che preferisco di gran lunga. Ora, mia gentile signora, devo prendere
congedo, non posso più rimandare i miei impegni, anche se rifugiarmi in
quest’oasi è stato piacevole, così come è stato piacevole parlare con lei.”
Si alzò, le andò vicino, le prese la mano ed eseguì
un baciamano da manuale, che fece leggermente arrossire la gentile signora.
L’autista chiuse la portiera e subito andò a
mettersi al posto di guida, mentre lui lanciava un occhiata malinconica a quel
parco in cui aveva passato una piacevole mezz’ora del suo soggiorno nella città.
Un colpo di tosse del suo segretario ne richiamò
l’attenzione:
“Si, dimmi pure.”
“Signore, come previsto, ha cercato di contattare
degli agenti esterni.”
“Oddio… che patetico individuo! Non posso credere
che un tempo lo stimassi o che qualcuno lo potesse stimare: si č ridotto
proprio male. E i suoi uomini ci stanno ancora alle costole?”
“Temo di si.”
“Perché dici temo? Io lo trovo così divertente!
Mio Dio, non ci posso credere che si sia messo in testa di poter giocare
all’eminenza grigia con me. Lui è quella sua beota idea suoi Thannhill…”
“Lei, è sempre stato contrario a questo
investimento.”
“No, ti sbagli: sono sempre stato contrario a
come lui ha condotto l’affare; l’idea era buona, e non si può negare che i
Mercury Labs siano stati un buon affare, fino ad un certo punto, ma poi la cosa
è sfuggita al nostro controllo, ed è stata concessa troppa libertà a quello
scienziato. C’era qualcosa che ci stava nascondendo, e il vecchio ne sa più di
quanto non abbia rivelato al Consiglio. Qualunque cosa sia, voglio assicurarmene
il controllo, o quanto meno che non sia lui a metterci le mani sopra: temo che
il nostro amico coltivi segrete ambizioni di riorganizzare drasticamente i
quadri dirigenziali.”
Appoggiò il mento al pugno, e cominciò a
meditare.
Mindy lo avrebbe ammazzato per quel ritardo, ma
proprio non se la sentiva di rincasare, con tutta quella rabbia e frustrazione
in corpo. Certe emozioni le voleva tenere fuori dalla porta, per evitare il
rischio che in qualche modo pesassero sulla sua famiglia.
Colpì l’aria con un calcio, abbassandosi per eseguire
una spazzata, e ringhiò per il dolore, cadendo sul tappeto: non era ancora
guarito, e il saltare come in preda ad una febbrile follia, da un tetto all’altro
alla ricerca di quel bastardo che ormai tormentava i suoi pensieri da giorni
non lo aveva di certo aiutato. Tirò un po’ il fiato, mettendosi a sedere, e si
asciugò la fronte con la manica del suo kimono, quando sentì un brivido corrergli
lungo la schiena. Si alzò lentamente, mantenendo una posizione bassa nella
semioscurità del dojo, girando su sé stesso molto lentamente, scrutando
ovunque.
“Ok, se sei tu è uno scherzo molto divertente,
Abe.”
“E’ divertente, ma temo proprio di non essere
Abe.”
Sentì un groppo alla gola, e vinse a stento la
tentazione di irrigidirsi, mantenendo invece la calma e assumendo una posizione
difensiva.
“Stai guardando nella direzione sbagliata. Ti
voglio dare un indizio: guarda sopra la tua testa.”
Alzò lo sguardo, e lo vide là, appollaito su di
una trave, quella maschera senza volto, sulla quale le ombre sembravano
dipingere un sorriso beffardo e cattivo. Con un balzo fu in terra, accovacciato
come un gatto, e cominciò ad avanzare lentamente verso di lui, e poi a girargli
intorno, giocando con lui, portando la tensione al parossismo.
“Chi diavolo sei? Che cosa vuoi da me? Ti avverto
che non abbiamo incassato molto oggi e…”
“Non farlo, ti prego, non insultare la mia
intelligenza: so bene che Hobbie Brown è l’uomo che sta sotto la maschera di
Prowler; ti ho seguito, ti ho spiato, da parecchio ormai! Sei divenuto uno dei
miei divertimenti e tu mi hai aiutato, lo sai? Uscivi, te ne andavi da una
parte all’altra di questa città, con il tuo amichetto in bianco, e ti curavi
poco se qualcuno ti fosse dietro oppure no, amico mio. E’ stato strano scoprire
qual è la tua vera faccia, sai, quasi, quasi, preferivo la maschera. Hai la
faccia del bravo ragazzo, troppo bravo ragazzo… proprio un bravo padre di
famiglia.”
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso,
e in preda ad una furia selvaggia, gli corse contro, e tentò di colpirlo al volto
con un calcio, ma lo mancò una, due, tre volte, finché il Demone non gli bloccò
la caviglia, e lo costrinse a terra torcendogliela, strappandogli un grido di
dolore.
“Ok, che diavolo vuoi da me?!”
“Solo impartirti una lezione.”
“Una lezione?”
“E’ una questione di equilibrio: tu volevi darmi
una lezione, mi sei anche venuto a cercare ed io volevo ricambiare tanta
generosità.”
“Lascia fuori la mia famiglia da questo.”
“Per chi mi prendi? Non sono un volgare
assassino… oh, si, sono un assassino ma non un volgare assassino. Non
coinvolgerò la tua famiglia, hai la mia parola, ma avrò comunque la tua
attenzione, Prowler, o per Dio, se la avrò! Cos’č? Volevi insegnarmi il
mestiere? Volevi prendermi a pugni fino a farmi capire cosa dovrebbe o non
dovrebbe fare un vero eroe? Era questo il tuo piano?!”
Lasciò la presa, sparendo nell’oscurità. Hobbie
scattò come una molla, rimettendosi in piedi, e avvertì una fitta alla schiena.
Non aveva con sé la sua attrezzatura, e sapeva bene che non poteva affrontarlo
così: lui gli era tecnicamente troppo superiore nel corpo a corpo, e lo avrebbe
soprafatto facilmente, se solo avesse voluto.
Sentì mancargli il fiato quando fu intrappolato
in una morsa, la gola stretta nel braccio del vigilante senza volto.
“Ohhhhh, Hobbie, non è magnifico? Siamo qui, io e
te, e stiamo scambiandoci confidenze… no, sono io che ti sto facendo delle
confidenze, che sto parlando… forse la nostra amicizia è troppo a senso unico e
dovremmo fare qualcosa in proposito, non credi?”
Strinse, facendolo boccheggiare e piegare sul
ginocchio, e gli chiese in tono provocatorio:
“Che c’è? Non riesci a fare meglio di così? Dov’è
finita tutta la tua determinazione? Non dirmi che non sai fare di meglio!
Cielo, no, no! Mi dispiace ma non posso proseguire oltre, non mentre sei
ridotto così! No, no, no, no! Non sia mai! Ti darò tutto il tempo, tutto il
tempo che ti serve per guarire, per rimetterti in forma, per allenarti meglio,
così quando ci rincontreremo sarà molto più divertente.”
Lo colpì con un pugno sui reni, provocandogli uno
svenimento. Lo lasciò lì, sdraiato, osservandolo qualche secondo, il capo
reclinato di lato, e poi, prima di andarsene, gli sussurrò:
“Ne sono certo, tu, io, la gattina e il ragno, ci
divertiremo parecchio insieme. Volevate darmi una lezione di moralità? Vedremo
alla fine chi darą una lezione a chi…”
Lo spettacolo di Ground Zero gli incuteva timore,
ma al tempo stesso, lo affascinava, come accadeva sempre di fronte all’opera
della Morte. Provò vergogna dentro, perché si sentiva come una specie di
guardone pervertito, eccitato dalla distruzione e dal pensiero del dolore
connesso a quella tragedia e scosse la testa, per cacciare via quei pensieri.
“Non cambi proprio mai, vero?”
Kuroi Neko compì un balzo all’indietro,
sfoderando la corta spada, gli occhi sgranati, il cuore che martellava
poderosamente nella gabbia toracica, la bocca asciutta, il sudore che colava
dalla fronte.
“Sorpreso di vedermi?”
Chiese allegramente l’altro, avvolto in una tuta
color rosso scuro, il volto in parte coperto da una maschera.
“Cosa ci fai qui?”
“Ah, lieto di vedere che ricordi ancora la tua
lingua madre: dopo tutto questo tempo non l’avrei creduto. Pensavo fosse un
segno di gentilezza parlarti in inglese. Sai, non è stato semplice trovare il
tuo piccolo covo, ci ho messo due giorni, due interi giorni! Ci ho fatto un
salto, e ho visto che lo hai arredato molto bene.”
“Taglia corto, e dimmi che cosa vuoi da me,
sciacallo.”
“Non era sciacallo il mio nome, oh non o te ne
sei dimenticato? Sono venuto qui perché ci sono ancora delle questioni in
sospeso: molte questioni in sospeso. Andiamo, non fissarmi con quello sguardo
carico d’odio, lo sapevi che questa situazione non sarebbe andata avanti per
sempre e che presto o tardi si sarebbe arrivati alla resa dei conti.”
“Credevo che una decisione sulla mia sorte
fosse gią stata presa, oppure il tuo signore ha già cambiato idea?”
“Il mio Signore, è anche il tuo Signore, a
differenza di quanto tu possa credere. I legami non possono essere recisi così
semplicemente, neanche da un traditore come te.”
“Chiami me traditore? Me? Che faccia tosta! Ho
sempre saputo che eri una vera volpe a nove code… infida, traditrice, subdola.
Hai cosparso veleno sugli altri, accecandoli, impedendogli di vedere la verità.”
“Non è il caso di dare tutta la colpa al
sottoscritto…”
Akai Kuni saltò, atterrando sulle mani, e si
lanciò a pochi cm dal bordo del palazzo, estrasse uno shuriken a quattro punto
e lo lanciò mirando alla gola ma incontrò l’affilata lama di neko, che la deviò
verso la porta d’accesso al tetto, e vi si infisse profondamente.
“…è stata in gran parte colpa tua e della tua
stupidità! Cielo, ti sarebbe bastato poco per rimanere nelle sue grazie, ma tu
quella boccaccia proprio non riuscivi a tenerla chiusa? Che cosa credevi? Che
ti sarebbe stato permesso di fare il tuo porco comodo e che te ne saresti
andato in giro come se nulla fosse! Sei solo un pazzo, un povero pazzo.”
Balzò contro di lui, sfoderando a sua volta la
sua arma, e le lame cozzarono l’una contro l’altra, i pugni scattarono
colpendosi a vicenda, i calci scattarono intercettandosi reciprocamente. Neko
fece scorrere la spada come per tagliargli la gola, e bloccò il movimento del
braccio con l’altra mano e poi la fece scattare in snapping, verso la spalla,
ma Kuni era altrettanto abile, ma non evitò il tocco di controllo e quando sentì
il pollice premuto contro il diaframma, cacciò fuori tutto il fiato, portò
subito la mano alla cintura e da un piccolo sacchetto estrasse una sfera che
lanciò in terra, sprigionando una densa cortina cremisi.
Neko tossì, ma grazia al fatto che ne aveva
respirato poco e al boccaglio della maschera che lo aveva in gran parte
filtrato, non subì l’effetto stordente del gas. Dalla nube comparve la figura
di Akai Kuni, e sentì la spada di quello passare sul bracciale protettivo,
incidendo profondamente la piastra protettiva e il cuoio sotto di essa. Si
abbassò e colpì con un calcio il ventre del nemico, e lo quasi lo fece cadere
e, nel tempo che questi impiegò per riprendere l’equilibrio, Kuroi Neko si
lanciò nel vuoto, usando il suo cavo per colpire un cornicione distante, e
trasformare la sua caduta in un volo tra i canyon di acciaio e cemento di New
York City.
“Oh! Che cazzo! Ora per ritrovarti ci metterò
più tempo ci impiegherò il quadruplo del
tempo ed io volevo sbrigarmi, volevo sbrigarmi, perché finalmente le acque si
sono smosse ed io non voglio perdermi il mio trionfo! Hai capito? Il mio
trionfo!”
Gridò ridendo Aka Kuni affidando il suo messaggio
al vento della notte newyorkese.
Casa di Felicia. – Ore
2.00 p.m.
Entrò nella stanza, con indosso l’accappatoio, e Kaine distolse lo
sguardo.
“Scusami, non pensavo di imbarazzarti.”
“Oh, no, figurati.”
“Sei sicuro di non volerti fare una doccia anche tu?”
“Ti ringrazio, ma al momento, preferisco di no. Aspetto di tornare a casa. Piuttosto, come
stai tu dopo quanto successo con il Demone?”
Felicia abbassò lo sguardo.
“Scusami, non volevo essere così brutale.”
Disse sinceramente dispiaciuto.
“Non sei tu che devi scusarti, ma io, perché ti ho messo in una brutta
situazione. Dio, mi sento proprio una cretina! Non ti ho parlato del Demone
anche per come mi sentivo. Vedi, quando mi ha… quando mi ha battuto… mi sono
sentita… in suo completo potere, come se fossi stata… stuprata. Ti prego, non
pensare che io sia pazza.”
“Non lo penso assolutamente.”
Si affrettò a rispondere Kaine e Felicia gli sorrise con gratitudine,
sedendoglisi vicino. Gli prese la mano e se la portò alla guancia, in un gesto
di tenerezza che mai si sarebbe aspettato da lei, e quasi gli avesse letto nella
mente.
“Anche io sono capace a fare queste cose, lo sai? Non era la prima
volta che le prendevo ma, è quel disgustoso individuo era… era un mostro,
credimi. Mi sono sentita sporcata, umiliata, completamente indifesa.”
“Mi dispiace. Vorrei avere qualcosa di meglio da dirti ma…”
“Shhh… che tu sia qui è gią tanto. Ora dovremmo stabilire un
piano di battaglia o qualcosa del genere, non credi?”
“Si… ho chiesto aiuto a Rucker, che sta facendo delle ricerche sul
nostro amico Fawcet, inoltre, la polizia ha un bel po’ di materiale sul Demone,
e non credo che mi negherà un occhiatina che mi negherà un occhiatina mia priorità è scoprire quanto più possibile
su quei due e il loro legame e, se come sospetto, siano o meno la stessa
persona.”
“La stessa persona? Cristo santo!”
“Che succede?”
“Fawcet ed io ci siamo allenati insieme nella palestra! Quel bastardo
era parecchio bravo! Ed ora che ci ripenso: c’era qualcosa nel modo di
combattere del Demone che mi era familiare! Non posso crederci! Sono la stessa
persona!”
“Non è detto… non saltiamo a conclusioni affrettate, anche se la cosa
sembrerebbe molto probabile. Mi servirebbero i tuoi file su lui, partiamo da
quello che gią sappiamo o che presumevamo sapere su di lui.”
“Accidenti, hai una freddezza invidiabile! Sherlockholmes ti fa un
baffo!”
“Non dirlo, altrimenti il detective per antonomasia si rivolterà nella
tomba! Comunque, dobbiamo raggiungere quanto prima Prowler: il Demone mi ha
detto di aver avuto a che fare con lui, e sono convinto che dovremmo chiedere
anche il suo aiuto; se uniamo le forze, avremo più possibilità di mettere alle
corde quel bastardo!”
I due amici si sorrisero, e si prepararono ad affrontare una dura
lotta contro il nuovo nemico.
Fine dell’episodio.
Per commenti, insulti, felicitazioni varie, scrivete a
Un saluto e un ringraziamento a tutti.