PROLOGO: Antartide, 1952
Sciabole di luce attraversarono l’oscurità, rivelando resti di metallo contorto in forme grottesche, fuso insieme alle ossa di scheletri semicarbonizzati. Il percorso era ulteriormente ostacolato dai detriti di rocce e di lastre di metallo cadute dal soffitto. La polvere era così fitta da coprire insidiosamente il ghiaccio. Ogni passo era un pericolo.
Le figure procedevano con cautela, avvolte in tute speciali, i volti coperti da maschere antigas collegate a bombole sulla schiena. Erano in cinque. Due in testa portavano ognuna un potente riflettore. Quella in coda copriva le spalle con la sua luce.
“Non so cosa mi preoccupi di più,” disse una delle due figure al centro. La sua voce aveva una tonalità femminile. “L’esistenza di questa base o la forza che l’ha ridotta in questo stato.”
La figura che le rispose possedeva un greve tono maschile. “Di sicuro non è stato un semplice incidente.” In mano reggeva un contatore geiger. “Le radiazioni non sono al di fuori della norma, eppure per generare un disastro di questa portata, un incendio non basta. La base è così bene sigillata che fiamme così potenti avrebbero esaurito l’ossigeno molto prima di fare un simile lavoro.”
“Di sicuro, i nazisti erano molto avanti, considerando le tecnologie dell’epoca.” La donna scosse la testa. “Non capisco come menti così geniali potessero lavorare per un regime così corrotto.”
“Guarda al lato positivo. Senza le persecuzioni razziali, avrebbero anche avuto la bomba atomica… Allora, dove siamo adesso? Si direbbe un vicolo cieco.”
Il gruppo arrivò di fronte ad una parete di granito grigio. La sola porta visibile era ingombra di detriti rocciosi e metallici. Un braccio scheletrico spuntava fra le macerie, come in un ultimo, miserabile tentativo di ammonimento.
I riflettori corsero lungo le pareti incrinate. Si distinguevano perfettamente i geroglifici, simboli in uno stile che non trovava riscontro in alcuna delle lingue morte conosciute…
“Siamo all’ultimo livello,” disse la donna, consultando un volume rilegato a spirale. “Secondo i documenti, dietro alla porta ci sarebbe una camera templare…”
“Lascia stare queste fesserie mistiche, lo sappiamo che Hitler era un fissato dell’esoterismo. Dobbiamo sapere se il ciclotrone è qui.” Fin dalla fine della II Guerra Mondiale, il governo americano si era impegnato per prima cosa nel trovare e reclutare i cervelli nazisti. Von Braun era stato un bel colpaccio, ma se avessero trovato piani, uomini e mezzi ancora più avanzati…
“Deve essere qui,” disse la donna. “Doveva servire ad aprire un condotto transdimensionale.”
“Di nuovo: evviva la superstizione.” C’era di che rabbrividire al pensiero che quei pazzi arrivassero per primi ai segreti della materia…
“Professore!” esclamò uno degli uomini con i riflettori.
Lui sobbalzò al tono di allarme. “Cosa succede??”
L’uomo stava scandagliando la parete. “Un’ombra. C’è qualcun altro qua dentro.”
“Ne sei sicuro?”
“Una sagoma umana la so ancora riconoscere, signore.” E in quella spedizione non si poteva assolutamente essere abbastanza prudenti…
Ma per quanto controllassero, non c’era traccia di altri esseri viventi in quella gigantesca e raccapricciante tomba. C’era solo il silenzio…
“Cerchiamo di smetterla di pensare ai fantasmi, signori. Abbiamo molto lavoro da fare*”
“Che peccato,” lo interruppe una voce maschile davanti a loro. “E dire che mi piaceva la vostra compagnia.”
Le luci volarono sul punto da cui veniva la voce.
E c’era un’ombra. Un’ombra umana, sconnessa dai loro corpi! Era come vedere una chiazza di totale assenza di luce. I riflettori non riuscivano a scalfirla -anzi, sembravano evidenziarla.
La sua voce parlava in un inglese venato di un accento tedesco. E il suo tono allegro regalava brividi gelidi lungo la schiena. “Sapete? È tanto tempo che non vedo morire qualcuno. Davvero tanto tempo…”
Poi l’ombra schizzò verso le tenebre.
E iniziò il massacro.
MARVELIT presenta
Episodio 4 - Una nuova vita, verso la fine del mondo
Di Fabio (Sovrano) Furlanetto e Valerio (Capobranco) Pastore
“Gruppo 1 alfa, rispondete! Professor Bergside, risponda per favore!” L’operatore alla radio istintivamente allontanò da sé le cuffie, nell’udire i raccapriccianti suoni di morte. “Professore..?” Un pensiero frenetico attraversò la sua mente -possibile che ci fosse qualcosa di vero in quelle dicerie esoteriche che circondavano la base nazista?
Scosse la testa. No, aveva sentito distintamente un uomo parlare, prima…delle urla…
L’uomo in tuta color cachi attivò freneticamente la frequenza con il campo base poco distante. “Generale, abbiamo un allarme intrusi!” Non aspettò risposta. Da qualche parte nella sua mente, era certo che ogni secondo perso avrebbe dato tempo alla…cosa laggiù di venire fuori indisturbata… “Qualcuno ha massacrato il gruppo 1 alfa. Identità e numero sconosciuti, ma…NO!”
“Soldato, cosa sta succedendo!? Rispondi!” ma la voce dell’uomo dietro al microfono poteva provenire dalla Luna, per quanto lo riguardava. Tutta la sua attenzione era per la spaventosa fine dei soldati di guardia all’accesso della base 212. Un’ombra, perché la sua mente non riusciva ad interpretarla in altro modo, era emersa come una chiazza dall’ingresso. Si avvolse come un mostruoso sudario intorno ad uno degli uomini, coprendolo completamente.
L’altro soldato sparò istintivamente alla cosa, dimenticandosi del suo compagno…ma ebbe come solo effetto quello di attirare l’attenzione dell’ombra, che schizzò verso di lui. Il soldato che fino ad un attimo prima era stata la sua preda cadde al suolo, misero guscio avvizzito e morto.
Balbettando, pregando, imprecando, l’addetto alle comunicazioni abbandonò la sua posizione mentre il dramma si consumava dietro di lui…
Quando giunse al campo base, era pallidissimo e ad un soffio da un attacco di cuore. Fece irruzione nella tenda di comando, spingendo da parte i due MP di guardia, la forza moltiplicata dal panico. “Dovete aiutarci! Sta succedendo qualcosa di orribile, c’è qualcosa, qualcosa…”
L’uomo dietro alla scrivania fissò con tanto d’occhi il ragazzo impazzito davanti a lui. Si era tolto la maschera e il sudore aveva formato una crosta gelida sul volto. “Soldato, cosa diavolo succede, sei..?” e subito quello lo afferrò per le spalle.
“Il mostro, l’ombra, io…” cercò di dire…quando si accorse di un movimento dietro di lui. Voltò di scatto la testa, in tempo per vedere la propria ombra animarsi e muoversi di propria volontà! “È qui, è qui, il mostro è qui! Dio aiutaci tutti!”
Il Generale e capo della spedizione seguì affascinato il fenomeno… E quando l’ombra gli arrivò addosso, fu troppo tardi. Il povero soldato, rintanato in un angolo della tenda, poté solo guardare…
Il massacro dell’intero campo base prese non più di cinque minuti. Un lavoro svelto e crudele. Non un essere umano fu risparmiato…
Tranne uno.
Il soldato che aveva involontariamente portato la morte ai suoi commilitoni non si chiese quale miracolo gli avesse permesso di fuggire con l’unica muta di cani sopravvissuta. Gli interessava solo approfittare di quell’opportunità, abbandonare quel luogo di morte e non sentirne mai più parlare. Voleva solo tornare dalla sua fidanzata negli Stati Uniti…
L’uomo spinse la sua muta al limite delle sue forze. Se fosse stato necessario, avrebbe coperto a piedi il resto della distanza fino all’aeroporto…
Il soldato semplice Terence Marc Johnson sarebbe arrivato a destinazione, incoerente e delirante, appena in tempo per morire di ictus a bordo della nave che doveva rappresentare la sua salvezza. Ignaro fino all’ultimo che non un miracolo lo avrebbe fatto arrivare così lontano, bensì la precisa volontà dell’ombra che gli si era attaccata dal momento in cui aveva lasciato il campo base…
Boston, Massachusetts. Un mese dopo.
Fin dal suo primo giorno di assunzione, Edna Wiesenger era stata puntuale e presente ogni giorno. Gli abitanti del quartiere avevano imparato a regolare l’orologio su di lei, dal momento in cui apriva la porta del negozio di libri antichi dove lavorava, passando per l’ora di pranzo e fino alla chiusura.
Edna non era una brutta donna, anzi. Non era certo il tipo che nascondeva le sue grazie dietro ad acconciature od abiti ‘scoraggianti’… Semplicemente, era inavvicinabile. Non avrebbe preso un giorno di permesso neppure se glielo avesse chiesto Rodolfo Valentino in persona. Si sussurrava che avesse avuto una relazione col vecchio proprietario, la cui scomparsa non era stata certo rimpianta: nonostante gli anni, fino all’ultimo giorno aveva tenuto un carattere peggio di Zio Adolf in persona, ed aveva un bastone più nodoso del legno dell’Arca di Noè…
La donna entrò nel negozio immacolato. Non aveva mai avuto bisogno di aiutanti, per tenerlo in ordine ed aggiornare gli scaffali. I clienti fissi erano pochi ma buoni. Gli occasionali erano prede facili, a loro potevi rifilare qualunque volume altrimenti difficile da piazzare, facendoli sentire importanti.
Edna fece il suo solito giro di ispezione del negozio. Anche questa notte, nessun furto o atto di vandalismo. I soli ragazzi che aveva beccato, due teppistelli che pensavano di impressionare le loro ragazze seminando escrementi sul pavimento, avevano dovuto visitare varie volte i loro dentisti, dopo…
Soddisfatta, la donna si diresse al bancone, dove l’attendeva una rara edizione dell’Isola del Tesoro di Stevenson con la copertina fregiata d’oro. Sorrise -quando trattata bene, anche la letteratura per ragazzi diventava estremamente interessante…
Il sole gettava una luce piacevole attraverso il lucernario dai cristalli azzurrati. Fino a sera, ci sarebbe stata una buona luce per leggere. Edna aprì il volume alla pagina segnata da un fine nastro di seta intrecciata d’oro…quando vide che l’ombra della sua mano era rimasta esattamente nella posizione di afferrare il bordo della copertina.
Contrariamente a quanto ci si potesse aspettare, Edna…sorrise. “Ce ne hai messo di tempo, per tornare, Lukas Zeller.”
L’ombra della mano si mosse, corse lungo la scrivania e si estese fino alla parete, dove assunse contorni umani. “Mi conosci?”
“Mi è stato detto di aspettarti. E, francamente, non credevo che dopo tutti questi anni, saresti tornato…vivo.”
“Devo dire che non credevo che sarei stato ingannato,” fu la secca replica. “Vuoi
sapere cosa c’era dietro il portale? Nulla!”
i contorni dell’ombra si facevano agitati e frastagliati in sintonia con le
emozioni che l’agitavano. “E non intendo una stanza vuota o roba simile. No,
c’era il niente, il vuoto assoluto!
Quando sono riuscito ad emergere da quell’incubo, era il 1946. Non avevo
Edna lasciò il bancone, seguita dall’ombra, che invece mimava una postura nervosa e un passo a larghe falcate. La donna andò nel familiare cucinotto, dove iniziò a prepararsi un tè. “Hai studiato tanto, Lukas, ma ben poco hai capito.
“Tanto per cominciare, è un imbroglio solo a metà.
L’ombra coprì la fiamma del fornello, spegnendola. Edna si affrettò a chiudere la manopola del gas, poi prese un altro fiammifero. “Non fare il bambino. Ti comporti come se avessi perso tutto. E ora spostati, per favore.” Riaccese il fornello.
“Ho perso tutto. Gli appunti sono persi, e con essi la locazione della terza porta...”
Edna versò un paio di cucchiaini di zucchero nella tazza. “Se
anche li avessi, non sapresti cosa fartene. Innanzitutto, non sei corrotto a
sufficienza. E se anche lo fossi, dato il tuo stato non potresti neppure
toccarla,
“Cosa..?”
“Hai letto una traduzione imprecisa del volume. Ci vuole un essere umano per usare la chiave, in carne ed ossa.”
Lukas si sentì sprofondare ulteriormente nella disperazione. Alla fine, scopriva che tutti i suoi sforzi sarebbero stati comunque vani. Era indegno allora, ed imperfetto adesso…
“Ma non tutte le speranze sono perdute.”
“Cosa..?”
“Tanto per cominciare, devi concentrarti sulla direzione da prendere. Che sia l’assoluta purezza o la totale perdizione, non ti sarà concesso il lusso del dubbio una seconda volta. E, comunque, niente ti impedisce di fare ricorso ad un burattino umano. L’importante è che sia la tua volontà ad animarlo in ogni pensiero ed azione.”
Una risata amara venne dall’entità oscura. “Oh, allora è facile: devo solo riuscire a possedere qualcuno nel mio presente stato.”
Il bollitore si mise a fischiare. Edna andò a spegnere il gas. “Quello del burattino è un problema che devi risolvere da solo. Io posso al massimo dirti come risolvere gli altri due che, francamente, mi sembrano i più immediati.”
“Cioè?”
Con un sospiro, Edna si versò il tè nella tazza. “L’intangibilità e la corruzione. Per il secondo, devi solo continuare a fare del male. Più copioso sarà il sangue innocente versato, più in fretta scenderai nell’abisso. Mi pare di capire che non sei molto predisposto a fare del bene, giusto?”
Un fremito attraversò l’ombra. “Più che giusto.”
“Quanto all’intangibilità, non devi fare altro che scollegarti da tutte le ombre presenti.”
“Cosa!? Sei pazza? Non…”
Con tutta calma, Edna bevve un sorso. Depose la tazza sul piattino. “Fallo e basta.” Lo disse con calma, ma fu ugualmente una sferzata. Solo Herr DeCeyt era riuscito a farlo sentire così…messo in riga.
Lukas si staccò dall’ombra di Edna, resistendo all’istintiva tentazione di fondersi ad una qualunque altra ombra ambientale…
E quando riaprì gli occhi, non fu solo una metafora.
Ci vedeva. Mai il mondo gli era sembrato così bello e colorato!
Abbassò lo sguardo sulle proprie mani -sì, erano proprio le sue mani, affusolate e dalla carnagione pallida. Le mani di un uomo…
Lukas si avvicinò allo specchio. Si toccò il volto. In qualche modo, era cresciuto, invecchiato, ed ora era un uomo fatto e finito.
Avvicinò la mano allo specchio…e la mano attraversò il vetro.
La ritrasse di scatto. “Eh?? Che scherzo è questo!?”
“Nessuno scherzo, Lukas. È solo una questione di prospettive.
“Vedi, tu sei diverso dalle altre Ombre descritte nel volume. Hai mantenuto la tua integrità spirituale, e questo ti rende, a livello concettuale, un’entità unica. Puoi esistere autonomamente, e in tale stato, essendo il tuo corpo nero la tua realtà, quello che vedi allo specchio è la tua ombra. La tua proiezione. E se hai quell’aspetto, è perché avverti il passaggio del tempo, una percezione che si riflette sulla tua proiezione.”
“D’accordo, ma a che mi serve se non posso toccare nulla ugualmente?”
“Concentrati. Trasferisci la tua essenza nella proiezione. Puoi farlo, ricordati solo di pensare come se quella fosse il tuo vecchio corpo.”
Lukas lo fece…e scoprì che era più facile di quanto avesse temuto. Riuscì a toccare lo specchio. “Funziona.”
“Visto? Ora non ti resta che seminare morte.”
“A dire il vero, prima di tutto mi piacerebbe avere dei vestiti.” Richiesta non indifferente, considerando che era completamente nudo!
Edna si alzò. “Seguimi. Oh, e non credere di essere chissà che esemplare. Una volta, uno che faceva lo scaricatore, pur di provarci, si è denudato in mezzo alla strada. E assomigliava a Marlon Brando.”
“Il professor DeCeyt mi ha incaricato di lasciarti questi.”
Lukas, alla vista del pacchetto avvolto in carta color avana, chiuso da un filo di spago piombato, scosse la testa. “Chissà perché, non mi sorprende. Senti…”
“Non guardarmi, per favore.”
“Eh?”
“Istruzioni del professor DeCeyt. Mi ha detto che, qualora fossi riuscito ad avere un corpo solido, avresti prima dovuto indossare gli occhiali. Apri il pacchetto.”
Perplesso, Lukas obbedì -in effetti, da quando aveva riacquistato solidità, quella donna non faceva che dargli le spalle...
Il pacchetto conteneva degli abiti neri, guanti e stivali pure neri. E in cima c’era un paio di occhiali pure neri. Li prese e li esaminò velocemente. Il design era di lusso, simile ai primi che avesse mai posseduto, ma le lenti erano così scure che avrebbe potuto usarle al posto di quelle da saldatore…
“Mettili,” disse Edna.
Lui lo fece.
“Ora puoi voltarti, se vuoi.”
Invece, senza voltarsi, Lukas si infilò gli abiti -non tanto in omaggio al senso del pudore, quanto per provare la soddisfazione di sentire dei vestiti sulla pelle. “Dio, mi ero quasi dimenticato di quanto fossero belli i piccoli piaceri della carne.”
“Dio è un concetto antiquato.”
“Prego..?”
“Dimenticalo. La corruzione passa per l’elevazione a sé
stessi come divinità suprema. Il diavolo stesso deve imparare a portarti
rispetto. Se scegli le tenebre dell’esistenza, tu diventi il tuo Primo
Comandamento. Il tuo Secondo Comandamento diventa il tuo desiderio. Il che ti
porta al Terzo Comandamento: niente
deve fermarti. Quarto Comandamento: onora la distruzione, sii sistematico.
Quinto comandamento: il caos è il tuo nemico; il male è lucidità. Sesto
Comandamento:
“Hai imparato bene la lezione, vedo,” Lukas si osservò allo specchio. Non capiva il perché degli occhiali, visto che ci vedeva come se non li avesse… “Dovresti diventare una mia assistente o cosa?”
Edna annuì. “Non sei il solo a desiderare il potere della Chiave. DeCeyt mi ha promesso che se lo avessi servito con fedeltà…”
Lukas sospirò. “Lascia stare, conosco la manfrina della fedeltà e tutto il resto. E so quanto ce ne ho messa, credendo che il vecchio mi avrebbe aiutato… Mi sai che hai fatto un cattivo affare, dolcezza.” Sorrise allo specchio, vedendo che il volto, anche se non più giovane, aveva mantenuto quella perfetta luce sinistra. L’immagine doveva essere importante, per il futuro signore del male..!
Edna si accigliò. “Eppure, mi ha assicurato che sarei stata una parte importante nella tua nuova esistenza.”
“Hm, così il vecchio bastardo ti ha stregata per bene, eh? Lo so, è un individuo molto convincente. Ti ha pagato bene, vero?” Lei annuì. Lukas si voltò, e le posò una mano sulla spalla. “E ti fidi di me, vero? In fondo, sono la prova vivente che ci sono grandi poteri che attendono di essere svelati e sfruttati…” La vide annuire con un gesto più deciso.
Lukas le sorrise, e la donna ebbe un attimo di esitazione. “Allora, devi concedermi di fare una prova. Sai, ho questa curiosità…ma non ti preoccupare, lo sai che non ti farei del male. Siamo sulla stessa barca, o no?”
“Sì…”
“Brava ragazza. E ora, su, guarda l’uccellino.” Prima che lei potesse distogliere lo sguardo, lui si tolse gli occhiali.
L’espressione di orrore assoluto era qualcosa che Lukas non credeva di potere mai vedere su un essere umano. Qualunque cosa ci fosse negli occhi di Lukas era molto, molto più di quanto un essere umano potesse sopportare, nello spirito come nel corpo. Edna Wiesenger continuò ad urlare e ad urlare, anche mentre la sua carne si dissolveva strato per strato, fino a che non rimasero le ossa. E quando anche quelle furono ridotte a polvere, una flebile eco dell’urlo rimase sospesa nell’aria.
Lukas si rimise gli occhiali. “Hm,
ora capisco perché il vecchio si era raccomandato tanto.” Schioccò le labbra in
disapprovazione all’indirizzo del mucchietto di polvere grigiastra. “Edna,
Edna. Sono davvero deluso dal tuo eccesso di fiducia…ma consolati: DeCeyt aveva
ragione, mi sei stata davvero utile. Grazie al tuo prezioso aiuto, ho i mezzi
per continuare a cercare
Venezia, 1955
La giornata era splendida, assolata e appena venata di delicati cirri. Dal mare veniva una brezza fresca. I suoni del canale e della strada erano un piacevole sottofondo.
Sul tavolino al centro del terrazzo giacevano i resti della colazione, insieme a due copie di giornale. Una era quella del quotidiano locale, l’altra una edizione del 1952 del Boston Herald. In prima pagina capeggiava un titolo a corpo grosso
MISTERIOSA CATENA DI DECESSI:
EPIDEMIA?
Sotto il titolo, la foto di una strada transennata occupata dai mezzi dei pompieri e della polizia. A parte loro, non c’era nessuno. Per quanto ne sapeva il lettore, la foto era stata scattata su un set cinematografico.
L’articolo esaltava la morte della popolazione di un intero isolato, sprecandosi sulle ipotesi di una tragedia che si era portata via letteralmente ogni uomo, donna, bambino ed animale domestico. Le autorità avevano solo potuto ammettere candidamente la sola verità che potessero dare: che non ci capivano un accidente. Il fenomeno, del resto, era rimasto isolato a quella zona, e non si era mai più ripetuto…
L’uomo seduto al tavolino lo aveva capito allora, e non se ne era preoccupato. Sapeva che la causa del disastro si sarebbe ripresentata da lui, e così era stato, oggi. “Così, sei rientrato nel Circolo delle Ombre, Lukas?”
“Mi chiami Shades, professore,” disse l’uomo in nero dalla soglia della suite, sotto l’ombra del tettuccio.
“Come preferisci,” fece Julius DeCeyt. “Ad ogni modo, la domanda resta: il Circolo non è che un vicolo cieco per le tue ambizioni. Dovresti saperlo.”
“La vita a cui tutti si attaccano con una simile ostinazione, convinti che la loro luce interiore si trasformerà in qualcosa di superiore alla fine della vita, mentre solo le tenebre attendono... No, il vero vicolo cieco è l’esistenza, professore. Io intendo aprire la nuova via. Lo aveva previsto, questo?”
“Naturalmente,” fu la cheta risposta. Nonostante Shades avesse poco prima dato prova del suo nuovo status incenerendo con il suo sguardo il cameriere che era venuto a ritirare la colazione, DeCeyt sembrava non esserne rimasto impressionato. “Ma non hai bisogno di cercare di convincermi, Shades. Segui pure la tua strada, fai quello che desideri…ma ricorda: da solo non otterrai mai nulla.”
Shades rise. “E lei pensa che tornerò al suo nido? Sogna pure, vecchio! Volevo solo porgerle un ultimo saluto: all’inizio, volevo ucciderla, ma alla fine devo ammetterle che un po’ le sono grato. Ed è bello sapere che quando mi dovesse girare, sarò io ad ucciderla. Addio.” E si fuse con le ombre, scomparendo…
EPILOGO: Boston, oggi
La notizia sul Boston Herald non era certo da prima pagina. Purtroppo, altre priorità ed altri orrori occupavano l’attenzione del lettore medio.
La scomparsa della popolazione di un villaggio nel Darfour, dalla notte al giorno, aveva attirato l’attenzione della stampa a causa della scomparsa di un team dei Medici senza Frontiere. Solo i familiari e gli amici avrebbero veramente pianto gli occidentali scomparsi insieme a uomini, donne, bambini ed animali di quel paese che soffriva da anni sotto il peso della guerra civile.
“Centoventi innocenti sterminati per il solo piacere di farlo. Ti devo fare le mie congratulazioni,” disse l’uomo che reggeva il giornale. Chiunque avesse incontrato suo padre, non avrebbe avuto dubbi che Augustus DeCeyt aveva da lui preso molto più del nome di famiglia. Anche nelle movenze e nel tono di voce, Augustus era lo specchio di Julius. “Non hai alcun rimorso?”
Seduto dall’altra parte della scrivania di quello che era stato lo studio di un negozio di libri ormai vuoto e abbandonato, Shades scosse la testa. “È un lusso per gli altri.”
L’ombra di un sorriso attraversò il volto nobile e severo di Augustus. “Allora sei l’uomo che fa per me.”
“Allora, credo di dovertelo rispiegare: sei vivo solo per quella briciola di rispetto che devo a tuo padre. Un’altra parola di troppo, e…” appoggiò una mano agli occhiali, come per toglierseli.
“E perderai l’occasione di recuperare
Il sorriso di Shades si spense di colpo. “Continua.”
“Io posso trovarla. Ho i mezzi e le conoscenze per farlo.”
“In cambio di cosa?”
“Collaborazione. Niente missioni criptiche, niente doppio gioco: sto organizzando una società a scopo di…illecito profitto, ed ho bisogno di qualcuno come te per certi incarichi che solo un super-essere può svolgere. Lavorerai in squadra, e potrai affrancarti dal Circolo delle Ombre.”
“E vorrai una fetta del potere della Chiave, in cambio, immagino.”
“Una porzione dell’onnipotenza sarebbe ben misera cosa, ma ce ne preoccuperemo a suo tempo. Allora, ti sembra un’offerta vantaggiosa?”
“Considerando che ho ben poco da perdere, sì…capo.”
“Immagino che la mia famiglia ti abbia deluso. Neppure io provavo affetto per mio padre.”
Shades sorrise. “Come dissi a Julius anni fa, il mondo è una delusione, la vita è una delusione. Anche tu, che cerchi potere e ricchezza per chissà quale sogno di gloria… Quando imparerete a vedere il mondo attraverso un velo di ombra,” e si indicò gli occhiali nerissimi, “Allora saprete apprezzare la semplice verità dell’esistenza. Senza farvi abbagliare dalla luce.” E se c’era suono di anima dannata, fu quello della risata di una creatura che un tempo era stata un ragazzo di nome Lukas Zeller.