PROLOGO: Base 212, Antartide. 1939
«Eri un gran bastardello presuntuoso tanti anni fa, e non sei cambiato affatto. Mi dispiace solo di non avere compreso il tuo potenziale prima di andarmene, o il Reich avrebbe beneficiato di un essere straordinario come te.»
Erano in due a fronteggiarsi nell’hangar dell’avamposto nazista nell’unica terra che ancora potesse chiamarsi vergine: uno era un ragazzo, con ancora indosso la tuta polare, di colore nero. Sul suo volto pallido spiccavano un paio di lussuosi occhiali da sole. L’altro era un uomo ancora di alta statura, nonostante gli anni gli avessero incanutito i capelli. Le rughe sul volto non toglievano nulla alla fierezza nel suo sguardo, fierezza indubbiamente presente anche nei movimenti e nei tratti del giovane, che dell’uomo aveva ereditato altresì la statura…
Il giovane finalmente capì chi si trovava di fronte! «Padre?!»
Klaus Zeller chinò brevemente il capo. «Sei davvero cresciuto, Lukas.»
MARVELIT presenta
Episodio 3 - I migliori piani di uomini e di ombre…
Di Fabio (la spada) Furlanetto e Valerio (la penna) Pastore
La sorpresa di Lukas Zeller fu di breve durata. “Lo ammetto: non credevo che ci fossi tu alla guida di tutto questo,” disse in inglese. “A dire il vero, non speravo di rincontrarti… E, dimmi, quello è opera tua?” indicò con la testa il gigantesco robot, un apparecchio tozzo, con due enormi chele al posto delle mani, e una testa che era un involucro di circuiti chiusi da una capsula di spesso cristallo. Sul petto del robot spiccava l’inconfondibile svastica su campo bianco.
Klaus annuì, rispondendo nella stessa lingua. “È solo un prototipo. Se la corrente fase del Progetto Armageddon dovesse fallire, questa mia macchina, insieme alle altre che stiamo allestendo, assicurerà comunque al Reich la vittoria finale.” C’era una nota di commozione nella sua voce, come se, pensando alle sue creature, stesse pensando a dei figli…
E questo, a Lukas, non andava proprio. Senza esitare un istante, sollevò la mitragliatrice stretta fra le mani e la puntò verso le gambe di suo padre. Sparò due raffiche, brevi, precise.
Le ginocchia di Klaus Zeller esplosero in un doppio getto gemello di sangue, cartilagine e frammenti d’osso. Lo scienziato fece una ‘O’ di sorpresa con la bocca. Solo quando cadde a terra, su un fianco, il volto gli si contrasse in una smorfia di dolore. Era pallidissimo.
“Un ginocchio per avermi abbandonato, ‘papà’, ed uno per la soddisfazione di averti pagato come meritavi.”
“Tu piccolo…” ringhiò l’uomo, artigliando il pavimento…poi, la canna fumante della mitragliatrice si appoggiò alla sua fronte.
“L’hai detto tu stesso: sono un bastardello. È la cosa migliore che ho preso da te. E ora dimmi, cosa è questo Progetto Armageddon?”
Klaus riuscì a sfoderare un sorriso di sfida. “Da me non lo saprai mai. E non credere di farmi paura: ho dato la mia vita per il Führer nel momento in cui ho prestato giuramento. Qui ogni uomo è pronto a morire per la causa del Reich.”
Lukas, in risposta, sfoderò uno di quei sorrisi tinti di una malvagità disumana, ed ebbe la soddisfazione di vedere suo padre impallidire. “Vediamo se è vero.”
Non dovettero aspettare molto. All’inizio, Klaus si era chiesto perché, al suono degli spari, nessuna guardia fosse intervenuta…ma quando udì le urla, capì. Non aveva mai sentito versi così strazianti da una gola umana, neppure nei suoi peggiori incubi. Lo scienziato conosceva a memoria ogni angolo della base…ed era sicuro che molti di quei versi di agonia venissero da angoli molto lontani dall’hangar. Quale sofferenza poteva spingere un uomo ad un simile volume..?
Lukas accarezzò dolcemente la testa di suo padre. L’uomo ebbe la sensazione di essere toccato da qualcosa di alieno e ripugnante, non da un altro essere umano… “Sembra che i fedeli burattini del Reich abbiano imparato qualcosa di nuovo sulla morte. Che ne dici, padre? Vuoi imparare anche tu?”
Le urla continuavano. Qualunque entità stesse torturando soldati e scienziati, stava operando con spaventosa lentezza… “Si tratta della nostra arma definitiva. Il Teschio Rosso, la mente dietro il Progetto Armageddon, non vuole lasciare nulla al caso. È convinto che se il Reich dovesse un giorno soccombere, il mondo intero dovrà seguirlo. Il robot che vedi è uno dei Dormienti progettati a tale scopo. Dovrà trasportare una bomba speciale…”
La canna dell’arma premette contro la fronte. “L’altra arma, per favore.”
“Si trova nell’ultimo livello. È blindato, protetto in modo tale che neppure la Wermacht potrebbe penetrarvi. Si tratta di un dispositivo rivoluzionario, un ciclotrone.”
“Prosegui.”
“Un acceleratore di particelle, se sai di cosa sto parlando.”
“I dettagli tecnici a dopo. Cosa intendete farci, con questo ciclotrone?”
Per un momento, lo scienziato lanciò un’occhiata di disprezzo al figlio. “Tutta questa base è stata costruita intorno ad un condotto transdimensionale; una porta se preferisci.”
Il sorriso di Lukas divenne un ghigno di puro trionfo. “Ah, allora esiste!”
Klaus spalancò gli occhi. “Tu sai della porta?”
Il ragazzo sollevò la mitragliatrice, rimettendosi in piedi. “Oh, sì. Sapessi per quanti anni ho studiato e ristudiato ogni possibile fonte, per quanto scarna. Devo ammettere che ho avuto bisogno della mia dose di aiuto e di fortuna…ma cosa importa? Finalmente, sto per mettere le mani sulla Chiave della Dannazione.”
Dimentico del dolore, lo scienziato riuscì a sollevarsi su un fianco. “La Chiave è l’arma magica definitiva…anzi, è molto più di un’arma. È un’entità, il cui potere e direttamente proporzionale alla sua malvagità. Dimmi, figlio: i tuoi studi ti hanno mai rivelato la vera natura della Chiave della Dannazione?”
Lukas fece spallucce. “È il suo potere che bramo. Quanto al saperlo controllare, avrò tutto l’aiuto che mi serve. E non sarà certo il vostro…” tese un orecchio verso un ultimo verso di agonia.
“In nome di Dio, chi..?” fece Klaus…ed ebbe la sua risposta nel momento in cui le ombre dell’hangar, inclusa quella di Lukas, si agitarono e presero vita. L’uomo credette di essere impazzito quando vide le evanescenti figure sollevarsi ed assumere una sagoma umanoide. A quel punto, però, quelle stesse figure non erano ‘solide’, o delle proiezioni in nero…no, erano una pura assenza, come se stessero delimitando il vuoto assoluto. Guardarle direttamente faceva male agli occhi, il cervello rifiutava una simile visione…
“Per comodità, puoi chiamarli ‘amici’ miei. Le ombre hanno bisogno di qualcuno che impedisca a voi buffoni di fare saltare il mondo. E io sono quel qualcuno. E quanto alla chiave, diciamo che è la mia paga.”
“Niente e nessuno è mai riuscito a piegare la Chiave della Dannazione al proprio volere. Cosa ti fa credere di essere superiore a tutti coloro che sono venuti prima di te?”
“Io non ho bisogno di credere niente. La Chiave, semplicemente, è il mio destino. E ora dimmi, vecchio: che strada devo prendere per arrivare alla porta?”
“Va al diavolo.”
“Cosa..?”
“Uccidimi, torturami fino alla morte ed oltre, ma ora che i tuoi amici avranno sicuramente ucciso ogni uomo di questa base, chi pensi che potrà usare il ciclotrone per aprire la porta? Io da solo non posso operare l’intera sequenza di…”
“Risparmiati il fiato per quando andrai ad incontrarlo, il diavolo.” Lukas si toccò una tempia. “Conosco a memoria ogni lettera del rituale. Aprirò la porta alla vecchia maniera, così come hanno fatto i miei predecessori.”
Klaus scosse la testa. “Non puoi crederlo davvero. Anche noi sappiamo del rituale, ma sappiamo anche che entrare nella zona oscura dove la Chiave è custodita significa perdere la propria umanità. Per questo ho sviluppato il ciclotrone: per potere accedere senza dovere inviare nessuno!”
Invece di rispondere, Klaus Zeller roteo gli occhi fino a mostrare completamente il bianco. Un attimo dopo, la testa scattò all’indietro con un suono secco, come se fosse stata tirata da una mano invisibile.
Lukas, prudentemente, fece un passo indietro. “Was im Himmel..?”
La stessa forza invisibile fece sollevare di scatto il corpo dello scienziato. La testa tornò al suo posto con un altro crocchio sinistro. Gli occhi si accesero di una luce intensa.
Lukas sbuffò attraverso le narici. “Cominciavo a chiedermi quando sareste saltate fuori, Luci.”
“La Chiave è la terza forza,” disse l’entità nascosta nel corpo di Klaus. La voce del cadavere aveva un tono rabbioso, passionale. “È il caos. Squilibrio. Non puoi averla.”
Lukas fece ancora qualche passo indietro. “Eravate pronti a lasciarla usare ai nazisti, però.”
Il cadavere tese un braccio, e dalla mano partirono raffiche di pugnali luminosi. Un’ombra si levò fra di essi e Lukas, intercettandoli.
“Sapete cosa penso?” disse il ragazzo. “Penso che mi abbiate appena provato che sono il prescelto, l’unico che possa usare la Chiave della Dannazione! Se aveste pensato che questi buffoni potessero farcela, a quest’ora non ci sarebbe traccia della base… No, ora so per certo che le Ombre non mi hanno mai ingannato.”
“Le Ombre ti usano. Darti la chiave non è mai stato il loro scopo.”
“E io sto usando loro. Bella roba. Non avete niente di più originale da dirmi?”
“Ti fermeremo. Dobbiamo.”
“*sigh* Incredibile che dicano ancora che la luce vince le tenebre…” Lukas premette il grilletto, e svuotò il caricatore contro il corpo di suo padre. Sotto la forza degli impatti, il corpo sussultò ed ondeggiò, mentre andava in pezzi. Quando il ragazzo ebbe finito, ricadde a terra, mero straccetto sanguinolento, lasciando in piedi una figura di luce solida, dai tratti del volto indistinti, ma indubbiamente femminile.
La Luce si gettò contro Lukas. Un’Ombra intercettò la luce. Entrambe si fusero in una specie di sfera pulsante, dove tenebre e luce si alternavano con ritmi precisi, in un equilibrio che non potevano spezzare… Ma per Lukas Zeller, tutto questo era del tutto irrilevante. Gli bastava che le Ombre tenessero le Luci occupate. Al resto ci avrebbe pensato lui!
Lanciò un’ultima occhiata al cadavere del padre, e il suo spirito fu percorso da un brivido di piacere. Adesso aveva chiuso tutti i ponti col passato della sua famiglia…
L’ascensore era fuori questione. La base era precipitata nel crepuscolo artificiale delle luci di emergenza, ogni altro impianto elettrico era stato distrutto dalle Ombre.
Le scale, così come i pavimenti finora percorsi, erano cosparse di cadaveri. Un po’ dappertutto c’erano i segni dei proiettili. Molti morti, e non una goccia di sangue -invece, ogni corpo era avvizzito, come se l’essenza vitale fosse stata succhiata via. E tutti i cadaveri erano accomunati dall’orrore che aveva accompagnato i loro ultimi istanti…
Vandalismo spicciolo, per Lukas. Uccidere la gente era facile, mentre lui voleva ridare forma al mondo, riplasmarlo a propria immagine e somiglian*
Aveva appena voltato un angolo, quando si trovò di fronte a qualcosa di impossibile!
Avrebbe dovuto trovarsi in un corridoio, l’ultimo prima di arrivare alla porta.
Invece, si trovava nel corridoio di un palazzo. Un corridoio familiare, con le lampade a coppie lungo le pareti, e una porta di legno laccato di verde alla fine. Riconosceva la carta da parati a fiori, persino l’odore era quello che ricordava…
Lukas avanzò di un passo, e si trovò a passare davanti ad uno specchio. Il riflesso che vi vide era ancora il suo, ma senza la tuta polare e senza gli occhiali da sole.
Un’illusione, era tutta un’elaborata illusione…ma lui era sicuro di avere sepolto molto, molto in profondità quei ricordi. Come potevano le Luci riuscire ad attingere ad essi con simile precisione? Persino lo scricchiolare del pavimento ad ogni passo era esattamente quello di casa sua.
Deciso a non cedere a quel trucco da circo, Lukas si diresse verso la porta. Abbassò la maniglia e la aprì con un gesto secco.
Il suo pallore naturale si accentuò alla vista del salottino. Un ambiente piccolo, ma decoroso, dalle pareti a fiori, lampade a coppie, con i bulbi a candela dalle tonalità soffuse. La luce di una giornata dal cielo azzurro entrava dalla finestra accanto al pianoforte di famiglia. I riflessi danzavano sul legno lucido come su un fine cristallo. Il legno dei mobili -la dispensa con le sue porcellane della festa, il tavolino con il centrino, le sedie impagliate- odorava di cera appena passata. E sopra tutto, il silenzio. L’aria calma di una giornata di metà settimana, in attesa del pranzo, con gli anziani impegnati fuori casa a rievocare i bei tempi andati, mentre le madri preparavano il pranzo… “Madre…”
Era tutto finto, un sogno per ingannarlo…
Ma questo non era solo un sogno, vero? Un sogno conteneva elementi irreali, distorsioni.
Questa era una memoria, qualcosa che si era tenuto, custodendola gelosamente. Erano queste le cose che, nelle notti di disperazione, chiamava per trovare conforto.
C’erano altre memorie che chiamava a sé per trovare forza.
Non le voleva, non ora. “Madre!”
Superò la scala che dava al piano superiore. Attraversò lo stretto corridoio che dava sulla cucina.
Non un granello di polvere era fuori posto. Verdure affettate erano sparpagliate sul tavolo dal ripiano di marmo, insieme ai resti di un osso di prosciutto, frutto di un qualche duro baratto al mercato nero…
“Madre?” Allungò un braccio esitante verso di lei. Temeva…no, voleva che lei si voltasse di colpo, rivelandogli il volto cadaverico e coperto di sangue, una smorfia di accusa solo per lui, la sua condanna per essere fuggito…
Elsa Zeller si voltò. Niente volto esangue, niente smorfie. Solo un’espressione gentile, tinta di quel fastidio che provava ad essere interrotta durante le faccende domestiche. Era proprio quello il ricordo di Lukas: una donna con dei difetti, ma sempre la sola che contasse per lui… “Cosa c’è, Lukas?” una domanda innocua, ma con quel sottofondo onnipresente di preoccupazione. Lukas era stato sempre un ragazzo…difficile, dal giorno in cui suo padre aveva lasciato la famiglia senza dare alcuna notizia…
“Niente. Volevo solo vederti.” Aveva lasciato la sua casa e la Germania quando aveva dodici anni. Lei non lo aveva mai visto crescere, non…non… “Ti voglio bene.”
Per tutta risposta, lei lo prese per le spalle e lo spinse, gentilmente ma con fermezza, fuori dal suo regno. Sulla soglia della porta, gli diede un rapido bacio sulla guancia. “E io ne voglio tanto a te, ma dovrai aspettare l’ora di pranzo per sgraffignare qualcosa dalla dispensa. Ora vai a vedere come sta la nonna, su.”
La porta si chiuse. Lukas si voltò ad osservare le scale. Già, la nonna, detta anche la nota meno felice della loro vita in quell’appartamento… Ma era anche vero che se non fosse stato per lei, lui e sua madre vivrebbero in qualche topaia come le tante, troppe famiglie rovinate dal crollo dell’economia…
La porta si aprì con quello scricchiolio che, per quanti tentativi si fossero fatti, non si riusciva ad eliminare.
“Vieni pure avanti, ragazzo. Lo sai che non hai niente da temere, da me.”
La donna era alta, magra, regale in un severo abito grigio. Contemplava il panorama del quartiere con la stessa espressione che riservava ai suoi possedimenti, quando vivevano nel castello di famiglia. La famiglia di suo padre… “Un giorno, capirai che ti voglio bene, nipote.”
Lukas entrò nella stanza. C’era quell’odore onnipresente di lavanda che lo stordiva…ma più grande era il timore che aveva di sua nonna.
“Sai cosa penso di tua madre, ma penso anche che bisogna sapere accettare il male minore.” Si voltò, rivelando un volto ancora giovanile, identico negli occhi a quello del padre. Un volto freddo, un muro fra sé stessa ed ogni debolezza imposta dalla socialità. Anche gli adulti temevano Magda Zeller, e l’avevano rispettata solo per guadagnarsi i suoi favori. Con la caduta in disgrazia dopo la diserzione di Klaus, gli squali si erano gettati sulla famiglia, spartendosene i beni come con un bel pezzo di carne appena servito dopo anni di carestia.
Magda era riuscita a vendere quanto bastava per garantirsi la sopravvivenza -almeno, così lei la chiamava. Elsa, più pragmatica, considerava quell’appartamento ad Amburgo una sistemazione dignitosa. Le due donne vivevano un conflitto perenne, e solo per il bene di Lukas erano giunte ad una tregua che sarebbe durata fino a quando avrebbero dovuto condividere quell’appartamento. Magda detestava Elsa, una ragazza venuta dalla parte meno nobile della società. Non aveva mai benedetto il matrimonio; suo figlio, un ufficiale in carriera dell’esercito del Kaiser, meritava di meglio!
Poi, c’era stata la guerra. La Germania aveva perso. E Klaus era fuggito. Magda sarebbe morta per la vergogna, e solo il pensiero di dovere tirare su il suo unico erede maschio che avrebbe riconosciuto le aveva impedito di cacciare via Elsa. E se alla donna riconosceva l’avere saputo gestire parsimoniosamente i soldi disponibili, di sicuro non lo aveva mai fatto capire.
“Tu devi avere di meglio, Lukas, ed io non te lo posso dare. Dovrai lottare per costruirti una vita.”
Lukas annuì. Per quanto amasse sua madre, erano state le parole di sua nonna a spingerlo verso…verso…
“So che pensi di cercare tuo padre, o di ripercorrere il suo cammino. Non ti fare illusioni. Falliresti. Il mondo è cambiato, e quella che tanti sciocchi chiamano ‘pace’ è solo un breve interludio verso una nuova era. La storia del mondo sarà riscritta con il sangue, e tu, Lukas, dovrai essere uno di coloro che reggeranno la penna.”
“Ma io non voglio lasciarvi.” Ed era vero. Non lo avrebbe mai fatto, se non fosse stato per…per…
Non
sarai costretto a farlo.
Lukas sobbalzò, aspettandosi di vedere l’illusione crollare come un cristallo… Ma la stanza rimase dov’era, gli odori non scomparvero…
Al posto di sua nonna c’era una Luce, con il suo corpo diafano e il volto senza bocca. Questo è quello che volevi allora, e che vuoi ancora. Vuoi scrivere il tuo destino, e puoi ancora farlo. Non ti toglieremo niente. Potremo ridarti quello che ti è stato tolto.
In un’altra occasione, in un’altra situazione, Lukas avrebbe mandato al diavolo una simile ‘offerta’. Nessuna parola, nessun ragionamento, per quanto ben fondato, avrebbe fatto presa sulla sua determinazione…
Ma questa non era un’altra occasione, un’altra situazione. Nessun sogno di potere, di lusso o ricchezza potevano essere paragonati a questo. Al potere rivivere una vita perduta… Non era troppo tardi. Se lo era ripetuto così tante volte in quelle notti solitarie che non passavano mai: se avesse avuto un’altra possibilità, l’avrebbe sfruttata, sì, sì, sì!!
Aveva le lacrime agli occhi, Lukas, quando disse, “Non voglio perdere tutto questo. Non di nuovo. Io…”
“Lo hai già perso, piccolo idiota!”
“Padre!” ancora prima di voltarsi, Lukas lo aveva riconosciuto.
Stava sulla porta, l’esatta figura che aveva preservato ed idolatrato prima del tradimento. Un severo ufficiale prussiano, in un’uniforme bianca gallonata d’oro, pantaloni scuri. I capelli biondi cortissimi ad evidenziare un cipiglio indomito. Klaus avanzò nella stanza a larghi passi. “Perché credi che abbia lasciato questa famiglia, eh? Perché non volevo vedere una delusione come te ronzarmi intorno…anzi, ronzare intorno alla gonna di tua madre! Hai dodici anni, e ti comporti ancora come un lattante!”
E ora Lukas aveva effettivamente dodici anni, un bambino miserabile in abiti troppo grandi per lui, un pupazzo che suo padre afferrò per un braccio, quasi slogandogli la spalla. Al bambino sfuggì un grido di dolore. “Papà, no! Ti prego, ti prego!” ma ogni protesta fu vana, mentre veniva trascinato fuori dalla stanza, e da lì giù per le scale.
Quando furono di nuovo al piano inferiore, Klaus lo spinse a terra. “Eccotela, la verità!”
Il ricordo, il prezioso tesoro di Lukas, fu tinto di qualcosa che non avrebbe mai dimenticato, ma che aveva cercato sempre di non rievocare.
La Germania era un paese economicamente rovinato. Il crimine era endemico. Poteva capitare che in un quartiere ‘rispettabile’ arrivasse una banda di ladri per prendere quello che si poteva trovare, perlopiù cibo e soldi…
Era notte, quando i ladri arrivarono in casa Zeller. Erano in tre, avevano la sorpresa e gli anni dalla loro parte. Giovani e forti, esperti, colpirono con precisione. Lukas vide due di loro dirigersi verso il piano superiore. “Madre!!” Lukas fece per seguire quegli uomini. C’era qualcosa che poteva, che doveva fare...
Uno stivale crudele lo schiacciò con la schiena contro il pavimento.
“Tu non c’eri, ricordi?” lo sfotté suo padre. “Avevi così poca responsabilità nei confronti dei tuoi familiari, da non essere presente quella notte fatale.”
Il bambino scosse la testa, le manine premute contro le orecchie. “Non è vero, non è vero!”
“Eri in strada con i tuoi amici, con la tua piccola ghenga, a giocare a fare il duro e a borseggiare i passanti ubriachi. Mentre tua madre e tua nonna morivano.” E, a sottolineare quell’accusa, dal piano superiore giunsero le urla delle due donne. Lukas serrò gli occhi, mentre cercava, invano, di scacciare dalla sua mente l’immagine dei corpi che avrebbe trovato al suo rientro… La nonna aveva cercato di resistere, e le avevano tagliato la gola. Sua madre, invece….l’avrebbero…
“NO!”
Nessuna illusione, nessun ricordo.
Era di nuovo nella Base-212, figura tremante in lacrime, raccolta in posizione fetale sul pavimento.
Il senso di colpa lo aveva spinto via da quella casa, dal suo paese, da ogni memoria crudele. Per stare in strada, aveva condannato la sua famiglia, la strada lo avrebbe allora forgiato. Era stato impotente di fronte alla crudeltà del mondo, e allora avrebbe reso il mondo intero impotente al suo volere!
Lukas Zeller smise di tremare. Le lacrime si arrestarono. Il respiro tornò regolare.
Lukas si mise in piedi. E sorrideva.
Le Luci avevano provato ad ingannarlo, ed erano state astute, doveva riconoscerlo. Avevano sfruttato bene la loro natura: in fondo, non è la luce cangiante, un universo chiuso nelle proprie sfumature?
Le Ombre, le tenebre, invece, non cambiavano. Erano esse stesse la verità immutabile, chiusa nella loro immutabile oscurità…
“Bel tentativo, davvero!” Lukas si incamminò verso il suo destino, ignorando le grida di un bambino sepolto nella sua memoria…
Guidato dalle Ombre, raggiunse finalmente la sua destinazione: una porta di roccia, a due ante, scavata nella roccia primordiale. La sua superficie era ricoperta di simboli in una lingua antica molto più dell’uomo. Simboli facilmente riconoscibili per Lukas: simboli che erano un avvertimento, parte di una storia che avrebbe dovuto scoraggiare chiunque dal mettere piede nella camera oltre la porta…
Ma la civiltà che aveva custodito e tramandato quella storia era scomparsa da millenni, ridotta all’oblio. Gli Dei che l’avevano sostenuta erano lontani, dimenticati anch’essi…
Restava solo la Chiave.
La porta era chiusa, l’ultima disperata misura di emergenza. Ci sarebbero voluti molti uomini per aprirla…
Le Ombre scivolarono da ogni anfratto. Come macchie di olio scorsero lungo le pareti, si radunarono al centro della porta… Poi, con un suono di roccia scricchiolante, la porta si aprì.
La camera era esattamente come i libri l’avevano descritta. Una delle tre al mondo. Due in Europa, e questa, la prima! Pianta esagonale, granito puro grigio, nuda. Non un luogo di celebrazioni, ma di contenimento.
La storia di avvertimenti continuava fitta lungo le pareti ed il pavimento. I lavori dell’uomo moderno avevano coperto tutto di un velo di polvere croccante. Faceva una strana impressione, la vista dei due templi -uno, quello della moderna tecnologia, una ciambella di metallo collegata al soffitto da un monumentale intrico di cavi. Altri cavi andavano dalla ciambella al vero tempio, quello al centro della camera. Una piccola ziggurat con una fila di scale su ogni lato.
E sulla sommità, un esagono massiccio di pietra. Niente decorazioni, salvo un paio di bracieri ai fianchi della struttura.
Lukas si avvicinò al tempio. Salì le scale, i soli suoni il proprio respiro accelerato per l’emozione e lo scricchiolare della polvere sotto i suoi piedi.
Dentro di lui, una voce gli gridava di girarsi, di tornare indietro. Non era troppo tardi, poteva essere felice in altri modi…che questo era quello sbagliato, che non sarebbe tornato indietro, mai più!
E, proprio nell’atto di posare il piede sull’ultimo gradino, Lukas si fermò.
Il piede tornò indietro. Lukas osservò la porta, l’oggetto del suo desiderio fin dal primo giorno in cui ne era venuto a conoscenza, in un oscuro negozio di libri dove aveva lavorato come garzone…
Dietro la porta, il potere.
A che prezzo? A dire il vero, non si era mai posto il problema fino a quel momento… Era convinto di non avere più nulla da perdere, salvo il proprio destino…ma era veramente così?
Serrò gli occhi ed i denti. Si sforzò di ricacciare quelle considerazioni da debole. La testa gli pulsava dolorosamente. No, il tempo delle indecisioni era passato! La sua vecchia vita era solo un ricordo, e presto neanche quello sarebbe rimasto. Che fosse il resto del mondo a vivere di ricordi, quando lui avrebbe seminato tempesta!!
Lukas riprese a camminare. Due passi, e fu in cima. Si avvicinò all’esagono, e si fermò sopra un cerchio di pietra più chiara anch’esso coperto di simboli.
Poi le sue labbra si aprirono, e ne emerse un canto dai toni profondi e gutturali. A braccia spalancate, le mani rivolte verso l’alto, Lukas invocò divinità vecchie come il mondo. Intonò un canto di fedeltà al male…
Ed ebbe risposta. Per la prima volta in millenni, i bracieri si accesero. Fiamme azzurre danzarono alte sul bronzo, cambiando continuamente forma. E non c’era dubbio che più di una volta quelle fiamme divenissero occhi, malevoli ed intensi.
Le divinità inferiori potevano chiedere in sacrificio sangue e carne di vergini o di animali…ma questa entità voleva assoluta devozione. Chiunque intonasse il canto dell’evocazione si battezzava e si dedicava scientemente ad essa. Non c’era modo di tornare indietro…
Il canto si fece frenetico, mentre raggiungeva il suo apice. Lo spaziotempo all’interno dell’esagono si increspò, come uno stagno in cui stessero gettando dei sassi.
E Lukas, ormai totalmente concentrato su quell’ultimo passo, non vide le Ombre e le Luci radunate intorno al ciclotrone.
È fatta.
Il
vostro successo è il nostro fallimento. Ma nel nostro fallimento, abbiamo avuto
successo.
Il mondo
non conoscerà l’apocalisse. Noi avremo il nostro agente.
Non
avrete la chiave. Il cerchio è completo. L’equilibrio è raggiunto. Che sia
compiuto l’ultimo passo.
Le Luci si trasformarono in raggi e penetrarono la struttura del ciclotrone.
Le Ombre si avvicinarono ai dispositivi di avviamento. Come parte del personale della base, avevano imparato il funzionamento della macchina…
Il canto terminò.
Scariche di energia attraversarono il liquido tessuto della realtà, e finalmente un cerchio perfetto e nero si formò al centro dell’esagono. Rapidamente, il cerchio si allargò fino ad occupare l’intero portale.
Lukas sorrise estatico. Nella sua mente, l’entità sussurrava promesse di potere e di oscenità senza fine, bisbigliava tentazioni inimmaginabili per un mero essere umano, e il giovane uomo le trovava bellissime. Ora doveva solo camminare nel portale, e tutte quelle promesse sarebbero diventate realtà…
Lukas Zeller entrò nel portale nello stesso istante in cui il ciclotrone, saturo di energie incontrollabili, veniva attivato.
L’esplosione distrusse per sempre la camera del portale, e trasformò l’intera base-212 con i suoi segreti in un cumulo di macerie fuse ed irrecuperabili.