(CAVALIERI MARVEL)
N° 51
SEGRETI E
BUGIE
(PROLOGO)
LO SPECCHIO DELLA VITA
Di Carlo
Monni
1.
Se
siete a Londra e cercate la sede del Secret Intelligence Service Britannico,
meglio noto come MI6 non farete molta fatica a trovarla: basta che vi rechiate
fino al Vauxhall Bridge dal lato dell’Albert Embarkment e vi troverete di
fronte ad un curioso edificio bianco che assomiglia ad una ziggurat babilonese.
Alcuni, proprio per questo, lo chiamano Babilonia sul Tamigi. Altri, più
spiritosi, lo chiamano Legoland perché sembra fatto proprio con i famosi
mattoncini Lego.
Mentre sta entrando nel palazzo,
l’agente Clive Reston non può fare a meno di pensare che era meglio ai vecchi
tempi, quando la stessa esistenza del MI6 era negata ufficialmente e la sede
del Servizio era in un anonimo palazzo, mascherata dall’insegna di una ditta di
spedizioni internazionali ed il Governo non era roso da tutte queste esigenze
di trasparenza al punto di inaugurare quella sede e rendere pubblico il nome
del Direttore del Servizio invece di nasconderlo sotto le lettere C o M com’era
ai tempi di suo padre. Come potevano lui ed i suoi colleghi dirsi agenti
segreti se un qualunque balordo armato di cannocchiale avrebbe potuto spiarne
l’entrata in quel palazzo così appariscente? Senza contare che un posto del
genere era un perfetto bersaglio per un attentato e ci avevano pure provato a spedirci
contro un missile o era stata una bomba? Clive teme di confondersi con uno di
quella serie di film che hanno offerto una visione molto romanzata delle
avventure di suo padre. Non gli ha mai chiesto cosa ne pensasse di quei film e
degli attori che ne hanno interpretato il ruolo finora. Da parte sua Clive
pensa che siano stati tutti in gamba (anche se forse l’ultimo sarebbe più
adatto ad interpretare lui più che suo padre) ma che nessuno abbia più avuto e
il carisma dello Scozzese.
Ridacchiando tra se Clive prende uno
degli ascensori e preme il pulsante di uno dei livelli sotterranei. L’ascensore
scende con un ronzio appena percettibile, poi le porte si aprono su un grande
salone pieno di gente affaccendata. Clive non ricorda qual sia la sua
designazione ufficiale al momento, ma poco importa: per lui è sempre e comunque
la Sezione Q.
Si avvicina ad una donna, che
indossa una comoda tuta da lavoro bianca, intenta a sparare contro dei bersagli
che passano in rapida successione. Sta sicuramente testando un qualche prototipo,
pensa Clive ed attende che termini per poi battere le mani.
-Complimenti, disse
–Sei sempre la migliore.-
Ah, sei tu.-
ribatte brusca la donna –In ritardo come al solito.-
Olivia Amanda Boothroyd è il Vice
Capo della sezione ed il suo compito è fornire agli agenti operativi tutti i
mezzi tecnici di cui abbiano bisogno in missione. È una sorta di figlia d’arte
perché suo nonno ha lavorato in quella stessa sezione per decenni, fino ad
esserne stato addirittura a capo
creandone di fatto la leggenda. Olivia era entrata nel MI6 subito dopo la
laurea e dopo una dura gavetta, solo da poco è arrivata al ruolo che ora
ricopre. È una bella donna e non dimostra più di 40 anni anche se c’è chi dice
che ne abbia decisamente di più, ma mai davanti
a lei, non se vuol tornare a casa con tutte le ossa sane. Clive pensa che
assomigli un po’ a Vanessa Redgrave e
glielo aveva anche detto diversi anni prima, quando lui era un agente novizio e
lei la sua istruttrice di tiro. Era accaduto in un momento d’intimità di cui si
erano poi pentiti…beh, lei si era pentita, lui non troppo. Poi tante cose erano
successe, era arrivata Leiko e gli aveva spezzato il cuore e lui aveva
cominciato ad esagerare coi superalcolici, un vizio di famiglia, pare. Ora
tutto era dietro le spalle o almeno è quello che lui continua a ripetersi ogni
volta che incontra Leiko Wu.
-Mi stai ascoltando
Clive?-
La voce di Olivia Boothroyd la
strappa alle sue considerazioni e Clive si rende conto di aver fatto volare
troppo i suoi pensieri.
-Uh si, stavi
dicendo?-
La voce della donna ha lo stesso
tono di una severa istitutrice che ha appena scoperto uno dei suoi alunni a
copiare.
-Ti stavo
illustrando il funzionamento degli strumenti che ti dovrai portare dietro nella
tua prossima missione, ma se la cosa non t’interessa e preferisci farti ammazzare dal primo che
capita perché non hai capito come usarli, sono fatti tuoi.-
-Hai tutta la mia
attenzione, Olivia, credimi.-
Dopotutto la sua prossima missione
non sarebbe stata uno scherzo, non lo era mai quando c’era di mezzo un Signore
del Male come Fu Manchu.
Ci sono poche cose che annoiano
veramente T’Challa figlio di T’Chaka, Re del Wakanda e Pantera Nera in carica e
tra queste c’è indubbiamente il doversi occupare della quotidianità
dell’attività di governo. Ciò nonostante T’Challa prende molto sul serio i suoi
doveri di sovrano ed ascolta attentamente il resoconto settimanale del suo
Primo Ministro N’Gassi e poi approva le decisioni del suo Gabinetto ed appone
il sigillo reale alle leggi recentemente approvate dal Parlamento. Ormai il suo
ruolo è sempre più cerimoniale e sempre meno sostanziale, ma non gli importa: è
lui che ha voluto cosi, dopotutto. I giorni della monarchia assoluta sono
finiti per sempre. anche se non mancano i nostalgici come il suo stesso
fratello adottivo Hunter (o K’Winda per usare la lingua wakandana) che
vorrebbero diversamente.
Fin
da quando ha preso su di se il manto del sovrano T’Challa si è trovato di
fronte all’eterno dilemma tra il preservare le tradizioni del suo popolo ed
accettare le innovazioni del mondo esterno, La sua scelta è stata rompere
definitivamente il tradizionale isolamento del Wakanda, che aveva ammantato di
leggenda la sua stessa esistenza. Oggi, accanto a Central Wakanda, capitale
della nazione e città che ha poco da invidiare alle metropoli del mondo esterno
sorgono ancora i villaggi tradizionali dove i Wakandani apparentemente vivono
ancora come ai tempi dei loro avi o cosi avrebbe creduto un eventuale
visitatore fino al momento in cui avrebbe scoperto nelle loro capanne un
televisore satellitare ultimo modello. Wakanda sembra un vero e proprio modello
di convivenza tra vecchio e nuovo ma non tutte le contraddizioni sono state
risolte e nessuno ne è più consapevole del suo sovrano mentre osserva il suo
Primo Ministro ostinatamente vestito con gli abiti tradizionali del suo popolo
con seduto al suo fianco Ishanta, suo coetaneo e responsabile delle finanze
reali, che indossa invece un perfetto gessato scuro fatto su misura in una delle
più rinomate sartorie europee su cui spiccano un’immacolata camicia bianca ed
una cravatta con il marchio di una nota casa di moda maschile. Contraddizioni a
cui T’Challa si è ormai abituato
Congedati
sia N’Gassi che Ishanta, T’Challa indossa la maschera della Pantera Nera e
salta fuori da una delle finestre del palazzo reale raggiungendo il ramo uno
dei grandi alberi che sono l’incubo del suo Ministro per la Sicurezza W’Kabi.
Povero W’Kabi, pensa T’Challa, si è abituato a vedere nemici e complotti
ovunque ed il vero problema è che spesso ha ragione, ma non è comunque un buon
motivo per abbandonarsi alla paranoia.
Saltando
di ramo in ramo, di albero in albero, T’Challa si rilassa nel suo peculiare
modo. Chissà se gli altri che hanno rivestito il ruolo della Pantera Nera prima
di lui hanno provato la stessa eccitazione che prova lui quando può lasciarsi
andare libero dalle costrizioni del dovere? Avrebbe voluto avere la possibilità
di chiederlo a suo padre.
Pensare
a suo padre gli porta alla mente una domanda: avrebbe approvato la sua scelta
di sposare una donna del mondo esterno, un’americana? Certamente si: non aveva
lui stesso scelto come seconda moglie una sudafricana sfidando l’ostilità di
molti dei suoi consiglieri? Ma forse nemmeno lui avrebbe approvato se fosse
tornato dall’università assieme a Nicole Adams: una donna bianca e bionda per
giunta, sarebbe forse stata troppo per la rigida società wakandana dell’epoca,
mentre almeno Monica Lynne aveva più speranze di essere accettata.
Forse
è il fatto che i suoi pensieri sono altrove o forse il motivo è un altro, fatto
sta che T’Challa non si accorge che qualcuno lo sta osservando di nascosto e
questo errore potrebbe forse costargli caro.
Se
capitate a San Francisco e volete divertirvi, questa è una città che fa per voi
forse anche più di Los Angeles. Quella che si offre ai vostri occhi è una
metropoli variegata, vero crogiolo di razze, religioni e stili di vita, pronta
ad offrire divertimenti, legali ed illegali, a portata praticamente di tutte le
tasche. Se non siete interessati ad un certo tipo di commercio, però, vi
conviene stare lontani dal quartiere di
Tenderloin, dove quando cade la notte solo gli spacciatori, le prostitute ed i
disperati osano muoversi, ma se al
contrario siete alla caccia di emozioni forti, forse Tenderloin è proprio il posto
che fa per voi. State attenti, però, potreste ottenere più di quanto chiedete.
Forse
tutto quello che Charlie Wilson voleva era solo una gusta dose di anfetamine,
qualcosa di più forte della solita roba con cui sballarsi il sabato sera con
gli amici. Può darsi che l’abbia ottenuta, ma non ha più molta importanza per
lui ora che giace in un vicolo buio con la gola squarciata da un orecchio
all’altro mentre i suoi assassini si apprestano a ripulirlo di tutto quello che
ha in tasca, per tacere dei suoi stessi vestiti per poi scaricarlo nelle acque
della Baia. Domani Charlie Wilson sarà un altro numero nelle statistiche sui crimini
violenti della città, quanto ai suoi assassini… beh… possiamo chiamarli Joey e
Curly ed in un certo senso la loro storia comincia ora.
Il
vicolo è buio abbiamo detto, ma c’è tenebra e tenebra e quella che avvolge i
due criminali è decisamente diversa da qualunque altra, una tenebra così fitta
che impedisce loro di vedere qualunque cosa, che taglia fuori ogni rumore
tranne il battito concitato dei loro cuori e che li riempie di una sensazione
di angoscia e di irragionevole paura… poi il buio sembra squarciarsi e dalla
tenebra stessa sembra formarsi una figura umana, quella di un uomo rivestito da
un mantello scuro che lo ricopre da capo a piede ed il cui volto è nascosto da
un ampio cappuccio.
-Chi… chi sei?-
grida quello chiamato Joey.
Forse è solo un’illusione dovuta
alla strana situazione o forse no, ma la voce ha un tono strano, come se
venisse dall’oltretomba:
-Io sono… il Sudario
e sono qui per farvi scontare i crimini che avete commesso.-
-Un dannato
supereroe.- urla Curly –Non bastava quell’Uomo Ragno di seconda categoria,[1]
ne stanno spuntando altri come funghi. Beh, amico, se credi di farci paura ti
sbagli di grosso.-
L’uomo sferra all’intruso un
fendente con lo stesso coltello che ha appena usato per assassinare Charlie
Wilson e la sua nuova vittima resta immobile mentre la lama affonda nel suo
addome… per incontrare il nulla mentre la figura di colui che ha detto di
chiamarsi Sudario si sfalda come se fosse composta dalla tenebra stessa,
tenebra che si richiude sui due malviventi mentre la voce del supereroe sembra echeggiare
da ogni parte.
-Avete preso una
vita stanotte e pagherete per il vostro crimine. Questa è la legge del
Sudario.-
-Noo!- urla Joey e
comincia a correre. Ma dove può correre mentre le tenebre si stringono
tutt’intorno a lui, quando non sente nemmeno il terreno sotto i suoi piedi? Non
lo sa ma non può far altro che correre senza sapere dove sta andando finché
ecco che gli sembra di vedere una luce in lontananza, dapprima fioca, poi sempre
più forte. Deve continuare a correre, deve raggiungere la sola possibilità di
salvezza. Corre verso la luce e la raggiunge per poi tuffarsi letteralmente
verso di essa… per ritrovarsi sospeso a diversi metri da terra. Urla mentre
precipita nelle acque della Baia di San Francisco, urla mentre riemerge a
parecchi metri dalla riva e sa che dovrà nuotare a lungo per raggiungerla,
sempre che le braccia e le gambe lo sostengano. Per fortuna che sono anni che
nella baia non ci sono squali, non è vero?
Curly non è fuggito, ha estratto la
sua pistola ed ha cominciato a sparare ma non è servito a molto nella tenebra
che l’avvolge. Grida:
-Dove sei, dannato,
dove sei?-
-Sono qui.-
Sudario si è improvvisamente
materializzato alle sue spalle . è come se la tenebra si fosse diradata intorno
a lui quanto basta per delinearne la figura, che sembra quella di uno spettro,
una nuova incarnazione di quello Spirito
della Vendetta di cui si diceva in giro che potesse farti impazzire solo
guardandoti.[2] Di
questo qui, però non si vedono gli occhi.
Curly prova a sparargli, ma il
percussore batte a vuoto.
-Hai finito i
proiettili.- dice calma la voce di Sudario –O forse la tua arma non funziona su
di me. Vuoi riprovarci?-
Ancora l’uomo preme il grilletto ed
ancora e ancora il percussore batte a vuoto. Con un gesto di stizza il
criminale getta la pistola verso l’imperturbabile figura.
-Che aspetti?- urla
–Se vuoi uccidermi, fallo, fallo!-
-Non prenderò la
tua vita… non sarà questa la tua punizione.-
Ancora una volta le tenebre si
richiudono sull’uomo. Il tempo passa senza che succeda qualcosa e Curly grida:
-Non puoi lasciarmi
qui, non puoi!... Non lasciarmi qui!-
Grida, impreca, piange ed alla fine
si accascia nel nulla. Non si accorge che intorno a lui è tornato il vicolo e
che lui è sdraiato contro una parete proprio davanti alla sua vittima. Nei suoi
occhi solo la tenebra. Sarà così che la Polizia lo troverà quando accorrerà in
seguito ad una chiamata anonima.
-Mi avevano detto
che i criminali sono una razza codarda e superstiziosa.- commenta il Sudario –A
quanto pare avevano ragione.
Si avvolge nel suo mantello e
scompare nelle tenebre.
2.
Il vento soffia forte facendo
tremare i capannoni, funesto presagio della tempesta che sta per abbattersi su
una città spaventata. I due uomini si tirano su i baveri degli impermeabili
cercando di ripararsi dalle prime gocce di pioggia. Potrebbero sembrare
gemelli se non fosse che uno è biondo e
l’altro moro. Stesso taglio di capelli, stesso abito scuro coperto da un impermeabile
egualmente scuro, stessi occhiali dalle lenti oscurati che sembrano decisamente
fuori posto in quella plumbea atmosfera . Ad un occhio attento non sfuggirebbe
il leggero rigonfiamento che indica la presenza di una pistola sotto le
ascelle… un occhio attento di cui i due sembrano del tutto inconsapevoli.
-Secondo me non
verrà.-dice il biondo
-Verrà, vedrai.-
risponde il moro –Con quello che le offriamo sarebbe pazza a rifiutare.-
-E chi può dirlo
con una come quella? Non mi sorprenderei se fosse davvero pazza.-
-Sono qui.-
La voce femminile alle loro spalle
ha un tono calmo ed una lieve inflessione straniera. I due uomini si voltano di
scatto impugnando contemporaneamente le loro armi e si trovano di fronte una donna
che indossa solo un body rosso scarlatto, stivali leggeri dello stesso colore
ed una bandana pure rossa a fermarle in lunghi capelli nero corvino. Alla vita
ha una cintura a cui sono appesi due sai, le armi a punta giapponesi, che le
pendono lungo ciascun fianco, alla schiena una lunga spada anch’essa
giapponese, una katana.
Il moro è il primo a riprendersi
dalla sorpresa e rivolgersi alla nuova arrivata.
-Oh, è lei. Ben
arrivata Miss…-
-Niente nomi.-
ribatte la donna –Io non vi chiederò i vostri e voi non direte il mio.-
-Mi sembra giusto. Parliamo
d’affari, dunque? Sono rimasto sorpreso che abbia voluto un incontro. Avremmo
potuto concludere tutto via internet.-
-Mi piace
incontrare quelli che mi chiedono di uccidere per loro.- è la semplice risposta
della donna.
-Ah… beh … immagino
di si… comunque non mi piace il verbo uccidere. Diciamo che lei è stata
ingaggiata per eliminare… si:; eliminare… un problema.-
La donna increspa lievemente il
labbro superiore, forse un accenno di sorriso. L’ipocrisia di certa gente non
manca mai di sorprenderla almeno un poco. Perché non riescono ad essere
diretti?
-Mi
scusi…-interviene il biondo -…come fa a non sentire freddo vestita in quel
modo? È una di quelle menate ninja?-
La donna lo fissa in un modo che fa passare
all’uomo la voglia di parlare a sproposito. Il suo compagno gli rivolge a sua
volta un’occhiataccia e continua a parlare alla donna:
-Il suo bersaglio
si chiama Basharat Hasan, è il dittatore di un piccolo stato mediorientale chiamato
Raphastan, forse l’avrà sentito nominare. Quest’uomo è un… fastidio… per… certe
parti... e la sua sparizione farebbe
comodo a molta gente. Abbiamo già accreditato sul conto off shore che ci ha
indicato 5 milioni di dollari come anticipo ed altrettanti ne avrà a lavoro
finito.-
-Dieci milioni di
anticipo e dieci a lavoro finito.- ribatte la donna.
-Cosa?- esclama il
biondo –Sei impazzita per caso?-
-Quello che mi chiedete
è molto rischioso e lo sapete. Avete chiesto di me perché sono la migliore. Per
un lavoro simile il mio prezzo è questo ed è niente in confronto al guadagno di
chi vi manda. Prendere o lasciare. Se lasciate mi tratterrò i cinque milioni
già versati come compenso per il tempo che mi avete fatto perdere. Voi potete
sempre rivolgervi a qualcun altro. Addio signori.-
La donna si volta, ma prima che
possa allontanarsi l’uomo dai capelli neri la richiama.
-D’accordo,
d’accordo, avrà i soldi che chiede, ma ci aspettiamo un lavoro ben fatto.-
La donna si concede un sorriso.
-I miei lo sono
sempre.- risponde.
Ti chiami Daniel Thomas Rand e sei
il principale azionista di una società dai profitti milionari. Sei anche un
uomo dal passato misterioso. Quando avevi nove anni scomparisti durante una
spedizione in Himalaya assieme ai tuoi genitori. Solo il socio di tuo padre
tornò indietro e raccontò che eravate morti a causa di una valanga. Non era
vero, ovviamente: Harold Meachum aveva ucciso tuo padre e causato anche la
morte di tua madre, divorata da un branco di lupi. Il tuo ritorno 10 anni dopo
per reclamare al tua eredità destò scalpore. Che avrebbero detto i membri del
consiglio d’amministrazione della Rand-Meachum se avessero saputo che eri stato
salvato dagli abitanti di una favolosa città di immortali che appariva sulla
terra solo una volta ogni dieci anni e che in mezzo a loro avevi imparato le
arti marziali sino a diventarne un maestro acquisendo anche il favoloso potere
del Pugno d’Acciaio? Che avrebbero pensatoi se avessero saputo che il vero
scopo del tuo ritorno era
La vendetta nei
confronti dell’assassino dei tuoi cari? Tutte domande destinate a rimanere
senza risposta almeno per loro: era stato un altro ad uccidere Harold Meachum proprio
quando tu avevi scoperto quanto vuota ed insensata potesse la vendetta e ci avevi rinunciato[3]
e quanto al resto… è bene che siano in pochi a sapere che tu sei in segreto il supereroe
noto come Iron Fist o la tua vita e quella di chi ti è caro sarebbero ancor più
in pericolo di quanto già non siano.
Quando rientri a casa dopo una giornata
di lavoro non perdi tempo a sbarazzarti di giacca e cravatta, simboli di una civiltà che sei
costretto ad accettare da quando sei tornato. Nella mitica città in cui sei
cresciuto e da cui talvolta ti penti di esserti allontanato tutto sembrava più
semplice e diretto. In seguito avresti scoperto che dietro la splendida
facciata si nascondevano molto misteri e segreti inconfessati molti dei quali
riguardavano proprio te. Parlando di misteri e segreti, nella palestra privata
della tua villa incontri due persone che ne sono parte: Miranda, una sorella
che fino a non molto tempo fa non sapevi nemmeno di avere e l’uomo misterioso
di nome Orson Randall. Non sai molto di lui se non che è stato a K’un Lun quasi
un secolo prima di tuo padre e di te e che è stato il tuo predecessore nel
ruolo di Iron Fist. Non sei riuscito a sapere molto di lui da quando è tornato:
credi di aver capito che è stato il potere del Pugno d’Acciaio a mantenerlo
abbastanza giovane per tutti questi anni e che ha una qualche sorta di legame con
tuo padre, ma quale sia e perché ad un certo punto lui abbia rinunciato al suo
ruolo per scomparire nel nulla non sei riuscito a saperlo e trovi la cosa molto
frustrante.
Ora lo vedi mentre in silenzio si
prepara ad affrontare oltre a Miranda anche un’altra donna che ben conosci:
Colleen Wing, un curioso mix di geni giapponesi e irlandesi, una donna bella
quanto indomabile con cui condividi un insolito legame spirituale che però non
si è mai tradotto in qualcosa di più fisico… anche perché tu sei legato ad
un’altra donna, che è anche la sua migliore amica.
Colleen indossa un’aderentissima
tuta bianca ed impugna saldamente a due mani una katana e tu sai quanto sia
brava nell’usarla visto che una volta per poco non ti ha staccato la testa con
un’arma simile a questa Era sotto l’influenza
di un potente mago, ma non sembrava far molta differenza quando la lama è
passata a pochi centimetri dal tuo collo.[4]
Stai osservando una sessione di
allenamento, questo è ovvio, ma la lama affilata è vera. Orson Randall deve
essere molto sicuro di se… o di Colleen… per averle chiesto di usare una spada
vera e per restare immobile aspettando che siano le sue avversarie a fare la
prima mossa… che non tarda. Miranda salta lanciando un urlo di battaglia e
sferrando un potente calcio della tigre verso il collo di Orson. Tua sorella
avrà anche perso la memoria, ma non ha perso nulla dell’addestramento alle arti
marziali ricevuto a K’0un Lun. Il vecchio si limita a scansarsi ed osservare
Miranda proiettata verso terra dal suo stesso slancio. Con un’agile capriola la
ragazza attutisce la caduta e si rimette poi in piedi in posizione di
combattimento. Nel frattempo Colleen ha sferrato un fendente che potrebbe
letteralmente aprire Orson in due se lo colpisse, ma questo non avviene: Orson
Randall si muove velocissimo ed il taglio della sua mano sinistra intercetta la
lama spezzandola e lasciando interdetta Colleen. Superato lo stupore Colleen
getta via il moncherino di spada e sferra al suo avversario un calcio, che Orson
evita, ma perde l’equilibrio e scivola sul tatami da allenamento. A questo
punto Miranda gli salta addosso, ma Orson è più rapido e le sferra un calcio al
plesso solare lasciandola senza fiato, poi balza in piedi e blocca Colleen con
un colpo al collo.
Mentre le due donne barcollano Orson
dice:
-Basta così. È
staro molto istruttivo: la prossima volta non sarà così facile per me battervi,
credetemi.- si rivolge a Miranda –Sei una brava combattente, ma troppo
impulsiva, mi ricordi tuo padre.-
-Davvero?- esclama
lei –Tu lo conoscevi bene? Perché non mi parli di lui?-
Un’ombra passa sul volto del
vecchio, poi lui risponde:
-Un’altra volta,
magari-
Si rivolge a te come se fosse la
prima volta che si accorge della tua presenza:
-Bentornato a casa
ragazzo. Ora vado a farmi una doccia, poi dovremo parlare.-
Criptico come sempre, ma anche tu
sei ansioso di parlare con lui… e di avere risposte a molte domande.
Natasha Romanoff, meglio nota come
la Vedova Nera, guarda fuori dalla finestra la pioggia battente che diventa
sempre più forte. L’uragano che sta per abbattersi sulla città non sarà mai
così forte come il tumulto che scuote la sua anima, pensa melodrammaticamente,
poi si chiede se le rimane ancora un’0anima da scuotere. Indossa solo una
leggera vestaglia di seta ma il freddo che sente penetrale nelle ossa non è
colpa del tempo.
Due mani forti ma gentili si posano
sulle sue spalle e lei si volta per trovarsi di fronte il volto di un uomo dai
capelli castani e gli occhi chiari anche lui vestito con una veste da camera.
-tutto bene, Baby?-
Per un attimo lei sta per cedere alla
tentazione di dirgli: “Non chiamarmi baby”, poi ci ripensa e sfodera un
sorriso.
-Solo qualche
pensiero.- risponde –Tu piuttosto… sicuro di esserti ripreso del tutto dalla
tua brutta avventura, Paul?-
Paul Denning, che forse è il vero
nome del mercenario hi-tech chiamato Paladin
e forse no, abbozza a sua volta un sorriso
-Parli del casino
della settimana scorsa quando la città sembrava impazzita... beh… più impazzita
del solito, diciamo?[5] Tranquilla
le mie ferite sono stare solo superficiali. Le costole mi fanno male solo
quando rido ed è da tempo che ho imparato a convivere con l’oscurità della mia
anima.-
-Avrei dovuto
essere con te.-
-Baby, questa è la
cosa più dolce che tu mi abbia mai detto fuori dalle lenzuola… e anche dentro a
pensarci bene.
-Perché fai sempre
il buffone?-
-Perché se fossi
serio non riuscirei mai a fare tutte le cose che faccio e poi tu sei abbastanza
seria per tutti e due.
Natasha
resta un attimo in silenzio, poi dice:
-Ho deciso di
partire Paul: vado a cercare Ivan. Sono stanca di essere preoccupata. Ho
bisogno di agire.-
-si va in Russia,
dunque.- commenta Paladin –Quando partiamo?-
-Questo è un affare
personale, Paul, non è necessario che tu venga.-
-Oh, ma io voglio
venire. Se qualcuno farà male al tuo bel faccino mi prenderò il disturbo di
fargli saltare tutti i denti o altrimenti mi divertirò a contare i morti e i
feriti che ti lascerai nella tua scia.-
-Non ci saranno
guadagni, Paul… solo spese e pericoli.
-Poco male: una
buona azione ogni tanto giova al mio curriculum.-
-Sei proprio
incorreggibile.-
-Me lo dicono
tutte. Ora telefono per farci preparare un jet privato per arrivare sino a
Mosca. Tu prepara i bagagli che poi, in attesa che il jet sia pronto penseremo
ad un modo per ingannare il tempo.-
-Qualche idea?-
-Qualcuna si.-
Paul Denning ride divertito.
3.
La Jaguar F colo
blu elettrico si ferma rombando davanti alla soglia di una villa signorile del
Sussex e la donna orientale dai lunghi capelli neri in piedi sulla soglia fa
una smorfia di disgusto.
-Devi sempre farti
riconoscere, eh, Clive?- dice, rivolta all’uomo che scende dal posto di guida.
-Che vuoi farci,
mia cara Leiko…- risponde sorridendo Clive Reston –Ho ereditato da mio padre la
passione per le auto. Solo che lui preferiva le Bentley.-
-Sai quel che si
dice degli uomini che amano guidare macchine potenti, vero?- ribatte Leiko Wu
-Beh… è una diceria
che tu potresti smentire facilmente, non è vero mia cara?-
-Se voi due avete
finito di beccarvi…- interviene un uomo grande e grosso dai folti baffi -… ci
sono cose serie di cui discutere.-
-Agli ordini Black
Jack.- replica Reston guadagnandosi un’occhiataccia dal suo interlocutore.
I tre percorrono un corridoio sino a
sbucare in una vasta sala con un lungo tavolo al centro.
-Dov’è Sir Denis?-
chiede Clive.
-Nella sua stanza a
riposare.-risponde Black Jack Tarr –Ma ci raggiungerà presto.-
-Quel vecchio ha
una tempra invidiabile.-commenta Reston –ha proprio deciso di non morire prima della
sconfitta di Fu Manchu.-
-Una sconfitta che
noi faremo del nostro meglio per accelerare.-
-Ben detto, Tarr.
Certo, se penso che ci si aspetta che in quattro riusciamo a sconfiggere uno
che fa apparire il Mandarino e l’Artiglio Giallo dei bambini dell’asilo, mi
chiedo chi sia più pazzo, noi o lui.-
-Non ti facevo così
disfattista Clive.- interviene Leiko Wu.
-E chi ha mai detto
di esserlo, mia cara? Sono semplicemente realista, il che non mi impedirà di
irrompere nella tana di quel verme e liberare i suoi prigionieri. Non ho
dimenticato che tiene prigioniera gente a cui teniamo come tuo fratello o la
sorella di Melissa Greville… ,ma a quanto pare ho dimenticato qualcos’altro.-
-Cosa?- chiede
Leiko.
-Ho parlato di
quattro persone e qui siamo in tre: dove diavolo è finito il cinese?-
Altrove un uomo siede su una specie
di trono, indossa gli abiti tradizionali dei dignitari cinesi prima della
Rivoluzione, è alto molto più della tradizionale media cinese ed è magro; sul
suo volto due lunghi baffi spioventi, i suoi occhi sono acuti e penetranti,
dando a chi li guarda l’impressione di essere in grado di frugarti l’anima e
potrebbe anche essere vero. Il suo vero nome non lo ricorda più nessuno, forse
nemmeno lui: per tutti è semplicemente Fu Manchu. Alcuni lo chiamano
venerabile, altri il Dottore del Diavolo, ma tutti lo temono e lo rispettano in
egual misura. Negli ultimi cento anni, sorretto dal suo portentoso Elixir
Vitae, ha portato avanti con spietata determinazione un piano per rigenerare
l’umanità, e soprattutto la sua amata Cina, attraverso l’olocausto ricreando un
mondo nuovo dalle ceneri del vecchio e lo ha fatto senza curarsi di quelli che considera
temporanei ostacoli sul suo cammino, ostacoli che sono stati posti quasi sempre
da un solo uomo, indomabile e tenace: il poliziotto inglese Denis Nayland
Smith. Dalle strade di Shanghai a quelle di Londra, dall’Egitto alle Americhe
questo comunissimo uomo lo ha ostacolato ad ogni passo, rifiutando di cedere,
di arrendersi, sopportando ogni avversità senza mai piegarsi, All’inizio Fu
Manchu voleva la sua morte, ma col tempo è subentrato in lui un profondo
rispetto per il suo avversario e considererà un giorno molto triste quello in
cui inevitabilmente lo perderà… ma questo non gli impedirà di portare avanti il
suo sogno. Ha lanciato la sua sfida ai suoi avversari e sa che non la
rifiuteranno.
Si scuote dai suoi pensieri e
pronuncia solo tre parole:
-Portatemi Ombra
Mobile.-
Da qualche parte nelle selvagge
montagne che segnano un invisibile confine tra il mondo moderno ed un mondo
senza tempo dove la vita di un uomo e di una donna è regolata da leggi antiche
ed il valore di quella vita può essere deciso dalla punta di una lancia o dalla
canna di un fucile, l’uomo chiamato Ivan Petrovitch si chiede per l’ennesima
volta se abbia ancora l’età per certe avventure. Domanda stupida, perché deve
ammettere con se stesso di sentirsi più vivo oggi che in tutti gli ultimi anni
della sua vita. L’idea di portare direttamente il carico ai compratori poteva
sembrare azzardata ma lui non aveva visto altre alternative… a parte dichiarare
fallito l’affare e Ivan non è tipo da arrendersi facilmente.
Chissà che ne penserebbe la sua
Zarina se lo sapesse? Meglio che Natasha ne sia rimasta fuori, comunque.
Improvvisamente si ode il tuono di
un’esplosione e Ivan vede il camion davanti al suo saltare come spinto da una
molla.
-Granata!- grida il
suo autista un attimo prima di sbandare verso destra.
4.
Il
mio nome è Shang Chi. Nella mia lingua natia significa “Lo spirito che avanza”,
ma il mio spirito non ha fatto molta strada da quando ho appreso che il padre
che adoravo non era un uomo buono e gentile, ma uno spietato conquistatore, un
pazzo genocida. Il destino e la mia coscienza hanno voluto che io mi schierassi
al fianco di coloro che gli si opponevano: una guerra quasi infinita costellata
di effimere vittorie e nuove battaglie.
Mente
medito nella solitudine della mia stanza non posso non chiedermi se questa
lotta terminerà un giorno, se il mio spirito avrà mai la pace ed il riposo a cui
anela così disperatamente.
-Muoviti,
Cinesino.- la voce di Black Jack Tarr mi
riporta alla realtà -È ora di
lasciar perdere lo yoga. Dobbiamo partire.-
-Già.-interviene
Clive Reston –Il tuo paparino ci sta aspettando e sarebbe davvero scortese da
parte nostra arrivare in ritardo.-
Un
tempo avrei reagito male a sentirmi chiamare Cinesino da Tarr, ora mi limito ad
alzarmi e lanciargli una breve occhiata. Sono cambiato da quando avevo 19 anni
e non sono certo di essere cambiato in meglio. Aspiravo ad una vita di pace ed
invece ne vivo una violenza. Forse questo è il prezzo che si paga ad essere il
figlio di Fu Manchu.
Nina McCabe socchiude gli occhi
azzurri ed osserva il bersaglio in fondo alla stanza. Riflette solo per una
frazione di secondo, poi lascia andare la sua arma. Il sai descrive solo un
breve arco prima di piantarsi proprio nel centro del bersaglio, là dove ci
sarebbe stato il cuore se il bersaglio fosse stato davvero un uomo e non un
manichino.
-Ottimo colpo, ma
se fosse stato un vero bersaglio, avresti trovato il coraggio di fare sul
serio… di ucciderlo?-
La voce di Elektra Natchios, vestita
nel suo costume di battaglia rosso, ma con i capelli sciolti, non fermarti dalla
bandana, è tagliente o così la pensa la sua giovane allieva, La verità è che
Elektra si chiede se sia stato saggio assecondare Nina, accompagnarla nella via
oscura che ha deciso percorrere. Forse sarebbe stato meglio cercare di
dissuaderla… ma forse dopotutto ad Elektra faceva piacere avere un’allieva,
qualcuno che condividesse la sua vita all’insegna del rischio e del pericolo.
Matt Murdock non l’avrebbe mai fatto, il suo codice etico glielo avrebbe
impedito ed alla fine l’avrebbe spinto a cercare di assicurarla alla giustizia.
Ma Matt Murdock appartiene al suo passato ed i suoi valori etici non le
appartengono più, se mai sono stati suoi. La sola etica a cui risponde è
portare a termine gli incarichi che accetta nel miglior modo possibile.
-Non lo sapremo
finché non avrò l’occasione di farlo.- è la risposta di Nina alla domanda di
Elektra.-
-Vedremo. Ne
riparleremo al mio ritorno.-
-Allora parti? Un
nuovo incarico? Chi devi uccidere stavolta?-
Elektra si concede un abbozzo di
sorriso.
-Uno dei cattivi,
pare.- risponde con un filo d’ironia nella voce.
Se quello che volete quando siete a San
Francisco è rilassarvi sentendo buona musica questo è il posto che fa per voi:
è un locale vecchio stile, con musicisti jazz che suonano dal vivo. L’insegna
sopra l’ingresso mostra un gatto nero accovacciato e Black Cat Club è il nome
del locale. Entrate, vi ci troverete bene. Una graziosa ragazza bionda in abito
da sera vi accompagnerà al vostro tavolo mentre nell’aria si diffondono le note
di un sax tenore. Appoggiato al bancone, un uomo di colore che indossa uno
smoking con giacca bianca chiacchiera col barista e contemporaneamente controlla
la sala. Non commettete l’errore di crederlo un cameriere, perché Edward
Lavender è il gestore di questo luogo ed è anche un uomo dai molti talenti che
in certi ambienti gli hanno guadagnato il nomignolo di Cat, ma questa non è
un’informazione per i comuni clienti e nemmeno lo è l’identità del vero
proprietario di questo posto, lo stesso uomo che da una stanza del piano
superiore sembra osservare l’intera scena. Sembra, perché l’uomo in questione è
completamente cieco: i suoi occhi furono bruciati in un arcano rituale che gli
ha dato strani poteri ed ora sono occultati da occhiali scuri Il suo vero nome
è Maximilian Quincy Coleridge IV, ultimo rappresentante di una dinastia di
imprenditori di New York. Quando era solo un bambino i suoi genitori furono
uccisi da un rapinatore mentre insieme a lui ritornavano da una serata al
cinema. Quella notte il giovane Max giurò di usare la ricchezza appena
ereditata per combattere il crimine e si preparò addestrandosi nelle più varie
discipline di combattimento e nelle arti della criminologia. Come? Vi sembra di
aver già sentito questa storia solo che i nomi erano diversi? Può darsi, in
fondo chi ha mai detto che una storia deve essere originale? Nella sua ricerca
di nuovi mezzi per la sua battaglia Max Coleridge rintracciò un antico tempio
dedicato alla dea indiana Kali e si sottopose a varie prove sia fisiche che
spirituali per acquisire poteri superiori. Nessuno gli aveva detto, però, che
la prova finale era l’accecamento. Ben presto il giovane si accorse che al posto
della vista aveva acquisto una nuova percezione delle cose che lo circondavano
ed altri poteri come il teletrasporto e la possibilità di generare oscurità.
Decise di diventare un vigilante in costume, indossò un costume nero e divenne
l’inquietante vigilante chiamato Sudario.
Ora ne sapete quanto noi… beh non
proprio, ci sono cose che ci teniamo per noi, ma non lasciateci troppo presto e
le scoprirete anche voi.
Per esempio l’ingresso di due
figure, un uomo ed una donna che entrano nel locale. In apparenza due clienti
comuni, ma le apparenze ingannano e Max Coleridge sa vedere oltre le apparenze
e di suoi prodigiosi sensi gli permettono di riconoscere almeno uno dei nuovi
venuti e la cosa lo sorprende, perché per quanto ne sa quell’uomo è morto.
5.
Al rientro nei suoi
appartamenti privati T’Challa trova ad attenderlo Monica Lynne, la sua promessa
sposa e non gli sfugge il suo sguardo malinconico.
-Va tutto bene,
Monica?- le chiede.
-Cosa?- lei si
riscuote dai suoi pensieri e gli rivolge un sorriso che non appare forzato
–Stavo pensando alla mia famiglia. Quando sarò tua moglie non li potrò vedere
più tanto spesso. Chi l’avrebbe mai detto che avrei avuto nostalgia della
Georgia. Quando la lasciai per andare prima a Los Angeles e poi a New York per
fare carriera come cantante ero ben felice di lasciarmela alle spalle.-
-Ed ora ci vorresti
tornare? Sei già pentita di aver accettato la mia proposta di matrimonio?-
-No, non è questo…
è che ricordo ancora com’era la prima volta che venni qui anni fa, L’ostilità
di buona parte della popolazione. Potrò essere al tua regina, ma non mi
considereranno mai una di loro., sarò sempre una straniera.-
-Monica io…-
-La tua futura
sposa ha ragione, figlio.-
T’Challa e Monica si voltano verso
la nuova venuta, Ramonda, la Regina Madre di Wakanda.
-Capitò la stessa
cosa a me quando tuo padre mi portò qui dal Sudafrica. Anch’io ho dovuto
combattere la diffidenza di un popolo che non amava gli intrusi nella sua isola
felice. Dopo tanti anni non sono ancora sicura di essere stata accettata.-
-E con questo cosa vorreste dire…Maestà?- chiede Monica
–Che dovrei tornare a New York?-
-No, mai cara.-
replica Ramonda –Se sei convinta della tua scelta, allora sostienila e non
permettere a nessuno di dissuaderti. Un po’ di sangue nuovo non può che far
bene a Wakanda.-
-Io… grazie.-
-Anch’io ti ringrazio
per le tue parole, madre…- interviene T’Challa -… ma non sei certo venuta qui
solo per rassicurare Monica.-
-Hai ragione,
figlio, sono venuta a ricordarti che domani arriverà tua sorella . Vorrei
essere certa che ci sarai anche tu ad accoglierla.-
-Non mancherò,
madre.-
Monica non può fare a meno di osservare
l’espressione corrucciata di T’Challa e non può far e ameno di chiedersi perché
lui sembri mostrare un entusiasmo così scarso alla prospettiva del ritorno di
una sorella che lei aveva appena sentito nominare di sfuggita. Quante cose non
sa della famiglia di cui sta per entrare a far parte e che le converrebbe
sapere? Non può fare a meno di chiederselo.
Sei seduto nel soggiorno di casa tua
ed indossi il costume rituale di Iron Fist. Tua sorella Miranda indossa,
invece, un’aderente tuta rossa con il simbolo del drago Shou Lao che tu porti
indelebilmente tatuato sul tuo petto ed una fusciacca verde a cingerle la vita.
In qualche modo t’inquieta come si sia adattata rapidamente alla nuova
situazione. È una combattente nata…. Proprio come te.
Anche Orson Randall ha indossato la
sua personale tenuta da Iron Fist, con tanto di cinturone e fondine alla vita.
Ha appena finito di annodarsi la maschera che ti chiede:
-Allora, ragazzo,
quanto credi di sapere su K’un Lun?-
E la sua domanda ti sembra gravida
di minacce.
Un biglietto aereo per il Medio
Oriente acquistato con una delle sue identità di copertura, una valigia leggera
con il minimo indispensabile, Elektra non aveva bisogno di altro. Amava
viaggiare in prima classe, ma amava anche la discrezione. Nel suo tipo di
lavoro non attirare troppo l’attenzione era indispensabile.
Cercò di godersi il volo e
rilassarsi, senza pensare ai possibili pericoli a cui andava incontro ed a chi
si lasciava dietro.
FINE
PROLOGO
NOTE
DELL’AUTORE
Inizia con questo episodio
decisamente interlocutorio una vera e propria nuova stagione di questa anomala
serie in cui si intrecciano vari serial paralleli. Da questo episodio avremo
due nuovi personaggi a tenerci compagnia in pianta pressoché stabile: pantera
Nera e il Sudario, spero che vi piacciano ed ora un po’ di note esplicative.
1)
Se pantera Nera non ha bisogno di
grandi presentazioni, è invece possibile che non molti di voi sappiano quanto
basta sul Sudario. Se nel leggere le sue origini avete provato un’inquietante
sensazione di familiarità è perché il creatore del personaggio, Steve Englehart
(con la collaborazione di Herb Trimpe ai disegni su Super Villain Team Up #7
nel lontano 1976 per la precisione) si è deliberatamente ispirato (ok... ha
copiato con poche variazioni, contenti? -_^) a quelle di un certo, notissimo,
Uomo Pipistrello della distinta Concorrenza pur dotandolo di veri superpoteri
che per certi versi lo avvicinano a Devil e per certi altri a Cloak del duo
Cloak & Dagger. Nella mia versione oltre ai richiami, seri od ironici, al
già ricordato Cavaliere Oscuro, Il Sudario sarà ritratto come una sorta di
incrocio tra lo Spettro e The Shadow. Se riuscirò nel compito sarete voi a
dirlo.
2)
Ramonda è la seconda moglie di T’Chaka, padre
di T’Challa, ma essendo la sua vera madre morta di parto quando lui è nato,
T’Challa la considera come una vera madre e non una matrigna. Della famiglia di
T’Challa parleremo però, più estesamente, nel prossimo episodio, dove ne incontreremo
un po’ di membri.
3)
Il Rapastahan è uno dei tanti paese
fittizi che esistono nell’universo Marvel. Questo, in particolare risale alla
prima miniserie della Vedova Nera firmata Devin K.Grayson & J.G. Jones.
Nel prossimo episodio: doveva essere un semplice omicidio
su commissione ma le cose si complicano quando Elektra scopre che le cose non
stanno come sembrano. In più: un misterioso nemico minaccia la Pantera Nera, il
Sudario fa le sue mosse, Due Iron Fist e mezzo e una guerra senza tempo e
quattro temerari contro Fu Manchu… e non è finita qui.
Carlo
[1] Ben Reilly, il Ragno Rosso non sarebbe tanto contento di questa definizione, crediamo. -_^
[2] Si riferisce, ovviamente alla versione di Ghost Rider che una volta possedeva Danny Ketch ed ora sua cugina Jennifer Kale. Che ne sia stato di lui, però, non ci interessa adesso.
[3] Tutte cose narrate in Marvel Premiere #15/19 (In Italia su Shang Chi, Corno, #24/28).
[4] Un classico visto sul #6 della prima serie di Iron Fist (Ultima edizione italiana: Marvel Collection, Comic Art, #3.)
[5] Negli ultimi numeri di Moon Knight MIT, ad opera di Igor Della Libera.