(CAVALIERI
MARVEL)
(PARTE SECONDA)
OLTRE IL LIMITE
Di Carlo Monni
Ci sono giorni in cui capita di svegliarsi con una bella donna al fianco e non è affatto male; altri giorni, invece ti capita di svegliarti con un cerchio alla testa ed un persistente senso di nausea, residuo di una pesante sbronza; altre volte ancora ti accorgi d’essere malato e speri che sia solo una stupida influenza e le cose non peggiorino. Infine ci sono giorni in cui ti svegli e scopri che le cose non potrebbero essere peggiori di come già sono. Per Clive Reston, agente del MI6, è uno di quei giorni.
-Buongiorno Mr. Reston, mi scuso se questo non è un buon risveglio. Anzi, a ripensarci, non mi scuso affatto.-
Clive riconoscerebbe quella voce dovunque. Con una certa fatica alza la testa, mentre comincia a ricordare come lui e Leiko Wu siano stati aggrediti all’uscita del Casinò Au Mont Parnas ad Atene, in Grecia, e drogati prima di riuscire a difendersi. Mentre i suoi sensi tornano a funzionare a pieno regime, Clive si accorge di essere legato strettamente ad una sedia di metallo e di essere completamente nudo. Nella stanza ci sono tre uomini ed è stato quello al centro ad aver parlato. Gli occhi di Clive si piantano in quelli freddi di Carlton Velcro, ancora in smoking e con quell’assurda mantellina sulle spalle.
-La trovo bene, Velcro, almeno non sembra più robot che uomo.- dice
-Non creda di ottenere qualcosa con le frecciatine, Reston.- replica, tranquillo Velcro -MI prenderò la soddisfazione di sollevarla una volta per sempre dai dolori di questo mondo, ma prima… prima impareremo insieme fino a che punto un uomo, nella specie lei, riesce a sopportare il dolore. Il mio amico qui…- Velcro indica un uomo alto, calvo e dal volto impassibile, vestito con una maglietta ed un paio di jeans -…si chiama Nikos ed è un torturatore di indubbia perizia. Saprà toccare ogni corda della sofferenza umana senza ucciderla, Reston, lei vivrà abbastanza da raccontarmi cosa l’MI6 sa di me e dei miei piani e solo allora morirà.-
-Da me non saprai mai niente, Velcro.- ribatte Clive.
-Questo lo vedremo, ma anche se non dovesse dirmi niente, non importa, il suo dolore, la sua lenta agonia, saranno più che sufficienti per ripagarmi delle umiliazioni che lei ed i suoi amici mi avete fatto subire in passato.- Velcro sorride malignamente –Oh a proposito, forse gradirà sapere che la deliziosa Miss Wu è affidata alle cure della mia cara Pavane e di due colleghi di Nikos e credo che si divertiranno molto con lei...- un grido arriva dalla stanza vicina, un grido di donna -… anzi, credo che abbiano già cominciato.-
Clive fissa Velcro con uno sguardo che esprime disprezzo ed odio puro.
-Ti ucciderò Velcro!- dice semplicemente.
-Lo ritengo molto difficile. Ora, se vuole scusarmi, Mr. Reston, ma ho degli affari da trattare. Conto sull’abilità di Nikos e sulla sua resistenza per ritrovarla ancora in vita al mio ritorno.-
E mentre Velcro sta uscendo dalla stanza, il torturatore si avvicina e Clive si prepara al peggio… ed il peggio arriva.
La situazione non è migliore per Leiko Wu, nuda ed alla mercé dei suoi aguzzini: due uomini, i cui sguardi sono tutto un programma, e Pavane. La giovane anglo-nippo-cinese è appesa per i polsi, stretti insieme da una corda che pende dal soffitto, tenendola sollevata a pochi metri dal suolo. Ha cominciato Pavane a torturarla, sfogandosi con la sua frusta. Dopo un primo grido, Leiko non le ha dato soddisfazione, sopportando stoicamente le frustate senza emettere un lamento. Anche quando la donna è passata ad un gatto a nove code, lei è riuscita a trattenersi, a stento, dal gridare, stringendo i denti e quasi mordendosi la lingua. Alla fine, Pavane si stufa, ma la schiena di Leiko è piena di graffi e piaghe, come pure la zona subito sotto al seno.
-Va bene.- dice sprezzante Pavane –Fai pure l’eroina. Vedremo se sarai ancora così spavalda dopo i trattamenti dei miei amici. Sai, mi hanno pregata di non danneggiarti troppo, vogliono divertirsi con te, prima di torturarti sul serio.-
-Vai all’inferno!- replica Leiko e le sputa in faccia.
Pavane rimane impassibile e, mentre si ripulisce la faccia, ribatte:
-Prima che il giorno sia finito pregherai di esserci tu all’inferno, piccola puttana orientale. Credimi. Mi pregherai di ucciderti ed io forse sarò generosa e lo farò… o forse no. È tutta vostra signori, fatene quel che volete..-
E mentre i due uomini che finora sono stati distanti si avvicinano Leiko capisce che Pavane non sta scherzando e quando la mano di uno degli uomini si posa sulle sue parti intime, chiude gli occhi e cerca di non pensare a quello che sta per succedere.
Long Island. New York, Marc Spector si alza dal letto. Ogni movimento gli costa dolore, ma lui cerca di ignorarlo. Non sono ferite realmente gravi, per fortuna. Rabbia o non rabbia, Jack Russell non intendeva davvero ucciderlo ed è riuscito a trattenersi quel tanto che è bastato per evitare di fare danni seri.[1] Si, certo, ditelo alle ferite al petto che dolgono sotto la medicazione, alle sue costole rotte ed alla sua gamba sinistra che ancora lo fa zoppicare. Bel supereroe che è, se uscisse stasera si farebbe stendere anche da un bambino di dieci anni.
-Mi spieghi cosa vorresti fare Marc?- la voce di Marlene Alraune suona a metà tra l’arrabbiata e l’amareggiata.
Marc si volta verso di lei. Anche Marlene porta i segni dell’incontro con il Licantropo anche se Russell è stato abbastanza gentile da farle solo tagli superficiali che si rimargineranno presto, senza lasciare vistose cicatrici sul suo corpo scultoreo.
-Non intendo restare a letto.- risponde Marc –Non sono ancora un invalido.-
-Sei sempre così testone, Marc.- Replica lei –Non devi dimostrare niente a nessuno, Io so quanto vali e tu pure lo sai. Andare fuori stanotte senza una reale necessità non sarebbe eroico, solo stupido.-
Il milionario avventuriero sorride:
-Hai ragione mia piccola perla di saggezza. Lo so anch’io che non è il caso che faccia lo scemo in un costume attillato in queste condizioni, è solo che non riesco a sopportare l’inattività.-
-Lo so mio bell’esemplare di macho, ma sarà il caso che impari la pazienza. Del resto, nemmeno Frenchie è in gran forma, ha rischiato la commozione cerebrale e…-
Ad interrompere Marlene è lo squillo di un cellulare.
-È quello di Steven Grant.- dice Marc, riferendosi ad una delle tante identità che usa nella sua lotta contro il crimine. Guarda il numero sul display e dice –È Griswold, sentiamo cos’ha da dire.-
<<Salve Grant, quel tuo cliente è sempre interessato a quel gioiello?>>
-Certo Griswold e tu sai dove trovarlo?-
<<Non ti avrei chiamato altrimenti, vediamoci qui da me e concludiamo l’affare… diciamo tra un’ora?>>
Marc tace. Non è nella sua forma migliore, è vero, ma può essere la sua occasione per stanare l’assassino di Arnold Meyer a cui dà la caccia da settimane, ormai. Ci mette meno di due secondi per prendere la sua decisione.
-Facciamo tra due Griswold.- risponde -Non sono in zona al momento.-
<<Va bene, ti aspetto assieme al cliente.>>
La comunicazione si chiude e Marlene si rivolge al suo compagno:
-Non dovresti farlo, lo sai, vero?-
-Al contrario, forse non è molto saggio, ma devo farlo ugualmente, non posso perdere la pista, non posso.-
Marlene appare rassegnata.
-Prometti almeno che cercherai di non farti ammazzare.- gli dice.
-Non ne ho affatto intenzione, mia cara, credimi.- le risponde Marc.
Ma Marlene non è per niente tranquilla, ha uno strano presentimento, un senso di minaccia incombente per Marc e tutti loro. Irrazionalmente vorrebbe trattenere l’uomo che ama, ma razionalmente sa che non servirebbe a nulla e così lo lascia andare e spera di vederlo tornare.
2.
Il silenzio calato sulla villa sembra innaturale a Leiko. Capisce di essere svenuta, ma non sa dire per quanto. Le braccia le dolgono, anzi, non c’è una sola parte del suo corpo che non le dolga. Preferisce non pensare alle sevizie subite. Pavane si è accanita su di lei con la frusta, ma quelle sono ferite che guariranno, come pure i segni delle altre torture, quanto al resto di ciò che le hanno fatto, le violazioni a cui hanno sottoposto il suo corpo, beh, per quelle pagheranno molto caro, lo giura- Deve riuscire a liberarsi, però e per quello non c’è molto tempo, i suoi aguzzini potrebbero tornare da un momento all’altro. Chissà che ne è stato di Clive? Se ha capito bene è in un’altra parte della casa, forse in una stanza adiacente. Avranno torturato anche lui, ne è sicura. Sotto la sua scorza dura Leiko rabbrividisce. Deve agire subito. Comincia a spingere su e giù il polso destro. Ovviamente la corda è stretta, ma avere legato i suoi polsi insieme può essere stato un errore fatale. Un improvviso rumore la avverte che i suoi sforzi sono stati ricompensati: la sua mano destra si stacca dal polso ed ora il suo braccio destro pende al suo fianco. Una mano perfetta, pensa Leiko, i suoi carcerieri non si sono nemmeno accorti che era artificiale, dovrà ringraziare quelli che gliel’hanno fornita. Ora il cappio che le stringeva le mani è troppo largo per un braccio solo e Leiko scivola facilmente giù. Si lascia sfuggire un gemito di dolore, ma subito si morde le labbra. Non fare rumore, si dice, non attirare attenzioni indesiderate. Si china a raccogliere la mano e se la riattacca al polso. Aderisce alla perfezione e funziona magnificamente, pensa Leiko, i collegamenti bionici la fanno funzionare come una mano vera. Un giorno o l’altro dovrà cercare di saperne di più sulla sua fabbricazione, un giorno, ma non oggi. Ogni movimento le procura fitte di dolore e solo la sua volontà di ferro e la sua determinazione le impediscono di svenire. Stringe i denti e prosegue. Avrebbe bisogno di vestiti, ma al momento è la cosa meno importante, pensa Lei e Clive devono fuggire. Su di una specie di tavolino c’è uno strumento appuntito, una sorta di rasoio, sicuramente uno degli strumenti di tortura che intendevano usare su di lei, se non fosse svenuta prima. Potrà esserle utile. Riesce a raggiungere la porta e ne prova la maniglia. Non è chiusa a chiave, la cosa non la sorprende più di tanto, ovviamente non si aspettavano che potesse liberarsi, dilettanti. E se ci fosse una guardia armata dietro? Tanto peggio, non c’è molta scelta.
Leiko stringe la mano sulla maniglia e tira.
New York. Luke Cage non sa quanto ha dormito, tutta colpa di quei maledetti sedativi, ma adesso si sente decisamente meglio. Tutto merito del riposo e delle cure, Ok, ma anche l’avere un fisico potenziato come il suo aiuta, giusto? Si mette a sedere sul letto. Gli gira un po’ la testa, ma è una sensazione che sta già sparendo. Ok sta bene, ora deve solo andarsene e…
-Proprio non riesci a stare tranquillo eh Luke?-
Luke conosce quella voce. Si volta verso la porta della stanza e vede…
-Danny Rand! Sapevo che dovevi essere stato tu ad aver pagato per questa bella stanza, io devo aver lasciato scadere la mia assicurazione sanitaria.-
Daniel Rand avanza nella stanza assieme alla sua donna, la Detective privata Misty Knight, e si chiude alle spalle la porta.
-Sono felice di vederti di nuovo in piedi.- dice a Luke. -Sono passato a trovarti ieri, ma eri ancora nel mondo dei sogni.-
-Ora sto meglio.- risponde Luke –Mi fa piacere vederti, fratello. Vedo che non temi di farti vedere con me nella tua identità civile.-
Danny scrolla la testa.
-Non ho molto di cui preoccuparmi.- risponde –Non credo che saranno in molti a riconoscermi e ad associarmi ad Iron Fist, se è per quello.-
Luke si rivolge a Misty:
-Ho saputo che tu e Colleen vi siete licenziate da Capi della Sicurezza della Revolution.[2] Come ve la passate adesso?-
-Stiamo riaprendo la Nightwing Restorations.- risponde Misty –I nuovi uffici saranno pronti fra un giorno o due. Vedremo cosa riusciremo a combinare.-
-Ve la caverete alla grande, sorella, ne sono convinto.- Luke si rivolge a Danny –Spero che tu mi abbia portato qualcosa da mettere addosso, amico, perché quel che avevo addosso quando mi è esplosa la bomba in faccia hanno finito di distruggermelo i dottori e non voglio uscire di qui con questo camicione o come mamma mi ha fatto… per quanto ci farei la mia bella figura.- conclude con un sogghigno.
Danny Rand appoggia un pacco sul letto.
-Non è rimasto gran che della tua roba.. o del tuo appartamento, se è per questo.- gli dice –Per questo mi sono permesso di comprarti qualcosa. Certo non ha il fascino della tua vecchia camicia gialla e della catena.
Luke apre il pacco ed esamina gli abiti, poi si rivolge a Misty.
-Faresti meglio a voltarti, sorella, non credo che il tuo ragazzo apprezzerebbe se mi spogliassi davanti a te. Non vorrei imbarazzare lui… o te.-
-Farò di meglio.- risponde ridendo Misty –Vado a far preparare i fogli per le tue dimissioni. E non illuderti, non credo di perdermi granché, in fondo.-
-Sempre caustica la ragazza.- commenta Luke togliendosi il camice. In pochi minuti è rivestito con un paio di Jeans, una maglietta rossa ed un giubbotto di pelle scura. Ai piedi ha un paio di stivali, anch’essi di pelle.
-Non male.- commenta –Mi ricorda la tenuta con cui giravo a Chicago. Andrà benissimo, almeno per un pò.-
Dopo l’esaurimento delle formalità di dimissione ed un predicozzo della Dottoressa Foster, Luke e di suoi amici sono in strada, dove li aspetta una Cadillac metallizzata.
-Diavolo, amico!- esclama Luke –Meno male che volevi passare inosservato. Questo macchinone l’avranno notato tutti in un raggio di mezzo miglio.-
Danny scrolla le spalle.
-Sapevo che saresti voluto uscire.- spiega –E non potevo lasciarti andare da solo, su, sali adesso.-
Al volante c’è una bella rossa, Colleen Wing
-Ben arrivato Luke.- lo saluta –Sono contenta di rivederti. Mi sembri in forma, tutto sommato.-
-Mancavi solo tu Colleen.- replica Luke –Anch’io sono contento di rivederti.-
L’auto si stacca dal marciapiede ed imbocca la via, troppo tardi per accorgersi di qualcuno che è appena uscito dall’ospedale ed ha cercato di segnalar loro di fermarsi.
È una donna, giovane, attraente, lunghi capelli biondi, raccolti a coda di cavallo, occhi azzurri vestita di jeans, maglietta bianca e giacca nera.
-cavoli!- esclama –Mi è sfuggito, ma lo ritroverò, prima o poi!-
La Cadillac si muove nel traffico cittadino e Colleen chiede a Luke
–Allora, dove ti porto?-
Luke si porta una mano alla fronte, esclamando:
-Me n’ero dimenticato: il mio ufficio e appartamento non esistono più, non ho un posto dove andare. Sarà meglio che mi porti in un alberghetto economico. –
-Non se ne parla nemmeno.- dice Danny –Tu vieni a casa mia. Ci sono un sacco di stanze vuote.
-Spiacente amico, ma non voglio rovinare la tua vita privata, la tua donna potrebbe uccidermi. Senza contare tutte le domande che solleverebbe la mia presenza ed i media accampati davanti alla tua porta. Meglio di no, me la caverò da solo.-
Danny sospira.
-Ok, me l’ero immaginato, ma ho voluto provarci lo stesso. In fondo non hai torto, ma, per fortuna, ho una soluzione di riserva: su prendi queste.- porge a Luke un mazzo di chiavi –Sono le chiavi di un appartamentino che la Rand-Meachum usa per i clienti che vengono da fuori. Al momento è vuoto, restaci finché vuoi.-
Luke le prende
-Ok fratello, ci sto. Ti ringrazio davvero.-
-Non stare a pensarci troppo. Piuttosto se hai bisogno di aiuto per…-
-No grazie. Il figlio di buona donna che mi ha fatto questo servizio lo scoverò da solo, ma non temere. Se mi servisse aiuto, chiamerò te e le due donzelle, contaci.
L’auto è, nel frattempo, giunta a destinazione e Luke è lasciato in un elegante, ma non pretenzioso, bilocale di SoHo.
Adesso, pensa è il caso di farsi una bella doccia e poi penserà al da farsi.
3.
Leiko spinge la porta e questa si apre di colpo, sbilanciando un uomo che vi stava appoggiato. La donna agisce con rapidità e gli passa il rasoio sulla gola aprendogli la carotide, poi, mentre l’uomo cade riverso, emettendo un gorgoglio, Leiko si muove rapida e lancia il rasoio verso un uomo di guardia alla porta di fronte. Lo coglie dritto alla gola prima che possa spararle con la pistola che ha cercato di afferrare. Leiko lo vede cadere a terra proprio nel momento in cui la scarica di adrenalina che l’ha sostenuta sinora esaurisce il suo effetto e lei cade in ginocchio sostenendosi alla porta. Un’ondata di nausea l’assale, ma lei riesce a dominare l’impulso di vomitare ed ignorando il dolore si rimette in piedi, superando più rapidamente che può la distanza che la separa dalla porta di fronte. Supera il cadavere davanti alla porta e si china per afferrarne la pistola rimasta a terra, poi apre la porta.
All’interno c’è Clive Reston, nudo, ancora legato alla sedia. Sul suo corpo chiari segni di tortura e sangue ormai secco. La sua testa è reclinata e Leiko teme che possa essere morto. Si avvicina e gli prende la testa tra le mani, sollevandola. È vivo grazie a Dio. Reston riprende i sensi proprio allora.
-Leiko…- dice a fatica -… che splendida visione.. che… sei… non ho neanche da obiettare… sulla scelta… dell’abito.-
-Smettila Clive, vuoi sempre fare il buffone.- replica lei –Aspetta che ti libero.-
Pochi minuti dopo Clive è in piedi e si massaggia i polsi sforzandosi di ignorare il dolore che lo pervade quasi dappertutto.
-Come senti?- gli chiede Leiko.
Clive fa una smorfia
-Sono vivo.- risponde –Non mi hanno maltrattato troppo, in fondo. Un po’ di elettricità, qualche bruciatura. Credo di essere svenuto un paio di volte e devono aver deciso di rimandare il meglio a quando fossi stato più.. presente. E tu? Vedo i segni delle frustate di Pavane. Che altro ti hanno fatto?-
-Non voglio parlarne.- replica lei –Non adesso. Voglio solo farla pagare a quei dannati ed andarmene di qui.-
-Forse Velcro e Pavane se ne sono andati.- dice Clive -Questo posto è troppo silenzioso. Credo che a questo piano non ci sia nessuno.-
-Ma dove siamo?-
-In una villa di proprietà di Temistocles Iohannides e messa a disposizione di Velcro. Durante il suo soggiorno qui. Mi piacerebbe restare ad aspettare il suo ritorno, ma devo ammettere che non ce la faccio, e nemmeno tu, direi. La cosa più saggia da fare è fuggire e regolare i conti più tardi. Oh, ed anche trovare degli abiti, ovviamente.
Leiko è costretta a dar ragione al suo compagno. Devono andarsene, alla vendetta penseranno un’altra volta.
Il luogo? Non ha poi tutta quest’importanza. L’ora? Diciamo che è prima di cena. Il motivo dell’incontro? Lo scopriremo presto. I protagonisti? Oh quelli sono un decisamente un po’ speciali.
Uno dei due veste un’imbeccabile gessato scuro fabbricato appositamente per lui su design di un noto stilista internazionale. Sotto indossa un’immacolata camicia bianca ed una cravatta in tinta con l’abito e lo stesso può dirsi delle scarpe di fabbricazione italiana. Il volto è nascosto da una maschera che impedisce di vederne ogni più piccolo particolare. Quest’uomo si chiama Harold Howard e secondo quanto si dice in giro è l’uomo più ricco del pianeta. Nominate un’attività commerciale, industriale o finanziaria in qualunque settore vi venga in mente e c’è almeno il 90% di probabilità che se non la controlla, Howard vi abbia almeno una qualche forma d’interessenza. Quest’uomo agisce secondo la legge, a volte la forza un po’, qualche altra volta la viola senza rimorsi pur di raggiungere i suoi scopi, ma rimane pur sempre un intoccabile. È anche un maniaco della privacy. Sono almeno vent’anni che non si fa vedere da nessuno, ogni sua immagine in giro, da quelle degli annuari scolastici e quelle in rete è stata fatta sparire e si dice che molti di coloro che potrebbero ricordare il suo volto siano spariti senza lasciare tracce, ma sono solo esagerazioni… probabilmente. Il risultato è che: attualmente, a parte suo figlio, la sua segretaria esecutiva, il suo medico personale e la donna conosciuta come Vedova Nera, nessuno sa che faccia abbia oggi. Quando deve incontrare qualcuno, fa sempre in modo che il suo volto non possa essere visto e se deve spostarsi dal suo blindatissimo ufficio in cima al più lussuoso Hotel di Las Vegas, Nevada, usa tutta una serie di accorgimenti, come alcune identità di comodo e qualche travestimento.
L’incontro di oggi, naturalmente appartiene alla categoria di quelli per cui un minimo di travestimento è un’assoluta necessità, d’altra parte le precauzioni sono giustificate dal tipo di visitatori che si debbono accogliere.
L’uomo che entra nella sala è appena meno elegante di Howard, il suo volto è nascosto da una maschera di ferro e le mani nascoste da guanti di velluto. Il suo nome? I suoi collaboratori, una bizzarra banda di supercriminali più efficienti di quanto si potrebbe credere che viaggia sotto il nome di Villains LTD, lo conoscono con il nome di Professor Augustus DeCeyt, nome che usualmente è seguito da una serie di sigle che rappresentano i suoi molti titoli accademici in varie discipline del sapere umano e, forse, non solo umano. Di questi tempi, però, preferisce essere conosciuto con un altro appellativo, ovvero come:
-Imperatore del crimine! Benvenuto!-
Non c’è una particolare traccia d’ironia nella voce di Harold Howard mentre accoglie il suo ospite e lo invita a sedersi in un’accogliente poltrona dall’altro lato di un tavolino di vetro.
Alle spalle dell’Imperatore del Crimine c’è una figura solo apparentemente umana, il suo nome è Shades e potremmo anche definirlo un’ombra vivente, in mancanza di definizioni migliori. Alle spalle di Howard c’è invece la massiccia figura di colui che in molti ambienti è conosciuto solo come il Fenomeno.
Due guardie del corpo un po’ speciali per un incontro altrettanto speciale.
-È un piacere incontrarla Mr. Howard. So che è un piacere che concede raramente e per questo è ancora più gradito.-
-Certe transazioni si concludono meglio di persona, lo ammetto.- replica Howard –In questo caso, poi, era praticamente inevitabile.-
-Già. Vogliamo procedere?-
-Certo. Ho fatto redigere un… vogliamo chiamarlo contratto? Ci sono tutte le clausole importanti. Per sintetizzare: il mio gruppo mediatico avrà l’esclusiva sulla rivelazione pubblica della sua vera identità, nonché delle altre vostre imprese da prima pagina. In cambio vi sarà accreditato il 5% degli introiti derivati dall’evento.-
-Vogliamo dire il 10%? Mi sembra più equo.-
-Il 7,5% è la mia ultima offerta e, comunque, sappiamo entrambi che non sono i soldi il vero obiettivo di questo contratto.-
-No?- la voce dell’Imperatore del Crimine assume una nota divertita –E quale sarebbe, di grazia?-
Howard fa una pausa ed il suo interlocutore può indovinare l’espressione divertita sotto la maschera quasi come se la vedesse.
-Oh, solo un’altra variazione sottile ed interessante del vecchio gioco del potere. Lei vuole una cassa di risonanza per le imprese della sua piccola organizzazione ed io voglio… la stessa cosa in fondo. Non sono i soldi che la interessano, è capace di farne 10 volte tanto con uno soltanto dei suoi… contratti e d’altra parte, io… ne ho guadagnati 10 volte tanto solo durante questa conversazione. Altrimenti non avrebbe senso che lei progetti un eclatante smascheramento da dare in pasto al pubblico. Quelli come lei tendono a mantenere segreta la loro identità di solito.-
-Sapevo che lei era intelligente Mr. Howard.-
-Grazie del riconoscimento. Mai intelligente come lei. Oh, dimenticavo, il contratto specifica anche che per un onorario soddisfacente la sua organizzazione svolgerà alcuni incarichi delicati per me di tanto in tanto.-
-Che i suoi media riporteranno con gran dovizia di particolari prima degli altri, ovviamente. Bene, credo che con questo siamo d’accordo. È stato un davvero piacere la rara opportunità di incontrarla di persona, Mr. Howard.-
-Posso dire la stessa cosa, professore.-
Un solo attimo di silenzio e poi i due uomini si stringono rapidamente la mano e si salutano, il colloquio è finito.
Dopo che i due ospiti se ne sono andati, passando attraverso un disco nero apparso davanti a loro, Howard si rivolge al Fenomeno:
-Che ne pensa Mr. Marko?-
-Tipi da prendere con le molle.- risponde il Fenomeno. –Il tizio con la maschera potrei schiacciarlo in 30 secondi, ma mi da l’aria di essere uno che sa usare la testa per cavarsi da qualunque impaccio. L’altro… l’ho osservato durante tutto il colloquio. È un assassino nato ed è molto, molto pericoloso. Non che non potrei batterlo se mi ci mettessi, però.-
-Ah, Mr. Marko! Sarebbe sorpreso, forse, nel conoscere i molti segreti che nasconde Mr. Shades. Bene, ora mi scuserà, ma ho un impegno urgente. La ringrazio per il disturbo. La somma concordata è già stata accreditata presso l’istituto da lei indicato. Mi saluti Mr. Cassidy.-
-Lo farò. Arrivederci
Mr. Howard.-
Dopo che il Fenomeno è uscito, Howard si sfila la maschera e si avvicina al tavolino, dove, sul ripiano, è posato un oggetto, una foto, voltata a faccia in giù. Il miliardario la prende e la osserva: ritrae un gruppo di studenti forse all’ultimo anno delle Superiori od al primo del College. Howard sorride e s’infila la foto in una delle tasche della giacca, poi esce dalla stanza.
Da un'altra parte, nel covo segreto della Villains LTD, un luogo di cui solo e gli uomini e donne che ci vivono conoscono l’esatta ubicazione,[3] Augustus DeCeyt si toglie la maschera e si rivolge a Shades:
-Allora qual è la sua idea Mr. Shades?-
-Tutto lo charme di quel tipo non mi avrebbe impedito di uccidere lui e la sua guardia del corpo steroidea in cinque minuti, credo.-
-Non ne sia troppo sicuro, Mr. Shades, ormai dovrebbe aver imparato che non sono solo i superpoteri o la forza bruta a rendere pericoloso un uomo e sotto certi punti di vista si potrebbe affermare che Harold Howard è il più pericoloso uomo vivente.... dopo di me, ovviamente.-
Detto questo, DeCeyt tira fuori dal panciotto una foto formato tessera, la osserva sorridendo, poi la stringe nel pugno. Quando lo riapre la foto è scomparsa lasciando solo dei residui sul guanto.
4.
Ritrovare i propri abiti, sopraffare le guardie rimaste e fuggire a bordo di una delle auto parcheggiate è stata una cosa semplicissima per Clive e Leiko, ora il problema è riuscire a guidare sino alla loro meta prima di crollare.
Alla fine ce la fanno, raggiungono il parcheggio ai piedi del Monte Parnitha e recuperano la Jaguar di Clive. Una volta dentro, Clive riesce a programmare nel pilota automatico la rotta verso il loro hotel e solo allora si permette di cedere al dolore ed alla stanchezza. Un attimo prima di perdere i sensi, si accorge che Leiko ha già ceduto, poi, mentre l’auto parte, si concede finalmente il lusso di svenire.
Una volta era stato un cinema di qualità, poi lentamente, poco per volta era scivolato nella categoria delle seconde, terze visioni e giù scendendo. Il proprietario aveva in mente di rilanciarlo approfittando della “bonifica” della zona di Times Square, ma forse dovrà cambiare i suoi piani: ora il Gem Theater è solo un ammasso di rovine annerite.
Luke osserva la scena dall’esterno. Sul fianco del palazzo c’è un bello squarcio che occupa giusto la posizione che aveva il suo ufficio. Stando a quanto gli ha detto il suo amico Detective Chase, chi ha piazzato la bomba voleva fare un lavoro sicuro ed a farne le spese sono stati gli spettatori in sala: tre morti e dieci feriti. Ma chi è il bastardo? Chi ti vuole morto Luke al punto da infischiarsene di chi ci va di mezzo? Quel pazzoide di Gideon Mace? La banda di Black Mariah? Chi altro? Ne hai sistemati così tanti che c’è solo l’imbarazzo della scelta.
Il luogo è transennato con i tradizionali nastri gialli con su scritto: “Scena del crimine. Divieto d’ingresso” e con i cavalletti con su scritto: “Pericolo edificio pericolante”. Luke li supera senza sforzo ed entra nel palazzo. C’è un odore strano intorno: residui dell’esplosivo, d’acqua marcia e di bruciato. Con orrore Cage capisce che è l’odore di carne umana bruciata. Il pavimento ha ancora residui di bagnato e le scale sono solo un ammasso di cemento e legname. Meglio lasciar perdere l’idea di salire a dare un’occhiata. E per vedere cosa, poi? Nulla che lui sarebbe capace di capire. Meglio andare al distretto a fare quattro chiacchiere con Chase e strappargli qualche informazione.
Luke Cage s’incammina lungo la Broadway proprio mentre una giovane donna, la stessa che era arrivata all'ospedale poco dopo la sua partenza, si volge nella sua direzione uscendo da un bar e lo vede.
-Ehi!- lo chiama –Cage, fermati!-
Ma Luke ha già svoltato l’angolo
È stato un volo piacevole, pensa Elektra, benefici collaterali di un fondo spese pressoché illimitato. Anche se è un viaggio d’affari, per così dire, Elektra spera che lei e Nina McCabe troveranno il tempo per divertirsi. Forse è stato un errore portarsi dietro la ragazza, ma a Nina una vacanza non può che far bene e poi: se la ragazza vuol davvero far parte del mondo di Elektra, deve essere pronta ad affrontarne il lato oscuro, o, altrimenti deve capire che non fa per lei, giusto?
Appena arrivati nella loro suite, Nina si getta sul letto
-Wow!- esclama –Questo posto è uno sballo.-
-Lieta che ti piaccia.- le dice Elektra –Ora dovrò andarmene. Tu resta qui, vai in spiaggia, fai quello che vuoi, mentre io mi occupo di affari.-
Parlando Elektra si è tolta il vestito con cui ha viaggiato e si è infilata la sua familiare ed attillata tuta rossa.
-Ci metterai molto?- le chiede Nina.
Elektra si sistema la bandana rossa attorno alla fronte e risponde:
-Solo il tempo necessario.-
5.
Un altro Hotel, ad Atene questa volta, dove ritroviamo Clive Reston e Leiko Wu. È bastata qualche telefonata all’Ambasciata Britannica e quattro chiacchiere con il locale Residente del MI6 per avere a disposizione un medico, che li ha curati senza fare troppe domande. Per loro fortuna le ferite non erano profonde. Qualche applicazione di una pomata, un bendaggio, un po’ di antidolorifici ed un sonno ristoratore. Quando si sveglia, Clive scopre che sono passate ben 12 ore da quando è crollato addormentato. Ne aveva bisogno, a quanto pare. Leiko è al suo fianco, ancora addormentata. Clive le osserva la schiena nuda, a parte lo stretto bendaggio che continua sino all’addome, coprendo i segni delle frustate di Pavane. Il dottore ha disinfettato le ferite, ci ha messo sopra una specie di pomata, ha anche detto che con un semplice intervento di chirurgia estetica sarebbe stato possibile rimuovere le cicatrici, ma, naturalmente, Clive sa bene che esistono cicatrici ben più profonde ed invisibili, ferite dell’anima molto più difficili da rimuovere di quelle della carne. Clive si alza per scoprire di avere ancora qualche dolore qua e là. Passeranno, si dice, e Velcro e la sua socia sconteranno tutto. Ha già un’idea su come iniziare.
In quel momento qualcuno bussa ed una voce dice in inglese:
-Servizio in camera, signore.-
Clive afferra la pistola e si sposta dietro una tenda, poi dice:
-Avanti-
Entrano tre uomini vestiti da camerieri, spingendo un carrello. Si guardano attorno, perplessi, poi vedono Leiko Wu sul letto. Estraggono delle pistole ed avanzano.
-Ma dov’è?- esclama uno di loro in greco.
-Sono qui!- è la risposta, in inglese di Clive, mentre esce da dietro la tenda e spara. uccidendo sul colpo uno dei tre. Il secondo uomo spara a sua volta, ma Clive evita il colpo e si butta a terra, esponendosi al fuoco del terzo uomo.
Intanto, però, i rumori hanno risvegliato Leiko Wu. Ci vogliono solo pochi secondi perché la mente addestrata della donna afferri la situazione ed agisca. Un attimo dopo ha in pugno la pistola che tiene abitualmente sotto il cuscino e spara contro l’ultimo aggressore, che sta mirando ala testa di Clive, che, a sua volta, fredda l’ultimo rimasto in piedi, poi si rialza e sogghigna
-Non sarà facile spiegare tutto questo alla direzione.- commenta.
Surrey, Inghilterra. Sir Denis Nayland Smith vive in questa tenuta da quando si è ritirato dalla vita attiva, vale a dire da quando l’età ha cominciato a richiedere un pesante tributo al suo fisico. È molto vecchio ormai, tanto da aver visto tutti i suoi vecchi amici morire, da essere come l’ultimo rimasto di una specie sull’orlo dell’estinzione. Morirà presto, lo sa, ma se almeno potesse portare con se il suo antico avversario, il sinistro Fu Manchu, se ne andrebbe soddisfatto, i sacrifici di decenni non sarebbero stati vani.
Quando spinge la sua carrozzina nell’ampio salone della villa, vi trova un vecchio alleato, Black Jack Tarr, e da quanto vede è in assetto di guerra.
-Immagino che tu stia per partire per l’Isola di Mordillo.- non è una domanda quella di Sir Denis, ma, piuttosto, una constatazione.
-Infatti.- è la secca risposta di Tarr –Laggiù è successo qualcosa a me ed al cinesino e noi non ricordiamo cosa. La cosa mi secca e voglio vederci chiaro.-
-Lo so, ma temo che quanto vi è successo sia il sintomo di un pericolo molto serio e non vorrei che tu e Shang Chi faceste qualcosa di avventato.-
Tarr sbuffa
-Si preoccupi, piuttosto per chi ci ha fatto questo scherzo, Sir Denis, perché quando lo pescherò, uomo o robot che sia, lo farò pentire amaramente di aver voluto pestarmi i piedi.-
Sir Denis sospira, Tarr non cambierà mai, la solita grazia da elefante in una cristalleria, chissà se almeno Shang Chi saprà essere più saggio? Può solo sperarlo.
Entrato nella Sala Agenti del Distretto di Polizia di Midtown Nord, Luke Cage trova il Detective Quentin Chase vicino alla macchinetta distributrice di bevande.
-Salve Luke.- lo saluta il poliziotto –Lieto di vederti di nuovo in piedi. Vuoi un caffè?
-Grazie, ma offro io.- replica Luke.
Inserisce una monetina nell’apposta fessura, seleziona il beveraggio, aspetta e… non succede niente.
-Ma che ç#@*§… - sbraita Luke -… è mai possibile che non ne trovi una che funzioni?-
-Calma Luke.- gli dice Chase e gli porge un’altra monetina -Provaci ancora.-
-Si, si, come no.-
La monetina cade nella fessura e dopo pochi istanti ecco cadere un bicchiere… vuoto… e nient’altro.
Luke comincia a scuotere la macchinetta:
-Razza di disgraziata o mi ridai i miei soldi o mi dai il caffè, capito?-
-Calma Luke, al Dipartimento questi affari costano sai?-
Improvvisamente, la macchina sembra animarsi ed ecco caffè e zucchero scendere nel bicchiere di plastica.
-Ehi, finalmente!- esclama Luke, ma il suo grido di trionfo si spegne quando si accorge che arriva più caffè di quanto il bicchiere possa contenerne e che sta traboccando sui suoi stivali.
-Oh *§@#ç!-
Chase reprime una risata.
-Che razza di linguaggio.- commenta -Beh, Luke, è chiaro che tu e questi aggeggi non siete fatti l’uno per l’altra. Passando a cose serie immagino che tu voglia notizie sulle indagini.-
-Immagini giusto. Dunque: che c’è di nuovo?-
-Ascolta Luke, non pensare che solo perché ci conosciamo da anni ed il Capitano Scarfe è un vecchio amico del tuo vecchio socio Iron Fist, io sia obbligato a dirti tutti i particolari di un indagine… ma dal momento che sei qui, tanto vale che ti dica che finora abbiamo pochi indizi. Aspettiamo i referti del laboratorio per saperne di più sull’esplosivo usato.-
-Su quello ho qualche ragguaglio io.-
A parlare è una giovane donna bionda, la stessa che già due volte era arrivata tardi per parlare con Cage.
-Ma guarda un po’.- dice Chase –Luke ti presento il più bell’agente federale che abbia mai conosciuto, ma non riferirlo a mia moglie. Questa è l’Agente Speciale Cassandra Lathrop dell’A.T.F. Cassie questo è il famigerato Luke Cage.-
-Lo so, lo sto rincorrendo da quando ha lasciato l’ospedale, ma non sono stata fortunata sinora.-
-Alcool, Tabacco ed Armi da Fuoco.?- commenta Luke stringendo la mano che lei gli porge ed ammirandone contemporaneamente il fisico. –Interessante.-
La ragazza scrolla le spalle.
-Ed esplosivi, anche.- precisa –Siamo gli esperti in indagini sull’uso di esplosivi non connesso al terrorismo. Certo il suo è un caso speciale, visto che una delle vittime è classificata come superumano e, per giunta hanno usato una massiccia quantità di esplosivo. Volevano essere ben sicuri di farla fuori.-
-Credevo che le indagini federali sui superumani spettassero all’F.B.S.A. Non l’hanno creato per quello?-
-Mm, è ben informato. Beh non hanno ancora una sezione Armi ed Esplosivi qui a New York, così diamo loro una mano.. almeno per il momento, Mr. Cage.-
-Può chiamarmi Luke, se vuole o anche Cage, ma lasci perdere il mister.-
-Ok. Ora, che ne direste di tornare alle indagini? Presumo che siate interessati all’esplosivo.
-Puoi scommetterci, pupa.-
-Chiariamo subito una cosa, Cage: io sono l'Agente Lathrop o semplicemente Lathrop o magari Cassie, ma mai “pupa”, “bambola” o cose simili, chiaro?”
Chiarissimo, non c’è bisogno di scaldarsi.-
-Bene. Ora passiamo alle cose serie.
Un bel tipino, pensa Luke, tutto sommato gli piace.
6..
Steven Grant entra nell’appartamento di Griswold e gli stringe la mano grassoccia e molliccia.
-Dunque…- gli chiede –… hai davvero trovato il possessore del rubino?-
-Certo!- risponde Griswold. -È ansioso di conoscerti.-
Il campanello suona, una porta viene aperta e si sentono i passi cadenzati di un uomo.
-È un piacere rivederti, vecchio amico.-
Steven Grant, alias, Marc Spector, alias Moon Knight, conosce quella voce. Ha appena il tempo di riconoscere il nuovo venuto, che qualcosa lo colpisce al petto. Un proiettile? Un dardo tranquillante? L’eroe non ha il tempo né di chiederselo, né di abbozzare una difesa. Cade sul pavimento proprio ai piedi del suo avversario, un uomo sul cui volto è tatuato il disegno di un teschio.
-Come al solito, hai voluto immischiarti negli affari degli altri…. e ne hai pagato il prezzo… Moon Knight.-
Questo è quanto dice Raoul Bushman, ma l’uomo a terra non è più in grado di sentirlo.
Clive Reston e Leiko Wu possono essere grati ai loro passaporti diplomatici se la Polizia Greca è costretta a lasciarli andare senza fare troppe domande e così, alla fine, con Clive alla guida della Jaguar superaccessoriata fornita dalla “Ditta”, i due agenti britannici lasciano l’agglomerato urbano di Atene e percorrono le vie che li riportano alla villa dove sono stati tenuti prigionieri.
-Credi davvero che ci troveremo ancora qualcuno?- chiede Leiko.
-Da qualche parte dobbiamo pur cominciare, mia cara.- risponde –Non mi farò sfuggire Velcro ed i suoi amici ancora una volta.-
Leiko guarda lo specchietto retrovisore e poi lo schermo radar, che indica che qualcosa vola sopra le loro teste.
-Ho l’impressione, Clive, che loro non vogliano farsi sfuggire noi.- dice al suo partner.
Due auto continuano a tallonarli ed un elicottero li sta sorvolando. Leiko ha ragione, pensa Clive, i loro avversari non hanno intenzione di mollarli vivi o morti e l’agente britannico non ha molti dubbi sulle loro preferenze. Bene gli darà qualcosa da ricordare.
La Jaguar aumenta di colpo di velocità e subito le auto dietro a lei accelerano a loro volta. Clive da ancora gas.
-Non siete abbastanza veloci per questo gioiellino, amici.- commenta ad alta voce.
-Attento Clive.- lo ammonisce Leiko –Non puoi andare troppo veloce qui.-
-Lo so, non preoccuparti. Ci tengo a restare vivo, sai?-
In quel momento dalle auto inseguitrici parte una serie di raffiche di mitragliatrice.
-I nostri amici sono ostili. Diamogli qualcosa a cui pensare.-
Nella parte posteriore della Jaguar appaiono delle bocche da fuoco che sparano contro le auto inseguitrici. Lo strano duello continua, finché una delle auto non viene colpita e sbanda, finendo contro il guard rail.
-Una di meno.- gongola Clive –Ed ora…-
Sopra di loro l’elicottero sgancia due piccoli missili aria-terra.
-Clive!- urla Leiko vedendo i missili sullo schermo.
Clive sterza bruscamente, ma i missili sono dotati di un dispositivo di ricerca e sono troppo veloci. Dopo pochi istanti colpiscono il bersaglio con violento boato.
FINE SECONDA PARTE
NOTE DELL’AUTORE
Pochissime cose da dire su quest’episodio
1) Leiko Wu ha perso la mano destra in un serial pubblicato su Marvel Comics Presents #1/8 (in Italia visto su The ‘Nam #1/8 e Playbook Collection #2). La protesi bionica è un’aggiunta genuinamente mia.
2) Danny Rand, alias Iron Fist è stato compagno d’avventure di Luke Cage per molti anni nella serie Power Man & Iron Fist. Per quanto molto diversi per temperamento, educazione ed estrazione sociale, i due hanno, ciò nonostante, sviluppato una solida amicizia.
3) Misty Knight e Colleen Wing si installano nelle pagine di questa serie dopo un lungo periodo come comprimarie di Iron Man. Non mancherete di vederle per un po’, contateci.
4) Quentin Chase, Detective di Midtown Nord, è apparso per la prima volta su Luke Cage Power Man nel dicembre 1975 ad opera di Don MacGregor e George Tuska.
5) La gag della macchinetta distributrice di bevande era stata creata da Don MacGregor ed io l’ho indegnamente ripresa, ahimè.
Nel prossimo episodio: Clive e Leiko lottano per la vita, Tarr e Shang Chi vogliono risposte, Luke cerca un nemico nell’ombra, Moon Knight è nelle mani del suo peggior nemico, Elektra ha un nuovo incarico. Ho dimenticato qualcosa? Il solo modo di scoprirlo è essere qui in tempo per la terza parte di questo racconto.
Carlo