PROLOGO: Un solo posto, la Terra
Selvaggia, nel cuore segreto dell’Antartide.
Tre scenari. Tre situazioni
diverse. Tre luoghi diversi.
Un solo problema.
Scenario 1:
In un campo improvvisato presso le rive di un fiume si trovano i
quarantaquattro soli rappresentanti viventi della stupefacente razza degli Esuli. Rettili antropomorfi, sono gli
ultimi di un popolo nato per caso dagli esperimenti atomici dell’Uomo, e
dall’Uomo perseguitati fin quasi all’estinzione. Si trovano qui dopo avere
percorso un lungo e difficile cammino dal continente nordamericano. In questo
momento, la loro leader, C’rel, ha la
responsabilità di proteggerli e guidarli mentre alcuni dei più forti fra loro
sono lontani…
Scenario 2:
Nei pressi di una palude, cinque Esuli maschi -Sai, il nome che possiedono quattro fratelli monozigoti uniti in un
legame-gestalt, e Khadar, il più
potente e feroce degli Esuli, il loro comandante militare e braccio destro di
C’rel- intenti a portare a termine la loro missione, sono stati fermati da…un
essere umano. Una femmina che, per qualche ragione, intendeva proibire ad ogni
costo la presenza di estranei nella ‘sua’ palude, facendo così perdere tempo
prezioso agli intrusi…
Scenario 3:
In un villaggio, lontano dall’accampamento degli esuli, ma abbastanza vicino da
costituire una possibile minaccia, si trova prigioniera colei per la quale
Khadar e i suoi si erano allontanati, lasciando sguarniti gli altri. La femmina
Esule si chiama Alara. Ora si trova
in gabbia, ma fino a poche ore prima si era trovata libera, nel cielo azzurro
di quella che doveva essere la loro nuova patria. E la sua sola speranza di
libertà è un estraneo che, per diverse ragioni, non fa che ispirarle diffidenza:
un dinosauro che un tempo era un uomo.
Stegron.
MARVELIT presenta
Episodio 2 - Strane Alleanze
“Stegron…perché sei
prigioniero?” Alara aveva freddo, quasi batteva i denti. Avvertiva il peso di
un sonno invincibile, ma tenne duro. Un Esule non avrebbe mai mostrato
debolezza!
“Perché gli umani hanno paura
di noi. Ssono piccoli e deboli, e quelli come noi glielo ricordano,” rispose la
voce dall’oscurità.
Alara percepiva il suo odore,
odore di rettile, indubbiamente…ma lei voleva vederlo. “Come possiamo uscire di qui? Le gabbie sono forti, e…”
“Ssi possono aprire, ragazza.”
“Come?”
“Ti hanno legata con dei
ceppi?”
“No.”
“Allora avvicina la tua gabbia
alla mia.”
L’Esule si sciolse dalla sua
posizione semifetale. “Come faccio?” Per Antesys, si sentiva così stupida.
“Alzati in piedi quanto più
possibile. Poi ssegui la mia voce e avvicinati.”
Lei lo fece. Allo stesso
tempo, si udirono dei fruscii dall’altra gabbia. “Ci sono, Stegron.”
“Allunga le braccia, femmina.
Portale versso il basso. Se non senti qualcossa ssubito con le mani, riprova
cambiando direzione fino a quando…ssì, quella che hai appena presso è la mia
coda. Ora tira.”
Lei obbedì. La carne sotto la
sua presa era davvero forte. E le estensioni che percepiva dovevano essere gli
aculei…
“Tira!” il comando secco la
spronò a raddoppiare gli sforzi -le sembrava incredibile, all’inizio, ma ora
capiva che la prospettiva di essere di nuovo libera la riempiva di rinnovate
energie…
Persa in quelle
considerazioni, Alara quasi dimenticò di avere tirato abbastanza da portare le
gabbie a contatto. “E ora…cosa…faccio…”
“Avvolgi l’esstremità che sstai
reggendo alle tue ssbarre…ssì, cossìì.” Alara sentì con le mani la potente coda
chiudersi ad uncino intorno al metallo, con gli aculei a fare da leva. Poco
dopo, le sbarre iniziarono a scricchiolare…e infine, con un suono come di uno
scoppio, furono strappate via! Pochi istanti dopo, Alara udì il metallo urtare
il suolo con un clangore che le sembrò forte come la voce dell’Onnipotente.
La gabbia di Alara dondolò
all’indietro.
“Ora vattene,” disse Stegron.
“Vai dalla tua gente. Porta qualcuno che mi possa liberare. Consserva le forze
per volare via.”
In quel momento, una porta si
aprì. Una lama di luce sempre più ampia rivelò l’ambiente di mattoni cotti bene
isolato…e i corpi. Corpi di esseri umani e non, delle più disparate razze e
specie. Corpi appesi a grossi ganci da macellaio, mummificati…
Una lama di luce da cui entrò,
misericordiosamente, anche il prezioso caldo!
Due uomini, con indosso niente
più di perizoma neri ed elaborati tatuaggi corporei, entrambi perfettamente
rasati, entrarono di corsa. Impugnavano delle lance dalle lame ricurve come
falci e frastagliate.
Non sprecarono tempo a parlare
o a fare inutili commenti. Stando ognuno a portata dell’arma dell’altro,
esaminarono rapidamente l’ambiente. Ogni volta che entravano in una zona d’ombra,
i loro occhi brillavano come quelli dei gatti.
Uno di loro guardò verso
Stegron, ma l’uomo-dinosauro era ancora al suo posto. La coda, appesantita da
un ceppo, pendeva dalla gabbia e non poteva certo usarla per liberarsi…
Stegron ricambiò l’impassibile
sguardo dei suoi carcerieri con un’espressione…divertita, espressione che si
accentuò quando li vide sbarrare gli occhi alla vista della gabbia frantumata.
Quando quegli sciocchi
capirono, era già troppo tardi! Una specie di ombra fu su di loro: Alara piantò
la prima sbarra della sua prigione nello sterno del carceriere. Il secondo
ricevette il colpo letale direttamente nell’occhio. Entrambi caddero senza
avere neppure il tempo di urlare.
Immediatamente, l’Esule si
chinò sulla sua prima uccisione. Stegron vide le zanne balenare, poi ci fu il
frenetico suono di mascelle e muscoli lacerati.
L’uomo-dinosauro decise che doveva saperne di più sulla razza di
lei: aveva girato la Terra Selvaggia in lungo e in largo, e non aveva mai visto
prima gente del genere. Lo stesso, cosiddetto popolo-dinosauro, non vantava una
simile struttura corporea e ferocia… “Ragazza.”
Lei sollevò la faccia lorda di
sangue dal suo pasto. Non c’era in lei alcuna traccia della giovane solare ed
ingenua di poco prima.
“Il piano è cambiato: vieni da
me e liberami. Devi ssolo mettere la mia coda dentro la gabbia, Ci pensserò io
al ressto, inclussa la nosstra via di fuga.”
Lei esitò…eppure, nelle parole
di quel suo ‘simile’ c’era qualcosa di…convincente, ragionevole…
Alara abbandonò il pasto e
fece quanto le fu detto. Dopo che ebbe infilato la coda acuminata a mo’ di
molla contro le sbarre, si udì di nuovo quel familiare scricchiolio… Poi le
sbarre vennero via!
“Eccellente! Ora tirami giù,
non preoccuparti di andarci piano.” E lei obbedì alla lettera. Lo tirò per la
coda e lo fece cadere giù. A mezz’aria, Stegron fece una capriola, ed atterrò
sui piedi. Fece scattare la coda e distrusse i ceppi.
“Non posso portarti via con
me, però,” disse lei. “Sei troppo pesante.”
“Non importa, lo avevo messo in
conto. Ma ora dobbiamo uscire di qui. Ssei pronta?”
La coppia uscì di corsa.
Si ritrovarono in un lungo
corridoio di pietra, che si estendeva su entrambi i lati in una struttura
circolare. Ogni pochi metri, su entrambi i lati c’era una doppia porta identica
a quella della loro prigione.
“Non avevo previssto la tua
determinazione contro quessta gente, credevo che ssaressti sscappata via
ssubito.”
Lei
lo fissò con una luce strana negli
occhi. “Tu non sai quello che i loro simili ci hanno fatto penare, Stegron.”
La donna misteriosa non si era
mossa di un millimetro. Restava lì, sospesa sulla superficie della palude, nel
suo costume rosso con stivali e bracciali d’oro. Nei suoi occhi non c’era che
indifferenza per le cinque potenti creature davanti a lei.
Khadar avanzò verso di lei.
“Una nostra compagna è in pericolo. E per raggiungerla noi passeremo di qui, che
ti piaccia o no, ‘Magog’.
“Tua è la scelta. Anche di
morire, se lo desideri.”
Khadar era una figura imponente: un maschio nel pieno della forma, dal
muso di drago ed una criniera acuminata con quattro corna lunghe ed acuminate
rivolte all’indietro. La sua coda era spessa e frastagliata di aculei. Era il
più robusto e forte degli Esuli, una vista da temere.
Khadar avanzò. A passi lenti,
ma determinati, una forza intenta a non farsi arrestare.
Gli occhi della donna in
costume scintillarono.
Il corpo dell’Esule urtò la
barriera invisibile! Energia crepitò intorno a lui. Fu doloroso, ma Khadar
continuò ad avanzare.
I fratelli Sai osservarono il
loro leader avanzare nel fuoco. Videro l’energia danzare sulle sue carni, ma lui
non rallentò.
La donna continuò a fissare
impassibile l’invasore.
Il muso di Khadar si
contrasse, rivelando le zanne. I muscoli si tesero allo spasimo, la pelle fu
percorsa da increspature, la bardatura di cuoio che portava al torace bruciò. Ma
lui non rallentò.
Proprio quando sembrò che il
suo corpo dovesse iniziare a bruciare sotto quell’assalto, quando la vista si
fece annebbiata e ogni fibra urlava già per il dolore…l’assaltò cessò.
Khadar riuscì a restare in
piedi, ansando appena. Lo sforzo era stato tremendo, le scaglie erano annerite
in più punti, ma lui non avrebbe dato al nemico la soddisfazione di cedere e di
cadere a terra!
“Le tue intenzioni sono
sincere,” disse la misteriosa Magog. “E sei più forte di tutti coloro che sono
passati di qui.” Avrebbe potuto commentare il tempo, per l’emozione che ci
mise. “Ti aiuterò nella tua ricerca, se lo desideri, ma in cambio dovrai aiutare
me. Adesso.”
“Possiamo farcela senza di te,
umana.”
Per la prima volta, la donna
sorrise. “Non sono umana. Quella che vedi è solo una proiezione olografica. Le
difese che hai appena affrontato sono quelle dell’astronave in cui il mio vero
corpo è ospitato.
“Non c’è tempo di spiegare.
Devi immergerti nella palude, raggiungere la nave. Sto ordinando ai sistemi di
predisporsi ad accoglierti. Sarà una prova dura, e…”
“Perché non puoi liberarti da
sola? Non puoi neppure aiutare te stessa…figuriamoci noi!”
“Sono prigioniera della mia
stessa nave, ecco perché.” A quel punto, l’immagine cambiò, lasciando spazio a
una visione della Terra. “Io ed il mio compagno Siamo stati inviati su questo
mondo per rintracciare una colonia di Plodex inviata su
questo mondo diciottomila anni fa, durante l’ultima grande glaciazione. La
nostra nave fu però danneggiata durante l’ingresso nell’atmosfera, e
precipitammo in quest’area.
“L’astronave era
irreparabilmente danneggiata. La maggior parte dei sistemi era in fase di
riavvio. Io ed il mio compagno eravamo ancora nelle matrici di incubazione,
indifesi.
“Un nativo di questo mondo
entrò nella nave, e prelevò uno di noi due, il maschio, scambiando per morte il
mio stato di animazione sospesa.[i] Non
seppi più nulla del suo destino, ma so che dopo che la nave fu affondata nella
palude, i sistemi essenziali tornarono finalmente in funzione. La mia
incubatrice continuò a predispormi alla maturazione, ma non poteva liberarmi a
causa di un danno causato dall’impatto.
“Teoricamente, le riserve di
energia possono durare ancora per milleduecentoventi anni al presente stato di
utilizzo, ma ho bisogno di essere libera al più presto per completare la mia
missione. Allo stato presente, siete la mia sola opzione. In cambio, vi aiuterò
con il vostro problema.”
Khadar considerò l’alternativa
che non c’era: era chiaro che questa creatura, chiunque fosse, avrebbe potuto
uccidere a fronte di un no.
Tentare la fuga? Almeno i Sai
si sarebbero salvati…ma quella opzione fu subito scartata! Nessun Esule sarebbe
mai più fuggito sul proprio
territorio!
Khadar
avanzò verso l’acqua. Spiccò un salto e si immerse.
C’rel non aveva idea di quanto
tempo sarebbe occorso alla squadra di Khadar, e non intendeva angosciarsi con
quel dubbio -dopo tutto, loro tutti erano
in una terra nuova e sconosciuta.
Per adesso, non c’erano segni
di panico fra gli accampati. Come sempre, la tensione era palpabile, tutti si
muovevano entro l’area delimitata da Khadar, gli sguardi alla giungla erano
furtivi, attenti, ma ormai quella era routine.
Almeno, il cibo non mancava.
La pesca era stata generosa, i ventri erano sazi.
La femmina, muso quasi piatto,
la testa decorata da una criniera folta e acuminata, continuò la sua ispezione
dell’accampamento provvisorio. Lei era l’ultima rappresentante della sua
famiglia, figlia di un leader, e da suo padre aveva ereditato l’attitudine al
comando, oltre che una vena di…pacifismo? No, C’rel avrebbe volentieri
strappato il cuore ad ogni membro della specie che tanti dolori aveva loro
inflitto! Ma non avrebbe ceduto alla vendetta, questo sì. Non avrebbe alimentato
il circolo di odio, in questo era
come suo padre, una creatura di raziocinio prima che di passioni.
C’rel poteva vedere i suoi
sforzi ripagati nella grande fiducia che la sua gente le concedeva. Le bastava
parlare loro, stare loro vicino, partecipare ai piccoli riti familiari, come la
preparazione del cibo, la sabbiatura delle scaglie…piccoli gesti per
trasmettere unità, la loro migliore arma nei difficili giorni del
pellegrinaggio*
Lo sentì per prima! Forse era
una mutazione, forse solo un istinto affinato dalle difficoltà, fatto stava che
la testa di C’rel saettò in una precisa direzione. Il suo volto si fece cupo, e
in pochi istanti la sua tensione si trasmise ad ogni Esule. Molte lingue
forcute saettarono a saggiare istintivamente l’aria…
Seguendo uno schema ben
collaudato, ogni femmina più vicina ad un piccolo lo prese con sé per portarlo
al centro della formazione, mentre un anello di maschi si predisponeva alla
difesa…
Gli occhi di C’rel si
focalizzarono in un’area d’ombra fra le cime degli alberi, scorgendo
immediatamente il calore corporeo dell’intruso -un umano, naturalmente! “Fatti
vedere, chiunque tu sia.”
La figura saltò giù dalle
fronde. Poco dopo, emerse dai cespugli, sull’altra riva del fiume…e non era da
sola.
Era un uomo, un esemplare
caucasico, dai lunghi capelli biondi, il volto dai tratti nobili e duri di un
leader nato per comandare. Il suo solo abbigliamento consisteva di shorts
azzurri, stivali dello stesso colore e con la stessa aria molto ‘vissuta’, e un
largo pugnale fissato in vita.
Al suo fianco, procedeva un
maschio di smilodonte, volgarmente
noto come tigre dai denti a sciabola, dalla pelliccia dorata.
I maschi si tesero, pronti
alla battaglia. C’rel avanzò senza mostrare alcun segno di timore -era giunto
il momento di smetterla di scappare, e lo avrebbe fatto capire per bene a
questo nuovo arrivato! “Se ci sono altri, umano, che vengano. Noi non siamo
certo indifesi.”
“Sono
da solo, e neppure io ho timore di voi, stranieri. Sappiate che io sono Ka-Zar, il signore della Terra
Selvaggia. E se è asilo quello di cui avete bisogno, sarò lieto di offrirvelo.”
Finalmente uscirono dal
corridoio, per trovarsi su un’enorme piattaforma circolare. Stegron ed Alara si
fermarono, guardandosi intorno.
La piattaforma era parte del
più grande edificio del villaggio, sopraelevato di diversi metri rispetto al
resto delle abitazioni a loro volta erette su palafitte. Tutt’intorno
all’edificio principale, scorreva la piccola vita quotidiana. I due sauri
potevano trovarsi su un’isola deserta, invece, per quello che li riguardava.
Stegron ed Alara si
scambiarono un’occhiata. Lui guardò verso il cielo, con uno sguardo strano,
fisso, come se con quello sguardo stesse comunicando…chiamando…
E così fu! Pochi minuti dopo,
le attività nel villaggio subirono un brusco arresto, molti indicarono il
cielo.
Uno pteranodonte stava calando dal cielo! L’enorme rettile passò
abbastanza vicino all’edificio da permettere a Stegron di raggiungerlo con un
salto. Alara lo seguì al volo.
Poco
dopo, i fuggitivi lasciarono definitivamente il villaggio.
Le acque erano torbide.
Neanche dopo un metro di profondità, sembrava di nuotare dentro il fango.
Ma Khadar non smise di
nuotare. La proiezione olografica aveva mostrato un’astronave che,
teoricamente, avrebbe dovuto riempire quel lago…
Improvvisamente, una luce
abbagliante si accese nelle liquide tenebre! Khadar confidò che si trattasse di
un faro di segnalazione… Ed eccola, infatti! Una lampada alogena posta su uno
scafo argenteo enorme.
Khadar si avvicinò. Al suo
avvicinarsi, si accese un’altra luce, ma più debole. Poi un’altra. E
un’altra…fino a quando un cerchio di luce non segnalò il boccaporto da cui
passare, l’Esule ne era sicuro.
Khadar entrò attraverso
l’apertura spalancata, ritrovandosi in una stanzetta cubica. Subito dopo,
dietro di lui, il boccaporto si chiuse!
Khadar osservò quel processo
vincendo il desiderio di fuggire da quella che poteva essere una trappola
mortale. Dovette fare uno sforzo cosciente per ricordarsi che se questa ‘Magog’
avesse voluto ucciderlo, lo avrebbe fatto in superficie, senza dovere elaborare
questa scenografia…
Appena il portello si fu
chiuso, con uno scatto attutito dall’acqua, si accesero delle luci sul
soffitto. Poi il livello del liquido nella stanza iniziò a scemare.
Una luce gialla si accese sul
portello, che si aprì l’istante successivo.
Un gocciolante Khadar emerse
in un antro di alta tecnologia. Per un momento, provò un senso di familiarità
alla vista di quei manufatti, familiarità e rimpianto per la civiltà che la sua
gente aveva costruito, giorni lontani millenni…ma quell’emozione durò poco. Si
sarebbe permesso questi lussi in giorni migliori, non ora!
“Allora, Magog. Sono qui.”
L’ologramma gli apparve ad un
metro di distanza. “Seguimi, per favore.”
Procedettero per alcuni minuti
in un ambiente più grande di quanto lui avesse immaginato. Tutta la struttura
era pericolosamente inclinata verso il basso, e Khadar, più di una volta,
dovette fare attenzione a non cadere.
Giunsero finalmente in una
stanza occupata solo da un apparecchio a cono tronco. “Io sono lì,” disse
l’olo, indicando l’apparecchio.
Khadar vi si avvicinò,
prudente. Vide cosa ospitava quel dispositivo, e la sua perplessità assunse una
sfumatura divertita. “Che sciocchezza è questa?”
Le pareti imbottite della
cavità del dispositivo ospitavano un uovo.
Il suo alloggiamento era uno di due, l’altro era vuoto. Il guscio dell’uovo era
bianco, dai riflessi indubbiamente metallici.
Khadar fece un sorrisetto
divertito all’olo. “Non sai uscire da un uovo? E come ti proponi di aiutarci se
basta così poco ad intrappolarti?”
L’olo era mortalmente serio.
“La forma della matrice è un tributo alle memorie ancestrali. La sua
complessità va ben oltre le tue esperienze, Khadar.
“Il guscio contiene una serie
di sensori atti ad analizzare il materiale genetico delle forme di vita che
vengono in contatto con esso. Altresì, gli stessi sensori possono recepire i
segnali inviati da altri sensori, in modo da dovere evitare il processo del
contatto fisico, nel caso uno dei due incubati fosse uscito prima dell’altro.
Un’altra soluzione del guscio è il campo di stasi, collegato al meccanismo di
apertura: se il campo non si disattiva, il guscio non si apre.”
“L’umano che ho visto nelle
immagini…lui aprì il guscio.”
“Così come puoi fare tu. Il
guscio dovrebbe aprirsi automaticamente, ma in alternativa può essere aperto
dall’esterno.”
“Una misura imprudente,”
Khadar voleva esaminare ogni sfaccettatura, ogni indizio nascosto, prima di
correre un rischio. Anche per questo aveva deciso di gettarsi nelle fauci del
nemico: se doveva morire, lo avrebbe fatto da solo, distraendo il nemico,
lasciando Sai ad informare la sua gente di un’area pericolosa…
“Le matrici dovrebbero aprirsi
od essere aperte solo quando la maturazione è completa. A quel punto, il campo
di stasi si disattiva. Quando il Terrestre ha estratto il mio compagno dalla
sua matrice, questi ha portato a termine il suo sviluppo nei tempi previsti
dalla nostra biologia, senza l’ausilio del campo.
“Io invece sono pronta. Una
volta aperto il guscio, emergerò nella mia maturità.”
“Prima parlami della tua
missione.”
“Cosa..?”
Khadar fissò l’olo. “Hai detto
che stavi cercando i tuoi simili. Parlami di loro, delle vostre intenzioni.”
Se si aspettava una reazione
nervosa, frustrata, aveva aspettato male: l’ologramma fu subito sostituito da
una nuova immagine: una specie di mostro, un abominio dalla pelle giallastra, e
occhi liquidi e scuri, arti deformi…il suo stesso corpo sembrava il mosaico
impazzito di un’evoluzione insensata… Se mai Khadar aveva visto qualcosa di
brutto e di minaccioso, questa creatura lo era.
“Questi erano i Plodex, fino a
diecimila anni fa. Figli di un mondo altamente instabile, con un ecosistema
soggetto a continue sollecitazioni. Mutare forma, essere continuamente
adattabili, era la sola soluzione applicabile. La loro specie è di conseguenza
molto aggressiva, determinata.
“Fondarono una civiltà basata
su un solo scopo: lasciare il pianeta madre, colonizzare altri mondi per
imporsi sulle forme di vita locali, usando quella stessa mimesi che li portò al
successo in patria.
“La Terra fu uno di tali
pianeti…ma anche quella prima volta il fato ostile impedì il successo. I Plodex
furono intrappolati nella loro nave, e delle uova che avevano lanciato solo una
entrò in contatto con la forma di vita dominante. Non fu sufficiente.
“Ma gli altri sono ancora
nella loro nave-colonia, in attesa di essere risvegliati.
“Puoi considerare me ed il mio
compagno, la nostra gente, alla stregua di un ramo parallelo. Dopo che i nostri
antenati presero il controllo del mondo a cui furono destinati, per qualche
ragione la loro struttura genetica si stabilizzò. La loro società evolse ad uno
stadio…migliore, ancora combattivo ma più maturo. E la nostra priorità è
trovare le colonie Plodex e restituirle al loro mondo.
Non abbiamo intenzioni ostili. Questa è la verità.”
Khadar prese l’uovo in mano.
Il metallo era caldo, ronzava leggermente nel suo palmo. Così fragile…un po’ di
pressione e qualunque cosa ci fosse stata dentro sarebbe morta…
Ci rifletté attentamente. Antesys
sapeva se gli Esuli non avevano bisogno di tutto l’aiuto possibile…
Sapeva cosa C’rel avrebbe
fatto. A questo punto, lei avrebbe dato fiducia a questo alieno misterioso,
avrebbe concesso il beneficio del dubbio se non altro per non cadere
definitivamente nella paranoia.
E se invece fosse stato liberato un male peggiore degli uomini?
Khadar trattenne un sospiro:
in fondo, lui aveva accettato di
arrivare fin lì per aiutare Alara…
L’Esule posò l’altra mano
sulla metà superiore del guscio. E aprì.
Una luce intensa si accese
sotto la superficie dell’acqua!
I fratelli Sai si tesero.
Prima di partire in missione, Khadar era stato chiaro: tornare indietro
all’accampamento, di corsa, se il loro leader militare fosse deceduto…e non era
forse un’esplosione, la causa di quella luminosità?
Ma no, l’acqua era rimasta
immobile qualche istante troppo a lungo, per*
L’acqua esplose. Si sollevò in una titanica colonna la cui base occupava
quasi tutta la palude! Ne ricadde così tanta che sembrava si fosse scatenato un
temporale. Frammenti di metallo precipitarono insieme al liquido, a fango e
vegetazione.
Quando l’acqua smise di
cadere, al suo posto c’era qualcosa che bloccava la luce del Sole.
Un gigante come mai i quattro
Esuli non avevano visto…