PROLOGO: La prima cosa che
provò riaprendo gli occhi fu un dolore lancinante -non che non se lo
aspettasse, comunque, date le...circostanze del suo arrivo qui.
L’uomo nel costume nero che
rispondeva al nome di Midnight Sun si
mise in piedi…o almeno ci provò, senza riuscirci, visto che i suoi arti non
trovarono presa. Si sentiva la bocca impastata e la mente piena di cotone. Sedativo?
No, il suo corpo era immune ai prodotti chimici ed ai veleni.
M’nai scosse la testa, e si
accorse che non era solo. Naturalmente. Condividevano il suo status
Ø
Parnell Jacobs, Warwear, con indosso la sua armatura vivente a tecnologia
eidolon.
Ø
Jack Russell, Sabre, il lupo mannaro.
Ø
RobertMarkley, Fusione. Il mutante signore delle illusioni.
Ø
Mark Raxton, Molten, l’uomo dalla pelle di metallo.
Ø
Janice Olivia Yanizeski, Joystick, ex Signora del Male.
Ø Malcolm Murphy, Man-Eater, l’uomo-tigre
Ø
Capitan Power,
il misterioso super-eroe.
Tutti, come lui, prigionieri
di una bolla di cristallo priva di attrito. Chiunque li avesse catturati, aveva
anche messo loro addosso il costume. Se la situazione non fosse stata quella
che era, sarebbe stato buffo vederli muoversi annaspando a loro volta, come se
si trovassero nel vuoto.
Le bolle erano sistemate in
tre file di tre, tranne che per una di due, all’interno di condotti pure trasparenti.
In quel momento, giunse loro
la voce del loro ‘anfitrione’. “Benvenuti, cari Giustizieri: per chi di voi non
mi conoscesse, il mio nome è Arcade,
e voi siete stati appena reclutati per una partita nel mio Mondo Assassino.
“Le regole sono semplici: la
sola chiave per la via d’uscita si trova nella sezione dell’Isola del Tesoro.
Se arrivate vivi fino a lì, avrete vinto e vi lascerò andare. Se fallite…be’,
almeno avrò avuto la soddisfazione di aggiungere dei supereroi al mio
curriculum. Buona fortuna, gente!” Arcade esplose in una risata maniacale,
mentre i cannoni sparavano le sfere in quello che era un colossale flipper...
MARVELIT presenta
JUSTICE, INCORPORATED
Episodio 18- Giochi Mentali!
Uffici della Justice Inc.,
prima
“Uhm, immagino che non
possiamo riparlarne, vero?” tentò in un ultimo, disperato tentativo, l’uomo di
nome Edward ‘Eddie’ Velikowski, in piedi davanti al ‘grand jury’ della Justice
Incorporated, ovvero: Angela Cleaver,
fondatrice e Presidente. Dollar Bill,
PR e Affari e Finanza, Garolfo Riccardo
degli Abruzzi, Riverse Engineering, Letitia
Frost, analisi tattica, oltre che al gruppo dei Giustizieri al completo,
tutti seduti ad una tavola ad emiciclo.
E nessuno di loro aveva l’aria
comprensiva. Il che, se già era abbastanza brutto quando riguardava chi ti
passava lo stipendio, anche peggio era quando c’entravano dei colleghi che
potevano ridurti a una nuvola di atomi!
La Cleaver lanciò un’occhiata
gelida all’’imputato’, e parlò con tono altrettanto gelido. “Violazione di
contratto, contrabbando di tecnologie, danno all’immagine…senza contare i costi
ed i rischi di una missione che abbiamo dovuto sobbarcarci a causa della sua
leggerezza ed avidità, Mr. Velikowski. Oltre
alla mancata occasione di potere mettere le mani su un intero gruppo di
supercriminali ricercati a suon di zeri[i].”
All’inizio delle indagini, lui
aveva debolmente tentato di negare, provando ad inventarsi prima una missione
privata, poi un ricatto…ma, alla fine, i nodi erano venuti al pettine: lui
voleva fare soldi facili, più facili che mettendosi nei guai in qualche pazza
missione, e aveva cercato di vendere il dispositivo Blank alla Villains LTD…col solo risultato che era
vivo per miracolo, e senza più dispositivo[ii]. Non
voleva neppure pensare a cosa sarebbe successo se Garolfo non avesse
estrapolato i progetti dell’apparecchio…
“Si consoli pensando che non
abbiamo gli estremi per denunciarla alle autorità, Mr. Velikowski,” disse
Garolfo. “La tecnologia del dispositivo Blank non era brevettata, e il suo
inventore è morto; siamo di fatto i soli proprietari legali…”
“Cosa?!” Scattò Eddie, il
primo moto di orgoglio degli ultimi tempi. “Un momento, me la sono studiata
anch’io un po’ di legge in questi ritagli di tempo. Quell’affare è mio, e…”
Bill si schiarì la gola.
“Veramente non più.” Si sporse in avanti ad allungare un foglio fittamente
scritto. “Amico bello, la tua bravata ci è costata parecchio. Credevi che
trattenerti quanto hai incassato finora sarebbe bastato? Abbiamo il diritto di
ottenere i progetti sul dispositivo.”
“Lei è invece libero di fare
quello che vuole della sua vita,” chiosò Angela. “Può restare a Nome, se vuole,
visto che almeno ha un lavoro.” Si riferiva al servizio di assistenza che lui
prestava a beneficio degli anziani. “Naturalmente, se dovesse compiere un
reato, saremmo felici di offrire i nostri servizi gratuitamente per sbatterla
dentro.” Chi ha orecchie…
Eddie
deglutì. “Farò il bravo.”
“Perché?” chiese Molten, con
la schiena appoggiata alla soglia della camera di Eddie, mentre questi finiva
di mettere le sue poche cose in una valigia.
L’uomo chiuse la valigia, e vi
restò appoggiato, la schiena curva. “Non sono un maledetto eroe, Mark. La prima
volta che ho usato quel maledetto dispositivo, non sapevo neppure che avrei
finito con l’imbattermi nei Vendicatori della Costa Ovest e soprattutto in quel
pazzo di Graviton! Volevo solo fare soldi facili, quando mi sono unito a voi,
tanti soldi per poi ritirarmi a vita. E invece, voi i guai non solo ve li
andate a cercare, ma ve li cercate belli grossi! Io… Era tutto troppo, per me.
Tutto qui, sono un cacasotto, va bene?”
“Hai perfettamente ragione su
questo punto,” sospirò Mark Raxton. “E lascia che te lo dica uno che l’ha
pensata proprio come te.”
“Eh?”
“Ero un semplice chimico,
quando un incidente mi ha trasformato per sempre in quello che sono. La prima
cosa che pensai di fare fu di darmi al crimine. Soldi facili, appunto. E ho
sempre finito col prenderle dall’Uomo
Ragno, fino a quando persino la mia zucca dura non ha capito che un impiego
onesto, anche se non ti fa diventare Bill Gates, almeno ti tiene lontano dai
guai…”
“E allora perché sei qui? Il
tuo lavoro ti stava stretto?”
“Garolfo ha perfezionato un
sistema che mantiene stabile la mia pelle, che è la ragione per cui ho chiesto
di lavorare qui.”
Eddie prese la valigia ed
uscì, oltrepassando Molten senza neppure preoccuparsi di voltare la testa.
“Obbe’, almeno un lavoro onesto ce l’ho, adesso. Mi permetterà la mia razione
di fagioli quotidiana…”
Mark
scosse la testa. E dire che anche lui si era ridotto così nei suoi giorni
peggiori…
“Prossimo punto all’ODG:
assistenza legale,” disse Dollar Bill. “Abbiamo bisogno non solo di uno
competente nel mondo dei super-esseri, ma anche di un figlio di puttana con più
pelo sullo stomaco di Russell e l’istinto di un serial killer veterano. Se c’è
una cosa che attira le mosche, oltre all’Enron,
è una bella causa contro i danni da super-esseri.”
Angela disse senza esitare,
“L’uomo che fa al caso nostro è Claude
Unger, allora.”
“Sì, ma sta a New York,” disse
Garolfo. “E non possiamo certo prenderlo alle nostre dipendenze, sempre ammesso
che uno come lui accetterebbe di essere un dipendente. No, troppo antieconomico.”
Bill non si scompose. “Lo
prendiamo a consulenza. Spese pagate e tutto il resto. Un viaggio a sbafo in
prima classe non se lo nega nessuno.”
Angela annuì. “Allora è
approvato. Mi occuperò io di definire il contratto con lo studio di Mr. Unger.
Bill, tu avrai un incarico di maggiore responsabilità, in merito alla ricerca
del nuovo nono Giustiziere. Letitia?”
La donna sulla poltrona
mobile, con il volto parzialmente coperto da una maschera, digitò un pulsante
sulla sua tastiera e fece apparire delle immagini sui monitor dei colleghi. “Questo
candidato, come vedete, possiede le caratteristiche che ci permetteranno da una
parte di colmare il gap in caso di avversari dotati di armamenti speciali
classe 4. Dall’altro lato, potremo espandere il nostro parco-offerte con
incarichi molto più remunerativi.”
Bill deglutì. “Non ho dubbi,
mio prezioso filet mignon, ma se anche avessimo le strutture per ospitare un
simile bestione, ci costerà una follia solo di manutenzione. E non voglio
sognarmi la trafila che dovremo fare per i pezzi di ricambio, e per i
rifornimenti e…”
Angela si chinò leggermente in
avanti. “Per questo dovrai lavorarti gli attuali padroni di questo candidato
facendo ricorso a tutte le tue abilità. Sfodera un po’ il tuo savoir-faire di
playboy, ma convincili ad accettare un contratto di leasing comprensivo delle
voci che hai appena menzionato, incluso il personale specializzato necessario.
Di’ loro che, se necessario, tratteremo un pacchetto di missioni gratuite come
contro offerta.”
“Wow,” fece Bill. “Raramente
sembri così interessata a qualcosa. Va bene, mi darò da fare come un matto, ma
riuscirò a strappare il miglior contratto possibile. Dovremo fare parecchi
lavori per le nuove strutture, ma ne varrà la pena.”
“E questo sistema i problemi
più urgenti,” disse Angela, digitando sulla tastiera. “Adesso, dovremmo
occuparci del prossimo cliente. Qualche soldo in più non farà male, in vista
del prossimo reclutamento.” Un pacco di 20x20 emerse da un alloggiamento sotto
il tavolo.
“Niente esplosivi, niente
ordigni chimici, nessuna arma. Le uniche cose che ci sono lì dentro sono…” si
chinò a prendere il pacco e ad aprirlo.
Il contenuto consisteva di una
ricevuta di bonifico bancario, accuratamente plastificata, e di un paio di
occhialoni bianchi a monolente a specchio, a loro volta collegati, attraverso
tre cavetti sottili, ad un baracchino, pure bianco, simile ad una
ricetrasmittente da cintura. L’apparecchio mostrava il coperchietto per un
ulteriore alloggiamento.
“L’alloggiamento contiene una
dozzina di unità a disco con un cerotto adesivo su un lato,” spiegò Garolfo.
“Tecnologia ultrasottile e dannatamente complessa.”
L’ultimo pezzo contenuto nel
pacchetto era un DVD in una custodia sigillata. Angela lo prese, ruppe il
sigillo e inserì il disco nel lettore del suo terminale, il quale era a sua
volta stato scollegato dalla rete interna. Se c’era un virus, lì restava.
La superficie del tavolo si
accese, mostrando il volto di un uomo, un perfetto sconosciuto attempato, dai
corti capelli grigi brizzolati e il volto scavato, con un paio di baffoni pure
grigi e ben curati. Un volto dall’espressione triste.
“Buongiorno, signori.
Scusatemi se mi affido a questa registrazione…” Si portò una mano alla bocca e
tossì un paio di volte, un verso brutto e catarroso.
Finito di tossire, l’uomo si
ricompose. “Mi chiamo Ronald Rooms. Sono l’inventore dell’apparecchio che
dovreste avere ricevuto insieme a questo messaggio. Si tratta di un dispositivo
di realtà virtuale di nuova concezione: attraverso un’interfaccia neurale, composta
dai sensori a disco, lo spettatore entra in contatto con il proprio subconscio,
con le proprie gioie ed i propri dolori più reconditi.
“Purtroppo, questo modello
sperimentale ha avuto un inaspettato collaudatore: mio figlio George, che ha
voluto usare su di sé l’apparecchio senza avvertirmi. Il risultato è che ora,
al posto di un ragazzo di diciannove anni, ho un corpo in stato vegetativo
irreversibile… A meno che non si riesca ad invertire il processo e restituire a
mio figlio la sua mente ora prigioniera della IA del mio dispositivo.
“Perché è questo quello che è
successo: in qualche modo, l’IA ha…assorbito la coscienza di George. Ho
effettuato uno scanning accurato, e sono materialmente certo di quello che dico.
“Purtroppo, devo chiedervi di
correre un rischio, signori: usare il mio apparecchio per trovare la mente di
mio figlio. Non c’è altra soluzione: per quanto ci abbia provato, l’IA del mio Dreamscaper riesce ad eludere qualunque
tentativo di intrusione…una capacità che, per colmo di ironia, proprio io ho
sviluppato, per fare sì che l’esperienza dello spettatore non fosse interrompibile
da intrusioni indesiderate.
“Ho allegato gli schemi del DS
in un pacchetto di cinque DVD che troverete in mezzo all’imbottitura. Spero che
vi possano servire, più di quanto io…” altri colpi di tosse, questa volta più
pronunciati. “Scusatemi… Dicevo, più di quanto io possa esservi utile:
purtroppo, ho scoperto troppo tardi che il fumo è un pessimo vizio.” Mostrò un
sorriso amaro. “Se state osservando questa registrazione, vuol dire che sono
morto. Ho usato quasi tutta la mia fortuna per pagare il vostro ingaggio, il
resto è in un conto a parte gestito dal mio avvocato, un amico di famiglia che
mio figlio conosce da quando era un ragazzino. Addio, e buona fortuna.”
L’immagine scomparve.
“Letitia?” chiese
distrattamente Angela, sorreggendo il mento sulle dita incrociate.
La Frost stava consultando i
risultati di una ricerca iniziata appena ‘Ronald Rooms’ aveva dato il proprio
nome. I sistemi brevettati dalla Talon
Corporation avevano cercato in Internet e in ogni maggiore database delle
forze dell’ordine e della sicurezza, passando dal Pentagono alla CIA, dall’FBI
all’FBSA, includendo Mossad e Servizi Russi… Non che il consiglio direttivo se
ne preoccupasse, quant’era vero che i governi di mezzo mondo se ne fregavano
bellamente per primi della privacy dei loro cittadini. La loro sola
preoccupazione era che il software riuscisse a ‘scivolare’ fra tutti quei
mainframe senza farsi localizzare…
“Pochissime informazioni,”
rispose Letitia. “Ronald Rooms esiste, ed è una specie di Archimede Pitagorico,
uno col pallino per le invenzioni.. Non rappresenta rischi per la sicurezza
nazionale, e non ha mai brevettato alcuna sua scoperta, finanziato tra l’altro
con i soldi ereditati dal padre, un esportatore di articoli in pelle. Un
divorzio e un figlio nato dalla sua amante, che però lo ha scaricato in tutta
fretta poco dopo il divorzio. Ed è deceduto una settimana fa per un tumore
polmonare aggravato, senza più un centesimo. Il ragazzo è ricoverato presso il Cedar,
a New York. Coma profondo, cause sconosciute.”
Angela fissò il pacco. Fino a
quel punto, tutto quadrava…tranne per una cosa sola: non c’era alcuno dei
cinque DVD promessi. Una dimenticanza? Molto probabile, visto lo stato di
salute di quell’uomo: se il timbro postale non mentiva, aveva spedito il pacco
appena due giorni prima del decesso…
Problemino: il pacco era stato
inviato a mezzo corriere espresso: e anche considerando la destinazione, la
FedEx non ci metteva nove giorni per un pacco prioritario…
“Angela..?” tentò Bill. “Sei
ancora fra noi?”
Continuando a guardare davanti
a sé, la donna disse, “Hai verificato la bontà del bonifico?”
“Uh? Sì, certo: tutto
regolare. Hanno usato il conto che abbiamo esposto nel nostro sito. La somma è
passata attraverso un circuito delle Cayman…”
Identità grigia, scarsa rintracciabilità,
niente testimoni. Una trappola, se mai se ne era vista una. E così platealmente
evidente, tuttavia… Dove voleva arrivare il misterioso Mr. Rooms, sempre ammesso
che fosse stato lui quello che appariva sul video? “Garolfo, voglio che tu prenda
quell’apparecchio e lo sezioni fino all’ultimo atomo se necessario: Rooms
diceva di non potere intervenire sul suo software, ma nelle sue condizioni e
senza i mezzi adeguati, non poteva arrivare molto lontano. Non intendo fare
correre rischi inutili ai Giustizieri.”
“E i soldi versati?” fece
Bill, che già si sentiva appassire la barba.
“Dipende da cosa scoprirà
Garolfo: se basterà un po’ di manodopera, i soldi li restituiremo*” le venne in
mente così, come un bagliore di luce nell’oscurità. “Non ci ha detto dove suo
figlio era ricoverato…” Spostò lo sguardo sull’apparecchio. E se tutta quella
parlantina avesse avuto il solo scopo di… Figlio
di puttana!
“I
Giustizieri! Dobbiamo avvertirli prima che…” E in quel momento, il ‘baracchino’
collegato agli occhiali emise un singolo suono, un ‘beep’ che fece irrigidire i
presenti come se fosse appena esplose una bomba…
L’autopattuglia percorreva le
strade di Nome ad una velocità di trenta miglia all’ora, nel suo percorso
collaudato da dieci anni di servizio.
“Con un po’ di fortuna,
recluta,” disse l’agente Alan McNamara,
sfoderando un sorrisone di anticipazione, “la cara Beth ci farà trovare un
pranzetto coi fiocchi appena questo turno sarà finito.” Si riferiva a Beth
Pearson, la cuoca del Polaris Bar & Liquors.
Seduto accanto a lui, Midnight
Sun non disse nulla, limitandosi a guardare in avanti, studiando l’ambiente per
una qualunque incongruenza che potesse richiedere l’intervento della Polizia… Anche
se, in questo caso, si poteva parlare più di un riflesso condizionato. Al di
fuori della stagione turistica, Nome era uno di quei poste dove il balordo
capace di recare disturbo alla quiete pubblica era merce rara. I peccati,
quelli veri, la gente li nascondeva fra le pareti o negli angoli di periferia…
Anche per questo, M’nai stava
usando i suoi sensi potenziati dalla tecnologia kree per ‘ascoltare’ nelle case
che oltrepassavano. Lui era un uomo di giustizia, e non aveva paura di usare
tutti i mezzi a sua disposizione per perseguirla. Le remore e le procedure
legali se le era lasciate dietro con la sua prima vita…
L’auto svoltò una curva…e
quasi si scontrò con il posteriore di un camion per la spazzatura!
“Ma vaff…” McNamara fu
velocissimo a pigiare sul freno, riuscendo ad evitare l’impatto per un soffio.
In compenso, ingolfò il motore.
Gli agenti scesero
immediatamente. McNamara si erse in tutto il suo metro e novanta, con braccia
nodose come bastoni e il volto florido paonazzo. Si diresse verso la cabina del
camion a larghi passi. “Ma bene, ma bravo! Fuori orario e fermo in curva.
Cavolo, amico, sono indeciso se farti una multa che ti costerà la pensione o
prenderti a calci in culo fino al Giorno del Giudizio…” Si dovette fermare
quando la mano di Midnight Sun lo afferrò per una spalla. Si voltò bruscamente
e fece una faccia cattiva al collega. “E tu cosa vuoi, novizio dei miei stivali?! E prova a sillabare almeno una parola, perdio!”
M’nai era muto, purtroppo, fin
da quando perse la vita per la prima volta, e fino a questo momento la cosa era
stata un problema solo un paio di volte…
Il guerriero spinse via il
poliziotto. Solo lui poteva ‘vedere’, attraverso sensori capaci di scandagliare
lo spazio alla ricerca di un singolo atomo, che quel ‘camion della spazzatura’
non era quello che sembrava!
Con tutta la prudenza del
caso, Midnight Sun si avvicinò alla cabina. Se c’era qualcuno che doveva
correre un rischio, quello era lui. Arrivato alla portiera, vide che l’autista,
un uomo di circa quarant’anni, dai capelli grigi corti e brizzolati, con un
uniforme ed in testa un berretto come quelli usati dal servizio di nettezza
urbana, non sembrava affatto preoccupato. “Ci sono problemi, capo?” chiese con
una voce tranquilla
I suoi istinti gli urlavano di
non perdere altro tempo! Sun decise di assecondarli: afferrò la maniglia per
tirare via la portiera…e qualcosa gli punse il palmo.
L’eroe
ritirò immediatamente la mano, osservandola incuriosito. Spostò lo sguardo sul
conducente, che gli fece un cenno di saluto con due dita alla fronte…poi, il
suo sguardo si annebbiò, ed infine tutto si fece buio.
Ed ora eccoli qui, biglie
impazzite lanciate a velocità folle in quel flipper da incubo. Ogni volta che
le sfere rimbalzavano contro i respingenti, qusti generavano una scarica
elettrica potentissima, che si aggiungeva al disorientamento psicofisico dei
prigionieri.
E, per quanto si sforzassero,
nessuno di loro riusciva a liberarsi. Capitan Power, da solo, avrebbe potuto
distruggere la sua sfera e poi quelle degli altri, ma per qualche ragione non
ci riusciva…
Quel tormento non durò a
lungo: le biglie furono scaraventate nella buca di fine partita. Game over.
Precipitarono per un percorso
interminabile, in mezzo a strati di nebbia…
Joystick cercò di domarsi un
po’ i capelli elettrizzati. “Arcade, eh? Vediamo se avrà voglia di ridere
quando…” In quel momento, guardò verso il basso, e realizzò. “Oh, no!” esclamò, spalancando gli occhi e
facendosi pallidissima.
Non stavano cadendo in mezzo
alla nebbia, bensì in un banco di nuvole, e quando ne furono fuori videro tutti
la città che si stendeva sotto di
loro!
Le sfere arrivarono al suolo a
una velocità sufficiente da trasformare in poltiglia il loro contenuto…invece,
sprofondarono nell’asfalto come se questo fosse stato fatto di gomma. Un
momento dopo, rimbalzarono per una decina di metri mentre l’’asfalto’ tornava
alla sua forma originale. E questa volta, quando tornarono a terra, non
rimbalzarono, ma si infransero.
“La prossima volta prendo il
bus,” commentò Molten. Si alzò in piedi e si guardò intorno,
presto imitato dagli altri.
La città poteva essere una
metropoli qualunque, un canyon di vetro e acciaio a perdita d’occhio. Nelle
strade non passava un veicolo, non c’era nessuno tranne loro. Nel cielo, a una
velocità innaturale, scorrevano banchi di nuvole grigie e pesanti, di quelle
che di solito promettevano un pioggia coi fiocchi…
E, infatti, preannunciato da
una catena di lampi e tuoni, il temporale arrivò. Scrosci violenti di pioggia,
abbastanza forti da essere quasi orizzontali, e così fitti da impedire una
visuale decente oltre i dieci metri.
“È ufficiale,” disse Fusione.
“Siamo finiti dentro Matrix.”
Man-Eater e Sabre annusarono
ripetutamente l’aria. “Di sicuro non ci sono odori identificabili,” disse
l’uomo-tigre. “È chiaro che il nemico ha il controllo di questo scenario.
Dobbiamo a tutti i costi giocare di anticipo…”
In quel momento, il portone di
vetro di uno dei palazzi si spalancò con un suono che rimbombò come una
cannonata!
Il gruppo si scambiò
un’occhiata. Warwear, il loro comandante, avrebbe sinceramente preferito dividere
tutti in squadre ed esplorare quello scenario, ma, nelle presenti condizioni,
era un’opzione troppo rischiosa. No, meglio stare uniti e in una formazione che
permettesse una pronta reazione.
L’ingresso spalancato li
fissava come una bocca accesa di un sorriso affamato…
Senza alcun preavviso, dalla
strada emersero delle pareti di
asfalto, così velocemente che per poco alcuni degli eroi non ci rimisero i
piedi! In un attimo, la strada verso il palazzo era diventata una scelta
obbligata, e tutti avevano la sensazione che cercare di sfondare quel neonato
corridoio non sarebbe stata una buona idea.
Con
Warwear in testa e Capitan Power in coda, il gruppo entrò in fila indiana…
Sullo schermo, gli otto
Giustizieri, cioè i loro corpi, giacevano in un sonno comatoso ognuno in un
lettino nell’infermeria della loro base. I monitor collegati ai sensori
mostravano solo una serie di deboli tracciati relativi al cuore ed alla
respirazione, mentre l’attività cerebrale, nelle aree più profonde, al
contrario di quelle superiori, era decisamente vispa.
“Ho isolato la radiofrequenza
usata dai naniti per linkare i Giustizieri fra loro ed al microcomputer,” disse
Garolfo. “Ma non so cosa succederebbe se interrompessi il contatto… I naniti
potrebbero emettere un feedback e
danneggiare i cervelli.”
“Capisco…” disse Angela. E
capiva che aveva avuto ragione, purtroppo: il nemico aveva solo voluto
guadagnare tempo per intrappolare i Giustizieri. Solo che non capiva perché non
li avessero catturati… “E come pensi che interpreterebbero l’interruzione del
segnale senza che vi sia alcun danno al sistema o interferenza con il segnale
stesso?”
Garolfo ci pensò su. In
effetti, era un problema insito nelle radioricetrasmittenti: diversi fattori potevano
generare interferenza, soprattutto quando si parlava di così tanti collegamenti
contemporanei. I progettisti del sistema dovevano averlo messo in conto…
L’uomo
si accorse che Angela stava fissando intensamente Fusione…
Oltrepassò la soglia, e si
trovò in un salotto. Pareti color neutro, lampade soffuse, tendaggi bianchi,
mobili di foggia antica…
Parnell Jacobs conosceva molto
bene quel posto, ci aveva speso diversi anni felici della sua vita, insieme a
“Glenda?”
Sua moglie era lì, seduta alla
tavola di fronte alla finestra che dava sul terrazzo. Lo guardava con aria
tanto triste, il rimprovero negli occhi.
“Perché hai voluto buttare via
tutto quello per cui avevamo lottato?” chiese la donna.
Lui dovette farsi forza per
vincere l’impulso di togliersi l’elmetto e correre ad abbracciarla. Non era
solo una questione di apparenze… No, Warwear aveva la sensazione che tutto fosse reale, e che quell’illusione fosse
Glenda…
Glenda si alzò in piedi.
“Perché non ti togli quell’armatura? Parnell, torna da me, smettila di lottare
contro il mondo, non devi provare niente…” Camminò verso di lui a braccia tese,
più bella che mai, più disperata che mai, desiderosa solo di essere confortata.
“Ti amo, Parnell.”
Senza esitare, l’uomo sollevò
il braccio e sparò un colpo di repulsore all’indirizzo del ‘fantasma’. Il colpo
andò a segno, e ‘Glenda’ scomparve in una nuvola di ‘1’ e ‘0’.
Warwear abbassò il braccio.
“Caschi male, chiunque tu sia: uno non si fa una vita nelle giungle per cadere
alla vista del formaggio come un topolino…”
“Peccato,” disse una voce
metallica dietro di lui. “Vuol dire che dovrò sistemarti in un altro modo!”
Warwear si voltò di
scatto…solo per essere afferrato al volto da una mano metallica! Una scarica di
energia attraversò il suo corpo, facendolo urlare di dolore!
La mano metallica lo afferrò
per il collo e lo sollevò con facilità.
“Non so come siate riusciti ad
entrare nel mio mondo, piccoli umani,
“Disse il robot dal corpo dai riflessi argentei, e una testa caratterizzata da
una ghignante bocca spalancata, nella quale ardeva il fuoco nucleare del suo
motore, “ma state sicuri che Ultron non vi permetterà di uscirne!”