PROLOGO: Deserto del Sahara

 

Sotto un Sole capace di disidratare a morte un uomo in pochi minuti, nel mezzo d’un mare di sabbia senza altro confine che quello fra la vita e la morte, si muoveva un veicolo capace di sfiorare la sabbia senza fare più che incresparla.

Un hovercar, un furgone aerodinamico color sabbia, sospeso su campi antigravitazionali. Neanche un ronzio avrebbe tradito la sua presenza.

Il veicolo, giunto nel mezzo di una delle zone più aride del pianeta, si fermò. Attese.

Dopo mezzo minuto, l’hovercar iniziò a sprofondare nella sabbia, come se si fosse trovato sulle sabbie mobili. Poco dopo, scomparve inghiottito dal deserto.

 

Niente di così drammatico, naturalmente. Si trattava solo di una cara, vecchia piattaforma idraulica che portò il veicolo lungo un budello dalle pareti di acciaio. Fu una discesa lunga cinque minuti,

prima di giungere a destinazione: dentro una gigantesca struttura dalle pareti e la volta metalliche, illuminata da file di potenti riflettori. L’interno della struttura era un alveare ordinato di attività: uomini e donne intenti ad altri hovercar e piccoli aerei monoala, i veicoli e velivoli erano disposti in file stratificate, quattro lunghi ponti collegati fra loro da tubi di cristallo.

L’hovercar terminò la sua corsa sul ponte superiore; la porta da cui era passato si chiuse.

Le porte del veicolo si aprirono. Dalla cabina di guida uscirono un soldato in un’uniforme militare interamente nera con berretto a visiera, ed una donna con lo stesso tipo di uniforme, ma con galloni d’oro ben visibili sulle braccia.

La donna si tolse i suoi occhiali da sole e li infilò in un taschino sul petto. In quel mentre, furono fatti uscire dal vano posteriore tre civili: un uomo ed una donna caucasici ed un uomo orientale, un cinese, il più anziano di quelli che erano prigionieri bene ammanettati.

A un cenno della donna, i soldati di scorta ai prigionieri rinfoderarono le armi nelle cinture. Uno di loro andò ad aprire le manette. I poveretti ebbero il tempo di massaggiarsi i polsi doloranti, poi vennero invitati a seguire la donna. I soldati rimasero indietro.

“Noto che vi piace quello che vedete,” disse la donna. In effetti, loro non facevano che guardarsi intorno chi con ammirazione e chi con diffidenza.

“Non immaginavamo che potesse esistere una simile struttura, sotto il deserto,” disse la donna. “Come avete fatto a realizzarla?”

La militare sorrise. “Con molti soldi. Un buon investimento val bene lo sforzo.”

Il gruppo giunse di fronte ad un tubo. La porta in cristallo si aprì con un sibilo, rivelando una piattaforma metallica con un braccio nel mezzo. La militare si accinse ad entrare. L’anziano Cinese disse, “Siete Americani?”

La donna entrò. I prigionieri, naturalmente, non pensarono neppure di provare a fare scherzi, e la seguirono docilmente.

La porta si chiuse. La militare digitò dei comandi su un display posto al termine del braccio. La piattaforma partì verso il basso con un delicato ronzio.

A quel punto, la militare si rivolse direttamente all’anziano. “No, Professor Lun. Niente del genere, glielo posso assicurare. A proposito, scusate le mie maniere.” Fece un breve inchino. “Io sono il Capitano Thereza Claymore da Rosetta, e voi siete appena stati reclutati al servizio dello Stato.”

 

 

MARVELIT presenta

Episodio 15 - Nella tana del leone

 

 

Sulle rive del fiume St. Paul, Liberia

 

Emersero quietamente, nella morsa di una forza invisibile: erano frammenti metallici anneriti, pezzi di scafo e sofisticate componenti elettroniche.

Gli oggetti levitarono fino a riva, guidati dalla volontà di Capitan Power. L’enigmatico eroe in oro, blu e rosso depositò il suo carico nel cerchio composto da lui stesso ed altri cinque dei Giustizieri:

Ø      Warwear, leader, forte della sua armatura a tecnologia Eidolon.

Ø      Fusione, mutante maestro delle illusioni.

Ø      Blank, ex criminale di mezza tacca.

Ø      Man-Eater, il misterioso uomo-tigre.

Ø      Joystick, ex Signora del Male.

Un drone volante emerse dall’armatura. Come una mosca indaffarata, il minirobot volò intorno al mucchio dei rottami, esaminandoli con cura attraverso i suoi occhi elettronici. Quando ebbe finito, circa trenta secondi dopo, tornò da dove era venuto.

Warwear scosse la testa. “Raffiche di plasma, come nelle registrazioni. Come lo Zilnawa temeva, i rapitori ‘ribelli’ erano solo lo specchio per le allodole.” L’uomo voltò la testa verso l’insenatura naturale. “Rapporto, Molten.”

Una mano dalla pelle metallica dorata emerse dal ciglio dell’insenatura. Un attimo dopo, Mark Raxton si riunì al gruppo. “Nessuna traccia del motoscafo o dei rapitori, ne’ sull’acqua ne’ sotto l’acqua.”

“Avranno usato dei piranha molto affamati,” commentò Blank.

“Lo escludo. I rapitori sono morti,” lo contraddisse una voce profonda dai cespugli. Un attimo dopo, ne emerse un lupo mannaro. Pelliccia rossa, muso affilato, rispondeva al nom-de-plume di Sabre, ma per gli amici era Jack Russell. “Le tracce di polvere da sparo e di sangue sono fresche. In più, ci sono tracce di escrementi. I rapitori sono morti.” Si avvicinò al ciglio dell’insenatura; annusò di nuovo l’aria. “La barca è stata qui da poco. Ci sono odori di persone che non si lavavano da un pezzo, ed altri di cuoio tirato a lucido e di sapone. Gente molto pulita. Con delle armi molto bene curate.”

Warwear annuì. “I ‘rapitori’ e soldati professionisti. Speriamo che M’nai ci possa dare indicazioni sul veicolo che hanno usato.”

“Americani?” chiese Joystick, guardandosi intorno. Si terse la fronte. “Continente del cavolo. Fa un caldo…”

“A questo punto ogni ipotesi è aperta…ma tenderei ad escluderlo: se gli Americani, come governo, volevano assicurarsi il team di ricerca sulle leghe carbopolimeriche, potevano agire in molti altri modi che questo, a partire dal furto legalizzato dei brevetti. Inoltre, devono avere capito che lo Zilnawa era sulle tracce degli scienziati[i]…no, per ora sono propenso a credere a dei mercenari al servizio di qualche privato. La Roxxon, per esempio…”

In quel momento, un lampo di luce preannunciò l’ingresso in scena di un Giustiziere vestito con un body integrale nero, cappello di feltro pure nero e mantellina corta: Midnight Sun.

“Dunque?” fece Warwear.

Midnight Sun non parlava, non poteva più. I suoi più recenti padroni, i Kree, si erano assicurati che non potesse, togliendogli le corde vocali… Alla fine, non si era dimostrato un problema più di tanto.

Gli occhi dell’Etiope, protesi elettroniche, brillarono. Uno di essi proiettò una serie di ologrammi -un riuscito esperimento di Garolfo Riccardo degli Abruzzi, specialista in reverse-engineering, oltre che membro del CdA della JI.

Gli ologrammi mostrarono una forma abbozzata dell’hovercar. Diretto a nord, secondo le tracce energetiche che si era lasciato dietro. Le tracce scomparivano nel…

“Deserto del Sahara,” mormorò Warwear. Altri ologrammi mostrarono i diagrammi di un’altra anomalia: neutrini, le elusive particelle che nascono dai processi di fusione nucleare. Di norma, i neutrini venivano a pioggia dal cielo, dal cuore del Sole; altre venivano un po’ dappertutto dallo spazio…

Questi venivano da una sorgente sotto la sabbia.

“Una base sotterranea,” disse Molten. “Comincio ad odiarle, le basi sotterranee.”

“Basi sotterranee ed alta tecnologia,” disse Fusione. “Non datemi del paranoico se mi ricorda qualcuno…”

“Lo Stato,” disse Warwear.

In quel momento, arrivò una comunicazione sulla frequenza protetta. “Parla Warwear.”

Quello che giunse alle sue orecchie fu assolutamente inaspettato.

 

Si erano aspettati di venire sbattuti in qualche cella buia, o di venire torturati nelle più raffinate maniere concepibili…

Invece, dopo una buona doccia ed un cambio di abiti scelti su misura, gli scienziati erano stati condotti alla presenza del Capitano Da Rosetta, negli alloggi privati di lei. Ed ora stavano prendendosi un the con pasticcini.

“La differenza fra una civiltà evoluta ed i barbari sta in queste piccole cose, gli Inglesi lo sanno bene,” disse la donna. Indossava un’uniforme meno formale, di un rosso pallido, con i tradizionali galloni sul petto. La Claymore immerse un pasticcino nel suo the e lo masticò delicatamente.

I tre scienziati, per contro, si sentivano più intimiditi da quello sfoggio di buone maniere che da un aguzzino con un cappuccio nero in testa. In fondo, da una sala degli interrogatori sapevano cosa aspettarsi. Così, invece, era come camminare sulle uova -non a caso, ne erano sicuri, non era stato concesso loro di farsi almeno un’ora di riposo per riprendersi. Erano storditi, confusi…

“Cos’è questo ‘Stato’?” chiese Si Lun.

Claymore depose tazzina e piattino sul suo tavolino. “Qualcosa di più di una semplice organizzazione clandestina, Professore, se è questo che lei intendeva.

“Noi preferiamo definirci…l’archetipo di uno stato che volgarmente definireste ‘occidentale’. Italia, Stati Uniti, Russia, Giappone, Canada, Israele… una lunga lista di partecipanti delle nazioni più avanzate, in vari campi, dell’emisfero boreale, cioè quello ricco. All’inizio, eravamo solo un’accozzaglia di rappresentanti di vari servizi segreti, una superagenzia capillare per intervenire dove neppure lo SHIELD poteva[ii].

“Naturalmente, decidemmo che alla fine ci conveniva di più diventare autonomi a tutti gli effetti, e mettere la nostra forza al servizio dello sviluppo delle nazioni del Primo Mondo. Noi cooperiamo perché venga mantenuto lo status quo nel rapporto fra paesi ‘ricchi’ e paesi ‘poveri’.

“È nostra ferma opinione che il solo modo che l’umanità abbia per raggiungere il massimo del suo sviluppo sia espandersi nello spazio. Per farlo, però, dobbiamo prevenire una ridistribuzione delle risorse che, inevitabilmente, impoverirebbe tutti noi come specie.

“Gente come voi può esserci molto utile per accelerare i nostri piani, signori. Le vostre leghe ci faranno fare un salto in avanti spettacolare per la produzione di veicoli spaziali riutilizzabili. Una volta che avremo collaudato i primi prototipi, cederemo alla Cina ed all’ESA i progetti per un’intera flotta ad alta resa e basso costo. La corsa spaziale che si scatenerà spingerà, alla fine, tutto il Primo Mondo a rivolgersi alle nuove frontiere…con le ricchezze che verranno.”

“Ed alla guerra che verrà,” disse la donna. Marcia Stilton non credeva alle proprie orecchie. “Già ora gli Stati Uniti sospettano che la Cina voglia usare il programma spaziale come scusa per minacciarli con armi orbitanti. Come crede che reagiranno, vedendoli fare la spola fra la Terra e Marte con decenni di anticipo sul programma annunciato?”

“Conosco il mio Governo,” disse il Professor Lun. “Se disporranno di astronavi con scafo di leghe carbopolimeriche, pochi di loro resisteranno alla tentazione di usarle per minacciare per davvero qualunque nazione che volesse mettersi fra loro e lo spazio. Oddio, potrebbero addirittura prima dedicarsi ad una flotta militare prima che scientifica…”

Il terzo scienziato non disse nulla. I suoi occhi parlavano di un odio molto intenso, diretto alla pazza seduta davanti a loro.

Claymore non fece neppure spallucce. “Sareste sorpresi di scoprire quanti sono stati in conflitti potenzialmente globali che abbiamo permesso di evitare…ma basta parlare di noi, signori. Parliamo di voi: quanto chiedete di retribuzione, per lavorare per noi? Non siamo schiavisti, sapete?”

Per la prima volta, l’uomo, capelli radi e castani ed un accenno di barba dello stesso colore, parlò; anzi, fece una risatina. “Molto gentile, signora: 10.000 Euro alla settimana, le Domeniche libere e almeno due mesi di ferie all’anno. Nel caso dovessimo suicidarci per tenere nascosti i segreti aziendali, la capsula di cianuro andrà benissimo.”

Ancora una volta lei non batté ciglio. “Se per voi va bene, dottor Judas…”

Lui sbatté il pugno sul tavolo. “NO che non va bene! Ma chi diavolo credete di essere?! Non siete diversi da qualunque &%$* di organizzazione criminale, e dubito fortemente che i governi che dite di rappresentare approvino il vostro operato o addirittura ne sappiano qualcosa…”

Thereza prese una bocchetta d’argento dal vassoio dove stavano i pasticcini. Versò dell’acqua bollente nel suo the. Riprese tazzina e piattino. Dopo avere dato un sorso alla sua bevanda, disse, “Su questo punto, lascio la verità alla vostra immaginazione. Sappiate solo che certi programmi ‘neri’ sono di competenza governativa. Ora, per quanto riguarda la vostra cooperazione…” mosse la testa verso un quadro.

L’immagine rappresentava un anonimo paesaggio bucolico dai colori rilassanti. Al cenno della militare, l’immagine tremò. E fu rimpiazzata da un visione da incubo!

I tre scienziati soffocarono un conato di vomito.

Il quadro era un monitor, e stava mostrando una fila di…cosa? Esseri umani, apparentemente: ma la carne delle loro braccia, all’altezza del gomito, era fusa a componenti metalliche, a loro volta tutt’uno con una serie di consolle. Dal torso, all’altezza del cuore e dei polmoni, partivano degli spessi cavi che andavano a collegarsi, come fili di mostruose marionette, a grandi tubi al soffitto. Gli occhi, la bocca, le orecchie -da essi venivano letteralmente colate masse di fibre ottiche che scintillavano di flussi fotonici come parodie di vene ed arterie. I torsi delle miserabili creature erano tutt’uno con delle posizioni simili a piramidi tronche saldate al pavimento.

E la sensazione che si ricavava, osservando quell’abominio, era che fossero tutti vivi e coscienti.

“Il genio umano, la fantasia e la versatilità che contraddistinguono l’uomo, al servizio della macchina,” disse Thereza, come se stesse enunciando un bollettino meteorologico. Era la prima volta che le sentirono una punta di orgoglio in quelle parole. E a quel punto ebbero davvero tutti paura! “Niente tempo perso a dormire o a fantasticare ad occhi aperti, o a mangiare e bere. La macchina li alimenta e li cura ogni secondo, e loro in cambio ottengono una potenza espressiva priva di inutili complessi e remore o di dannose esaltazioni.

“Quelle che vedete sono macchine meravigliose nel senso stretto del termine…” sospirò. “Meravigliose, ma non perfette, temo. Il cervello, anche con i supporti cibernetici e chimici adeguati, continua ad invecchiare ed a perdere colpi, soprattutto se sottoposto a 24 ore al giorno di attività ininterrotta.” Il suo sguardo fissò quello dei suoi ‘ospiti’ con l’intensità di un serpente. “Anche con un’aspettativa di vita di soli dieci anni, pensiamo di potere ottenere molto da voi. Purtroppo, una volta legati al nostro mainframe, non potreste essere spostati. E questo vi porrebbe a rischio in caso di… Cosa?!” come se avesse appena pronunciato un segnale, in quel momento le luci si abbassarono, passando ad una fioca tonalità azzurra. Gli scienziati si irrigidirono a loro volta. Non udivano nulla fuori dal normale, ma l’attenzione della loro aguzzina era attratta da qualcosa.

“Allarme rosso?” Thereza scattò in piedi. “A tutte le sezioni, rapporto! Cosa sta*huff!*” fu colta completamente alla sprovvista da un potente calcio sferrato all’addome…dal Dott. Judas! Non aspettandosi una simile audacia, lei barcollò. Lui saltò in avanti, effettuando un placcaggio da manuale.

Gli altri due scienziati li videro rotolare a terra, avvinghiati. “Sapevi che potesse fare una cosa simile?” chiese Lun.

Marcia scosse la testa. Sapeva solo che il suo compassato assistente di laboratorio si era trasformato in una tigre!

In quel momento, si udì un sordo rumore. La stanza tremò.

Judas, che era sul punto di sferrare un gancio alla Claymore, esitò.

Lei non lo fece. Due lampi si accesero fra i due contendenti e contemporaneamente si udirono gli spari.

Judas si irrigidì…e si accasciò al suolo, faccia a terra. Due rivoli di sangue uscirono da sotto il suo corpo.

Thereza si alzò in piedi e rinfoderò la sua pistola. “Idiota!” si diresse alla porta. Ignorò completamente gli altri due -del resto, una volta chiusa la porta, non avrebbero potuto uscire, ed erano disarmati…

La porta si aprì…e si trovò di fronte al sinistro Man-Eater! Non fece neppure in tempo a mettere mano alla pistola: un arto dal pelo tigrato la afferrò per la gola! “Fammi arrabbiare, piccola, provaci.”

Da dietro Man-Eater arrivò il non meno fiero Sabre. Alla sua vista, Marcia e Lun ebbero un mezzo attacco di panico. L’uomo-lupo sospirò. “Siamo dei buoni, che ci crediate o no.” Si chinò ad annusare il corpo di Judas… E questo ebbe un sussulto, seguito da inequivocabili colpi di tosse!

“Abraham?” fece Marcia.

Aiutato dal licantropo, Abraham Judas si mise in ginocchio. Si toccò le ferite. “Dio, che casino…”

“Tutto bene, Agente A?” chiese Man-Eater dalla porta. “Vediamo di sbrigarci, qui non credo che ci metteranno molto, ad organizzarsi…appunto!” aggiunse, al suono di fucili pronti a sparare dietro di sé.

I soldati fecero fuoco!

 

Nella sua identità civile di Parnell Jacobs, Warwear era stato un berretto verde, aveva fatto tutto il Vietnam, ci era cresciuto. Pensare da militare gli veniva normale come respirare, e i suoi ordini erano chiari: confondere il nemico, spaventarlo, togliergli le zanne e l’iniziativa.

E fin qui, i Giustizieri ci stavano riuscendo benissimo: dai droni e dall’armatura di Warwear partivano raffiche di energia e di missili, colpendo ogni veicolo a tiro. Erano dozzine i fiori di fuoco che già erano spuntati sulle piattaforme.

Capitan Power ci stava dando dentro con le piattaforme stesse: sfrecciando come una cometa, abbatté un supporto dietro l’altro, ottenendo un grottesco effetto ‘castello di carte’. L’aria era satura di fumo e fiamme.

I soldati che avrebbero dovuto difendere l’installazione, quelli che non si erano fatti prendere dal panico, erano troppo occupati a sopravvivere agli attacchi di Midnight Sun e di Joystick, che li falciavano come il grano.

Uno spettacolo terribile e straordinario.

Ed anche un’efficace distrazione.

 

“Sicuro che ci stiamo muovendo nella direzione giusta?”

Il secondo ordine di Warwear era approfittare della confusione per trovare la sezione dei mainframe e carpire ogni possibile byte di informazioni. A questo avrebbero provveduto Molten e Fusione.

Alla domanda dell’uomo metallico, il mutante rispose, “Sicuro. Sto seguendo il flusso dei dati dei loro canali interni. Continua a correre.”

Svolta dopo svolta, giunsero finalmente in un corridoio che terminava con una grande porta scorrevole.

“Facile fin qui,” disse Molten. “Teniamoci pronti a…” in quel momento, la porta si aprì, e dalla soglia, raffiche di plasma accolsero la venuta degli eroi!

 

I soldati fecero fuoco!

I loro colpi, però, si persero in una sorta di nulla che si frappose fra loro ed il loro bersaglio.

“Yu-huu, da questa parte cocchini,” disse qualcuno dietro di loro! I soldati si voltarono, le armi spianate. Esitarono, alla vista di una figura umana, che di umano aveva solo i contorni. Per il resto, era come osservare un vuoto assoluto. I loro sensi, non tarati per una simile assenza di input, andarono quasi in corto: in breve, restarono come ipnotizzati alla vista di Blank.

Blank puntò un dito verso di loro. “A proposito…dietro di voi, eh?”

 

Nella stanza, si udirono le loro brevi grida, alle quali seguirono suoni di muscoli squarciati e di ossa spezzate.

“Oddio, mi viene da vomitare…” mormorò Marcia.

“Fattela passare, piccola,” disse Abraham. Si sollevò la camicia, mostrando la pelle bucata dalle pallottole. Si afferrò la pelle del torace, proprio nel mezzo dei pettorali…e la tirò, facendo scorrere altro sangue.

“Davvero interessante,” disse il Professor Lun. Sotto la pelle sintetica c’era un altro strato di materiale sintetico, con una copertura imbottita a rete. I proiettili si erano conficcati là dentro.

“Come dicono nei boyscout, ‘sempre pronti’,” disse Abraham. Ai due scienziati, poi disse, “Agente ‘A’ al servizio dei servizi segreti dello Zilnawa.”

“Che…cosa?” chiese Marcia. “Ma, ma…”

Lui annuì. “Mentre lavoravo con voi, mi sono prodigato io stesso di attirare l’attenzione dello Stato. Ho seminato indizi a loro beneficio, e sono stato io stesso a proporre alle autorità Zilnawane di proseguire gli studi in Liberia, che è ricca di diamanti e instabile abbastanza da permettere al nemico il colpaccio.

“Non avevo previsto che avrebbero usato i ribelli al regime di Taylor per rapirci, e questa è una mia colpa. Mi hanno per giunta preso di sorpresa, e ho potuto attivare il comunicatore subcutaneo a frequenze subspaziali solo quando sono stato smanettato.” Si sfiorò il polso. Ai Giustizieri, disse, “Ottimo tempismo, a proposito… Allora, a che punto è il recupero dei dati? O tutta questa fatica sarà stata per nulla.”

 

Dalla soglia emersero a dozzine! Piccoli robot simili a ragni, con il corpo ovoidale, occhi elettronici compositi, e cannoncini posti sugli snodi delle zampe e sul dorso.

“Credo che siano troppi anche per me!” disse Fusione. Ed era vero: anche se condividevano i parametri di difesa ed agivano come uno sciame, le loro I.A. erano tutte indipendenti!

Le creature non smettevano un istante di sparare. Ormai il corridoio era invaso dalle raffiche di plasma. Molten era protetto dalla sua pelle, Fusione da un campo di forza…ma a questo ritmo, non erano sicuri che avrebbero retto per sempre…

Le macchine si fermarono! Così, improvvisamente: erano come preda di una forza, invisibile ma irresistibile.
Sotto gli occhi stupefatti dei Giustizieri, la stessa forza divise la fiumana dei ‘ragni’.

“Cerchiamo di fare in fretta, OK?” disse Capitan Power, tendendo il braccio all’indirizzo dei robot.

 

Molten e Fusione entrarono nella sala dei mainframe. “Porca miseria,” disse Markley, e a ben diritto.

La stanza, a colpo d’occhio, avrà misurato mille metri quadri. Era enorme, e i ‘mainframe’ erano gli uomini-macchina. Molti di loro erano connessi l’uno all’altro, in mostruose colonne di carne e metallo che andavano dal pavimento al soffitto, come puzzle da incubo, versione moderna di un raccolto di anime dannate.

Molten si avvicinò ad un uomo-terminale. La testa della povera creatura, che in vita era stato un nero, era chinata in avanti. Non un flusso di luce partiva da o giungeva ai suoi occhi… “Non posso dire di intendermene, ma credo che sia morto.” Osservò gli altri, tutti chini allo stesso modo, tutti…spenti. “Credo che siano tutti morti.”

Fusione annuì distrattamente, conscio che avrebbe avuto gli incubi per anni. Gli sovvenne un mostruoso pensiero lucido: che questo era il sistema migliore per assicurarsi la distruzione dei dati: annienta il cervello che li elabora e li stocca, e puf!, via tutto. Ben più rapido della smagnetizzazione, più pulito di una bomba…chissà, magari si poteva pure recuperare qualcosa, alla fine...

“Che figli di puttana,” mormorò Molten. Neppure un mostro come Norman Osborn nei suoi giorni peggiori avrebbe potuto fare una cosa simile!

In quel momento, uno dei terminali esplose! Un momento dopo, esplose un altro, rilasciando una nuvola di fosforo rovente.

Fusione contattò il suo capo. “Hanno capito che il blackout nelle comunicazioni non è un caso! Dobbiamo andare via di qui.”

 

Topi del deserto, scarafaggi ed altri piccoli animali si diedero ad una fuga disordinata, quando le esplosioni arrivarono a fare tremare la superficie sabbiosa.

“Ancora una volta, non ne resterà abbastanza per stendere un rapporto utile. Maledizione.” L’Agente A scosse la testa. “Almeno, abbiamo una figura importante fra le mani, e abbastanza prove audiovisive,” si diede una palpatina alla tasca dei pantaloni, e rivolse un’occhiata sardonica alla Claymore. “Con quello che ci hai detto, saranno i miei servizi segreti a lavorarti per benino.”

La Claymore, saldamente legata e guardata a vista da Man-Eater, sorrise sprezzante. “Avranno poco su cui lavorare, allora: non ho intenzione di dire loro alcunché. E non sarò loro di alcuna utilità.”

“Non sei nella posizione di dire simili cose, ciccina. Ti abbiamo tolto tutte le capsule di veleno possibili dalla bocca e dal corpo. Non…occazzo! NO!”

Il corpo della donna fu percorso da una serie di spasmi violenti. La sua testa scattò all’indietro, la mascella si serrò con tale forza che i denti scricchiolarono. Un momento dopo, Thereza Claymore da Rosetta era morta.

Sabre si avvicinò al corpo, annusandolo cautamente. Indugiò sul cranio. “Hrr. Un sacco di ozono.”

“Si è fritta il cervello,” commentò Fusione, tracciando un dito sul cranio. “Ingegnoso, come sistema.” Diede un calcio al cadavere. “Non meritava di meglio, comunque.”

L’Agente A sospirò. “Senza le informazioni dalla sua viva voce, tutto quello che abbiamo è solo qualche briciolo di informazione. Per quanto ne sappiamo, tutta quella tecnologia là dentro,” indicò con un ampio cenno il deserto, “potrebbe venire dagli extraterrestri. Maledizione!”

“Se il vostro problema è procurarvi altri volenterosi per gli interrogatori,” disse Warwear, “non credo che ve ne mancheranno, in futuro.”

“A-men,” fu la laconica risposta.



[i] CAMPIONI #20

[ii] Vista per la prima volta su MARVEL EXTRA - VENDICATORI DELLA COSTA OVEST