N° 95
IL CASO DELL’ACCUSA
1.
Il
mio nome è Ben Urich e sono un giornalista. Questo dovreste ormai saperlo,
quello che forse non sapete è che sono uno dei cronisti inviati dal Daily Bugle
a coprire uno dei processi penali più importanti di questo periodo, così
importante che a sostenere l’accusa in aula c’è il Procuratore Distrettuale di
Manhattan, Bill Hao in persona, affiancato da una delle sue assistenti più
brillanti: una bella brunetta di nome Kirsten McDuffie.
Le
imputate sono due donne decisamente giovani e belle. La prima ha lunghi capelli
biondi e lo sguardo di ghiaccio. Si chiama Lynn Michaels ed è un ex poliziotta
del Dipartimento cittadino che ha buttato all’aria una promettente carriera per
seguire le orme di Frank Castle, meglio noto come il Punitore. La seconda ha
corti capelli rossi, occhi verdi come smeraldi e sguardo perso nel vuoto. Si
chiama Rachel Cole-Alves, Sergente dei Marines, tiratrice scelta della sua
squadra. Al banchetto delle sue nozze hanno fatto irruzione dei gangster
sparando all’impazzata. Suo marito è rimasto ucciso e lei stessa è
sopravvissuta a stento. Direi che un’esperienza simile può spiegare perché
anche lei abbia deciso di vestirsi di nero ed usare le sue abilità di tiratrice
prendendo come bersaglio criminali o presunti tali.
Hanno
preso la Legge nelle loro mani ma ora la Legge ha presentato loro il conto ed è
molto salato.
Mi chiamo Matt Murdock e sono un avvocato. Non è
molto ma dovrebbe bastare almeno per il momento.
Termino il mio controinterrogatorio[1] e torno
a sedere al banco della difesa. Al mio fianco ci sono la mia collega di studio
Bernadette Rosenthal e la nostra assistita Rachel Cole-Alves. Da quando sono
cominciate le udienze, anzi da quando l’ho incontrata per la prima volta, è
sempre stata calma e distaccata come se tutto quello che succede intorno a lei non la riguardasse affatto.
Anche adesso il suo battito cardiaco è invariato
come il ritmo del suo respiro. Come faccio a saperlo? Una cosa che non vi ho
ancora detto è che sono cieco da quando, in seguito ad un incidente, i miei
occhi furono colpiti da materiale radioattivo fuoriuscito da un camion che non
avrebbe dovuto essere dove si trovava. Ho perso la vista ma gli altri quattro
sensi sono stati amplificati a livelli altissimi ed ho anche acquisito un senso
radar che mi rimanda i contorni delle cose e persone intorno a me. Sono queste
abilità che mi consentono una seconda carriera nei panni del supereroe chiamato
Devil.
Ma questo non è
importante adesso, non quanto il fatto che il comportamento di Rachel
Cole-Alves potrebbe essere il segno che soffre di sindrome da stress post
traumatico. Avrebbe bisogno d’aiuto e non del carcere e che le piaccia o meno,
io sono qui per darle quell’aiuto.
Ho appena messo a segno un punto a favore della
Difesa ma non posso sedermi sugli allori se voglio ottenere il mio scopo.
Il Sergente Bucko Leary della Polizia di New York scuote la testa perplesso mentre osserva il disastro di fronte alla Palestra Fogwell a Hell’s Kitchen.
-Un’autobomba.-[2] borbotta -Quando è stata l’ultima volta che è stata usata un’autobomba qui a New York?-
-In questo modo l’ultima volta è stata nel 1993 il fallito attentato al World Trade Center.-
A parlare è stato un uomo sui cinquant’anni beh vestito.
-John Corey, Task Force Antiterrorismo.- si presenta.
-Molto tempestivo.- commenta Leary.
-Ero in sede e mi sono precipitato qui appena è arrivata la notizia ma dopo un primo esame, tenderei ad escludere il terrorismo internazionale e perfino quello interno. Una vecchia palestra non è un obiettivo sensibile per nessuno.-
-Sì, la penso allo stesso modo. Potrebbe essere un lavoro di gente del posto. Un avvertimento.-
-Ma di chi e per cosa?-
-Non ne ho ancora idea e spero che i rilievi mi daranno qualche pista… se il caso resterà mio.-
-Se, come penso, è una faccenda locale, scommetto che il caso rimarrà a voi di Midtown Nord.-
-Chissà… tutto dipende da una cosa: succederà ancora?
La domanda di Leary aleggia nell’aria senza risposta.
2.
Mi chiamo Candace Nelson e sono
una giornalista, la cosa non dovrebbe giungervi nuova. Forse vi aspettate che
vi parli di certi miei problemi personali piuttosto scottanti e forse lo farò,
ma non adesso. In questo momento il mio interesse è tutto per il processo alle
Punitrici e per la precisione per la donna che si sta alzando dal banco della
Difesa. È attraente, il tailleur nero che indossa e indubbiamente
è stato fatto su misura, le sta perfettamente
come le scarpe di marca che porta ai piedi. I capelli tagliati corti rivelano
la mano di un parrucchiere esperto. Ogni parte del suo look è accuratamente
studiato, non c’è nulla di spontaneo in lei.
Il suo nome è Jeryn Hogarth ma
tutti la chiamano Jeri anche per evitare confusioni con il suo omonimo padre,
celebre avvocato anche lui, ma non lavorano insieme, sono troppo diversi ed al
tempo stesso troppo simili sotto più di un punto di vista. Jeri è socia dello
Studio Legale Sharpe, Byrnes & Hogarth, specializzato in casi penali di
alto profilo che, incidentalmente, è stato fondato dalla madre del mio fratello
maggiore Franklin, detto Foggy: Rosalind Sharpe.
Ma lasciamo perdere la mia
famiglia e torniamo a Jeri Hogarth: io esco ogni tanto con Timothy Byrnes,
l’altro socio del suo studio e lui non si è fatto pregare nel raccontarmi
qualcosa di lei. Pare che sia tornata a New York dopo un divorzio burrascoso.
Secondo certe voci, la moglie avrebbe tentato di ucciderla mentre era nel suo
studio sparandole addosso e, fortunatamente per lei, mancandola. Tim si è
rifiutato di commentarle.
Sì: avete capito bene: ho
proprio detto moglie. Si dà il caso, infatti, che Jeri Hogarth sia lesbica ma
questa, in fondo, è la parte meno importante della sua biografia.
Si
avvicina con passo lento ma deciso al banco dei testimoni e fissa il teste
dritto negli occhi mentre comincia a parlare:
-Detective Suschitziky, torniamo ai controlli
che la sua squadra ha fatto su tutte le armi trovate in possesso delle
imputate… avete effettuato anche riscontri con i database federali, è
corretto?-
Il
Detective di Primo Grado Peter Suschitziky
della C.S.U.[3] si
agita sulla sedia e replica:
-Beh… sì, è ovvio… ma ho già risposto alle domande su
questo.-
-Ma non alle mie.- ribatte Jeri -Allora, Detective,
torniamo a quei controlli: le armi erano registrate, non è vero?-
-Come ho già detto: sì. L’Agente… voglio dire l’imputata
Michaels aveva con sé un fucile Remington 700, una pistola Sig Sauer P226 ed
una pistola Glock 26. L’imputata Cole invece...--
-Lasciamo stare quelle del Sergente Cole-Alves e per ora limitiamoci
a quelle dell’Agente Michaels: erano tutte armi registrate?-
-Uhm, sì, certo.-
-Ed a nome di chi sono registrate? Devo essermi persa
questo particolare quando l’ha detto durante l’interrogatorio del Procuratore
Distrettuale, perché lo ha detto, ma io ero distratta, non è così?-
-Beh… ecco… non proprio.-
-Che vuol dire: non proprio?-
-Che non l’ho detto.-
-E perché?-
-Non mi è stato chiesto.-
-Non le è stato chiesto.- Jeri Hogarth scandisce bene le
parole una per una prima di continuare -Sveli dunque ora l’arcano: a nome di
chi erano registrate le armi di cui stiamo parlando?-
-La Glock 26 era l’arma personale di Lynn Michaels. Il
fucile di precisione e l’altra pistola erano... sono… proprietà del
Dipartimento di Polizia della Città di New York.-
Un
brusio si leva dalla folla ed il Giudice Sandra Franklin è costretta a zittirla
picchiando più volte col martelletto.
L’avvocatessa
riprende:
-Cosa è successo? L’Agente Michaels si è presa un souvenir
prima di congedarsi?-
-Io non posso saperlo. Immagino che non abbia mai
restituito le armi d’ordinanza.-
-Obiezione.- scatta la Vice Procuratrice Kirsten McDuffie
-Congettura. Chiedo la cancellazione dell’ultima frase del teste dal verbale.-
-Accolta.- sentenzia la giudice -La frase sia cancellata.-
Dove sta
andando a parare Jeri Hogarth?
La stanza è oscura ed il volto dell’uomo è in penombra. La sua voce è roca ed aspra:
-La prima fase è andata come previsto. Siamo tutti d’accordo di passare immediatamente alla seconda?-
I presenti annuiscono con il capo o con un secco:
-Sì.-
-Ottimo. Da domani comincerà veramente la nostra campagna per riprenderci Hell’s Kitchen.-
Diario di
guerra del Punitore. Annotazione n. 1981. L’officina di Mickey Fondozzi era ormai vuota quando ci entrai
accompagnato da Kymberly Taylor. Quando mi vide, Mickey sobbalzò, poi si
riprese e ci venne incontro salutando con eccessiva cordialità:
-Frank… è un piacere vederti… ed anche la tua amica che è…-
-Un amica di cui non hai bisogno di sapere il nome.- tagliai corto
mentre Kymberly annuiva -È pronto quello che ti ho chiesto?-
-Lo sarà presto. Ci vuole tempo per certe cose, lo sai.-
-Mi auguro per te che sia davvero così e non è sia solo un modo per
prendere tempo. - intervenne Kymberly -Se scopro che ci hai venduti alla
Polizia, non ti lascerò il tempo di goderti il prezzo del tradimento, sono
stata chiara?
Estrasse la pistola e
l’agitò sotto il naso di Mickey che deglutì.
3.
Il nome della signora è Natalia Alianovna Romanova, ma fuori dal territorio della Federazione Russa e dei suoi vicini slavi è più nota come Natasha Romanoff. Fin dalla più tenera età è stata addestrata a diventare la più letale donna vivente: la superspia nota come Vedova Nera. Le autorità russe hanno manipolato a tal punto la sua vita e quella di coloro che le sono stati cari che lei stessa non è sicura di saper distinguere la verità dalle menzogne.
Non è questo, però, ad occupare i suoi pensieri adesso bensì i due gemelli di cui è incinta, una gravidanza che ha cercato e voluto con tutte le sue forze ma che ha come contraltare il fatto che non può più condurre la vita a cui era abituata. Il suo costume riposa nell’armadio in attesa che lei sia di nuovo in grado di entrarvi. Matt Murdock, invece può sempre andarsene in giro come Devil quando e come vuole. Gli uomini si prendono la parte più facile e divertente del mettere al mondo i figli ma poi sono le donne a fare tutto il lavoro più duro.
-Terra a Natasha: ti dispiace tornare tra di noi da dovunque ti trovi adesso?-
A parlare è stato un uomo alto, con i capelli bianchi dal fisico possente intuibile anche con il completo scuro che indossa.
-Scusami, Mack, mi sono distratta. Credo di avere troppe cose per la testa ultimamente.-
-È comprensibile.- ribatte Alphonso “Mack” MacKenzie scrollando le spalle con un lieve sorriso -Quanto manca al parto: due mesi?-
-Quasi tre, ma non è per parlare di questo che vi ho fatto venire qui.- guarda le persone sedute a semicerchio davanti a lei e dice -Mi serve il vostro aiuto.-
-Non credevo che sarei vissuta abbastanza da sentirti ammettere che hai bisogno di aiuto, Romanova.- commenta in tono irridente una ragazza bionda dal fisico da modella inguainata in una tutina nera che le lascia scoperta la pancia con l’ombelico bene in vista. Nonostante parli un Inglese impeccabile, è possibile percepire una sfumatura di accento russo nella sua voce.
-Solo una sciocca non riconosce i suoi limiti, cara Yelena.- ribatte Natasha -Tu conosci i tuoi?-
-Alla perfezione.- replica Yelena Belova, la Vedova Nera ufficiale del Governo Russo, con una punta di irritazione.
-Se avete finito di scambiarvi punzecchiature…- interviene una donna vestita casual dai lunghi capelli ramati -… anch’io sarei curiosa di sapere che cosa può volere da noi la famosa Vedova Nera.
-È facile, Miss O’Brien.- risponde, serafica, Natasha, voglio offrirvi una possibilità di tuffarvi nel pericolo.-
La
prossima teste del Procuratore Distrettuale è il Tenente Charlotte Jones,
comandante operativo di Codice Blu, l’unità SWAT della Polizia di New York che
si occupa di supercriminali.
A condurre l’interrogatorio è la
Vice Kirsten McDuffie. Poche domande di routine su come è avvenuta la cattura
delle due Punitrici e nient’altro. A questo punto mi alzo e mi avvicino al
banco dei testimoni battendo ritmicamente il mio bastone da cieco come se ne
avessi davvero bisogno per sapere come muovermi e mi rivolgo alla teste:
-Non la tratterrò a
lungo, Tenente. Quel che voglio sapere è: la mia assistita, il Sergente Rachel
Cole-Alves ha mai fatto azioni ostili nei confronti suoi o della sua squadra?-
-Temo di non aver
capito la domanda.- replica la donna in tono perplesso.
-Mi spiego meglio: la
mia assistita vi ha mai sparato o tentato di farlo?-
-Beh, no: si è solo
limitata a prendere a bordo della sua moto Lynn Michaels e scappare.-
-Ma avrebbe potuto
farlo? Spararvi intendo.-
-Immagino di sì,
dopotutto era pesantemente armata.-
-Quindi, stando alla
sua esperienza, non vi ha sparato perché non ha voluto farlo.-
-Obiezione!- strilla
alle mie spalle Bill Hao -Ancora una volta l’Avvocato Murdock cerca
indebitamente di influenzare la Giuria chiedendo al teste opinioni e non
fatti.-
-Ritiro la domanda.-
dico con un sorriso appena abbozzato poi, con noncuranza aggiungo -Ho finito,
Vostro Onore.-
Appena prima di girarmi e tornare al
mio posto, sento una nuova presenza nell’aula e non è una buona notizia.
Diario di Guerra. Annotazione
numero 258. Entrai nell’aula proprio mentre era appena finito il
controinterrogatorio del difensore di Rachel, Matt Murdock e stava per
cominciare quello dell’avvocatessa di Lynn, Jeri Hogarth, ero davvero curiosa
di sentirlo.
Mentre mi mettevo a sedere nel primo posto utile
che trovai, ebbi per un secondo la sensazione che Murdock mi avesse vista e
riconosciuta, il che era impossibile per due motivi: primo, Matt Murdock era
cieco; secondo, nessuno sapeva che le Punitrici erano tre. Io non ero
ricercata: ufficialmente ero solo una ex agente dello S.H.I.E.L.D. che si stava
godendo la vita in attesa di decidere cosa fare. Solo Nick Fury o Sharon Carter
avrebbero potuto avere dei sospetti ma avevano anche i loro buoni motivi per
non informare le autorità.[4]
Scacciai, quindi, i pensieri molesti e mi concentrai sull’udienza.
La Giudice Sandra Franklin disse:
-La teste è sua, Miss Hogarth.-
Jeri Hogarth si alzò in
piedi e replicò:
-Grazie, Vostro Onore, ho giusto un paio di domande.-
Si avvicinò a Charlotte
Jones, un’afroamericana dai capelli corti e lo sguardo duro, e cominciò:
-Tenente Jones, lei conosceva la mia cliente, Lynn Michaels, quando era
in Polizia?-
-Solo superficialmente.- rispose la poliziotta -Eravamo in servizi
diversi ed in zone diverse della Città.-
-Capisco. Mi dica, Tenente, che cosa pensa della scelta della mia
cliente di dimettersi dal Dipartimento di Polizia ed abbracciare i metodi di
Frank Castle?-
-Obiezione.- scattò la Vice Procuratrice Kirsten McDuffie -Opinione ed irrilevante.-
-Vostro Onore…- ribatté la Hogarth -… se mi permette di andare avanti,
le assicuro che tutto avrà un senso.-
-Glielo auguro, Avvocato Hogarth. Può andare avanti. L’obiezione è
respinta… per adesso.-
Jeri Hogarth tornò a
rivolgersi alla teste:
-Dunque, Tenente, ci dica cosa pensa della scelta di Lynn Michaels.-
-Penso che sia sbagliata. Nessuno ha il diritto di prendere la legge
nelle proprie mani.-
-Ma davvero? Ne deduco che a lei non sia mai capitato.-
Ci fu un attimo di
silenzio poi Jeri Hogarth tornò ad incalzare:
-Se le dicessi che sono venuta in possesso di foto che non solo la
ritraggono con una squadra dei famigerati X-Men ma addirittura con indosso uno
dei loro costumini attillati? Eppure lei non è una mutante. Non che ci sia
nulla di male nell’esserlo: come con le preferenze sessuali od il colore della
pelle, non è una scelta. Non ha superpoteri, giusto.
-No, non ne ho.-
-Però se ne andava in giro con gli X-Men, vestita come loro, a farsi
giustizia da sola, mi sbaglio? Sto aspettando una risposta.-
-Era molto diverso.- rispose, infine, la Jones -Era un caso particolare,
ero braccata da un nemico insidioso, mio figlio era in pericolo… e comunque non
ho ucciso nessuno.-
-E non è forse questo il punto? La sua evidente ostilità verso la mia
cliente non deriva proprio dal fatto che lei ha avuto quel coraggio che a lei è
mancato?-
Nell’aula si diffonde un
vociare incontrollato. Jeri Hogarth sorride.
4.
Devo aspettare l’aggiornamento dell’udienza per potermi mettere alle
calcagna della donna che è entrata nell’aula. La sento confondersi tra la folla
in uscita ma non può scapparmi: posso seguirla meglio di un qualcuno che ci vede, anche il tempo necessario
a cambiarmi in Devil e nascondere i miei vestiti non le basterebbe per
sfuggirmi se sapesse di doverlo fare.
Aggancio immediatamente
la scia del suo profumo e mi lascio guidare dai miei sensi: non conosco il suo
volto o il colore dei suoi capelli o dei suoi occhi e men che meno so il suo
nome, ma so con certezza chi è: la stessa donna che ha fatto irruzione nella
sala dove si stava tenendo una riunione dei capi della Triade e di altre mafie
etniche.[5] La sua
intenzione era, ovviamente di ucciderli tutti ma fu anticipata dall’esplosione
di una bomba piazzata lì da Lady Bullseye per conto di un boss della Yakuza,[6]
esplosione da cui entrambi ci salvammo a stento.
Fu quell’incontro a
farmi capire che le Punitrici erano più d’una ed ora sono convinto che l’unica
rimasta libera deve essere in contatto con Frank Castle. Con un po’ di fortuna
mi porterà da lui.
La sento salire su
un’auto, di certo deve aver pensato che il suo solito furgone superaccessoriato
avrebbe dato troppo nell’occhio di questi tempi se l’avesse parcheggiato vicino
al Tribunale.
L’auto si immette nel
traffico. Seguirla senza farmi vedere non è affatto difficile, anche se un paio
di volte corro il rischio di perderla. Attraversa il Ponte di Brooklyn entrando
in Brooklyn Heights e raggiunge una villetta a schiera. Piuttosto anonimo come
rifugio, ma immagino che sia perfettamente in linea con i suoi scopi.
Attendo che il garage
si chiuda alle sue spalle poi mi avvicino circospetto. La prima cosa che
percepisco è che la casa è circondata da una rete di sensori e telecamere
miniaturizzate invisibili a chiunque dovesse usare solo la vista per accorgersi
che ci sono. La signora ha la stessa paranoia di Frank a quanto pare, chissà
che non ci sia anche lui qui? No, non sento altri battiti o respiri, è sola in
casa.
Improvvisamente squilla
un telefono e lei risponde. Le sue prime parole mi fanno capire che non ho
perso il mio tempo:
-Ciao Frank.-
Uscita
dal Tribunale saluto Ben Urich e mi dirigo verso la fermata della metropolitana
ma prima che possa raggiungerla, una limousine con i vetri oscurati mi si
affianca. Il finestrino vicino a me sì abbassa ed una voce femminile dice:
-Salga Miss
Nelson.-
So a chi appartiene quella voce
e so anche che non ho altra scelta che obbedirle. Mentre l’auto riparte, mi
sistemo davanti ad una donna forse appena più vecchia di me dai capelli corti e
platinati che indossa un vestito bianco.
-Ho pensato di
discutere quello che dovrà fare per me.- dice con voce calma.
Posso immaginare che tipo di
favore vuol chiedermi ma non posso sottrarmi: in un certo modo le devo la vita
ed il prezzo per questo favore era che mi mettessi a sua disposizione quando me
l’avesse chiesto. Quel momento è arrivato.
-Che vuole che
faccia?- chiedo rassegnata.
-Dovrà fare da
accompagnatrice ad un uomo molto importante e molto pericoloso e portarmi i
suoi segreti. Se tutto andrà bene, ci sarà quasi certamente anche uno scoop per
il suo giornale.- risponde la donna che si fa chiamare Bumper Ruggs.
-E se dovesse
andar male?-
-Potrebbe perdere
la vita.-
E non ho alcun dubbio che dica
sul serio.
Ivan Petrovitch accompagna gli ospiti sino all’ascensore privato che li porterà direttamente al piano terra poi torna verso la sua pupilla.
-Sembra che tu li abbia convinti. - commenta.
-Non era difficile da prevedere.- replica Natasha con un sorriso -Hanno l’azione nel sangue proprio come me, ero sicura che sarebbero stati Interessati al mio progetto.-
-Uhm, immagino che questo seppellisca tutte le mie ultime speranze che tu smetta di essere la Vedova Nera per fare la mamma a tempo pieno.-
Natasha scoppia in una risata divertita e ribatte:
-Ivan, sei così deliziosamente all’antica a volte. Lo so che non ci hai mai creduto veramente, mi conosci troppo bene. Oggi le donne non rinunciano al lavoro dopo aver partorito e non lo farò nemmeno io. Ah!-
Natasha fa una smorfia e si porta una mano alla pancia.
-Che succede?- chiede Ivan apprensivo.
-Credo che i gemelli mi abbiano dato un calcio tutti e due insieme. - risponde la Vedova Nera -Ho la sensazione che non vedano l’ora di nascere. Sono impazienti come la loro mamma.-
Ma si può sperare che li aspettino meno guai, pensa Ivan.
5.
Non devo aspettare molto: la ragazza riparte poco dopo la fine della
telefonata. A quanto pare, lei ed il Punitore devono vedersi da un certo Mickey
che ha preparato qualcosa per loro, chissà cosa può essere?
Chiunque sia questo Mickey, è presto evidente che
sta anche a lui a Brooklyn perché ci vogliono solo pochi minuti per arrivare a
destinazione e qui, dai suoni e dagli odori capisco almeno una cosa: Mister
Mickey lavora in un’autofficina.
Aspetto che lei sia entrata e mi avvicino senza far
rumore. Dall’interno giungono delle voci;
-È il meglio che sono riuscito a fare nel poco tempo che mi hai dato, Frank.-
È la voce di un uomo decisamente sovrappeso a
giudicare da come respira. Accento italoamericano e qualcos’altro che non
riesco ad identificare.
L’altro risponde con un
sordo brontolio. Non ho bisogno di sentire la sua voce per capire chi è: Frank
Castle l’autentico Punitore in persona.
Lo sento irrigidirsi
all’improvviso. Il suo battito cardiaco accelera di poco per poi tornare
normale mentre si volta e dice:
-Puoi uscire allo scoperto, Devil: lo so che sei qui.-
Kirsten McDuffie è tornata nel suo appartamento e la prima cosa che fa è spogliarsi ed infilarsi sotto la doccia.
Mentre l’acqua calda le scivola sulla pelle, la giovane donna sospira di sollievo. Da quando è Vice Procuratrice a Manhattan quello delle Punitrici è il suo primo processo veramente importante è la cosa la stressa non poco. Bill Hao sta dimostrando molta fiducia in lei. Cosa direbbe se sapesse che…
Il suono del campanello la riporta alla realtà. Chi può essere? Si chiede. Possibile che lei sia già qui? Si avvolge in un asciugamano e corre a vedere. Un’occhiata dallo spioncino la rassicura ed apre immediatamente la porta.
-Ciao.- le dice entrando nell’appartamento la donna dai capelli corti e scuri sfoggiando un sorriso.
Kirsten chiude la porta poi getta le braccia al collo di Jeri Hogarth e la bacia appassionatamente.
Diario di
guerra del Punitore. Annotazione n. 1983. Devil uscì dal suo nascondiglio
con un’espressione perplessa sul volto.
-Non dovresti sottovalutare la tecnologia.- gli dissi -Ho una webcam
sul mio furgone che ha spedito al mio telefono un’immagine molto nitida di te
che stavi entrando.-
-Me ne ricorderò.- ribatté poi aggiunse -Immagino che sia inutile
chiederti di arrenderti pacificamente.-
-Non è un’opzione, lo sai.-
Lui sospirò e chiese:
-E che intenzioni hai, allora, Frank? Mi sparerai?-
Bella domanda.
Ovviamente non avrei mai usato proiettili veri contro di lui. Potevo provare
con quelli di gomma o il taser ma sarei stato abbastanza veloce?
Mentre riflettevo,
Kymberly Taylor estrasse la sua pistola ma non fece a tempo a sparare, se
quella era davvero la sua intenzione, perché il bastone di Devil la disarmò
immediatamente per poi tornare nella sua mano.
-Quel che ho detto vale anche per la tua amica, Frank.- disse.
Saltò verso di me e
lo evitai di misura, lui fece una capriola e mi colpì alle reni con i piedi
uniti.
Caddi in ginocchio
ansimando e lui mi fu subito addosso spingendo il suo bastone contro la mia
carotide.
-Non ho tempo di essere gentile, Frank.- disse in tono amaro.
Sentivo mancarmi il
respiro ed entro pochi istanti sarei svenuto. Devil aveva, però, commesso un
errore fatale; si era concentrato su di me e Kymberly dimenticando Mickey
Fondozzi. Si accorse troppo tardi che stava tentando di colpirlo con una chiave
inglese e non riuscì ad evitare di essere colpito di striscio.
Cadde a terra
stordito e Mickey si apprestava a colpirlo ancora quando una donna balzò
all’interno sparando una scarica da un braccialetto al polso destro che lo fece
cadere.
-Sei fortunato che il Morso di Vedova non è letale da questa
distanza.- disse la donna.
La Vedova Nera?
Com’era possibile?
CONTINUA
NOTE DELL’AUTORE
Non c’è molto da dire
su quest’episodio che non sia già spiegato all’interno della storia, passiamo,
quindi, a parlare del prossimo dove la strategia della Difesa nel processo alle
Punitrici si delinea, il Punitore tenta un’ultima carta, qualcuno gioca sporco
e i lupi tornano in gioco.
Non
mancate.
Carlo