Numero 8

ULULATI DI GUERRA - Parte 4

di Andrea Garagiola


Elivelivolo S.H.I.E.L.D. in volo sopra New York City.
ZAP. Solo un secondo prima ero a Washington DC e un attimo dopo mi trovavo nel cuore della base operativa dello S.H.I.E.L.D., nessuno sapeva che mi trovavo lì, nemmeno Bridge. Solo io e il mio “mezzo di trasporto” eravamo a conoscenza della mia attuale missione. Noi due e Domino, ovviamente, lei aveva individuato l'obiettivo all'interno del database del generale Shelkov [1], ma le sue testuali parole erano state “Johnny caro, il mio lavoro l'ho fatto... Del resto sai quanto me ne può fottere?”. Con queste premesse, evitai di tirarla in ballo ulteriormente.
Strinsi così forte la mano intorno al calcio della pistola che le nocche mi divennero bianche e iniziai a perdere sensibilità alle dita, sarebbe stato poco professionale se l'indice avesse solleticato troppo il grilletto facendo partire un colpo accidentale. Dannazione, avrei dovuto calmarmi. Ero stato addestrato come un killer, un morto in più sulla coscienza sintetica non avrebbe dovuto fare la differenza per me. Invece la faceva. Qualcosa nascosto nel profondo dentro di me era contrario a ciò che stavo per fare, delle emozioni che ancora non avevo imparato a conoscere cercavano in tutti i modi di contrastare la mia decisione. Ma ero un soldato e non potevo lasciarmi fermare dai sentimenti.
Entrai nella stanza, le luci della città creavano delle sagome inquietanti nella penombra. Sembrava deserta. Feci due passi all'interno, camminando lentamente, senza fare rumore. Cercai con lo sguardo i segni del passaggio dell'occupante, ma non ne vidi, la stanza sembrava spoglia e anonima come tutte le altre dell'elivelivolo. Lo sguardo mi cadde sul mobile posto a fianco della porta d'ingresso, su di esso erano appoggiate due cornici per foto. Vuote. Mentre stavo per alzare lo sguardo alla ricerca del mio bersaglio, dal comunicatore nell'orecchio il mio compagno di squadra mi informò di sbrigarmi, un paio di agenti stavano arrivando nella mia direzione.

First National Bank di Boston. Sei settimane prima.
Il furgone nero era parcheggiato davanti all'antico edificio della banca dal tardo pomeriggio. Verso le nove di sera, quando il buio ormai era calato e le attività all'interno della banca erano cessate, gli animi delle tre persone nel retro del furgone iniziarono a scaldarsi, complice una snervante attesa prima del colpo che li avrebbe sistemati per la vita.
- Dannazione, Rupert! - Il più grosso e laido del terzetto, e forse dell'intero Massachusetts, urlava in direzione dei due compagni, sputacchiando pezzi del sandwich mezzo masticato che tratteneva tra le fauci. - Perché accidenti hai voluto parcheggiare il mezzo proprio davanti alla banca che dobbiamo ripulire? Sai bene che avremmo potuto fare il colpo stando comodamente seduti sul divano a bere birra e mangiare pizza... -
- Taci, Bob... Tu sei un maiale, io sono il capo della banda e decido io. - Rupert era secco e snello, ma sapeva farsi valere e rivaleggiare con la stazza di Bob all'occorrenza. - Lo sai che i colpi mi piace farli alla vecchia maniera... Sul posto. Non mi ci abituerò mai a queste stronzate da superumani. - Il sedicente capobanda lanciò un'occhiata d'intesa al terzo membro del gruppo di rapinatori. - Senza offesa, amico. -
- Non sei il capo... - Il terzo uomo parlava sottovoce, la sua attenzione era rivolta alla planimetria della banca che teneva tra le mani. - Non sei un cazzo, Rupert. -
- Eddai, Telfy... Sai cosa intendo... - Rupert non era tipo che sapeva quando stare zitto.
- … E non mi chiamare Telfy. - Il terzo uomo continuava a studiare la planimetria e non si curava dei due imbarazzanti compagni di malefatte.
- Non te la sarai presa, vero? - Bob si pulì la bocca con il dorso della mano e un misto di uovo, prosciutto e senape gli impiastricciò di unto la guancia. Non sembrò accorgersene.
- Ascoltatemi bene, brutti idioti... - Il terzo uomo aveva perso la pazienza, piegò poco elegantemente la planimetria e rivolse uno sguardo carico di rabbia verso i compagni, che lo ascoltavano imbarazzati. - Vi ho sopportati anche troppo... Non fatemi pentire di non avervi infilato in qualche dannato buco sotto terra. Sto facendo una gran fatica a trattenermi e voi non mi aiutate di certo... - Si girò di scatto verso Rupert. - A te, maledetto tossico, va bene che mi devi quei maledetti codici di sicurezza, altrimenti... - Poi si voltò verso Bob, che rimase con la bocca aperta e il boccone mezzo masticato che faceva capolino dalle labbra carnose. - E te... Perché ti sopporto? Dimmelo, brutto ciccione, dimmelo! - L'uomo sembrò calmarsi e si dedicò a ripiegare con cura la planimetria. Alzò di nuovo lo sguardo su Bob e questi ricambiò con un sorriso che mostrò dei rimasugli di parecchie cene tra i denti. - Fai proprio schifo, lo sai, vero? -
Rupert e Bob si guardarono intimoriti e poi tornarono a osservare in silenzio l'uomo, che intanto si stava legando sugli occhi una sottile mascherina di colore nero.
- Sono qui dentro... - Rupert si fece coraggio e prese la parola, allungando all'uomo un piccolo smartphone. - Qui ci sono i codici d'accesso di tutte le cassette di sicurezza del caveau... Non dovresti avere problemi ad aprirle... -
- Questi codici vi hanno salvato la vita, ricordatevelo... - L'uomo afferrò il dispositivo senza troppi complimenti e lo nascose in una delle tasche interne del suo impermeabile nero. - Ora vado... -
- Tornerai, vero? - Bob parlò timidamente, con la paura che l'uomo facesse una sfuriata come quella di poco prima. - Cioè, non è che prendi il bottino e ci lasci qui, ok? - Il loro compagno non disse nulla, si limitò ad accennare un sorriso e poi svanì nel nulla. ZAP.

Elivelivolo S.H.I.E.L.D. in volo sopra New York City.
Mi addentrai nella stanza lentamente, per non fare rumore. Sembrava deserta, ma sapevo che il mio obiettivo era all'interno. Per un attimo sperai che non fosse così. Sperai di avere ancora un po' di tempo, qualche giorno, ma mi sarebbero bastate anche solo poche ore, per chiamare a raccolta tutte le idee e capire che diavolo avrei dovuto fare in quella maledetta situazione.
La luce che filtrava da sotto la porta del bagno mi fece capire che al massimo avrei avuto pochi minuti per decidermi. Forse anche meno. Mi avvicinai alla porta e mi misi in ascolto, dal bagno giungeva lo scroscio di una doccia bollente. Non che dal rumore capissi la temperatura dell'acqua, ma mi faceva sentire meglio immaginarmi un getto caldo. Mi stavo aggrappando a qualsiasi cosa, anche a una stupida come questa, per cercare di sembrare almeno l'ombra del killer freddo e letale che i miei creatori si aspettavano.
Come tutte le cose belle, anche il rumore della doccia calda finì. Poco dopo sentii dei passi avvicinarsi alla porta, strinsi la mano intorno alla pistola e posizionai l'indice sul grilletto. La porta scorrevole si nascose nel muro con un sibilo.
- Tesoro, che bella sorpresa... - La voce di Valentina mi investì e mi paralizzò. Sembrava tranquilla e rilassata, come se davvero pensasse che le avessi fatto una romantica sorpresa, ma sapevo che aveva visto la pistola e che aveva capito tutto. - Nick sa che marini il lavoro per venire di notte nella mia stanza? - Era bellissima con solo un piccolo asciugamano che la copriva. Bellissima e letale.
Valentina agì come un lampo e mi colpì con un calcio la mano che teneva l'arma. I miei sentimenti mi resero lento e la pistola venne scagliata dalla parte opposta della stanza. Cercai di colpirla a mani nude, sfoggiando tutto quello che mi era stato insegnato in fatto di combattimento corpo a corpo, ma lo facevo senza decisione. Sapevo che lei era un pericolo, che avrei dovuto eliminarla, ma c'era sempre qualcosa che mi frenava. Alla fine io e lei eravamo uguali: se io ero riuscito a rinnegare la mia natura, perché non avrebbe potuto farlo anche lei? Forse una possibilità c'era.
I suoi colpi erano decisamente più forti e precisi dei miei, sicuramente dentro di lei non stava avvenendo nessun conflitto interiore. Io ero il nemico e lei doveva fare di tutto per eliminarmi. Semplice. La mia vita avrebbe dovuto essere così, semplice, invece uno stupido errore di sistema mi aveva reso più umano dei miei simili e di colpo la vita era diventata dannatamente complicata.
Lei mi colpiva con calci e pugni, e io non riuscivo a fare altro che a difendermi, ma ero paralizzato, non trovavo la forza per contrattaccare. Prendevo tempo nella speranza che arrivasse qualche idea geniale che mi consentisse di risolvere la situazione senza doverla uccidere. Ma quell'idea non si decideva ad arrivare. Intanto lei, nella foga dello scontro, aveva perso l'asciugamano, ma non se ne curava, era come una macchina. Quel suo corpo nudo e bellissimo che avevo sempre desiderato ora mi faceva solo paura. Mentre questo concetto si formulava nella mia testa, un suo fortissimo calcio mi centrò in pieno lo stomaco e mi spinse contro la scrivania davanti alla finestra. Non vomitai solo perché ero così teso che non mangiavo da almeno un giorno.
Valentina tornò all'attacco, per difendermi afferrai la prima cosa che trovai a portata di mano. Parai la sua raffica di colpi con il vassoio di metallo su cui c'erano delle posate, una bottiglietta d'acqua minerale e un piatto con la sbobba della mensa. Venni investito da una forchetta e dalla specialità del giorno, ma mi risparmiai un paio di pugni davvero devastanti, a giudicare dallo stato del vassoio che stringevo ancora tra le mani.
Sarà stato l'istinto di sopravvivenza o forse qualcosa dentro di me aveva rinunciato a sperare in un lieto fine, fatto sta che reagii e le sferrai un colpo con i piedi uniti per allontanarla da me. Ci misi tanta forza, come se davanti a me non ci fosse la persona di cui mi stavo innamorando, ma solo un nemico. Guadagnai qualche prezioso istante, cercai con lo sguardo la mia pistola e con la coda dell'occhio vidi Valentina che stava già tornando all'attacco.
Mi lanciai per prendere la pistola a terra, vicino al letto. Quando la mia mano era ormai a pochi centimetri dall'arma, sentii la caviglia venire arpionata da una morsa d'acciaio. Finimmo entrambi proni, mi voltai e vidi che intorno alla caviglia c'era solo la sua mano, ma stringeva così forte che il dolore era come se fossi sotto una pressa. O almeno pensavo che potesse essere lo stesso tipo di dolore. Più cercavo di allungarmi verso l'arma, più la morsa si stringeva e il dolore diventava pungente. Scalciai con il piede libero e al terzo tentativo riuscii a colpirla in pieno volto, sentii la sua presa che si allentò per un istante e ne approfittai. Incurante di tutte le ossa e i muscoli doloranti, afferrai la pistola e feci una capriola in modo da sfuggire dal suo raggio d'azione. Mi rialzai in piedi e vidi che anche lei stava facendo lo stesso, solo che ora lei era nuda e disarmata, mentre io avevo la pistola puntata tra i suoi occhi.
- Ora possiamo parlare? - Ecco che la flebile speranza di un lieto fine tornò nel momento meno adatto e complicò nuovamente le cose.

First National Bank di Boston. Sei settimane prima.
ZAP. Telford Porter, alias lo Svanitore, apparve all'interno dell'inviolabile caveau della First National Bank. Inviolabile per chi non possedeva i suoi poteri di teletrasporto, ovviamente. La stanza era perfettamente identica a come l'aveva studiata sulle planimetrie comprate per una modesta cifra da un hacker giapponese di sua conoscenza.
Era buio, ma lo Svanitore sapeva come muoversi, gli bastava una piccola torcia elettrica fissata sulla fronte. L'uomo si diresse subito verso il muro di cassette di sicurezza davanti a sé e cercò la sua preda tra le tante. La trovò quasi subito e sfiorò delicatamente con la mano avvolta in un guanto nero il tastierino numerico per l'apertura, mentre sul suo volto si stava formando un sorriso compiaciuto. Con calma estrasse lo smartphone consegnatogli da Rupert e cercò nella memoria del dispositivo il codice recuperato dal suo scalcagnato compagno. Mentre stava per inserire la prima cifra sul tastierino numerico si bloccò di colpo, una voce giunse dalle sue spalle.
- Devo dire che il suo potere è alquanto affascinante, signor Porter... - Una figura attendeva appoggiata al muro, nascosta dalle ombre pesanti del caveau. Con calma, la figura si portò alle spalle del ladro. Lo Svanitore si girò di colpo e illuminò con la piccola torcia il volto dell'uomo. - Io sono Jonathan Juniper, piacere di conoscerla. -
- Ma che accidenti...? - Lo Svanitore per poco non cadde a terra per la sorpresa. Neanche un criminale esperto e metodico come lui avrebbe potuto immaginare una variabile così assurda all'interno del suo piano pressoché perfetto.
- Si calmi, signor Porter... Oh, forse è meglio se ci diamo del “tu”, no? Provo sempre a intavolare un discorso con il “lei”, mi sembra più professionale, ma solitamente siete tutti così aggressivi... -
- Si può sapere chi sei e cosa ci fai qui? E, soprattutto, come diavolo facevi a sapere...? -
- Dovresti sceglierti meglio le compagnie, Telfy... - Juniper fece una pausa e soffocò una risata.
- Non mi chiamare Telfy... Ehi, ma tu...? -
- Già! Quando avete pianificato il colpo i tuoi due amici hanno iniziato a vantarsi del furto, e sai come vanno queste cose, no? Alla fine lo dici una volta, lo dici una seconda, e va a finire che poi i loro telefoni cellulari vengono messi sotto osservazione... -
- Dannati imbecilli... - Lo Svanitore distolse per un attimo lo sguardo dal suo interlocutore e fissò il vuoto, ma era palese che nella sua testa stava fantasticando su tremende torture da infliggere a Rupert e Bob. - Li avevo pregati di chiudere le loro boccacce e fare attenzione con i telefoni, e quei due imbecilli hanno fatto l'opposto, come sempre. -
- Tanto avevi già intenzione di mollarli con il bottino, dico male? Tra poco un paio di pattuglie della polizia li porteranno al fresco, mentre tu hai una possibilità... Mi concedi qualche minuto o hai da fare? -
- He! He! He! - Lo Svanitore rise di gusto e fissò Juniper con uno sguardo di sfida. - Mi spiace, amico, ma non ho bisogno del tuo aiuto... La mia possibilità me la prendo da solo. - Lo Svanitore corrucciò la fronte come per sottolineare la frase, in realtà stava richiamando a sé il suo potere mutante per portarlo lontano da lì. Non aveva mai capito come riusciva a fare le cose che faceva, ma per lui l'importante era farle. L'espressione corrucciata del criminale si trasformò in sorpresa, quando lo “ZAP” che di solito precedeva i suoi spostamenti, come li chiamava lui, si fece attendere.
- Ho immesso nella stanza un gas che blocca i tuoi poteri mutanti... Per pochi minuti, certo... Ma abbastanza per fare quello che devo. -
- E cosa sarebbe...? - Lo Svanitore era seriamente allarmato dalla piega che la situazione aveva preso e si guardava intorno, come se potesse vedere il gas che gli stava inibendo i poteri.
- Questo. - Con una mossa fulminea Juniper estrasse una pistola a dardi e sparò contro lo Svanitore, colpendolo al collo. Lo Svanitore estrasse velocemente il dardo, ma ormai le nano-macchine erano entrate in circolo. - Tra qualche istante l'effetto del gas sarà svanito e potrai di nuovo usare i tuoi poteri... Ma fa' attenzione, se ti allontani troppo da me, senza il mio permesso, le nano-macchine che ti ho appena iniettato... - Juniper non fece in tempo a terminare la frase che ZAP, lo Svanitore aveva dato sfoggio dei suoi poteri. Attese per meno di un minuto e ZAP, lo Svanitore era di nuovo davanti a lui, in ginocchio, con il naso sporco di sangue e il volto contratto per il dolore. - Come dicevo, le nano-macchine che ti ho iniettato ti procureranno dei tremendi mal di testa, finché non tornerai nel tuo perimetro sicuro... Un gran bel guinzaglio di nuova generazione, non trovi? -
- Parla... - Lo Svanitore si stava ancora riprendendo dal terribile dolore e dal suo sguardo si capiva che aveva imparato la lezione. - Che vuoi? -
- Sto mettendo in piedi una squadra speciale. E ci serve un mezzo di trasporto rapido e affidabile, che ne dici? -

Elivelivolo S.H.I.E.L.D. in volo sopra New York City.
Tenevo sotto tiro Valentina e non riuscivo a decidermi a premere quel dannato grilletto. Doveva essere semplice, l'avevo sempre fatto, da quando sono nato, letteralmente. Eppure una forza invisibile frenava il mio dito indice, non serviva il mio addestramento da killer, quel dito non voleva muoversi. E poi c'era il suo sguardo. Era immobile davanti a me e mi fissava, il suo sguardo mi paralizzava.
- Avanti, tesoro... Spara. - Valentina si mosse lentamente verso di me, sapeva che non avrei fatto fuoco. - Spara. -
- Valentina... - Fu tutto quello che riuscii a dire.
- Sai cosa sono... E io so cosa sei. - Valentina ormai era vicina a me, la canna della mia pistola le sfiorava la fronte. - Quando sei entrato qui dentro, armato, i miei protocolli di sicurezza si sono attivati e ho saputo tutto quello che dovevo sapere... Lo sai bene che da questa stanza uscirà solo uno di noi due vivo. Ma c'è una piccola differenza, io ho preso coscienza di ciò che sono e non mi interessa ciò che mi accadrà. Tu, invece... -
- Piantala! - Chiusi gli occhi, dovevo prendere velocemente una decisione. Avevo il braccio che reggeva l'arma teso e tremante. Dovevo assolutamente prendere una decisione.
- Spara, avanti! -
Feci qualche passo indietro e abbassai lentamente la pistola. Dall'auricolare mi arrivava la voce dello Svanitore che blaterava qualcosa sul fatto di uscire subito dalla stanza o liberarlo dal collare che lo teneva legato a me. Non avevo tempo per lui. Aprii gli occhi giusto in tempo per scorgere Valentina che aveva afferrato con le dita dei piedi un coltello che avevo fatto cadere dalla sua scrivania. Non si era avvicinata a me solo per sfidarmi, ma voleva quel coltello, lo voleva per sgozzarmi. Non avevo più tempo per pensare. Mi venne in mente un'unica soluzione e feci fuoco.

SECRET HOWLING COMMANDOS:
Operazione XXXX XXX completata con successo.
Soldato semplice Jonathan "Howling Wolf" Juniper

[ CONTINUA SU NICK FURY – AGENTE DELLO S.H.I.E.L.D. 9 ]


NOTE:
[1] - Vedi Nick Fury agente dello S.H.I.E.L.D. #7 - MarvelIT