PROLOGO: Pennsylvania,
ore 03:00 (questa sì che è precisione!)
Il bambino fu svegliato dalla
luce, un cono abbastanza luminoso da spingerlo ad aprire infastidito gli occhi.
Era abituato da sempre a levarsi con il Sole, e anche questa volta non fece eccezione.
Grugnendo qualcosa di inintelligibile, si mi se seduto. Si strofinò gli occhi.
“Papà..?” disse, scorgendo una figura nella stanza.
Era talmente stanco che ne coglieva solo la silhouette magrissima -forse era la
mamma, papà era uno con braccia come tronchi.
“Mamma..?”
La figura avanzò verso di lui.
Il suo urlo terrorizzato
squarciò la notte nel villaggio.
MARVELIT presenta
Episodio 14
- Witnesses!
Magazzini Lorenson, Chicago
Alexander Goodwin Pierce, Direttore della filiale di Chicago, percorse a
larghi passi il corridoio che terminava in una porta blindata. Da una parte, tanto per cambiare, era seccato perché
i ‘suoi’ agenti non avevano ancora risposto alla sua chiamata. Aveva concesso
loro dieci minuti, in fondo li *aveva* messi sotto un
programma di addestramento tosto, nella stanza dei pericoli. Dopo un bel ventiquattrore di sano allenamento, avrebbero dormito
per i prossimi tre o quattro giorni.
Peccato doverli interrompere
dopo solo dieci ore, ma quando il dovere chiamava, lo SHIELD rispondeva!
Pierce digitò il suo codice di identificazione alla serratura elettronica.
Niente.
Riprovò.
Questa volta, la serratura
fece uno strano suono. Il Rambo inglese fu sicuro che fosse l’equivalente del ‘cicca cicca’.
Lesto l’uomo estrasse la sua
pistola dalla fondina, puntandola alla serratura. “Regolamento interno. Art.25,
comma 1 paragrafo 8: la disobbedienza ai superiori è un reato molto serio.”
La serratura si aprì. Eseguivo solo gli
ordini, si scusò miserabilmente facendo apparire la scritta sul
display.
“Gli ordini di chi?” fece Pierce, rinfoderando l’arma.
Le porte scorrevoli si aprirono.
Pierce impallidì. Avete
presente un sudario ben candeggiato e verniciato di bianco? Così! Solo con un
supremo sforzo di volontà, riuscì a mantenere un’espressione glaciale. I suoi
occhi, in compenso, erano raddoppiati di volume.
La stanza del pericolo era
funzionante, sì…ma non proprio sullo scenario originariamente programmato.
Pierce si trovava sulla soglia
di uno scenario bucolico, una lussureggiante primavera boccaccesca dai colori
pastello e dai profumi rilassanti.
E non c’era dubbio che i suoi
agenti se la stessero godendo un mondo.
Ø
Mister Immortal
stava aggredendo senza ritegno un buffet fenomenale, disposto su un tavolo
chilometrico al centro della radura e coperto di bianco. Non c’era dubbio che
con tutto quel cibo poteva farsi venire un colpo, ma
era il suo vantaggio potere morire per poi rinascere quasi istantaneamente.
Ø
Doorman,
vestito con una tunica bianca e una corona di alloro,
declamava versi Shakespiriani (senza fare un grande favore al poeta, fra
l’altro) all’indirizzo di Dinah Soar.
La rosa dinosaura/mutante/aliena/o che stava sdraiata in seducente posa su un
enorme ramo di una quercia.
Ø
Flatman era
immerso in una partita a scacchi con Thundersword,
usando pezzi animati. La partita era giunta ad uno stallo perché i re si erano
impegnati in una tremenda discussione, coinvolgendo mezza scacchiera. “Succede
sempre così quando quell’alfiere vuole proporre una nuova mossa?” fece il
cavaliere dorato. Flatman annuì. “E dovresti vedere quando questa torre qui
vuole lasciare la partita.”
Ø
Big Bertha,
in costume ma nella sua forma civile, cioè come la
splendida modella Ashley Crawford, era impegnata a farsi servire grappoli d’uva
da un volenteroso Moonfang, all’ombra
della quercia.
Pierce
riuscì a trattenere la mascella ancora un po’, mentre la sua pelle passava dal
biancore a una lieve tinta di rosso, poi più marcata,
poi rosso vinaccia, sanguinaccio…
Il killer era impegnato a
deporre uno strato di mine sul terreno antistante l’ingresso della base SHIELD.
Stava facendo tutta l’attenzione possibile, si trattava
di un prodotto tanto potente quanto sensibile. Bastava quasi un soffio di vento
per innescarle.
Almeno, questa volta, si
sarebbe assicurato definitivamente lo sbriciolamento di quei maledetti eroi…
La scossa sismica lo prese
completamente di sorpresa! Le mine esplosero tutte insieme.
Quando il
fumo si fu diradato, rimase solo una figura singhiozzante intenta a battere i
pugni per terra per la frustrazione.
“E ora che ho la vostra
attenzione,” disse Pierce schiarendosi la gola,
“gradirei sottoporre alla vostra suddetta i dettagli della missione che vi
aspetta.”
Il paesaggio bucolico era
stato letteralmente spogliato di ogni filo d’erba, e
la stessa quercia era appassita. Sembrava un giardino di Hiroshima dopo la
Bomba. I Vendicatori dei Grandi Laghi stessi si tenevano tutti abbracciati a
mucchio, i capelli (e la pelliccia) dritti come chiodi.
Pierce disse, “Dunque, c’è
stata segnalazione di un possibile rapimento a Hope & Glory, nel Pennsylvania. Cinque ragazzini scomparsi in un mese.
Hanno bisogno di qualcuno che tolga le castagne dal
fuoco della Polizia locale, per due motivi: il primo è che i genitori dei bimbi
rapiti sono tutti Amish ortodossi, gente molto poco propensa al dialogo con gli
‘estranei’ (il che vuol dire tutti gli altri). Il
secondo è che sembra che ci siano di mezzo degli alieni…”
“Non era stata disposta una
supergriglia o roba del genere per impedire che si facessero vedere?” chiese
Immortal, dandosi dei colpetti all’orecchio che ancora fischiava.
“Quella è per segnalare il
loro arrivo. E visto che praticamente tutti i vostri
fratelli maggiori sono impegnati da qualche parte, in questo momento, tocca a
voi dare un’occhiata. E non vi nascondo che per una
volta tanto la vostra lontananza è per me motivo di goduria: il medico mi ha
raccomandato di riguardarmi, pare che il fegato non stia tanto bene.
“Oh, e se ci fossero degli
alieni per davvero, mi raccomando: fatevi menare per bene.”
Parecchi punti interrogativi
fioccarono sulle eroiche teste.
Pierce sfoggiò il sorriso
‘Jack Nicholson’. “Perché se non tornate con almeno un paio di fratture
multiple e una commozione cerebrale a testa, al termine della missione vi farete una bella sessione da 48 ore a livello 10. Non è
stato mai collaudato, dicono che solo Thor possa uscirne vivo.”
Catena
di deglutizioni.
Il Quinjet giunse in area nel
giro di un paio d’ore. Sotto di loro, si stendeva una teoria di campi, un mare
ondeggiante color grano.
Hope & Glory era esattamente come le foto la descrivevano: un nucleo di
case di legno bianco e dal tetto nero, qualche negozio e un sacco di magazzini
per il grano, oltre ad altri edifici in stile rustico, il tutto senza la benché
minima presenza visibile di tecnologia. I soli pali
visibili erano quelli del telefono.
L’apparecchio atterrò
verticalmente sulla strada. I VGL ne uscirono un attimo dopo.
Quando furono tutti fuori, Mr. Immortal fece un cenno alla
cabina di comando. “Grazie, Charlie!”
Il pilota SHIELD rispose al cenno,
prima di chiudere il portello e fare ripartire l’apparecchio.
“Dici che ce la perdoneranno
di avere distrutto un paio dei loro velivoli?” fece Doorman. “In fondo, la
nostra macchina è ancora intera.”
“Pensiamo piuttosto a farla
finita in fretta,” disse Ashley, dirigendosi verso la
strada sterrata che portava verso il villaggio.
Percorsero un chilometro
buono, circondati da due muri di grano.
“Ragazzi, non ricordavo un
campo così fitto neanche a casa dei miei nonni,” disse
Flatman, che procedeva, cioè rimbalzava, sotto forma di palla.
In quel momento, ci fu un
fruscio fra le spighe! I Vendicatori si fermarono di colpo.
Il fruscio si avvicinò.
Veloce. Gli eroi si tesero, pronti a tutto…
Le spighe si aprirono,
rivelando… “Harrison Ford?” dissero
loro in coro
L’uomo era sfinito. “Sto
cercando un bambino: è l’unico testimone di un omicidio. L’avete mica visto?”
“Caschi male, collega,” rispose Immortal.
“Dannato moccioso. Odio il
nascondino…” sospirò l’altro, rassegnato, prima di scomparire di nuovo nel grano.
“La prossima volta gli chiedo
un autografo,” disse Doorman.
“Puoi fotocopiartelo dalla mia
collezione, se proprio ci tieni” disse Ashley, mentre si rimettevano in marcia.
Erano arrivati sulla strada
alle dieci. Arrivarono al villaggio a mezzogiorno inoltrato, sotto un Sole
diabolico e completamente cotti.
“Vista dall’alto, non sembrava
così lunga…” disse Immortal fra un ansito e l’altro, con la lingua che praticamente arrivava a terra.
“Umani,”
sbuffò Moonfang, guardandosi intorno. “Che strano. Per
quanto ci stia provando, non percepisco un segno di
vita in questo posto. C’è l’odore della gente, ed è anche recente…ma niente altro.” Un corvo strillò tristemente nell’aria.
In effetti, Hope & Glory
era deserto come il Sahara.
I Vendicatori si tesero di nuovo.
“Occhio, gente! I responsabili di questa sparizione di massa potrebbero essere
ancora in giro.”
“Allora direi di separarci e
controllare, invece di starcene fermi in cerchio sulla piazza,”
suggerì Ashley.
“Buona idea,” concordò Immortal. “A rapporto qui fra
mezz’ora. Vendicatori, separati.”
Uno schermo mostrò il gruppo
dividersi. Uno spettacolo contemplato attentamente da grandi
occhi freddi ed inumani.
«Questi esseri sembrano molto
interessanti,» commentò uno dei tre spettatori in una
lingua che non era di questo mondo.
«Aspetta a giudicare,» disse il secondo. «Lo sai che non possiamo certo pescare
nel mucchio.»
«Osserveremo
e vedremo,» disse il terzo con tono prudente[i].
«L’importante è il successo, non importa come raggiungerlo.»
Craig Hollis non ci raccapezzava:
se tutti erano scomparsi, chi aveva segnalato il rapimento alle autorità?
La porta aperta di un granaio
attirò la sua attenzione. “Tanto vale…” si disse, dirigendosi verso il granaio.
“C’è nessuno?” chiese,
sporgendosi dentro.
Gli rispose un fruscio, dal
piano superiore. Mr. Immortal sorrise -Ah-ha! Qualcuno vuole
fare il furbo!
“Ti ho sentito, amico.
Chiunque tu sia, non hai a che fare con un bambino indifeso, questa volta!” Mise mano alla cintura a sacche. Da una sacca estrasse un
oggetto metallico, che dispiegò rapidamente lungo il polso.
Mr. Immortal tese il braccio,
e il rampino elettronico lanciò un cavo elastico verso la trave portante.
Quando il cavo si agganciò al bersaglio, era già in tensione; l’eroe fu
velocemente tirato su -comodi i nuovi gadget, almeno davano un po’ di pepe
all’azione… “Ommamma.”
Appena arrivò all’altezza del ripiano, Immortal vide il
responsabile di quel fruscio: una mamma gatta dalla schiena curva, pelliccia
dritta e tutte le intenzioni di difendere i propri piccoli lì vicino!
La belva aggredì il capo dei
VGL, puntando alla faccia, con un urlo da fare invidia a
una strega. La lotta che seguì fu breve ma indescrivibile, e costellata di
parole e miagolii irripetibili. Preso dal panico, Mr.
Immortal indietreggiò fino al bordo del ripiano. E
cadde. Per giunta, non avendo sganciato la corda elastica, finì con
l’imbrigliarsi…fino a quando non si udì un suono secco.
La
gatta osservò incuriosita lo spettacolo del corpo che pendeva inerte, su e giù,
su e giù…
Passò attraverso lo spazio fra
la porta ed il pavimento, appena una fessura, ma niente di impossibile
per Flatman.
“C’è qualcuno in casa..?” chiese, timidamente. Odiava infilarsi così in un altrui
domicilio, ma era il solo che lo sapesse fare senza
sfondare porte e/o muri.
In un certo qual senso, quel
mistero lo affascinava: una sparizione moderna di massa non capitava tutti i
giorni. E Harold Ventura era deciso a scoprire quanto
più possibile…
Ticchettio di
artigli sul pavimento! Dietro di
lui!
Si voltò di scatto, pallidissimo…ma
riprese subito colore. “Oh, non sei il cane da guardia.”
In effetti, si trattava solo
di un gallo. Dopo l’esperienza un po’ traumatica con un mannaro-mastino,
l’elastico scienziato non si sentiva molto a suo agio in prossimità delle
pellicce.
Il pennuto lo fissò
intensamente. “Coot?”
Harold andò in direzione
dell’ucccello. “Tranquillo, bello: chissà se c’è qualcuno in quella stanza…”
“Coot…” il pennuto non si
mosse.
Flatman gli fece cenno di
spostarsi. “Sciò, sciò. Ho da lavorare.”
“Coot.” Questa volta, c’era
uno sguardo decisamente ostile negli occhietti…
“YAAARGH!” Flatman, con il
costume a brandelli, sfondò la porta. Corse via in preda al
panico, inseguito da un gallo in preda a furia assassina.
Guardandolo, Ashley scosse la
testa. “Uomini. Allora, palladipelo: trovato nulla?”
Moonfang si aggirava nasando a
destra e a manca. Lo stomaco gli brontolò. Alla faccia di disapprovazione di
lei, il licantropo rispose, “Non è colpa mia: ci sono delle torte che stanno
raffreddando!”
“Impara da me, allora. Posso
andare avanti per due giorni assorbendo l’umidità dall’aria.”
“Capirai: e quale modella non
lo sa fare? Io ho bisogno di pappa…Ah!” la soddisfatta
esclamazione giunse alla vista di una crostata posta su una finestra lì
vicino.
Subito il mannarone andò al
suo obiettivo. Ashley lo raggiunse; non commentò, ma sapeva che sarebbe stato
peggio cercare di sottrargli il cibo da sotto il naso.
“Meringa al limone. Niente
male davvero…” ‘Fang affondò le mascelle nella torta…e
si udì uno scatto secco metallico. Le orecchie di lui
quasi saltarono via dal cranio.
Il muso
riemerse. La lingua lupina era
serrata da una trappola per topi. “Cain…”
“Lo dicevo io…” fece Ashley,
tappandosi le orecchie
Il tremendo ululato di dolore
riecheggiò per tutto il villaggio.
Udendolo, Doorman si fece
istintivamente il segno della croce.
“Non essere pavido, giovane
eroe,” disse Thundersword. “Qualunque paura verrà vinta dal trionfo delle forze della luce.”
I due eroi erano rimasti nella
piazza, aggirandosi in cerca di indizi che non
sapevano dove cercare. “Il giorno in cui riuscirai a parlare come un essere
umano, Stu, ti pago il pranzo.”
“Un’altra ragione della
decadenza della civiltà moderna: imbarbarimento del linguaggio. E dire che
declamavi dei sì bei versi, stamane.”
“Che
c’entra? A scuola la recitavo, quella roba: non mi sognerei mai di parlare in quel modo tutti i giorni. E poi,
con quale diritto parli tu? Producevi TV-spazzatura.”
“Errori di gioventù. Quando
Stuart Cadwell tornerà al ruolo per cui è nato, saprà
emendarsi combattendo il sistema dal suo interno…” Thundersword si irrigidì improvvisamente.
Mise una mano davanti a Doorman. “Cosa scorgo? Una porta
si apre! Sii pronto per la pugna, amico mio! Forse i malfattori si rivelano!” Nella sua mano brillò un fulmine. Un attimo dopo,
quel lampo divenne la familiare lancia bipenne.
La
porta finì di aprirsi…e una voce giunse dalla soglia. “E
voi cosa volete, stranieri?”
Flatman si ricompose a fatica
in cima al tetto di un granaio.
Da sotto, il gallo malefico
continuava a tenere d’occhio la sua preda.
“Ma
capitano tutti a me?” Harold giurò che non avrebbe più toccato un pollo in vita
sua -con la fortuna che si ritrovava, anche un petto alla piastra avrebbe
potuto saltargli addosso!
Flatman si guardò intorno. “Ci
sarà pure una via di uscita, da qui…Ah, eccoti lì.” Si infilò nella finestra.
Poco dopo, giunsero altri
pietosi versi di dolore e miagolii terrificanti.
La gatta, sbuffando in
miagolese, grattò via stizzita la torba violetta che era stato
l’intruso umano.
Flatman si ricompose ancora
più a fatica. Aveva una faccia che era peggio della mappa dell’Africa e un
certo cerchio alla testa… Oh, sì: e doveva aggiungere i gatti alla lista di animali da evitare…
Storse il naso: hmm, chi
diavolo se l’era fatta addosso?
Flatman guardò all’insù. “Ehi,
capo: giornata storta anche tu, eh?” disse alla figura impiccata che dondolava
sopra di lui.
L’eroe si allungò verso il
cadavere. Fortunatamente, era diventato uno specialista con i nodi, a furia di
allenarsi su sé stesso. Con pochi abili gesti liberò il suo
capo, poi lo portò a terra. “Chissà cosa staranno facendo gli altri?
Nessuno si è fatto sentire…”
“E
nessuno si farà sentire, figlio del diavolo!” esclamò qualcuno dietro di lui. Contemporaneamente, si udì distintamente lo scatto della serratura
di un fucile. “Lascia quel cristiano e voltati con le mani bene in alto.”
Flatman era davvero tentato di
obbedire alla lettera. Invece, mentre depositava il cadavere di Craig, disse, “Guardi che sta prendendo un abbaglio: noi siamo dei
buoni.”
Il nuovo arrivato era un uomo
ben piantato, con una sobria camicia bianca, pantaloni e bretelle neri, e un
gran cappellaccio pure nero calcato in testa. “Se
eravate del Governo, vi avevo già belli che impallinati. Chi siete?”
“Vendicatori dei Grandi Laghi.
Siamo qui per…”
“Ne parlerete davanti
all’assemblea: e ora muo*” i suoi occhi si fecero enormi, alla vista del
cadavere improvvisamente colto da nuova vita.
Mr. Immortal si mise seduto,
massaggiandosi il collo. “Eccheccazzo brutta figlia di una *&%$! Non sono
mai stato morto così a lungo…”
“Una stregoneria!” gridò terrorizzato l’uomo, e sparò un colpo a
pallettoni in faccia al redivivo. Mister Immortal andò giù senza un lamento.
Flatman
si portò una mano alla fronte. “Qui ci restiamo tutto il giorno…”
Si decisero a portare gli ultimi due solo quando i colpi in canna erano finiti. A
quel punto, inoltre, l’Amish era ridotto a un tale
fascio di nervi che non riusciva neppure ad impugnare la sua arma.
“De la le la laa…” Immortal
era mezzo rimbecillito dalle quattro resurrezioni consecutive. Flatman dovette
reggerlo a spalla. Adagiò il suo compagno di squadra su una poltrona.
“Poverino,”
disse una vecchietta dai capelli bianchi, raccolti in una crocchia. La figura
in un sobrio abito nero di almeno un secolo addietro, era uscita dalla cucina
reggendo un vassoio con tre ciotole di brodo e pan
secco a parte. “I giovani di oggi non mangiano
abbastanza, sembrate tutti così smagriti. Ecco qua, servitevi pure.” Depose il
vassoio sul tavolino in mezzo alle poltrone. Lanciò uno sguardo all’uomo che
aveva ‘catturato’ Flatman e Immortal. “Ben, caro, non sarai stato troppo duro
con loro, vero?”
Lui scosse la testa, sempre in
quello strano stato di trance.
“Allora,”
disse la vecchietta. “Non è stato molto educato entrare in casa altrui senza
neppure bussare alla porta. Voi giovani dovete imparare anche un po’ di educazione.”
“E
perché non rispondevate?” fece Doorman. “Ci avrete ben visto arrivare!”
“Che domande: non si da confidenza agli estranei. E poi bastava che aspettaste
che i nostri uomini tornassero dai campi per il pranzo.”
Immortal si massaggiò la
testa. “Signora, siamo qui per fare luce su alcune segnalazioni di rapimenti di
bambini. Pare che ne siano scomparsi molti, in questi ultimi tempi.”
Ben si inalberò.
“E dovremmo raccontare i fatti nostri a un branco di
stranieri? Per giunta degli stregoni? E chi vi ha
detto di questa faccenda? Nn vogliamo stranieri di mezzo!”
“Aha!” fece Flatman, puntando
l’indice ‘j’accuse’. “È stato lei ad
avvertire le autorità, Ben!”
“Che…cosa..?”
l’uomo barcollò, pallido. “Vi sbagliate, io…”
“La Polizia è stata avvertita
tramite un SMS. E lei ha appena pronunciato una parola
in SMSese: ‘Nn’!”
“Ben, caro..?”
la povera vecchietta, pur non scostandosi dalla sua maschera cordiale, riusciva
a metterci una qualcerta angosciata quiete[ii].
L’uomo si mise la faccia fra
le mani, e si ingobbì tutto. Singhiozzava. “Ebbene sì, sono stato io! Nostro nipote possiede un
telefonino! Glielo hanno passato quei ragazzacci a scuola. Io l’ho sequestrato, volevo distruggerlo…ma poi…ma poi…”
“Su, su,”
fece Moonfang, dandogli pacche consolatorie sulla schiena.
L’uomo sollevò il volto
supplichevole verso la moglie. “Lo schermo aveva tutti quei bei colori, e poi
tutte quelle suonerie…”
“Ben…” Lui la prese per le
spalle.
“Non capisci! Ho fatto il
numero del vecchio Stan, e mi rispondeva mentre
parlavo dal campo di grano! E poi ci sono i videogiochi,
e…” fu interrotto da un ceffone.
L’anziana signora si alzò in
piedi, fissando il marito con occhi gelidi e bocca sottilissima. “Benjamin, io
e te dobbiamo fare quattro chiacchiere. Come hai
potuto permettere a quello strumento del male di entrare in casa nostra? Altro
che ‘Assemblea’, per questi poveri giovani.” Indicò i
Vendicatori. A loro, tornò a rivolgere il familiare sorriso. “Posso farvi una
torta, figlioli?”
“Dibi-dodi-guu,” rispose Immortal.
“Lo apprezzeremmo molto,
madame,” rispose Flatman. “Ma dobbiamo prima occuparci
di trovare i bambini scomparsi.”
“Oh, capisco. Nel qual caso,
non vi tratteniamo: potrete trovarli anche subito.”
Le finestre della casa si illuminarono.