La
storia finora: Steve
Rogers e i Vendicatori Segreti sono a Valencia, alle prese con un problema di
ostaggi che vede coinvolti Lo Spezzabandiera,
U.L.T.I.M.A.T.U.M. e il vigilante noto come Solo.
Nel frattempo, il Soldato d’Inverno, Amadeus Cho e il loro alleato U.S.Agent
sono a Madripoor, cercando di catturare Cheer Chadwick, membro del
Consorzio Ombra e mandante dell’omicidio dei genitori di Amadeus.
Sharon Carter e la sua squadra, invece, sono
nel Sud Est asiatico: arruolati per una missione di salvataggio, hanno scoperto
di essere caduti in una trappola e adesso cercano di non cadere prigionieri del
generale Hong Fan.
#40
DIE
ANOTHER DAY
di
Carlo Monni & Carmelo
Mobilia
Hotel Las Arenas, Valencia,
Spagna.
<Fuoco! Uccidete quei cani.>
A dare quel secco ordine era stato il capo di
un drappello di miliziani di U.L.T.I.M.A.T.U.M. appena arrivato sul luogo dove
Yelena Belova, la Vedova Nera, l’unica autorizzata ad usare quel nome secondo i servizi segreti russi,
Donna Maria Puentes e Jack Flag erano alle prese con
un sofisticato detonatore collegato ad una serie di trappole esplosive
disseminate all’interno dell’hotel mentre, contemporaneamente, nella stanza
vicina Steve Rogers stava battendosi con lo Spezzabandiera.
Il rumore dei grilletti che venivano premuti
echeggiò sinistramente nel salone, ma il preavviso era stato sufficiente perché
i tre reagissero prontamente.
Le due donne si gettarono a terra mentre Jack
Flag compiva un balzo spettacolare spinto dai suoi muscoli potenziati. I proiettili
passarono loro accanto senza far danno.
Jack Flag piombò sugli aggressori stendendone
subito un paio e rompendo le loro file. Uno dei miliziani lo prese di mira ma
non potè sparare perché fu raggiunto da una scarica
di Morso di Vedova, un altro fu raggiunto da un proiettile stordente sparato da
Maria.
Yelena raggiunse Jack ed insieme ebbero
facilmente ragione degli aggressori.
Maria si rimise subito al lavoro sul
detonatore. Il suo cuore la spingeva a correre in soccorso di Steve ma la
ragione le diceva che quello era più importante.
<Sembra un tipo di detonatore molto comune…> disse Yelena
raggiungendola <… tuttavia…>
<Potrebbe nascondere una trappola, lo so.> completò Maria <Ma
dobbiamo provarci, siamo troppo giovani per morire.>
Nonostante le battute di spirito la giovane latinoamericana era
decisamente preoccupata. Improvvisamente le scappò un’imprecazione nella sua
lingua madre.
<Cosa c’è?> chiese un preoccupato Jack Flag.
<C’è che quest’affare è davvero complicato.> replicò lei <Può
essere attivato da remoto, probabilmente grazie ad un telecomando, un comune
cellulare o con un timer, oppure se qualcuno attraversa i sensori piazzati qui
e chissà dove.>
<Insomma un bel pasticcio. Perché lo Spezzabandiera
non lo ha ancora attivato? Non che la cosa mi dispiaccia, sia chiaro.>
<Suppongo che il Comandante Rogers glielo abbia impedito,>
intervenne Yelena <Piuttosto sono preoccupata per altro: da un momento
all’altro le Forze Speciali valenciane potrebbero fare irruzione ed
allora….>
<Boom.> concluse Donna
Maria.
Tap Kwai.
Sharon Carter guardò il cadavere del Maggiore Nguyen Hoy
e serrò le labbra. Lo scenario le era dolorosamente chiaro.
<Ci hanno fottuti, vero?> chiese Jack Monroe, alias Nomad.
<Quel bastardo di Rawlins non ha mai voluto liberare Hoy.> spiegò Sharon <Ci ha usato per tirarlo fuori
dalla fortezza e poterlo uccidere facilmente per poi abbandonarci al nostro
destino. Avrei dovuto sapere che non potevamo fidarci.>
<E adesso che facciamo?> chiese Rachel Leighton,
meglio nota come Diamante.
Sharon gettò un’occhiata verso il fondo dell’abisso ormai invalicabile
che li separava dal confine con il Sin-Cong e
rispose:
<Non abbiamo altra scelta che seguire il corso del fiume la sotto fino
ad arrivare ad un punto pianeggiante dove poter attraversare il confine.>
<Una marcia di parecchi chilometri a piedi nella jungla e con alle
calcagna un bel po’ di gente arrabbiata. Suggerisco di muoverci senza perdere
altro tempo.> commentò l’uomo che si faceva chiamare Paladin.
<Approvo la proposta.> intervenne la ninja giapponese Yukio.
Erano tutti professionisti e sapevano bene che non potevano fare altro.
Restare lì ad aspettare di essere catturati non era un’opzione
praticabile per gente come loro.
Senza dire altro si misero in marcia lasciando in testa Sharon e Paladin che conoscevano il territorio.
Valencia, Spagna. All’esterno
dell’Hotel Las Arenas,
Il Comandante delle Forze Speciali della
Guardia Civil di Valencia, Diego Sandoval, stava
dando chiari segni di impazienza.
<Il tempo passa.> disse <Quel tizio,
l’uomo dello S.H.I.EL.D., non sta dando segni di vita. Sono decisamente tentato
di rompere gli indugi e sfondare.>
L’inviata del Dipartimento di Sicurezza
Nazionale della Presidenza del Governo spagnolo, la bionda ed attraente Maria
Pilar Cortes, scosse la testa
<Non sia impulsivo, Diego.> replicò
<Sono ancora in gioco le vite degli ostaggi. Non so dirle perché ma, anche
se ho sentito solo la sua voce, quell’uomo mi ispira fiducia. Diamogli ancora
altro tempo per mettere in salvo gli innocenti.>.
<Come desidera.> rispose, Sandoval non
troppo convinto <Speriamo solo di non pentircene.>
Interno
dell’hotel
<Finisce qui, adesso, pazzo criminale! Ti
arrenderai e ti consegnerai alle autorità!> sentenziò Steve Rogers.
<MAI!> gridò lo Spezzabandiera,
gettandosi all’attacco contro di lui.
Tra i due cominciò un duello senza esclusione
di colpi.
Steve ebbe l’ennesima conferma, se mai ce ne
fosse stato bisogno, che l’uomo con cui si stava battendo non era il suo solito
avversario, lo Spezzabandiera originale: quest’uomo,
oltre ad avere un accento diverso e metodi più sanguinari, aveva uno stile di
combattimento differente, meno raffinato forse, ma non per questo meno
pericoloso.
Steve stava sulla difensiva, cercando di
impedirgli di raggiungere la sua mazza, persa poco prima.
Il terrorista affondava i colpi, che però
quel misterioso agente dello S.H.I.E.L.D. parava o evitava in modo efficace.
Quell’uomo lo stava facendo impazzire. Stava
mandando a monte il suo piano quasi da solo.
Non pareva nemmeno in combutta con quel pazzo
di Solo. Ma chi diavolo era?
Continuava a porsi questa domanda mentre
cercava di piazzare un colpo, ma la sua irrequietezza lo rese avventato e nella
sua guardia si aprì un varco, occasione che Steve colse per colpirlo prima al
tronco, poi al viso con un sinistro.
Il terrorista cadde al tappeto, colto di
sorpresa, ma non perse la sua aggressività.
<Dannato bastardo, ti sei messo in mezzo e
adesso questa gente la pagherà!> prese dalla cintura quello che era
chiaramente un detonatore.
Il suo intento era chiaramente quello di far
esplodere le bombe nascoste nell’hotel, ma per quanto premesse sul pulsante
questo non voleva saperne di funzionare.
Era un’opzione che Steve aveva previsto, per
questo durante il loro scontro era riuscito ad attaccargli un minuscolo
congegno, ideato da Amadeus, in grado di annullare i dispositivi elettronici
nel raggio di pochi metri esclusi i suoi.
Il pericolo però non era passato, perché
pochi istanti dopo arrivarono numerosi agenti di U.L.T.I.M.A.T.U.M. in soccorso del loro leader.
<APRITE IL FUOCO!> gridò questi, mentre
Steve azionò il suo scudo fotonico e si avvicinò rapidamente a Solo.
<Sta dietro di me, posso riparare
entrambi!> disse, ma prima che la pioggia di proiettili si abbattesse su di
loro, Steve e Solo sparirono in un lampo di luce, lasciando quel posto come se
non fossero mai stati lì.
<Solo... quel maledetto... è senz’altro
opera sua!> intuì lo Spezzabandiera, poi disse,
rivolto ai suoi uomini <Non posso essersi trasportati troppo lontani! Sono
ancora dentro l’edificio! TROVATELI ED ELIMINATELI!>
Madripoor, Princess Casinò.
Ogni casinò che si rispetti ha un tavolo per
un gioco di carte che a seconda della nazione e di qualche variante viene
chiamato Baccarat, 21 o Blackjack, il Princess non
faceva eccezione.
Ad uno dei tavoli di Blackjack sedeva una
giovane donna dai lunghi capelli neri che indossava un abito da sera molto
elegante e molto costoso che le lasciava scoperte le spalle e la schiena.
Stava giocando forte con alterne fortune;
aveva già perso parecchio denaro ed in più era visibilmente brilla.
In quel momento, nel posto rimasto vuoto proprio
davanti a lei si sedette un massiccio uomo biondo con i capelli tagliati a
spazzola.
<Spero che non vi dispiaccia se mi unisco
al gioco.> disse con un accento che lo identificava, almeno per chi avesse
un orecchio allenato, come un americano del Profondo Sud.
Nessuno ebbe da ridire. La giovane donna lo
squadrò con uno sguardo decisamente interessato.
La giapponese alle sue spalle si mantenne
impassibile.
Il mazziere dette le carte. Il nuovo arrivato
ebbe fortuna e fece blackjack[1] con
le prime due carte. La partita proseguì
abbastanza equilibrata poi il biondo cominciò a vincere sistematicamente senza
mai sballare.
Al contrario, la donna bruna perdeva sempre
di più. Il mazziere lo guardava con sospetto: nulla nell’atteggiamento del
giocatore faceva pensare che stesse contando le carte, cosa quasi impossibile
del resto, e quel tizio non sembrava certo come Dustin Hoffman in Rain Man.
A poco
a poco gli altri giocatori si ritirarono finché…
<A quanto pare, siamo rimasti solo noi
due, Mister…?>
< Beam. James Beam.> rispose lui.
<Jim Beam?>
cinguettò lei <Come la marca di Whiskey preferita da Janice
Joplin? Che cosa divertente... io mi chiamo Cheer Chadwick.>
<Se vuole ritirarsi, Miss Chadwick…>
<Ma niente affatto. Mazziere, dia le
carte.>
Il mazziere distribuì a ciascuno una carta
coperto poi dette un 9 a Cheer Chadwick,
un asso all’enigmatico Jim Beam ed un sette a se
stesso.
Voltò subito la sua carta coperta: era un
dieci e secondo le regole fu obbligato a stare.
Cheer aveva sul volto
un’espressione soddisfatta.
<Sto.> annunciò <A lei, Mr. Beam.>
L’uomo rimase silenzioso per qualche secondo
poi disse:
<Carta.>
Il mazziere gli passò la carta e lui disse:
<Sto.>
Con un sorrisetto insolente Cheer Chadwick scoprì la sua
carta: era un asso.
<Venti.> annunciò in tono eccitato.
<Un bel punteggio, Miss Chadwick…> commentò Jim Beam
voltando la prima delle sue carte: un re <… ma temo che non basti.>
Con studiata lentezza voltò l’ultima carta:
era un dieci.
<Ventuno.> disse freddamente.
Cheer Chadwick
impallidì e per un attimo ci fu chi pensò che sarebbe svenuta poi si riprese e
si rivolse al vincitore:
<Come dicono in America, Mr. Beam, lei mi ha ripulita.>
<Mi dispiace Miss Chadwick,
non era mia intenzione.>
<Oh, non importa. Ho ancora un po’ di
credito qui al casinò. Lei è americano, giusto? Non mi dica che è del Kentucky
come il suo omonimo.>
<Di Jacksonville, Florida.>
<Che ci fa un americano qui a Madripoor?>
<Potrei farle la stessa domanda, Miss Chadwick. Anche lei è americana se non sbaglio.>
<Diciamo che sono una turista di lusso… un
po’ più povera adesso.>
<Ma non per questo meno bella> disse
l’uomo, in modo molto galante <a questo punto mi permetto di farle un offerta:
rinuncio alla vincita, se lei mi concede l’onore di prendere un drink con
me.>
Un’espressione di sollievo si dipinse sul
volto della ragazza.
<Io… non so cosa dire.> balbettò la
donna <Lei è un vero gentiluomo, Mr. Beam. La
ringrazio, accetto la sua offerta.>
<Ne sono felice.> disse lui, facendole
il baciamano, poi alzò lo sguardo, incrociando il suo.
<Anzi, credo che potremmo concludere la
nostra piccola transazione nella mia suite, al riparo da occhi indiscreti.>
disse Cheer con un sorrisetto ammiccante.
<Non credo che…> cominciò a dire la
giapponese finora rimasta silenziosa.
<Non ho chiesto il tuo parere, Yuriko.> replicò Cheer
seccamente <Allora cosa ne dice?>
<Mi sta benissimo.> rispose il biondo.
In un
salottino poco distante.
Un ragazzo coreano che dimostrava all’incirca
16 anni esplose in un urlo di trionfo.
<Evvai, è fatta!
L’ha agganciata come previsto.>
<Non certo per l’abilità di seduttore del
nostro amico.> commentò divertito James Buchanan Barnes.
<Lo avevo visto che lei se lo mangiava con
gli occhi e non è certo una timida.>
<Decisamente no. Ad ogni modo non avrebbe
funzionato se lui non avesse vinto ed è tutto merito tuo, devo riconoscerlo.
<Ah, tutto merito di una mente brillante…
e della microcamera nascosta nel papillon del nostro amico e naturalmente
dell’auricolare con cui gli suggerivo le mosse.>
<Devo ammetterlo: sono rimasto
impressionato di come sei riuscito a contare le carte senza sbagliare mai.>
<Ho sempre avuto un’ottima memoria. Rain Man mi fa un
baffo.>
<Rain chi?>
<Un film, roba di prima che ti
risvegliassero. Se avrai tempo, guardalo. Anche lì c’è uno che conta le carte.
Avevo già provato questo trucchetto a Las Vegas ma stava per costarmi caro.>[2]
<Posso immaginarlo. Adesso vediamo che
combina il nostro socio e speriamo di non assistere a scene troppo spinte.>
<Ah, non credo che sia nello stile del
nostro amico... non è certo James Bond.> replicò ridacchiando Amadeus.
Tap Kwai
Sharon Carter cercava di mostrarsi ottimista
ma sapeva bene che lei e gli altri della sua squadra avevano poche speranze di
cavarsela. Il passaggio per il confine con il Sin-Cong
era ancora lontano ed a piedi nella jungla loro procedevano troppo lentamente.
<Stringete i denti.> disse <Non
manca molto.>
Dubitava di ingannare qualcuno dei membri ma
non aveva importanza.
Lei era la caposquadra e sua era la
responsabilità di portare la sua squadra fuori dal disastro che si era rivelata
quella missione.
Capiva adesso come si sentivano Steve Rogers
e Nick Fury in circostanze simili.
Il comando non è piacevole per chi ha una
coscienza.
Erano appena sbucati in una radura che ebbero
una sgradita sorpresa: il Generale Hong Fan li stava aspettando fiancheggiato
da numerosi uomini armati.
<Benvenuta Carter.> disse ridacchiando
<Aspettavo con ansia di rivedere te ed i tuoi amici.>
<Se credi che ci arrenderemo facilmente,
hai fatto male i tuoi conti, bastardo!> intervenne Nomad.
<Invece è proprio quello che mi aspetto che
facciate, se non volete morire qui e subito.>
Le parole di Hong Fan furono sottolineate dal
rumore di elicotteri in avvicinamento.
Hotel
Las Arenas, Valencia, Spagna.
Steve e Solo si materializzarono dall’altra
parte dell’hotel.
<Ma come... dove...> si domandò Steve,
disorientato e sorpreso.
<Qualsiasi cosa hai usato su Bandiera per
non fargli azionare la bomba, ha disattivato il congegno che stava utilizzando
per bloccare il mio teletrasporto.> spiegò Solo <Sembra però che funzioni
ad intermittenza e per solo brevi tratti.>
<Quanto basta per toglierci le castagne
dal fuoco, però.> fece notare Steve.
<Già. Ci darò il tempo di pensare ad
un’offensiva.> disse Solo, cambiando il caricatore dell’Uzi
che era riuscito a recuperare prima di teletrasportarsi.
<Devo contattare i miei compagni, loro
potranno aiutarci a fermarli e a liberare gli ostaggi.> disse Steve.
<Fa quello che devi. Il mio obiettivo è lo
Spezzabandiera.>
<Non è un’impresa semplice, specie se si
agisce da soli, come il tuo nome suggerisce. Sono molto numerosi e molto ben
organizzati.>
<Non m’importa. Mi basta eliminare il solo
Bandiera. Fatta fuori la testa, il corpo la seguirà.>
<Non puoi attaccare a testa bassa, senza
una strategia. Dobbiamo pensare ad un piano d’azione.>
<Ascolta, ti ringrazio per avermi salvato
la vita prima, ma con questo siamo pari e non ti devo più nulla. Non venirmi a
dire come fare il mio lavoro: ho molta più esperienza di te contro pazzi come
loro, so come si fa.>
Steve si dovette trattenere dal colpirlo.
Quel tizio lo irritava in molto modi.
Quell’allusione poi... gli sarebbe piaciuto
molto rivelargli la sua vera identità e fargli rimangiare quella frase sulla “maggior esperienza”.
Ma c’erano degli ostaggi in ballo, e non era
certo quello il momento di cedere agli eccessi di testosterone.
Ingoiò la rabbia e lo lasciò andare: ognuno a
modo proprio, avrebbero fatto tutto il necessario per evitare morti innocenti.
Madripoor.
John Walker- anzi, Jim Beam,
come aveva deciso di farsi chiamare durante quella missione – stava
accompagnando Cheer Chadwick
nella sua stanza: la donna, ubriaca champagne e inebriata dal fascino del suo
aitante accompagnatore, era visibilmente eccitata, e non si astenne nel
mostrare il suo apprezzamento tastandogli le chiappe durante la salita in
ascensore.
Molti uomini erano a loro agio davanti a
tanta spregiudicatezza, ma non John, anche se la posta in palio era troppo alta
e cercò di trattenere il proprio disappunto.
Per sua fortuna, la stanza della ragazza non
distava molto.
Una volta dentro la camera la donna cercò di
baciarlo ma John elegantemente declinò.
<Aspetta un momento, solo un momento.
Abbiamo tutta la notte, dopotutto... voglio prima festeggiare il nostro
incontro.> disse, stappando la bottiglia di champagne che aveva portato con
sé.
Riempì due flute e ne porse uno alla sua
compagna.
<A noi, per celebrare questo magnifico
incontro.> disse lui, molto galantemente.
<Si, a noi... e alla meravigliosa notte di
passione che ci aspetta.> rispose lei, mandando giù il bicchiere.
Dopodiché provò nuovamente a baciarlo, ma la
vista le si annebbiò.
<Uh, non so cosa mi sia preso... scusa un
momento... forse ne ho bevuto uno di troppo....> si sedette ai piedi del
letto e un istante dopo cadde, priva di sensi.
Solo i pronti riflessi di Walker le
impedirono di sbattere contro il pavimento.
<Finalmente... > sospirò, poi parlò nel
microfono che aveva con se.
<Qui U.S.Agent.
Il pesce è nella rete, ripeto: il pesce è nella r...>
La frase venne interrotta quando John vide la
porta della stanza lacerarsi davanti a lui come se fosse stata di carta.
Era Yuriko Oyama ovviamente: per i suoi artigli di adamantio pochi
centimetri di legno, plastica e metallo non rappresentavano un ostacolo.
Disattivò l’induttore di immagini e i suoi
abiti svanirono, rivelando l’armatura di Lady Deathstrike.
<Allontanati da lei, biondo. Io non mi
bevo le tue cazzate.>
<Cacchio. Butta male... > osservò
Agent.
I lunghi artigli della giapponese gli
sfrecciarono davanti, John li evitò per un pelo, non impedendo però ai suoi
abiti di venire lacerati.
Qualcosa doveva aver messo in guardia Yuriko sull’interesse di John verso la Chadwick.
Chissà cosa lo aveva tradito, pensò Agent
mentre evitava i fendenti della donna.
La puntata troppo alta? La vincita sospetta?
Il rifiuto ad incassarla in cambio di un invito da parte sua? Qualunque cosa fosse stata, aveva mandato a
monte un piano perfetto, e ora si trovava proprio nella situazione che voleva
evitare.
Schivò un’artigliata ma si rese bersaglio per
un calcio che la donna piazzò con rapidità e precisione.
La killer nipponica era troppo potente da
affrontare senza lo scudo, la mobilia andava in pezzi sotto il suoi colpi, e la
stessa sorte prima o poi sarebbe toccata anche a lui, se Bucky
non avesse fatto irruzione sfondando la finestra.
Colse di sorpresa la donna, frapponendosi fra
lei e Agent.
Amadeus intanto, da fuori, attivò l’allarme
antincendio, facendo in modo che gli ospiti al piano fuggissero.
Bucky porse lo scudo al suo
compagno, ancora stordito per il colpo ricevuto, e puntò il suo fucile contro
di lei.
<Non muoverti. Fai un solo passo e ti
riempio di piombo.>
Come risposta Yuriko
ebbe solo un sorriso beffardo per lui, e quando Bucky
aprì il fuoco, si riparò dietro i lunghi artigli di adamantio, proteggendosi.
<Sta attento Barnes, quelle unghie
tagliano come il demonio!> lo avvisò U.S.Agent.
Il primo tentativo andò a vuoto, ma il
secondo colse Bucky impreparato, e una seconda
artigliata gli staccò di netto l’arto bionico.
Lady Deathstrike
stava per elargire un colpo letale, come il suo nome suggeriva, ma U.S.Agent, tolti gli abiti scomodi, con indosso il suo
costume e protetto dal suo fedele scudo la caricò come un ariete, sfondando la
parte dietro di lei e ritrovandosi dell’ampio salone della hall del piano.
<Ora mi hai davvero seccato, cane
americano. Ti farò a pezzi.>
<Puoi provarci, bella, ma non sei la prima
a farlo, e come vedi, sono ancora tutto intero.> rispose lui, spavaldamente.
Gli artigli di lei andarono a scontrarsi
contro lo scudo di lui, ed era come musica per le orecchie di John Walker, ma a
poco a poco l’americano notò come gli arti e le unghie della donna stessero
iniziando a crescere; il loro allungo si faceva sempre maggiore e per U.S.Agent le possibilità di piazzare un colpo vincente si
riducevano sempre più.
Quando un affondo della giapponese andò a
vuoto Agent, impugnando lo scudo a due mani e facendo appello alla sua
superforza, ne approfittò per colpirla e, come aveva fatto lei con Bucky, la privò dell’arto artificiale che per fortuna non
era ricoperto di adamantio come le unghie.
<URGH! Dannato bastardo!> disse lei per
la rabbia, e colpendo con l’altra mano riuscì a rendergli la pariglia,
ferendolo tra la spalla sinistra e il torace, lacerandogli il costume e
facendogli quattro profondi tagli.
<AAARGH!> gridò lui, per il dolore.
Cadde a terra, sanguinando.
Lady Deathstrike
era sul punto di ucciderlo.
Bucky intervenne
all’ultimo momento, impugnando con l’altra mano il mitra e scaricandole il
caricatore in corpo.
Neppure questo bastò per ucciderla, ma recò
alla donna cyborg diversi danni.
U.S.Agent fu sopra di lei e di
nuovo impugnando lo scudo con entrambe le mani ripetè
l’operazione di prima mutilandola dell’altra mano.
<Uccidimi, gaijin. Uccidimi o credimi, verrò
a cercarti per farlo io!> disse la donna.
<Ti aspetterò.> rispose Agent,
colpendola con un pugno e privandola dei sensi.
<Stai bene?> gli chiese Bucky.
<Più o meno. Tu?>
<Uguale. Questa strega era dannatamente
tosta.>
<Già, ma pure noi non siamo stati tanto
male, amico.>
<La Chadwick?>
<Sta ancora dormendo. Il sonnifero che le
ho dato era molto potente. Missione compiuta, ce l’abbiamo fatta.>
E anche sul volto dell’impassibile Soldato
d’inverno apparve un accenno di sorriso.
Tap Kwai
Erano di nuovo nella fortezza ma stavolta da
prigionieri.
Sharon Carter non si faceva illusioni: era
certa che Hong Fan intendesse uccidere lei e gli altri della squadra ma prima
avrebbe voluto divertirsi a torturarli, il che avrebbe potuto dar loro
un’occasione ammesso che fossero in grado di sfruttarla.
Furono portati in un ampio salone nei
sotterranei ed immobilizzati contro le pareti da robuste catene che
consentivano loro solo pochi movimenti.
<Non esattamente un trattamento da Grand Hotel, direi.> commentò Paladin,
privato della sua armatura.
Hong Fan si strinse nelle spalle e replicò:
<Mi dispiace che non lei apprezzi la mia
ospitalità, Mr… non credo di sapere il suo nome.>
<Mickey Mouse. Se vuole le presento i miei
amici Donald, Minnie e Daisy.>
<Davvero spiritoso ma tra poco potresti
perdere la voglia di scherzare, te lo assicuro, porco Yankee. Se non credi a
me, chiedi a lei.>
Il Generale Volse lo sguardo verso Sharon con
un sinistro sorriso sulle labbra e disse:
<E così, Sharon Carter, dopo tanto tempo
sei di nuovo mia gradita ospite.>
<Il piacere non è reciproco, credimi.> ribattè lei con voce dura.
<Non sei cambiata, vedo, sempre arrogante.
Bene, in onore dei vecchi tempi voglio essere generoso: dimmi chi vi ha mandato
a liberare il Maggiore Hoy ed avrete tutti una morte
rapida senza sofferenze.>
<Davvero un’offerta generosa ma per quanto
mi riguarda non intendo accettarla.> replicò Paladin.
<E se non fossimo in presenza di signore,
ti direi dove puoi ficcartela.> aggiunse Nomad in
tono sprezzante.
<Ben detto.> disse Diamante.
Yukio rimase silenziosa.
Sharon si lasciò sfuggire una risata mentre
il labbro superiore di Hong Fan tremava dalla rabbia.
<Molto bene, quello che accadrà lo avrete
voluto voi, sarà solo colpa vostra!>
Li avrebbe fatti torturare ovviamente, pensò
Sharon: alta tensione, waterboarding o magari qualcosa di molto peggio, gli
orientali conoscevano metodi di infliggere dolore che nemmeno si potevano
immaginare. Sharon rabbrividì involontariamente.
Tutta colpa di quel bastardo di Rawlins che
li aveva usati e poi traditi. Se fosse riuscita ad uscire viva di lì, avrebbe
subito la sua vendetta.
I torturatori si avvicinarono ai prigionieri.
<Lasciate stare le donne.> ordinò Hong
Fan <Per loro c’è un uso migliore.> si volse ancora verso Sharon ed
aggiunse <Tu resterai a guardare. Conoscendoti, per te sarà peggio che
essere torturata tu stessa.>
Sharon non disse nulla.
I due uomini furono spogliati fino alla
cintola ed i torturatori iniziarono ad incidere il petto. Paladin
e Nomad strinsero i denti decisi a non dare ai loro
aguzzini la soddisfazione di sentirli urlare ma per quanto avrebbero resistito?
Sharon sentiva crescere la collera e la frustrazione, costretta com’era a
guardare impotente il tormento dei suoi amici.
<Ah
ah ah ah! Non ti diverte, vero puttana? E quello che aspetta te e le tue
amiche è forse peggiore ...> disse Hong Fan con un tono volutamente crudele.
<Io non sono affatto sua amica,
generale.> disse Yukio.
<Ma davvero? Che peccato allora che tu
abbia sbagliato a sceglierti la compagnia ...>
<No, dico davvero. Mi hanno assunta perché
conoscevo il territorio. Sono qui per denaro, unicamente per questo. Non ho
alcuna intenzione di condividere il loro fato. La prego generale, deve
credermi... non mi lasci con questi uomini, non ho nulla a che spartire con
questa donna e la sua squadra! Sono disposta a tutto, glielo giuro... come ha
detto lei, c’èun uso migliore che può fare di me...
>
Hong Fan la osservò attentamente. Era una
gran bella donna, con un corpo atletico, e per di più asiatica.
<Tsk, donne... pronte a vendervi alla prima occasione>
sentenziò Hong Fan <Ma devo ammettere che sei molta bella. Ok, va bene:
liberatela. Lei viene con me ...> disse a uno dei suoi uomini < A voi
rimarranno comunque le altre due.>
Yukio venne liberata, e si allontanò con Hong
Fan, dovendo subire il suoi volgari e disgustosi palpeggiamenti.
<Come dicevo, ragazza, dovresti sceglierti
meglio le tue compagnie... > osservò trionfo il generale.
Quando il numero degli uomini attorno a loro
diminuì, Yukio fece la sua mossa muovendosi con incredibile rapidità: colpì il
generale con una gomitata e gli sottrasse la pistola che portava nella fondina.
<Lo stesso si potrebbe dire a te, pezzo di
merda!> esclamò la donna, torcendogli un braccio dietro la schiena e
puntandogli la canna della pistola alla tempia.
<Adesso dì ai tuoi uomini di abbassare le
armi e di liberare i miei amici.>
Hong Fan tremava e sudava come un maiale.
<Muoviti bastardo! O ti faccio saltare il
cervello!> ordinò Yukio, aumentando la stretta <ORA!>
Hotel Las Arenas,
Valencia, Spagna, settore spa.
Donna Maria Puentes stava sudando freddo.
Per la seconda volta nella sua vita si trovava costretta a disinnescare
una bomba con poco tempo a disposizione e molte persone la cui vita dipendeva
dal successo delle sue azioni.
Era in questi momenti che si chiedeva perché avesse scelto una vita del
genere.
Accantonò quei pensieri e svuotò la sua mente da qualunque cosa che non
fosse il suo attuale compito.
Jack Flag si sentiva frustrato. In circostanze come quella le sue
capacità erano del tutto inutili: poteva solo stare a guardare mentre le due
donne cercavano di rendere inoffensiva la trappola esplosiva dello Spezzabandiera.
In quel momento il terrorista in questione era da qualche parte e stava
sicuramente lottando con Steve Rogers. Avrebbe potuto essere a pochi metri di
distanza ma poteva anche essere sulla Luna visto che Jack non avrebbe potuto
raggiungerlo perché tra loro e gli altri c’era una rete di fili e probabilmente
di sensori di movimento.
Un passo sbagliato e le bombe si sarebbero attivate distruggendo l’hotel
ed uccidendo tutti gli occupanti.
Una morte nel fuoco che a fanatici come quelli di U.L.T.I.M.A.T.U.M.
sembrava probabilmente un martirio in un alone di gloria.
Donna Maria non aveva alcuna intenzione di morire quel giorno nella terra
da cui alcuni dei suoi antenati erano partiti tanti secoli prima ma era il
momento di considerazioni del genere. Strinse le labbra e tagliò un filo.
Non accadde niente e ci fu un collettivo sospiro di sollievo.
Yelena attivò il suo comunicatore da polso:
<Attenzione, Comandante Sandoval: il perimetro è sicuro, potete fare irruzione.>
<<Chi è lei?>> chiese lo spagnolo perplesso perché, per la
seconda volta, qualcuno si era inserito nella sua frequenza radio.
Yelena aveva già spento il comunicatore.
Hotel
Las Arenas, Valencia, Spagna, in un altro settore.
La situazione era degenerata, pensò lo Spezzabandiera.
La
missione si era trasformata in un disastro, per colpa dell’uomo dello
S.H.I.E.L.D. e di Solo.
Imprecò diverse volte, poi pensò che forse
poteva ancora farcela.
Aveva un ultimo piano che, per quanto
disperato fosse, poteva fargli raggiungere i suoi obiettivi.
Occorreva solamente prendere degli ostaggi
prima che le forze speciali li traessero tutti in salvo.
Il destino però pareva avere altri piani per
lui.
In fondo al corridoio, dal nulla, Solo si
materializzò davanti a lui.
<Per te è finita, Bandiera.> disse
senza indugi.
Sparò una raffica che il terrorista non potè evitate completamente, venendo ferito di striscio al
braccio.
Il leader di U.L.T.I.M.A.T.U.M. afferrò la
beretta dalla fondina e iniziò a sparare per coprirsi la fuga.
Solo non si fece intimorire e gli andò
dietro.
<Sono i tuoi ultimi colpi di coda. Oramai
sei mio!> disse, seguendo la scia di sangue, col dito sul grilletto pronto a
scattare.
Lo Spezzabandiera
aveva finito i colpi.
Solo era riuscito a rintracciarlo.
Gli puntò contro la sua arma e il suo
avversario si sarebbe ritrovato un cadavere ricoperto di fori sanguinolenti se,
all’improvviso, Steve Rogers non fosse comparso, disarmando Solo della sua arma
con un calcio.
I colpi di pistola di prima gli avevano
evidentemente segnalato la loro posizione.
<Basta così, è finita. La crisi è
rientrata, gli ostaggi sono in salvo. Non c’è bisogno di spargere altro
sangue.> esclamò Steve.
<Ma sei impazzito? Sei venuto fin qui per
fermarlo e ora m’impedisci di eliminarlo?>
<Ha troppi crimini di cui rispondere, e
molte informazioni da fornici. Andrà in prigione, non all’obitorio.>
<SEI UN FOLLE!> gridò Solo,
scagliandosi furente contro di lui.
Steve evitò il suo pugno, ma Solo pareva non
volersi calmare, e continuava ad attaccare.
<Voi pazzi dal cuore tenero non fate altro
che incentivare l’operato di questi criminali! Non vi temono, sanno che tanto
ci andrete leggeri, e che altri loro compagni arriveranno a liberarli! Ma non
capisci che è un circolo vizioso? Io posso spezzarlo! Io posso fermarli
tutti!>
Mentre rispondeva ai colpi, Steve rispondeva
a tono:
<Ne ho abbastanza di discorsi come il tuo!
Ne ho sentiti a iosa, e non mi hanno mai convinto! Siamo diversi da loro, non
possiamo usare i loro stessi mezzi! È proprio questa la questione, non lo
capisci? Dobbiamo dimostrarci migliori!>
La disputa ideologica e quella sul piano
fisico vennero interrotte dall’intervento dello Spezzabandiera.
<Siete due... totali idioti! Vi dannate
tanto l’anima, ma per quanto mi riguarda siete uguali... salvaguardate lo
status quo di una società che si basa su concetti obsoleti e antietici come
nazionalità e territori! Vi odio entrambi e ucciderò entrambi!>
Dalla cintura aveva estratto un dispositivo e
se l’era attaccato sul petto.
<Non mi avrete mai, non finirò in una
gabbia! Salterò in aria con tutto il piano e vi porterò con me! Non sono
riuscito a liberare i miei compagni, ma dimostrerò al mondo come
U.L.T.I.M.A.T.U.M. sia disposto a tutto per la causa, che non ci fermeremo
davanti a nulla! Altri prenderanno il mio posto! E presto libereremo il mondo
da porci nazionalisti come voi! Noi...>
Non terminò la frase perché Solo fu lesto ad
afferrare una pistola dalla fondina che aveva alla coscia e gli sparò quattro
colpi al petto, facendogli frantumare la vetrata alle sue spalle e facendolo
così precipitare. Il caso volle che il cadavere crivellato cadesse proprio
nella piscina sottostante, colorando di rosso l’acqua.
<Avrei potuto fermarlo nello stesso modo
in cui l’ho fermato prima.> disse Steve, facendo riferimento a quando aveva
neutralizzato il comando della bomba precedente.
<Si, ma così lui sarebbe ancora vivo.>
<Non capirò mai quello che passa per la
testa ai pazzi come te ...> disse Steve.
<E io non capirò mai come voi benpensanti
vi ostiniate a non vedere come io abbia ragione.> disse Solo con tono
sprezzante, e fissando Steve negli occhi, premette un pulsante nel suo
equipaggiamento e attivò il sistema di teletrasporto, abbandonando quel luogo.
Poco dopo, le autorità spagnole circondarono
la piscina col cadavere galleggiante.
Diego Sandoval smascherò lo Spezzabandiera davanti a Steve e a Maria Cortez.
<Come immaginavo.> disse Steve
<Costui non è l’originale Spezzabandiera, Karl Morgenthau, figlio di un diplomatico svizzero. Mi chiedo se
i suoi uomini fossero al corrente della cosa, se lui fosse un sostituto
designato o un usurpatore.>
<In ogni caso, che fine ha fatto il suo
predecessore?> chiese Sandoval.
<Bella domanda.> disse Steve.
<Qualcuno sa dirmi qualcosa di questo
pazzo?> chiese la Cortes.
<Da.>
disse la Vedova Nera <Io lo conosco. Si chiama Davor
Vastic, un ex mercenario croato. Era appena un
ragazzino quando ha assistito ai massacri etnici nella sua terra natale come
potete immaginare questo lo ha segnato profondamente..>
<Lo immagino molto bene.> commentò in
tono amaro Steve.
<Appena gli fu possibile si arruolò
nell’Esercito croato ma fu congedato perché mentalmente instabile. Andò a
lavorare per una società di contractor molto attiva nei conflitti africani.
Credo che sia allora che ha maturato l’odio per i nazionalismi.>
<Sai molte cose.> commentò Jack Flag.
<La mia nazione ha molti interessi in
Africa ed il suo nome e la sua foto comparivano in un dossier che ho studiato
nel corso di una missione. Da qualche tempo era scomparso ed ora sappiamo il
perché.>
Maria Pilar Cortes si schiarì la voce e
disse:
<Sembra che dobbiamo ringraziarvi,
chiunque voi siate… una squadra molto… particolare direi: un’agente del
servizio segreto militare russo, un supereroe americano e due agenti dello
S.H.I.E.L.D. di cui una viene sicuramente dall’America Centrale. Com’è che non
ho mai sentito parlare di voi?>
<Siamo un’unità speciale e molto
discreta.> spiegò Steve <E preferiremmo rimanerlo. Sarebbe bene che il
nostro coinvolgimento non fosse reso pubblico.>
<Capisco.> fece la donna
<Ufficialmente la situazione sarà stata risolta da un’unità speciale della
Guardia Civil. Le sta bene Comandante…?>
<Il mio nome non ha molta importanza e la
trovo una soluzione ottima.>
<Non mi entusiasma l’idea di prendermi
meriti non miei…> intervenne Sandoval <… ma comprendo la situazione.>
<Mai una volta che ci prendiamo la
gloria.> commentò Donna Maria con una strizzatina d’occhio.
<Immagino che abbiate bisogno di un mezzo
per allontanarvi non visti da qui. Il Comandante Sandoval potrà provvedere, non
è vero Diego?>
<Seguro,
Señora Segretaria.> rispose il giovane
ufficiale poi si rivolse a Steve <Vi farò avere delle divise e dei caschi
integrali. Uscirete confusi tra i miei uomini e dopo potrete andare dove
vorrete.>
Steve fece il saluto militare e replicò:
<Gracias, Comandante.>
Tap-Kwai.
In breve, Sharon e il resto della squadra fu
liberato. Yukio dettava gli ordini e il generale faceva in mondo che i suoi
uomini li eseguissero. Nessuno osò fermarli mentre Yukio teneva sotto mira Hong
Fan. Raggiunsero uno degli elicotteri e
vi salirono a bordo. Sharon si mise ai comandi ed il velivolo decollò in pochi
istanti.
<Ci inseguiranno.> disse Diamante.
<Anche se lo faranno, non oseranno tentare
di abbatterci finché abbiamo a bordo il loro prezioso generale.> affermò Paladin <Ed una volta che avremo superato il confine non
oseranno seguirci per timore di provocare un incidente diplomatico con il Sin-Cong. Nessuno vuole un’altra
guerra da queste parti… non per noi perlomeno.>
Hong Fan sedeva cupo e silenzioso sotto gli
occhi vigili di Yukio e di Jack Monroe che aveva uno sguardo truce.
Come Sharon aveva immaginato i caccia e gli
elicotteri del Tap-Kwai cessarono l’inseguimento una
volta superato il confine.
<Ce l’abbiamo fatta!> esultò Rachel.
Sharon si lasciò andare ad un sospiro di
sollievo poi guardò Hong Fan e Yukio e si rivolse alla giapponese:
<Non ci serve più. Buttalo di sotto.>
<Cosa?> esclamò uno stupito Nomad.
<Con molto piacere.> replicò Yukio ed
aiutata da Sharon spinse fuori dall’abitacolo il generale.
Udirono le sue urla mentre precipitava e Jack
rivolse uno sguardo amareggiato a Sharon dicendo:
<Lo avete ucciso.>
<Non è detto.> replicò lei <Non era
una grande altezza. La vegetazione può aver attutito l’impatto. Certo, anche se
fosse sopravvissuto potrebbe essersi fratturato qualche osso o imbattersi in
una tigre, un serpente… o una pattuglia di confine del Sin-Cong. Non mi riguarda: non provo pietà per lui, non dopo
quello che ha fatto.>
Si riferiva alle torture di cui Paladin e Nomad erano stati
vittime o a qualcos’altro, qualcosa accaduto in quel passato di cui Sharon non
parlava mai? Nessuno osò chiederlo.
L’elicottero proseguì per la capitale del
Sin-Cong dove li stava aspettando il loro jet per
riportarli a casa.
Oceano
Indiano. Acque Internazionali.
Cheer Chadwick
riprese i sensi ancora frastornata per la sbornia e faticò a capire dove si
trovasse. Non era la sua suite ma una
cabina piccola con pareti di metallo e c’era un leggero rollio.
Si
trovava a bordo di una nave? Come c’era arrivata? Finalmente riuscì a mettere a fuoco la vista
e si trovò di fronte U.S.Agent, affiancato da un
ufficiale della Marina degli Stati Uniti e da altri due che lei non conosceva:
un giovanotto dai capelli castani ed un adolescente asiatico.
<Dove sono?> chiese con la voce ancora
impastata.
<A bordo della Portaerei U.S.S. Simon
Savage in rotta verso Guam.> rispose l’ufficiale.
<Cosa? Come?>
Con voce stentorea U.S.Agent
disse:
<Cheer Chadwick, in nome del Popolo degli Stati Uniti d’America la
dichiaro in arresto.>
Enumerò i vari reati di cui era accusata ed i
suoi diritti costituzionali ed infine aggiunse:
<Ha capito bene?>
Per tutta risposta Cheer
gridò:
<È un sopruso. Sono stata rapita e portata
qui contro la mia volontà. Questo arresto è illegale!>
<È perfettamente legale, invece.> ribattè l’ufficiale <Abbiamo ricevuto una chiamata di
soccorso un idrovolante rimasto senza carburante che segnalava di avere a bordo
una persona bisognosa di cure, ovvero lei. L’abbiamo portata a bordo e come di
prassi abbiamo fatto un controllo sui suoi documenti, controllo da cui è
risultato che lei era ricercata negli Stati Uniti e poiché questa nave è
territorio americano il suo arresto da parte di un agente federale munito di un
regolare mandato è assolutamente valido. Per pura coincidenza U.S. Agent si
trovava a bordo da ieri.>
Bucky Barnes fece un
sorriso sornione al sentir parlare della” fortunata coincidenza”.
In realtà avevano lasciato Madripoor sull’idrovolante di Archie Corrigan
come da accordi con la Principessa Jessan, che aveva
deciso di chiudere un occhio sul casino combinato all’hotel.
Avevano lasciato Agent a Singapore dove si
era imbarcato sulla Savage mentre loro erano ripartiti ed avevano inscenato la
commedia della passeggera malata.
Era importante che non si sapesse che in
tutta la vicenda era coinvolto un agente federale.
Corrigan era tornato a Madripoor con un bel gruzzoletto in tasca ed avrebbe tenuto
la bocca chiusa.
L’ufficiale, che era un membro del J.A.G.[3]
concluse il suo discorso:
<Naturalmente, se lei sostiene che questi
due privati cittadini l’hanno rapita e portata qui contro la sua volontà, può
denunciarli e la sua denuncia sarà trasmessa alle autorità competenti non
appena arriveremo in porto ma ciò non invaliderà il suo arresto.>
Bucky sorrise ancora.
Aveva idea che se anche Cheer Chadwick
avesse fatto quella denuncia, sarebbe stata convenientemente dimenticata.
Mentre Cheer
correva in bagno a vomitare anche l’anima, lui ed Amadeus uscirono sul ponte.
Il ragazzo disse:
<Ora finalmente i miei genitori e mia
sorella possono riposare in pace.>
<Amen.> replicò Bucky.
EPILOGO
Villa
Carter, Virginia.
Sharon osservò sua figlia Shannon dormire
pacificamente e riflettè su quanto fosse andata
vicina a lasciarla orfana. Con la vita che sia lei che Steve Rogers conducevano
era un rischio che correvano praticamente ogni giorno eppure non l’avrebbero
mai lasciata e di questo erano entrambi consapevoli. Steve lo faceva per un suo
personale senso del dovere e lei? Amore
per l’avventura o che altro?
Accarezzò delicatamente i capelli della
piccola Shannon e proprio in quel momento il campanello suonò per fortuna senza
svegliarla.
Sharon si affrettò verso il portone
d’ingresso della villa che una cameriera solerte aveva già aperto per far
entrare un uomo attraente dai capelli ed occhi castani che indossava un
elegante completo blu chiaramente fatto su misura con un’immacolata camicia
bianca ed una cravatta con i colori dell’università di Yale. Sharon si chiese
se fosse un vezzo o se una volta tanto non fosse un particolare che rivelava
qualcosa di quell’uomo enigmatico ma a modo suo affascinante.
<Benvenuto… devo chiamarti Paul?> gli
chiese.
<Paul va benissimo, cara Sharon.>
rispose lui <Ammetto di essere curioso di sapere perché mi hai fatto venire
qui… Senza gli altri a quanto pare.>
<Seguimi e lo saprai.>
Sharon fece strada all’uomo che si faceva
chiamare Paul Denning fino allo studio che era stato
di suo padre e dopo aver chiuso la porta si fermò accanto al camino sopra il
quale campeggiava il ritratto di un suo antenato che doveva risalire al XIX
Secolo a giudicare dagli abiti., un tipo alto dai corti capelli neri, occhi
grigio acciaio e l’aria del tipo tosto. Paladin si
chiese chi potesse essere: un bisnonno, un prozio? Ma in fondo che gli
importava?
Sharon stappò una bottiglia di vino rosso e
ne offrì un bicchiere al suo ospite; non appena lui fu a suo agio, le ruppe gli
indugi:
<Verrò subito dritta al punto.> disse
<William Rawlins.>
<Il figlio di buona donna che ci ha quasi
fatto ammazzare in Tap-Kwai. Immaginavo che tu non
fossi il tipo da fargliela passare liscia.>
<Intendo fargliela pagare, infatti.>
<Non sarà facile incastrarlo.>
<Non m’interessa portarlo davanti alla
giustizia. Voglio farlo fuori come il serpente che è. Ho deciso di parlarne con
te perché so che non avrai problemi ad affiancarmi in una missione del genere.
Diamante si atteggia da dura ma ha il cuore tenero, non ne sarebbe in grado, e
Jack… voglio dire Nomad, non sono sicura se
approverebbe quello che intendo fare a Rawlins.>
<Mentre io non ho certi scrupoli, giusto?
Beh, hai ragione. Ti aiuterò con piacere... e gratis. Peccato però...>
<Cosa? Ti pesa rinunciare ad un compenso?
Credo di avere da parte abbastanza per pagare i tuoi servigi, se è questo il
problema.>
Paladin scosse la testa poi
replicò:
<No, non è questo, è che quando mi hai
chiesto di venire qui, avevo sperato che avessi in mente qualcosa di diverso…
molto diverso.> disse l’uomo, facendo una chiara allusione.
Sharon la colse. Effettivamente, era da
parecchio tempo che non provava il tocco di un uomo e, sebbene non lo ammettesse
mai neppure con se stessa, la cosa cominciava a mancarle.
Paladin - anzi, Paul - non era propriamente il suo tipo,
ma era quel genere di uomo che non poneva domande né giudicava. Mandò giù il
bicchiere pieno tutto d’un fiato, poi disse:
<Ti va di fermarti a cena?>
FINE
NOTE DEGLI AUTORI
Non
molto da dire su quest’episodio che non sia già adeguatamente spiegato. Dando credito a chi lo merita, va detto che
il vero nome dello Spezzabandiera ed il suo
background sono opera di Carmelo Mobilia.
Nel prossimo episodio: un po’ di
meritato riposo per i nostri eroi ma sarà davvero possibile?
Carlo & Carmelo