La storia finora: la dottoressa Emily Snyder
ha accettato di rivelare la vera identità del cosiddetto “Teschio Rosso degli Anni
50” in cambio della completa immunità per tutti i crimini commessi al suo
servizio, pretendendo anche di parlare solo alla presenza di un alto
funzionario del Dipartimento della Giustizia degli Stati Uniti a Washington. Il
Dipartimento accetta le condizioni ed organizza il trasferimento della
dottoressa. Ad accompagnare Emily Snyder
ci sono anche il suo avvocato, Rosalind “Razor” Sharpe e il Procuratore degli
Stati Uniti per il Distretto Sud dello Stato di New York Franklin “Foggy”
Nelson, che anche il figlio della Sharpe, in rappresentanza della Pubblica
Accusa. Il servizio di scorta è comandato dall’esperto Vice U.S. Marshall
Ispettore Sam Gerard e ne fanno parte anche due agenti del F.B.S.A. e due del
F.B.I. che in realtà sono i Vendicatori
Segreti sotto mentite spoglie (a parte il Soldato d’Inverno impegnato in
questioni personali).
Improvvisamente, uno dei motori dell’aereo
esplode e contemporaneamente i piloti cadono vittime di un avvelenamento. Steve
Rogers è costretto a mettersi ai comandi e tentare un atterraggio di emergenza.
E questo, per ora è tutto.
LA
SPIA CHE VENNE DAL FREDDO
Di
Carlo Monni & Carmelo Mobilia
Nei
cieli tra il Maryland e la Virginia
Non era certo la prima volta che Steve Rogers
si trovava in una situazione del genere: gli era già capitato sia durante la
Seconda Guerra Mondiale che dopo il suo risveglio ed il jet in cui si trovava
non era certo più difficile da manovrare di un Quinjet dopotutto.
Al suo fianco, al posto del secondo pilota,
Yelena Belova, nota anche come Vedova Nera, controllava il quadro comandi senza
far trapelare alcun nervosismo, apparentemente fredda come il ghiaccio.
<Il motore numero uno è andato.> disse.
<Ma il numero due regge ancora e dovremmo
avere abbastanza carburante per poter raggiungere una delle piste di
Quantico.>[1]
Proprio in quel momento una seconda
esplosione si incaricò di smentire il suo ottimismo.
<Abbiamo perso anche il secondo
motore.> puntualizzò Yelena.
<Allora non abbiamo scelta. Tenterò di atterrare
sul primo rettilineo che trovo. Tu avverti gli altri di tenersi forte: ci sarà
da ballare.>
<Per fortuna ero la prima al mio corso di
danza.>
Se avesse avuto il tempo di pensarci Steve
avrebbe puntualizzato il tentativo della giovane russa di fare dell’umorismo ma
era troppo concentrato sul suo lavoro. Mentre l’aereo si avvicinava sempre più
rapidamente al suolo i suoi pensieri si permisero una sola divagazione verso
una bambina dai capelli biondi che forse aveva trascurato troppo e che ora poteva
non rivedere mai più. Scacciò quel pensiero con risolutezza: non si sarebbe mai
permesso di morire senza sapere la verità sul legame che univa lui e la piccola
Shannon Carter. Un leggero sorriso gli increspò le labbra. “Non mi ha ucciso il
Teschio Rosso…” pensò “… e non lo farà di certo un bimotore mal funzionante”.
Altrove
L’uomo anziano dal vestito elegante e una
gardenia all’occhiello osservava l’aereo precipitare grazie ad una microcamera
innestata su un drone.
<Tutto come previsto signore, il secondo
motore è esploso proprio al momento calcolato. Ora non hanno altra scelta che
tentare un atterraggio d’emergenza e sperare che vada bene.>
In un luogo ignoto un uomo che vestiva una
tuta verde con stivali rossi ed il cui volto era celato da una maschera rossa a
forma di teschio fece un sogghigno.
<Allora attiva la fase due, Finisher.>
ordinò.
Dal suo punto di osservazione il killer noto
solo come Finisher rispose:
<L’ho appena fatto, signore.>
E fece a sua volta un sorriso maligno.
Richmond,
Virginia.
L’ufficio era decisamente come lei lo voleva,
pensò Sharon Carter guardandosi intorno: nulla di pretenzioso, ma adeguato per
il lavoro che aveva in mente. Contemplò la scritta sul vetro smerigliato della
porta. Diceva semplicemente: S. Carter senza nessuna altra specificazione. Non
prevedeva di ricevere di persona molti visitatori e chi l’avesse cercata
avrebbe saputo comunque chi era e cosa faceva. In più l’edificio era quasi
vuoto dopo la recente crisi immobiliare e questo garantiva sia la privacy che un
sacco di spazio a disposizione se necessario. Sharon aveva considerato l’idea
di richiedere di rientrare nei ranghi attivi dello S.H.I.E.L.D. dopo essere
stata espulsa dalla squadra di Steve ma dopo averci pensato su aveva deciso che
mettersi in proprio era la scelta migliore. Tra le altre cose le avrebbe
permesso di passare più tempo con sua figlia e non era una cosa di poco conto.
Pensare a Shannon le fece tornare in mente Steve. Visti i suoi principi non
poteva biasimarlo per averla buttata fuori dal team: lei stessa un tempo si
sarebbe comportata come lui… prima di diventare cinica e disillusa. Quello che
le bruciava davvero era che l’avesse rimpiazzata così rapidamente e con quella…
quella… si impose di calmarsi e si mise a guardare i file di coloro che aveva
selezionato per il suo team: tutta gente in gamba, ma insofferente alle regole
ed in cerca di uno scopo…. E lei gliene avrebbe dato uno.
Isola
del Teschio, da qualche parte nei Caraibi
Per quanto fosse al suo servizio da tempo,
l’uomo in camice trovava sempre inquietante trovarsi in presenza del Teschio
Rosso e l’idea che quel teschio fosse la sua vera faccia e non una maschera
aumentava l’inquietudine.
<È tutto pronto?> chiese il Teschio con
un tono che sottintendeva guai grossi se la risposta fosse stata un no.
<Abbiamo fatto molta fatica a rimettere
insieme i pezzi e soprattutto a riattivare il software.> rispose l’uomo.
<Non ho chiesto questo.> ribatté il
Teschio Rosso con un tono apparentemente tranquillo <Ho chiesto se è tutto
pronto.>
<Ehm… sì… c’è solo da attivare il
programma.>
<E allora attivatelo, non intendo
aspettare un secondo di più.>
Virginia.
Era un atterraggio difficile certo, ma Steve
ne aveva fatto di peggiori ed era sopravvissuto per raccontarlo. Il problema
era che stavolta aveva la responsabilità di parecchie vite. Non poteva
permettersi di fallire. Quantico era troppo lontana, l’autostrada era troppo
trafficata. Non restava che una coltivazione di tabacco proprio lì di fianco.
Aveva pochi minuti per agire.
In qualche modo riuscì a mantenere l’assetto
dell’aereo quanto bastava per dirigerlo sul posto.
<Tenetevi forte!> urlò a quelli
nell’abitacolo alle sue spalle.
Il suolo si avvicinava sempre di più. Steve
fece scendere il carrello. Sentì l’urto con il suolo, il carrello si spezzò,
l’aereo stava letteralmente scivolando sulla pancia senza perdere
apparentemente velocità nonostante gli sforzi di Steve che borbottava:
<Rallenta, maledetto, rallenta.>
E miracolosamente il velivolo lo fece sino a
fermarsi. Steve si alzò e si diresse nel reparto passeggeri e vide che i suoi
compagni s’erano smascherati, abbandonando le identità fittizie, e avevano
indossato i loro costumi.
<State tutti bene?> chiese.
<Un po’ sbattuti, ma vivi e tutti in buona
salute direi.> rispose Nomad.
<Non proprio tutti.> intervenne Donna
Maria Puentes <Ci sono diversi contusi e l’avvocato Nelson è ferito ad un
braccio.>
<È s-solo una slogatura.> replicò Foggy
Nelson tenendosi la spalla destra. <Non è così grave.>
<Sta zitto Franklin!> si intromise
Rosalind Sharpe <Questi “signori” ci hanno messi in pericolo e gliela farò
pagare! Per fortuna questo bel
giovanotto ha salvato la situazione… e le nostre vite. A proposito, ma lei chi
è?>
<Vorrei saperlo anch’io.> intervenne
Sam Gerard <Voi quattro non siete agenti normali, questo è certo: cosa
siete, supereroi? E tu con questa stella sul petto…> Gerard batté l’indice
proprio sul simbolo sul petto di Steve <… chi sei, il cugino di Capitan America?>
<Più una specie di vecchio zio.>
ribatté Steve con una smorfia che poteva anche essere un mezzo sorriso
<Suggerirei, però, di continuare questa conversazione fuori di qui. Nei
motori non dovrebbe essere rimasta una goccia di carburante, ma non si sa
mai.>
Gerard dovette convenire che aveva ragione.
Essendo tutti i presenti o quasi personale addestrato a reagire alle emergenze,
uscirono ordinatamente.
<Ho delle brutte notizie, gente.> disse
ancora Gerard <La radio di bordo è rotta ed in questo schifo di posto non
c’è campo per i cellulari. Dovremo arrangiarci. Spero che abbiate delle buone
scarpe perché ci vorranno almeno tre ore buone a passo di marcia per
raggiungere Washington a piedi… sempre che le signorine qui presenti, con i
loro abitini aderenti e succinti, non convincano qualche automobilista a darci
un passaggio. Magari in bus>
<Ci risparmi il suo sarcasmo Ispettore
Gerard.> replicò Yelena palesemente irritata <Prima di precipitare
abbiamo lanciato un SOS. Dovrebbero trovarci presto.>
Quando furono abbastanza lontani dall’aereo
Steve si avvicinò a Foggy.
<Mi faccia vedere la sua spalla.> la
esaminò ed infine concluse <sì, è uscita dall’articolazione. Posso
rimettergliela a posto ma la avverto: le farà molto male.>
Foggy sospirò e rispose.
<Lo sospettavo. Uh, cerchi di essere
delicato...> disse Foggy, chiudendo gli occhi.
Steve si puntellò, poi prese il braccio destro
del procuratore e dette uno strappo secco finché non si udì uno “snap” Foggy
urlò è ricadde in avanti, svenuto.
<Me lo aspettavo.> commentò Razor
Sharpe senza muoversi da dove si era seduta <Spero non gli abbia fatto
troppo male.>
“Donna
irritante e fredda come il ghiaccio.” pensò Nomad “Se avessi lei come madre
forse preferirei essere orfano.”
Anche Emily Snyder aveva riportato alcuni
contusioni, seppur nulla di grave. Donna Maria si stava occupando di lei. Steve
le si avvicinò e quando la dottoressa lo vide in faccia cambiò completamente
espressione: non si aspettava minimamente la presenza dell’ex Capitan America.
Era spaventata, scossa e decisamente sorpresa.
<Dottoressa> prese a parlare Steve
<È evidente che il Teschio – chiunque vi sia sotto quella maschera- è
disposto a tutto pur di mantenere il suo anonimato. Ci dica il suo nome. Lo
possiamo far arrestare, mandare qualcuno a prenderlo... e finalmente sarà
libera. Non dovrà più temere per la tua vita. Ci dica chi è!>
Emily prese un respiro. C’era del vero in
quanto detto da Rogers: il Teschio non si sarebbe fermato davanti a nulla
finché non l’avesse uccisa. Ma quel nome era la sua carta più importante, le
garantiva la libertà e l’immunità. Senza quell’informazione, l’avrebbero
rinchiusa per anni. Ma la sua vita non era più preziosa della libertà? Fissava
gli occhi azzurri del suo interlocutore indecisa sul da farsi, quando
improvvisamente il suo avvocato si intromise:
<Non circuisca la mia cliente! Non è nella
posizione di trattare con lei!>
<Non è una questione di trattare, si
tratta di salvarle la vita! L’uomo che la vuole morta è estremamente
pericoloso, e se non ci muoviamo lui…>
<Chi mi dice che non ha inscenato tutto
lei per annullare il contratto del Procuratore? È salito su quell’aereo mascherato,
mentendo sulla sua identità! Chi le da il diritto di dire cosa dobbiamo o non
dobbiamo fare? La mia cliente ha dei diritti che lei non può violare!>
A Steve tornò in mente la sua defunta
fidanzata Connie Ferrari: anche lei ugualmente risoluta quando si trattava di
districarsi tra i cavilli della burocrazia. Fu come un lampo nella sua memoria,
ma sufficiente ad ammorbidirlo quel tanto che bastava che fargli perdere quel
confronto.
<E se la colpissi col mio morso da Vedova?
Metterei k.o. quella strega per un po’ e dopo ti assicuro che quella
quattrocchi canterebbe come un canarino...> bisbigliò Yelena all’orecchio di
Nomad.
<Per una volta sono d’accordo con te. È
questo che non capisco di Steve... perché trattare con questa gente? Bisogna
utilizzare le maniere forti con loro! Aveva ragione Sharon; è troppo morbido
...>
<Ah, mi domando come abbiamo fatto a
perdere la guerra fredda con tipi come voi.>
Jack la guardò storto ma non replicò. Intanto
Donna Maria richiamò l’attenzione:
<Ehi... si sta avvicinando un mezzo...>
<Non mi sembra un mezzo della polizia.>
notò Gerard.
<State in guardia.> lì ammonì Steve.
Il furgone si avvicinava sempre di più. Non
sembravano dei soccorritori. Gente di passaggio, forse? La risposta arrivò
sotto forma di un mini pugnale sai lanciato in direzione della Snyder.
<GIU’!> gridò Steve, togliendo la
dottoressa e il suo avvocato dalla linea di tiro.
<Steve lo hai riconosciuto?> chiese
Jack.
<Si... sono loro.>
Casa
di riposo per veterani Michael Lee Kelly. Contea di Arlington, Virginia.
Dire che James Buchanan Barnes si sentiva
strano non rendeva bene la situazione. Guardava le facce intorno a lui con un
misto di stupore e confusione. Quanti tra loro aveva conosciuto nei suoi giorni
come Bucky? Lui avrebbe dovuto essere come loro se…
Nick Fury lo riscosse dai suoi pensieri e gli
indicò un uomo di colore molto anziano che nonostante l’età avanzata aveva
decisamente la forza di litigare con un’infermiera.
<È lui?>
<Si. Washington Carver Jones in persona. È
molto diverso da come lo ricordavi, non è vero?> disse Nick con una punta di
sarcasmo.
<Già... e dire che ci facevamo chiamare i
“Giovani Alleati”.> rispose Buck con amarezza.
Eppure una vita fa era proprio così: lui e Tom
Raymond alias Toro, insieme a Pat “Nocche” O’Toole, Geoffrey Worthington
Vandergill, Josef “Tinkle” Tinklebaum e lo stesso Wash avevano formato una
squadra di adolescenti che si occupavano di combattere le spie naziste e le
quinte colonne. Fatta eccezione per Steve, erano gli amici più cari che Bucky
aveva mai avuto in vita sua.
<E non mi tratti come un vecchio
rimbambito! Sappia che potrei ancora…>
<Ciao Wash. Hai sempre il solito, amabile,
carattere vedo.>
Al suono di quella voce l’uomo chiamato Wash
si volò ed assunse un’aria sorpresa nel vedere il giovanotto bianco che
sorrideva come un ebete, poi assunse un’aria offesa ed irata.
<Per te sono il signor Jones, pivello.
Cosa sono questo confidenze? Abbiamo mai pranzato insieme? Chi sei?> chiese
puntando il dito al petto del nuovo venuto.
<Non c’è un modo semplice di dirlo, per
cui... mi chiamo James Buchanan Barnes.>
<Sei il nipote di Bucky? Per la miseria...
a guardarti bene, gli somigli molto... non sapevo che Buck avesse fatto in
tempo a...>
<No, no... non sono “il nipote” di
Bucky... sono proprio io, Wash. L’unico e solo.> disse sorridendogli.
Ma il vecchio afroamericano sembrava non
avere alcuna voglia di ricambiare.
<Non m’incanti. Il vecchio Washington
Carver Jones non è ancora diventato stupido: Bucky è morto e tutti quelli che
hanno provato ad impersonarlo in questi ultimi anni l’hanno pagata cara.
Allora… cosa vuoi?>
Fury osservava divertito tenendosi in
disparte.
<Ti dico che sono proprio io, Wash.>
replicò Bucky <Ascolta…> si chinò a sussurrargli qualcosa che Fury non
riuscì ad udire, ma la reazione di Washington Carver Jones fu evidente:
<Per i baffetti di Hitler!! Solo i Giovani
Alleati sapevano che… che mi venga un colpo… Bucky? Sei davvero tu? Ma
come…?>
<Ti spiegherò tutto Wash ma prima… usi
ancora quelle esclamazioni idiote?>
Jones fece l’occhiolino.
<Erano il mio marchio di fabbrica perché
dovrei rinunciarci adesso?>
<Beh, perché…> improvvisamente Bucky
scoppiò a ridere fragorosamente <Lascia perdere Wash… sono felice di
rivederti.>
<Ed io di rivedere te… anche se sono
invidioso del fatto che sei ancora giovane e bello mentre io sono ormai
decrepito. Come hai fatto? Racconta.>
<È una storia lunga Wash… e non è tanto
bella>
<E allora sbrigati a raccontarmela. Alla
mia età il tempo è prezioso.>
Si sedettero su una vicina panchina e Bucky
cominciò a parlare.
Campo
di tabacco da qualche parte in Virginia.
Dal furgone scesero tre figure tristemente
note a Steve e Nomad.
<Bonsoir,
mon ami…> disse il loro leader <siamo qui perché vogliamo mademoiselle Snyder. Consegnatecela e avrete salva la vita. >
<Scordatelo, Batroc!> disse Steve al
suo vecchio avversario, poi si rivolse alla sua squadra:
<Donna Maria, tu e l’Ispettore Gerard occupatevi
dei civili; allontanatevi di qui alla svelta! Vedova, Nomad: voi due con
me!>
Senza la minima esitazione, tutti obbedirono
agli ordini impartiti dal comandante Rogers: Foggy venne fatto riprendere nel
giro di pochi secondi e obbligato a scappare insieme a sua madre e alla
testimone, mentre Steve Jack e Yelena sbarravano la strada a Batroc e la sua
brigata.
<Avevo sentito che eri morto... e che
hanno girato un film su di te.> disse Nomad schernendo il suo avversario, il
sudamericano Machete.
<Mi
hermano è morto... e tra poco lo sarai anche tu!> disse questi facendo
danzare le sue lame velocemente, avvicinandosi pericolosamente all’ex “Bucky
degli anni 50”. Jack Monroe aveva affrontato il suddetto fratello anni prima,
poco dopo il suo risveglio ai giorni nostri[2]
era poco più di un novellino all’epoca e si fece prendere in ostaggio
permettendo a lui e al suo socio Zaran di rubare lo scudo di Capitan America.
Quel ricordo umiliante lo irritava e per questo Jack vedeva quello scontro come
occasione di riscattarsi.
A proposito di Zaran, era stato proprio lui a
lanciare il pugnale sai che per poco non faceva la pelle alla Snyder; il
mercenario inglese si stava misurando in combattimento con Yelena Belova.
<E tu saresti la nuova Vedova Nera? Sei
giovane... e sciocca. Non sei alla mia altezza... fatti da parte!> disse
cercando di colpirla con suo bastone Bo.
<Sta zitto... so tutto di te, Maximilian
Zaran. Hai abbandonato lo MI6 per venderti al miglior offerente. I vigliacchi
come te non m’impressionano!>
Bluffava. Zaran era un combattente altamente
qualificato, temuto per tutta l’Asia. Aveva studiato il suo dossier e sapeva
che non c’era da scherzare, con lui. Ma lei era la Vedova Nera e non si sarebbe
tirata indietro: Natasha Romanoff non l’avrebbe fatto e che fosse maledetta se
lei avrebbe fatto di meno.
Infine, Steve affrontava Batroc come tante
volte aveva fatto in passato. Il francese era un maestro nell’arte del savate e al contrario dei
suoi compagni non necessitava di armi per uccidere un uomo; con i suoi calci
sapeva portare colpi letali ed evitarli era un compito difficile per chiunque.
Quel tizio biondo però pareva riuscirci egregiamente. Nel corso della sua lunga
carriera Batroc aveva affrontato numerosi esperti di lotta, tra cui molti
supereroi mascherati e costui, un perfetto sconosciuto, resisteva come i
migliori di essi.
<Sacre
Bleu! Magnifique! > pensò mentre
duellava <Questo americano è un lottatore exceptionnel ...non sono riuscito a
colpirlo neppure una volta! Ma chi è?>
Non poteva sapere che Steve, nei panni di
Capitan America, lo aveva affrontato in diverse occasioni e che quindi ne
conosceva le mosse e i colpi... sebbene affrontare un lottatore dell’agilità e
della rapidità di Batroc non era mai una cosa da sottovalutare.
Nei
pressi dell’autostrada.
Mentre le tre coppie si scambiavano colpi
proibiti, Donna Maria e Sam Gerard scortavano i tre civili lontano dal luogo
dello scontro. Scavalcare il guardrail non sarebbe stato difficile per nessuno
di loro in circostanze normali ma aiutare Foggy Nelson, il cui braccio destro
era ancora intorpidito, fece perdere loro più tempo del previsto mentre, invece
Razor Sharpe si dimostrò più agile di quanto Maria e Gerard si aspettassero.
<Beh… che c’è da guardare?> fece la
donna <Faccio da sempre molta ginnastica.>
“E anche qualche lifting ogni tanto”, pensò
malignamente la giovane sudamericana.
<Quei tre uomini mascherati ... chi
sono?> domandò Foggy.
<Mercenari, assoldati dall’uomo che vuole
eliminare la dottoressa Snyder.> sentenziò Donna Maria <Tra i più
pericolosi del mondo. Il sudamericano, quello con i machete... l’ho visto
all’opera nel mio paese, anni fa. Fu ingaggiato per cercare di fermare i
ribelli. Una vera belva sanguinaria.>
Emily tremò nel sentirle dire quelle parole,
perché sapeva che erano vere. Il Teschio Rosso sarebbe ricorso a qualunque
mezzo pur di metterla a tacere... ingaggiare killer internazionali era
assolutamente da lui... e chissà a quali altri mezzi sarebbe ricorso per
poterla eliminare. Il terrore si stava impadronendo di lei sempre di più.
<Dovete portarmi via di qui, subito^>
esclamò con tono quasi isterico.
<È proprio quel che vorremo fare.>
replicò Gerard <E le ricordo che è colpa sua se siamo in questo guaio: è
stata lei a insistere per vuotare il sacco solo a Washington e non in una
comoda sala del carcere di Brooklyn. Il che non mi impedirà di portarla fin lì,
viva, dovessi fare tutta la strada a piedi.>
<Io…>
Qualunque cosa Emily volesse dire, non ne
ebbe il tempo. Donna Maria vide un auto avvicinarsi; avevano bisogno di un
mezzo per spostarsi più in fretta e quella faceva proprio al caso loro.
<Aspettatemi qui.> disse agli altri.
Andò sulla strada dove si sbracciò richiamando l’attenzione del conducente, che
non fu indifferente alla generosa scollatura della bella moretta.
L’auto si fermò di colpo e un istante dopo
Gerard e gli altri si fecero sotto circondando la macchina.
<Ehi ma cosa…?> fece il perplesso
guidatore.
<Agenti federali.> disse
perentoriamente Gerard <Quest’auto è requisita per un’emergenza.>
<State scherzando? Io non…>
Senza curarsi si rispondergli Gerard lo
afferrò per i risvolti della giacca e lo trascinò fuori dall’auto. Donna Maria
fu rapidissima a sedersi al posto di guida. Sbuffando Gerard si sedette accanto
mentre gli altri si accomodavano nel sedile posteriore. Altri due agenti
ripeterono la manovra con un’altra auto e tutti insieme ripartirono.
<La sai davvero guidare questa?> chiese
Gerard con aria scettica.
<Scherzi? > ribatté Donna Maria
<<Ho imparato a guidare su una Maserati Biturbo regalatami da mio zio. In
confronto questa carretta americana è…>
<Sì, sì, risparmiaci la storia della tua
vita per adesso e pensa a portarci a Washington. >
Foggy si era voltato e vide qualcosa
avvicinarsi.
<Ehi…> esclamò <Cos’è quello?>
Anche Gerard sin voltò in tempo per vedere un
piccolo velivolo farsi sempre più vicino.
<Sembra uno di quei droni che usano per il
controllo del traffico ma non dovrebbe volare così basso.>
A giustificare i timori di Gerard qualcosa si
staccò dal drone e colpì l’auto che li seguiva che esplose in una palla di
fuoco.>
<Maledizione.> esclamò Gerard
<Quello vuole noi. Via, via!>
Donna Maria non se lo fece ripetere due
volte: premette l’acceleratore a tavoletta e l’auto schizzò in avanti alla
massima velocità.
Virginia,
campo di tabacco.
Il combattimento proseguiva.
Nomad cercò di colpire Machete con la sua
pistola a sedativi, ma questi fu più rapido, e mentre Jack mise mano nella
fondina lui per poco non gliela mozzava, facendogli perdere la sua arma.
Nella testa di Jack continuava a rimbalzare
la domanda che s’era fatto pochi minuti prima: “perché Steve non vuole che
utilizziamo le maniere forti con questi tizi?” un pazzo armato di coltelli
stava cercando più volte di affettarlo, e lui avrebbe dovuto fermarlo “senza
ricorrere alla forza letale”? Era ridicolo! Un colpo di fucile, anche di
striscio, e a quell’ispanico gli sarebbe passata la voglia di giocare coi
coltelli... e invece, doveva affrontarlo a mani nude affidandosi solo alle
proprie capacità fisiche. “Sei un supersoldato” gli ripeteva Steve “hai le
capacità per farlo”... sembrava non volesse accettare il fatto che anche un
supersoldato poteva rimanere ucciso. La stessa cosa era accaduta a Rio
Valiente, quando lo aveva costretto ad affrontare quella specie di “Rambo”
drogato con la faccia tatuata. Machete usava quelle armi come un prolungamento
del proprio corpo, diverse volte era andato vicino ad infliggergli un colpo
letale; molti erano i tagli che aveva fatto a Nomad. Uno pure sulla guancia,
tagliandone la maschera. Per quanto veloce fosse nell’evitare di venire a
contatto con le sue lame, non poteva continuare all’infinito e presto o tardi
anche la sua testa sarebbe caduta.
A qualche metro di distanza anche la Vedova
Nera aveva il suo da fare: Zaran era bravo col bastone quanto il suo socio era
abile coi coltelli: vederlo in azione era quasi una danza, elegante e letale.
C’era di che ammirarlo.
<Lo sai che sei brava, tesorino? Non
credevo che i Russi addestrassero ancora le loro sgualdrine a battersi in
questo modo!> disse per provocarla.
Yelena però rimaneva lucida e guardinga;
l’addestramento a cui era stata sottoposta per anni le permetteva di tenere
testa all’inglese. Quel bastone però andava eliminato, gli dava troppo
vantaggio.
Zaran
cercò di colpirla alla testa, Yelena però si abbassò e poggiando mani e schiena
per terra colpì l’arma del suo avversario con entrambi i piedi, privandolo di
essa. Zaran rimase impressionato da quella mossa. La ragazza non andava sottovalutata.
Con la coda dell’occhio la russa vide come Jack era in difficoltà contro
Machete. Immediatamente pensò che il bastone di cui s’era appena impadronita
poteva essergli d’aiuto.
<NOMAD!> gridò nel lanciarglielo. Senza
pensarci un solo istante Jack Monroe si lanciò su di esso, afferrandolo.
<Dovevi tenerlo per te. Hai commesso un
grave errore dolcezza, e adesso ne pagherai il prezzo!> disse Zaran
colpendola al costato con un calcio. La sua premura aveva forse salvato la vita
a Nomad ma aveva messo la sua in pericolo. Grazie al gesto della sua compagna
di squadra adesso Jack poteva affrontare Machete in tutta sicurezza: il bastone
gli permetteva si mettere una certa distanza tra sé e il suo avversario.
Machete tentò di colpirlo con un fendente
portato dall’alto verso il basso, ma la lama andò a incocciare il bastone posto
a difesa della testa. Anche i successivi tentativi vennero parati.
<Muere, hijo de puta!> esclamò,
frustrato per essere passato in una posizione di svantaggio.
<OK “amigo” adesso è il mio turno di fare
il gradasso...> così dicendo Jack poté finalmente sfogare la propria
aggressività: lo colpì alle ginocchia, facendogli perdere l’equilibrio poi lo
finì colpendolo diritto alla mascella. Il sudamericano cadde a terra privo di
sensi.
Non ci fu tempo per riprendere fiato però:
Zaran stava massacrando Yelena, che era stata presa alla sprovvista per averlo
aiutato. L’uomo aveva stretto il collo della ragazza in una presa e si
accingeva a spezzarglielo.
<Non fare resistenza ... farà meno
male.>
Nomad gli arrivò alle spalle e con tutte le
sue forze lo colpì con il suo stesso bastone alla nuca, mettendolo k.o. come
aveva fatto poco prima con il suo socio.
<Stai bene?> chiese alla russa.
<DA.>
rispose massaggiandosi il collo e deglutendo a fatica <Era sul punto di
farmi secca. Grazie.>
<Non devi ringraziarmi. Ti sei trovata nei
guai per aver aiutato me. Senza il tuo intervento non avrei mai sconfitto quel
bastardo. Sono io che ti devo ringraziare.>
Le porse una mano e l’aiutò a mettersi in
piedi. Nomad e la Vedova Nera lavoravano insieme da parecchie settimane ma
questa era la prima volta che avevano agito come una squadra, affiatati,
mettendo da parte le rispettive antipatie. Un passo importante per ciascuno di
loro.
Nel frattempo, il combattimento tra i leader delle due fazioni stava andando per le lunghe.
<Battersi con Batroc è più estenuante di quanto ricordassi> pensò Steve <Certo che quando avevo il mio scudo era diverso.> In effetti parare tutti quei colpi con le braccia lo stava provando. Si chiese se non fosse il caso di attivare lo scudo fotonico ma scelse di non farlo: era in grado di battere Batroc anche senza e l’avrebbe fatto.
Batroc d’altra parte, sebbene seccato dal fatto che il suo bersaglio si fosse allontanato, era entusiasta di misurarsi con un avversario di tale valore. Battersi con lui era inebriante... era da tempo che un combattimento non lo divertiva tanto. Fece una finta, poi con un calcio colpì la stella al centro dell’uniforme blu del suo avversario. Steve cadde al tappeto e Batroc spiccò un balzo per finirlo, intenzionato a frantumargli la gabbia toracica atterrandogli sopra.
<Adieu mon ami. Sei stato un avversario très bon ma per te è finita!>
I suoi piedi però mancarono il bersaglio perché Steve con una capriola evitò il colpo. Fu un riflesso fulmineo. Lo stesso mercenario rimase stupito per la velocità del movimento. Steve ne approfittò per coglierlo di sorpresa e prendere l’iniziativa per il contrattacco: fu lui a colpirlo con un calcio stavolta, dritto sotto il petto, e questo tolse il fiato al francese, poi una combinazione di pugni al volto lo tramortirono; infine un calcio al volto chiuse la questione, facendogli fare un volo di parecchi metri.
Ancora frastornato per la batosta, Batroc venne messo faccia a terra.
<Non muoverti. Sei in arresto.> disse Steve immobilizzandogli mani e piedi con le manette di plastica, impedendogli in questo modo di fuggire.
<D’accord mon ami> sorrise il francese <Sono comunque molto felice di vederti in buona salute... ero très triste quando ho saputo che eri mort... ho pure portato un omaggio floral sulla tua tomba...>
Steve s’incupì a sentire quelle parole.
<Surpris? Et pourquoi? Due vecchi amis come noi si sono scontrati tante di quelle volte ormai che conoscono a memoria i rispettivi stili di combattimento... e conosco un solo homme in grado di reagire così rapidement come hai fatto tu ... mon Capitaine...> disse ancora, strizzandogli l’occhio.
Rogers rimase in silenzio. Non sapeva come controbattere. Pensava ad una risposta sagace con cui uscirne ma Batroc riprese a parlare:
<Oh ma dormi pure sonni tranquilli Capitaine ... il tuo segreto è al sicuro con moi. Mi conosci, lo sai che mantengo la parola data... non dirò a
nessuno che sei ancora vivre... ma la
prossima volta che ci incontreremo non sarò colto di sorpresa e sarà Batroc a triompher...>
Sapeva che non mentiva: Batroc aveva un bizzarro senso dell’onore che non gli avrebbe mai permesso di tradirlo. Il suo segreto era al sicuro, tuttavia aggiunse senza troppa convinzione:
<Non so di cosa parli, Batroc: chiunque tu credi che io sia, non lo sono.>
Batroc sorrise e replicò:
<Mais sûrement… devo proprio essermi
sbagliato.>
Non gli aveva creduto, ovviamente ma non aveva importanza: Batroc non avrebbe parlato, di questo era sicurissimo. Tanto meglio. Adesso non rimaneva che assicurarsi che la Snyder arrivasse sana e salva dal procuratore.
Autostrada
per Washington DC
Sam Gerard doveva ammetterlo: quella Maria,
chiunque fosse veramente ci sapeva fare al volante. Guidava con la sicurezza di
un pilota di Formula Uno ed era ancora più spericolata. Se non altro il drone
non era ancora riuscito a colpirli, diversamente da quanto era avvenuto con
l’altra auto. Gerard si sentì invadere dalla rabbia al pensiero dei suoi uomini
uccisi con tanta indifferenza. Chiunque fosse stato l’avrebbe pagata cara prima
o poi.
<Abbiamo un problema.> gli disse
improvvisamente Donna Maria Puentes <Questa macchina non reggerà a lungo
questo ritmo e siamo anche a corto di benzina.>
L’agente federale rifletté e poi squadrò
Maria soffermandosi sulla pistola infilata nella fondina che portava appesa al
fianco.
<La sai usare quella o la porti solo come
ornamento della cintura?> chiese.
Gli occhi neri della bella sudamericana
sembrarono sprizzare fiamme mentre rispondeva:
<Mettimi alla prova e vedrai.>
<Allora frena.>
<Cosa?>
<Ho detto frena!>
Maria inchiodò di colpo e la macchina fece un
testacoda ma rimase sulla carreggiata.
<Fuori adesso!> urlò Gerard.
I due balzarono fuori insieme ed aspettarono.
Il drone si faceva sempre più vicino, poi si abbassò pronto a colpire. Maria lo
inquadrò nel mirino, consapevole che aveva una sola occasione e non poteva permettersi
di sprecarla. Attese… attese. “Ora o mai più” si disse.
Gli spari avvennero quasi simultaneamente ed
entrambi i colpi andarono a segno.
Tutto avvenne in una frazione di secondo ma
per Maria fu come se tutto fosse incredibilmente lento: vide il drone oscillare
e poi esplodere, sentì sul volto il calore dell’esplosione e fu sbalzata a
terra dall’onda d’urto.
Quando fu tutto finito si guardò intorno: a
quanto pareva l’auto era intatta ed i passeggeri vivi ed illesi. Una bella
fortuna.
<Ce l’abbiamo fatta!> esclamò.
<Pare di sì.> replicò Gerard poi si
concesse un mezzo sorriso <Beh, ragazza… devo ammetterlo: non lo porti solo
per ornamento quel gingillo.>
Maria Puentes ammiccò soddisfatta, poi disse:
<Non abbiamo ancora finito: dobbiamo
ancora arrivare a Washington.>
<Questo è lo spirito giusto. Diamoci una
mossa allora. Stavolta guido io però.>
<Se ci tieni tanto…>
Una volta dentro l’auto Maria si girò a dare
un’occhiata ai passeggeri sul sedile posteriore: Foggy Nelson sembrava
abbastanza rilassato. Da quel che aveva sentito su di lui, non era la prima
volta che si trovava in una situazione pericolosa, doveva essercisi un po’
rassegnato; sua madre, Rosalind Sharpe sembrava indifferente, fredda come il
ghiaccio, Emily Snyder tremava come una foglia. Maria sapeva che aveva
collaborato a preparare diversi omicidi ma ne ebbe comunque pena.
<Tutto bene lì dietro?> chiese.
<Io… temevo che saremmo morti tutti
stavolta.> confessò la scienziata abbassando lo sguardo.
Maria fece una lieve smorfia e replicò.
<Coraggio… arriveremo presto a
destinazione. Il peggio è passato.>
O almeno era quello che sperava.
Altrove.
L’uomo con la maschera del Teschio Rosso e l‘emblema della Falce e Martello impresso sulla sua tuta verde all’altezza del petto vide l’immagine proiettata dal drone sul suo schermo svanire di colpo e capì cos’era successo.
Quella dannata squadra era davvero in gamba: erano riusciti a superare ogni ostacolo posto sulla loro strada. Non poteva non provare ammirazione per loro e specialmente per il loro leader… un’ammirazione che non gli avrebbe impedito di pianificare le loro morti un giorno o l’altro.
In ogni caso non avevano capito che quella era una specie di partita a scacchi e negli scacchi non importa quante pedine riesci a mangiare se il tuo avversario riesce comunque a darti scacco matto con l’ultima mossa.
Si mise in contatto con Finisher:
<Torna alla base, il tuo compito è finito.>
<<Subito signore.>> rispose l’imperturbabile killer.
Sotto la maschera Aleksandr Lukin si concesse un sorriso: la partita era tutt’altro che finita.
Washington, Robert F. Kennedy Building, sede del Dipartimento di Giustizia.
L’auto si arrestò proprio davanti al palazzo e gli occupanti ne uscirono in fretta guardandosi intorno. Se un cecchino avesse voluto colpirli quello era il momento in cui erano più esposti. Gerard ne era pienamente consapevole e si augurò che qualcuno si fosse assicurato per bene che i palazzi limitrofi fossero sgombri. Ad ogni modo si interpose tra Emily Snyder e la strada. All’ingresso fece vedere il suo tesserino.
<Sam Gerard, trasporto prigionieri.> si presentò <Siamo attesi alla Divisione Sicurezza Nazionale.>
Un uomo dall’aria tipica dell’avvocato e del funzionario pubblico si fece loro incontro. Indossava un completo gessato scuro con cravatta dii Yale e capelli biondi accuratamente tagliati corti.
<Mi chiamo
Richard Walton Flood.> si presentò <Sono il Vice Assistente Procuratore
Generale incaricato del caso.> squadrò i nuovi arrivati con un accenno di
velato disprezzo nell’espressione del volto soffermandosi un po’ troppo su
Donna Maria.
<Visto qualcosa che le piace?> ribatté, ammiccando, la ragazza.
Flood avvampò diventando rosso come un peperone per l’imbarazzo, ma tentò di riguadagnare terreno:
<E lei chi sarebbe?> chiese bruscamente a Maria.
<Lei è con me.> la voce che giunse dalle loro spalle aveva un timbro autorevole senza essere autoritaria. Apparteneva a Steve Rogers, che assieme a Nomad ed alla Vedova Nera stava uscendo da un ascensore.
<Steve!> esclamò Donna Maria correndogli incontro per poi abbracciarlo e baciarlo.
Steve apparve visibilmente imbarazzato e sotto la maschera Nomad ridacchiò. Yelena appariva imbronciata. Per un attimo si chiese perché lei non aveva mai nessuno ad accoglierla così e le venne di pensare al Soldato d’Inverno.
<Sapevo che ve la sareste cavata.> stava dicendo Maria <Come avete fatto ad arrivare già qui?>
<Ci ha dato un passaggio un elicottero del F.B.S.A. messoci a disposizione dal Direttore Sitwell. Erano alla nostra ricerca dopo l’SOS. Ci ha portato fin sul tetto del palazzo.>
Solo allora Maria si accorse dell’uomo che se ne stava un poco discosto e che era arrivato con i suoi compagni: sembrava terribilmente giovane, aveva la tipica aria del secchione, capelli biondi e corti, faccia pulita, occhiali, una leggera traccia di efelidi sul viso; indossava un completo marrone ed un’immacolata camicia bianca con un papillon come cravatta. Chi portava ancora il papillon di questi tempi?
<È stato un piacere oltre che un dovere, capitano.> si schermì Jasper Sitwell poi si rivolse a Flood <Questi uomini e donne sono con me: sono la scorta di Miss Snyder e del suo avvocato.>
<Uhm… se garantisce lei per loro…> borbottò Flood.
<È esattamente quello che ho fatto.> replicò Sitwell <Ed ora, per favore, ci faccia strada.>
Richard Walton Flood amava fare il duro, ma Jasper Sitwell lo era sul serio, tanto da non sentire il bisogno di dimostrarlo e fu l’avvocato federale a cedere per primo.
<Seguitemi.> disse <l’Assistente Procuratore è ansioso di sentire le rivelazioni di Miss Snyder.>
<Signori…> intervenne Rosalind Sharpe <… prima di affrontare l’interrogatorio, io e la mia cliente dobbiamo assolutamente darci una rinfrescata. La dottoressa Snyder ne ha un bisogno assoluto ed io vorrei almeno darmi una sistemata ai capelli. Immagino che ci sia una toilette per signore a questo piano.>
<Beh… sì… rispose Flood preso in contropiede <Ma…>
<Niente ma…> ribatté col suo solito piglio deciso l’avvocatessa <Ci porti tutte e due lì subito… e pretendo anche che togliate le manette alla mia cliente: qui dentro non servono più.>
<Inutile discutere con lei.> commentò Foggy Nelson sconsolato <O si fa come dice lei o tanto vale spararle… o spararsi.>
<Franklin caro… dovresti farmi più spesso dei complimenti così.>
Ci fu un attimo di teso silenzio, poi Flood cedette:
<E va bene: pochi minuti in più non faranno differenza ormai.>
Mentre le due donne erano accompagnate alla toilette Steve si chinò verso Yelena e le sussurrò:
<Non perderle di vista. Ho un brutto presentimento.>
La giovane russa annuì e si mise alle calcagna della Snyder e della Sharpe,
C’era qualcosa che non andava, pensò Steve, il suo istinto glielo diceva, ma non riusciva a capire cosa e questo lo preoccupava. In teoria ormai erano al sicuro ma qualcosa gli diceva che non era ancora il caso di abbassare la guardia.
Emily Snyder era decisamente più rilassata adesso. Il pericolo era alle spalle e lei presto sarebbe stata di nuovo una donna libera, con un nuovo nome e nuove opportunità. Peccato per Lukin ma lui era di certo il primo a sapere che non si possono fare le frittate senza rompere le uova. Se era davvero tanto furbo quanto lei pensava, non avrebbe perso tempo a scappare in qualche posto senza estradizione prima che venissero ad arrestarlo.
Si gettò altra acqua sulla faccia e si guardò allo specchio: era un vero disastro ma poteva almeno darsi un’aggiustatina ai capelli.
Alle sue spalle Rosalind “Razor” Sharpe si diresse verso uno dei cubicoli e la Vedova Nera fece per seguirla.
<Non vorrà venirmi dietro anche qui dentro, vero?> le si rivolse l’avvocatessa con un sorrisetto irritante. Yelena sbuffò ma la lasciò entrare e chiudersi la porta alle spalle.
Dopo pochi minuti si udì la voce di Razor venire dall’interno:
<Può venire ad aiutarmi? Ho un problema.>
Yelena imprecò e si avvicinò al cubicolo. Che mai poteva volere quell’antipatica donna? Le si era forse impigliata la gonna nel water?
Allungò la mano verso la maniglia quando la porta si aprì di colpo e la centrò in pieno volto. Yelena barcollò e subito dopo qualcosa la colpì al collo e tutto divenne nero per lei.
<Te lo dovevo dall’ultima volta giovane, idiota.> disse una voce femminile molto diversa.
Emily Snyder si voltò richiamata dal rumore e si trovò di fronte una donna vestita con gli abiti di Rosalind Sharpe ma con dei corti capelli rossi e lo sguardo duro. In mano aveva una pistola.
<TU!> esclamò Emily riconoscendola e provando un brivido di terrore alla consapevolezza di ciò che stava per succedere.
<Sì io.> rispose la donna nota come l’Esecutrice sorridendo sinistramente <Il Teschio Rosso ti manda i suoi saluti.>
Lo sparo fu assolutamente silenzioso. Il proiettile colpì Emily Snyder al collo trapassandole la laringe ed impedendole di gridare. Il secondo colpo la colse in piena fronte. Era già morta prima di toccar terra.
L’Esecutrice si volse verso Yelena, ancora svenuta a terra e borbottò.
<Se il Teschio avesse voluto morta anche te, ora lo saresti, piccola sgualdrinella.>
Ne oltrepassò il corpo e si mise al lavoro: le restavano solo pochi minuti per la fuga.
Fu Donna Maria a trovarle: la Vedova Nera a terra che cominciava a risvegliarsi e Emily Snyder immersa nel proprio sangue. Sul pavimento gli abiti di Rosalind Sharpe e nel primo cubicolo una specie di maschera con le fattezze dell’avvocatessa. Dell’assassina nessuna traccia… sparita nel nulla come se fosse stata un fantasma.
<Che... cosa è successo?> chiese la russa, ancora confusa.
<Abbiamo fallito...> le rispose Donna Maria, tagliando corto.
Steve aveva ragione ad essere preoccupato. I loro avversari erano stati molto più furbi di loro ed alla fine avevano vinto.
EPILOGO UNO
Un rifugio segreto da
qualche parte a New York
La donna chiamata Esecutrice era in piedi davanti all’uomo che
impersonava il Teschio Rosso degli anni 50 mentre Finisher era seduto su un
vicino divano.
<Sei stata bravissima, Esecutrice, nessuno ha sospettato di te, come
previsto.>
<Oh… è stato ridicolmente facile.> replicò lei <Anche se avrei
preferito avere l’autorizzazione per eliminare anche quella stupida
biondina.>
<No… Yelena Belova va eliminata solo se è assolutamente
indispensabile. Su questo sono tassativo. Potrebbe rivelarsi utile per noi, un
giorno.>
<Come preferisce, Tovarish
Cherep.>[3]
L’uomo con la maschera del Teschio Rosso congedò i suoi sottoposti,
quindi aprì una porta nascosta rivelando un guardaroba, Si tolse la maschera
rivelando il volto dell’oligarca Russo Aleksandr Vassilievitch Lukin ed in
pochi minuti si rivestì con un completo color antracite, camicia bianca e
cravatta e scarpe in tinta. Infine aprì un altro passaggio ed imboccò un
corridoio.
“Adesso che Emily Snyder è morta senza rivelare il mio segreto…””
rifletté “… posso pianificare tranquillamente le mie prossime mosse e la prima
cosa da fare sarà eliminare la concorrenza.”
Si concesse un sorriso soddisfatto
EPILOGO DUE
Connecticut. Appartamento del professor Steve Rogers
Sdraiato nel suo letto con la testa di Donna Maria Puentes appoggiata sul suo petto Steve non riusciva a prendere sonno. La rabbia per quanto era accaduto lo rendeva troppo agitato e nemmeno stare con Maria era riuscito a rilassarlo. Il nemico era stato sempre un passo avanti a loro. Ogni cosa successa dopo la partenza dal carcere di Brooklyn era stata solo un diversivo per permettere alla vera killer di agire indisturbata proprio quando loro avevano abbassato la guardia ed era proprio quello a farlo infuriare di più: avrebbe dovuto avere dei sospetti, invece si era fatto raggirare ed una donna era morta per questo. Forse non era innocente ma non per questo meritava di morire così, come non lo meritavano i piloti del loro aereo o gli agenti federali uccisi dal drone di Finisher. La killer doveva avere per forza avuto un appoggio all’interno, qualcuno che aveva piazzato la pistola nella toilette e poi aveva aiutato l’assassina a fuggire. Oltre a ciò la vera Rosalind Sharpe era ancora irrintracciabile. L’avevano uccisa quando l’Esecutrice ne aveva preso il posto? Molto probabile. Anche questo andava messo nel conto di quel sedicente Teschio Rosso.
Maria sollevò la testa ed i suoi profondi occhi neri incrociarono quelli azzurri di Steve. Non aveva bisogno di alcun intuito femminile per capire a cosa stesse pensando lui.
<Non è stata colpa tua.> gli disse <Non potevi prevedere…>
<Avrei dovuto.> fu la secca risposta di Steve <Dovevo capire.>
<Li prenderemo, vedrai… quel Teschio Rosso e la sua assassina ed allora pagheranno per tutto quello hanno fatto. Ma ora, ti prego, rilassati.>
Lo baciò e lui la strinse istintivamente a sé.
Donna Maria aveva ragione: le preoccupazioni potevano aspettare l’indomani eppure mentre stringeva di nuovo la sua donna tra le braccia, lui provò per un attimo una sottile inquietudine… come se qualcosa di terribile stesse per accadere, poi scacciò anche quel pensiero e si lasciò andare.
FINE
NOTE DEGLI AUTORI
Non c’è molto da dire su questo
episodio. Speriamo che siate rimasti sorpresi dal colpo di scena finale. E sì:
per una volta tanto i buoni hanno perso e i cattivi hanno vinto. Accade a
volte. Non temete, però, i nostri avranno modo di avere la loro rivincita.
Per il prossimo episodio un
avvertimento: assicuratevi di aver letto prima Vendicatori #89, prima parte di
un crossover che vedrà l’atteso incontro tra Vendicatori e Vendicatori Segreti,
il confronto tra Steve Rogers ed i suoi vecchi amici e… ah sì anche il
mostruoso superpiano del Teschio Rosso, quello originale non un’imitazione…
Al
vostro posto non ce lo perderemmo per nulla al mondo. Fidatevi: dopotutto è un
consiglio assolutamente disinteressato. -_^
Carlo & Carmelo