La storia finora: Il misterioso Mike Rogers
ha avuto l’incarico di uccidere il presidente della piccola repubblica centroamericana
di Rio Valiente. Chiamato dalla sua vecchia amica Donna Maria Puentes Steve
Rogers è intervenuto assieme a Nomad ed al Soldato d’Inverno riuscendo a
sventare un primo attentato. I suoi avversari, però, non demordono e Steve
prepara una piccola trappola.
TIERRA Y LIBERTAD
Di
Carlo Monni & Carmelo Mobilia
Rio Valiente.
Frank Bohannan, alias Crimson Commando, accarezzò il grilletto del suo fucile ad alta precisione e fece una smorfia. Era allenato ad uccidere e negli oltre 70 anni di attività che aveva alle spalle l’aveva fatto molte volte, dal fronte russo negli anni 40 al Medio Oriente in tempi più recenti e forse aveva finito per piacergli troppo. Allineò il mirino al suo occhio bionico e si sincronizzò con esso mentre chiudeva l’occhio buono.
Dovunque il governo americano avesse preso la tecnologia di quell’occhio, aveva fatto un buon lavoro: gli sembrava di avere la testa del presidente di Rio Valiente a meno di un centimetro. Non avrebbe potuto mancarlo nemmeno se fosse stato una schiappa e lui era stato il migliore cecchino della sua unità prima di avere l’idea di usare meglio i poteri che Madre Natura gli aveva dato.
Non aveva niente contro Hugo
Martinez, probabilmente era un brav’uomo che cercava di fare del suo meglio, ma
questo non doveva importargli. Martinez era considerato un ostacolo da chi gli
pagava i conti ed era la sola cosa che gli interessasse… o almeno era quel che
si diceva per dormire meglio la notte.
Strinse le labbra e si preparò a sparare.
A qualche tetto di distanza.
James Buchanan Barnes, detto Bucky, ma noto anche come il Soldato d’Inverno, non possedeva alcun occhio bionico ma questa mancanza, se possiamo chiamarla tale, era compensata da una mira pressoché infallibile e l’occhio del suo mirino telescopico era puntato sulle mani di Crimson Commando.
Bucky sorrise. Avanti Frank, fai la tua mossa, pensò ed il suo dito strinse impercettibilmente il grilletto del suo fucile.
Il viso di Frank Bohannan si contrasse e il colpo partì.
Il Soldato d’Inverno non esitò: il suo fucile sparò praticamente in contemporanea.
I due colpi furono quasi simultanei. Crimson Commando si fece sfuggire un grido mentre il suo fucile gli sfuggiva dalle mani. Il suo dito aveva fatto in tempo a premere il grilletto, ma la traiettoria del proiettile non fu quella che aveva programmato: la pallottola passò pochi centimetri sopra la spalla del Presidente per poi infrangersi contro la parete alle sue spalle.
<Ma cosa… ?> esclamò Hugo Martinez spaventato.
Le sue guardie di sicurezza non persero tempo a spingerlo dentro il palazzo presidenziale. Per quanto ne sapevano, il cecchino poteva riprovarci.
<Presto presidente, mi segua; dobbiamo andarcene di qui!> Donna Maria Puentes era stata preparata ad una situazione del genere; lei e Steve Rogers avevano studiato un piano d’evacuazione in caso di attacco nemico. Attraverso dei passaggi segreti scortò il Martinez verso un uscita d’emergenza, dove una macchina lo attendeva per portarlo in un posto sicuro. Dopo essersi accertati che la via fosse sgombra, gli uomini dei servizi segreti le diedero il via libera e Maria partì sgommando verso la nuova destinazione segreta.
Richmond, Virginia
Da quanto tempo non si concedeva una giornata tutta per sé? Sharon Carter non riusciva a ricordarlo. Per quasi tutta la sua vita di adulta le sue giornate erano state occupate dal mestiere di spia e per alcuni anni il suo concetto di passare il tempo era stato trovare un sistema per nascondersi ai suoi nemici e restare viva. Ora le cose erano diverse: aveva superato i limiti ed aveva dovuto pagarne il prezzo. Rogers l’aveva esclusa dalla squadra e lei non poteva dargli torto, al suo posto probabilmente avrebbe fatto lo stesso.
Restava da decidere cosa fare adesso: anche se l’idea di fare la mamma a tempo pieno aveva il suo fascino, lei era davvero troppo giovane per la pensione. Poteva chiedere di rientrare nei ruoli attivi dello S.H.I.E.L.D. ma la cosa non l’attraeva granché. Avrebbe pensato a qualcosa prima o poi.
A preoccuparla, per così dire, era la ragazza che era con lei. Non era solo il fatto che era una straniera in terra straniera, sembrava proprio che Yelena Kostantinova Belova fosse incapace di rilassarsi e perfino di divertirsi ed era ancora troppo giovane per un simile atteggiamento.
Per qualche motivo Sharon si sentiva come una sorella maggiore nei suoi confronti ed aveva deciso di farla socializzare un po’… il che poteva essere anche una pessima mossa ripensandoci.
Come in tutte le grandi città
anche a Richmond esistevano locali pubblici dove ci si poteva incontrare ed
all’occorrenza socializzare. Sharon aveva escluso il Country Club, di cui pure
aveva la tessera come membro della prestigiosa famiglia Carter, perché troppo
formale e noioso ed aveva optato per un noto locale cittadino.
<Vuoi spiegarmi perché siamo qui?> chiese Yelena.
<Per rilassarci un po’ e magari provare a divertirci.> rispose Sharon <Che c’è… non apprezzi la musica in sottofondo? È country rock… il rock è…>
<So cos’è il rock. Anche in Russia ci sono i gruppi rock.>
<Ah, sì, è vero… ma credevo che li spediste in Siberia prima di avere il tempo di ascoltarli.>
<Non sei divertente.>
<Scusa… non volevo offendere il tuo orgoglio nazionale. Dal tuo disagio direi che non sei molto abituata a frequentare locali pubblici.>
<L’ultimo locale in cui sono entrata era un club lesbo sadomaso di San Pietroburgo mentre ero alla ricerca di una mia amica scomparsa. Non è stata un’esperienza molto piacevole.>[1]
<E la tua amica? Che ne è stato di lei?>
<Preferisco non parlarne.>
Sharon preferì non insistere.
Rio Valente.
Per quella che gli sembrò un’eternità, ma che in realtà non durò più di due secondi, Crimson Commando si osservò la mano come se non riuscisse a credere a ciò che era appena successo. Chiunque fosse stato a sparare aveva colpito in pieno la sua mano bionica, rendendola inutilizzabile.
Solo un tiratore eccezionale poteva riuscire in un tiro del genere da grande distanza… uno come quel tizio dall’aria familiare con cui si era scontrato il giorno prima.[2] Doveva essere senz’altro lui… già la volta scorsa era riuscito in qualcosa del genere, e ora lo stava tenendo sotto tiro.
Aveva appena finito di formulare questo pensiero che udì un sibilo ed un proiettile si conficcò nella massicciata del tetto a pochi millimetri dal suo viso. Frank Bohannan rotolò di lato mentre un altro proiettile sibilava accanto a lui.
Quel dannato non lo stava colpendo apposta, stava giocando con lui, ma dov’era? Doveva trovarlo ad ogni costo.
Trovò riparo dietro un comignolo. A pochi metri da lui, la porta che dava sulle scale dalle quale avrebbe potuto fuggire. Ma sarebbe stato abbastanza rapido per raggiungerla?
Si tolse il fazzoletto rosso che portava al collo e lo sventolò come un drappo: immediatamente, un proiettile lo attraversò, riducendolo a brandelli.
<È in gamba, il bastardo…> disse, riconoscendone il talento.
Le autorità locali si mossero alla svelta, in pochi minuti raggiunsero il tetto da cui era stato sparato il colpo e braccarono Crimson Commando.
<Parado! No te
muevas!> gli
intimarono.
Frank avrebbe potuto sbaragliarli, nonostante il loro numero. Sarebbe bastato solo il suo fedele coltello e ne avrebbe fatto a brandelli. Ma sapeva che al minimo accenno di reazione l’uomo che lo teneva sotto tiro lo avrebbe freddato. Una situazione spinosa. Lo aveva messo nel sacco. Abbozzò un sorriso, quasi sportivamente, e alzando le mani rispose <No dispare, mi rindo.> in perfetto spagnolo.
Non molto distante da lì.
Michael Walter Rogers sospirò. Si aspettava una contromossa da parte dei suoi nemici: erano stati troppo abili ad anticipare le sue mosse l’ultima volta, ma stavolta lui si era preparato…certo l’idea di un secondo attentatore pronto a subentrare se il primo avesse fallito doveva averli sfiorati. Dov’era adesso il suo antagonista? A cosa stava pensando? Forse proprio a lui... spinto da questo pensiero, guidato da un oscuro sesto senso, Mike si voltò e vide davanti a se Steve Rogers in tenuta da Super Soldato.
<Immaginavo che ti avrei trovato qui.> disse con voce calma <Speravo in un altro scontro tra noi due.>
<Quindi non intendi arrenderti pacificamente...> replicò Steve
con tono di voce rassegnato.
<Non so neanche il significato della parola arrendersi. Se mi vuoi,
vieni a prendermi “Steve” ... o vuoi che ti chiami Will? O forse non ricordi
nemmeno il tuo vero nome, mister ”Capitan
America degli anni 50?”>
Dunque è questo che credeva di lui, pensò Steve. Bene, che continui
pure a crederlo ed a non sospettare la verità.
<Devi essere fermato.> disse e gli saltò addosso.
Sede della Kronas
Inc New York
Aleksandr Vassilievitch Lukin era un imprenditore di successo quello che nella sua patria, la Federazione Russa, veniva definito un oligarca. La caduta dell’Unione Sovietica aveva offerto a quelli come lui un’opportunità insperata e nessuno si era tirato indietro nello sfruttarla. Lukin si era dimesso dall’esercito e si era buttato nel business dell’energia. In breve tempo la Kronas era diventata una potenza a livello mondiale. Quello che pochi sapevano, però, è che oltre agli affari e le belle donne di cui amava circondarsi durante le sue uscite pubbliche, Lukin aveva anche altri interessi non esattamente legali. Aveva ricostruito l’antica organizzazione del cosiddetto Teschio Rosso comunista, l’uomo che aveva preso il posto del temuto criminale nazista dopo la sua scomparsa verso la fine della Seconda Guerra Mondiale. Ai dirigenti del PCUS e dell’Unione Sovietica nel 1953 era sembrata una buona idea quella di far rivivere il Teschio Rosso come simbolo della Guerra Fredda e ora Lukin lo aveva riesumato, e mai termine fu più azzeccato, assieme a molti agenti dai particolari talenti diversi dei quali avrebbero dovuto essere o morti o molto più vecchi di come apparivano. Tutta la sua delicata organizzazione, però, rischiava di cadere come un castello di carte per colpa di una singola donna. La dottoressa Emily Snyder conosceva la sua vera identità ed era pronta a rivelarla in cambio della libertà e questo non doveva assolutamente accadere. La talpa di Lukin (o meglio: del Teschio Rosso) al F.B.I. era stata molto precisa al riguardo: Emily non aveva ancora parlato, aspettava precise garanzie da Washington, non voleva sprecare la sua carta migliore. Questo gli aveva dato il tempo di elaborare un piano per fermarla. Peccato, però, Emily non era solo una valente scienziata, preziosa per la sua organizzazione, ma aveva anche altri talenti che lui aveva apprezzato molto, ma che lo avevano reso troppo vulnerabile. Il suo braccio destro Leon non gli aveva risparmiato un bel: “Te l’avevo detto Alek”.
Lukin sospirò ed accese un computer portatile iniziando una comunicazione con uno dei suoi agenti. All’altro capo dello schermo sarebbe apparsa un’immagine criptata a forma di Teschio e si sarebbe sentita una voce distorta e non identificabile.
<Sei pronta Esecutrice?> chiese Lukin.
<<Aspetto solo il tuo segnale, Compagno Teschio Rosso.>> rispose una voce di donna <<Il bersaglio non può sfuggirmi. Il suo destino è segnato.>>
<Ed è su questo che conto, compagna.> rispose Lukin lasciandosi sfuggire un sorriso. Come sempre la teatralità dei suoi giochi d’inganni lo divertiva.
Rio Valiente
Il combattimento tra i due lontani cugini fu inevitabile. Entrambi lo volevano, in fondo, perché entrambi avevano i propri motivi per odiarsi. Erano dannatamente simili. Da una certa distanza sarebbe stato persino difficoltoso distinguerli, tanto si somigliavano. Un Rogers per la vita e uno per la morte, si poteva benissimo affermare. Se si fosse potuto scommettere su questo incontro, le quote sarebbero state di parità: entrambi erano due supersoldati, entrambi finemente addestrati ed entrambi vantavano decenni d’esperienza nella lotta corpo a corpo. Si prospettava un incontro equilibrato, dunque. Ma un osservatore più acuto poteva notare come Steve Rogers sembrasse essere in vantaggio: dopo aver parato una sequenza di pugni ed evitato una combinazione di calci, affondò un montante che andò a segno, aggiudicandosi il “colpo d’incontro”. Per Michael fu una sorpresa: la volta precedente[3] era stato sul punto di sconfiggerlo, e solo l’intervento delle guardie presidenziali gli aveva impedito di assassinarlo. Ma stavolta c’era qualcosa di diverso in lui, un’insolita... pacatezza.
<Ma come diavolo fa a rimanere così calmo?> pensò Mike, furioso <Da dove gli viene, tutta questa sicurezza?>
Se solo fosse stato a conoscenza della sua reale identità, tutti i suoi dubbi avrebbero avuto le giuste risposte: d’altronde, non si sopravvive a degli scontri con avversari del calibro o di M.O.D.OK. o dell’Adattoide o del Quarto Dormiente se non si hanno nervi saldi.
A dire il vero, furono le parole di Bucky a far rinsavire l’ex Capitan America: era vero, da quando aveva dato la caccia a questo suo lontano parente aveva perso calma e lucidità, elementi essenziali in questo tipo di missioni. Ma ora era calmo, sereno, e sapeva che in questo modo poteva sconfiggerlo: Michael Rogers era un osso davvero duro, uno spietato combattente, rapido e prestante quanto lo stesso Steve, ma per gran parte della sua vita aveva agito nelle operazioni in nero o in missioni da sicario: l’esatto opposto di Steve, sempre in prima linea nei combattimenti contro plotoni della Wermacht o dell’Hydra.
Lo scambio ravvicinato di colpi vide quindi trionfare il Rogers buono, che colpì il rivale con una combinazione al corpo e concluse con un montante sotto il mento. Michael venne atterrato e rapidamente immobilizzato.
<Ok, non muoverti. Hai perso, sei in arresto.> disse Steve.
<Pe-pensi davvero di avermi sconfitto?> gli rispose l’altro.
Pochi secondi dopo che disse questa frase, si udì un terribile boato.
<Ma cosa...?> esclamò stupito Steve, poi udì degli spari e intuì come erano andate le cose:
<Nuke …> disse, maledicendo il suo avversario.
<Eh eh eh eh... punto mio, amico…> disse Mike, con un diabolico ghigno sul suo volto tumefatto.
<Dannata carogna!> urlò Steve, colpendolo al volto con un pugno, prima di abbandonare il tetto, lasciando lì Mike con polsi e caviglie legate.
Pochi istanti prima.
Il piccolo ricevitore si mise a suonare.
<Ci siamo....> Frank Simpson stava aspettando con ansia quel segnale; non appena lo ricevette aprì il flacone contenete la pasticche rosse e ne ingurgitò un paio: l’adrenalina cominciò ad aumentare vertiginosamente ed emettendo un urlo animalesco si lanciò dal punto in cui s’era appostato e saltò giù in strada: il lanciagranate attaccato al suo mitra sparò un’ogiva esplosiva verso il palazzo presidenziale e ridusse il balcone principale in un mucchio di macerie, poi aprì il fuoco verso le truppe dell’esercito.
Evidentemente, il suo compito era creare un diversivo per permettere la fuga ai suoi compagni.
Un piano d’emergenza organizzato da Mike, ovviamente; aveva premuto un minuscolo segnalatore quando aveva intuito che non sarebbe riuscito ad avere la meglio su Steve, pochi secondi prima che questi andasse a segno con l’ultimo pugno.
Una jeep di soldati gli andò contro ma Nuke, evitando di venire colpito dai loro colpi, la fece saltare in aria con un’altra granata. Vederla esplodere, con quegli uomini bruciati vivi dalle fiamme gli provocò un sadico piacere e sul suo volto tatuato apparve un’espressione di soddisfazione. Era come in estasi: la pasticca rossa gli provocava ad uno stato di perversa eccitazione.
Steve gli balzò addosso, colpendolo con un calcio a piedi uniti alla schiena, colpo che lo fece cadere a terra e lo privò della sua arma, che Rogers calciò lontano.
<No, Betsy!> disse Nuke, rivolto alla sua arma.
<Rimani a terra e arrenditi, soldato. So che non sei padrone di te stesso.>
Simpson fissò l’uniforme di Steve e non poté non notare la stella sul petto.
<Tu... osi disonorare i nostri ragazzi...> digrignò i denti e sul suo voltò comparve un’espressione animalesca, con la quale si avventò verso l’ex Capitan America.
Anche nelle vene di Nuke scorreva il siero del supersoldato – oltre che vari tipi di droghe eccitanti – che, insieme ad altre operazioni chirurgiche e potenziamenti cibernetici nelle ossa e nei muscoli, lo rendevano un uomo incredibilmente forte e coriaceo, con una resistenza straordinaria, ma non era un combattente finemente addestrato come lo era Rogers, e questo metteva Steve in una situazione di vantaggio: schivato l’ennesimo pugno Steve passò all’attacco, portando un calcio rotante alla mandibola. Se il suo avversario non fosse stato drogato e geneticamente modificato, sarebbe senz’altro finito al tappeto, dopo un colpo del genere. Ma per stendere Nuke ci voleva ben altro.
<Come hanno fatto a ridurlo così? Come hanno potuto trasformare un soldato in un mostro incapace di pensare? > pensava Steve, mentre evitava i tentativi di colpirlo da parte di Nuke, che ansimava e grugniva come una belva feroce. Vedere quel ragazzo ridotto ad una parodia distorta, tragica e grottesca di un patriota gli provocava sentimenti di dispiacere; sì, pur se folle e pericoloso provava pena per lui.
Dopotutto, nel profondo di quella massa di muscoli ipertrofici e dopati c’era un ragazzo che voleva solo combattere per il suo paese. Proprio come il mingherlino di Brooklyn che si offrì volontario per “l’operazione Rinascita”. Quello che era successo a Simpson sarebbe potuto accadere a lui, in fondo. Proprio com’era accaduto a Jack e al Cap degli anni ’50. Tutte vite rovinate nel tentativo di diventare come Capitan America. In un certo senso di si sentiva responsabile per lui.
Ma non poteva permettersi certe emotività durante un combattimento, perché una distrazione poteva risultargli fatale: difatti Nuke, furioso, riuscì a piazzare un calcio al suo addome, lasciandolo senza fiato. Gridando come un folle afferrò una maceria e con questa cercò di colpirlo nuovamente mentre questi era piegato per il dolore ma non appena lasciò partire il colpo Steve attivò il suo scudo energetico e si riparò; nonostante avesse smesso i panni di Capitan America, non si era totalmente abituato a non utilizzare uno scudo.
<Certe abitudini> pensò <sono dure da perdere, specie dopo che per anni t’hanno salvato la vita.>
L’incontro stava durando più del dovuto, Simpson andava fermato, e proprio nell’istante in cui Steve partorì questo pensiero, il suo avversario lo afferrò per la gola, sollevandolo addirittura da terra.
<MI FAI VOMITARE! QUELLA STELLA LA POSSONO PORTARE SOLO DEGLI EROI!> gridò furioso stringendo le dita attorno al suo collo.
Le dita di Steve cercarono avidamente nelle tasche della sua cintura e afferrarono un minuscolo congegno elettronico e lo puntarono a pochi centimetri dalla faccia di Nuke; la scarica taser stordì il marine fino al punto da farlo crollare a terra privo di sensi.
Inibitore neurale. Una arma in grado di paralizzare un nemico senza causare danni. Uno di quegli strumenti non letali che Rogers aveva chiesto ad Amadeus Cho di costruirgli. Quel ragazzo era dannatamente in gamba.
Steve si massaggiò la gola, poi iniettò a Nuke un potente sedativo appositamente creato per lui, che lo avrebbe fatto dormire per diverse ore.
Mise mano all’auricolare e parlò:
<Buck? Ce l’hai?>
<<Affermativo. Bersaglio individuato.>>
***
Non era stato facile liberarsi delle manette, ma anni di addestramento avevano fatto si che Mike Rogers fosse in grado di sfuggire persino a quella situazione. Aveva memorizzato il percorso che gli avrebbe permesso di fuggire da lì, qualunque fosse stato l’esito dell’attentato a Martinez.
Saltando di tetto in tetto, si dirigeva verso la sua via di fuga, confidando nel fatto che Nuke avrebbe attirato l’attenzione su di se. Chissà se quel “Rogers” sarebbe stato in grado di sopravvivere ad uno scontro con lui... certo, doveva riconoscerglielo, era dannatamente in gamba... chiunque l’avesse addestrato, negli anni 50, aveva fatto un ottimo lavoro.
Forse troppo.
Nella mente di Mike stava iniziando a sorgere un dubbio atroce, che come un tarlo si stava facendo largo nel suo cervello:
<E se fosse... quello originale? Se la faccenda della morte di Capitan America fosse stata tutta una montatura? Non sarebbe certo la prima volta che quei vermi a Washington si abbasserebbero a questo genere trucchetti.... Ma perché lo avrebbe fatto? Perché abbandonare tutto quello che aveva costruito? Non aveva senso.>
Rimuginando arrivò al punto di raccolta; utilizzando una grondaia come pertica scese dal tetto e atterrò in un vicolo, dove c’era un furgone parcheggiato ad attenderlo.
Allungò la mano verso la maniglia quando un colpo fece esplodere il finestrino dello sportello. Il proiettile gli era passato talmente vicino da lacerargli il viso, procurandogli un taglio sulla guancia, pochi centimetri sotto all’occhio destro.
<Non muoverti. Alza le mani e mettile dietro la nuca o ti piazzo una palla nella testa.>
A parlare era stato il Soldato d’Inverno, che lo teneva sotto tiro da pochi metri.
<Ma come diavolo hai fatto a....> non terminò la frase perché la risposta gli balenò in mente come un lampo: durante il combattimento il suo avversario doveva avergli piazzato una cimice, grazie alla quale l’altro lo aveva localizzato.
Bucky lanciò ai suoi piedi un paio di manette.
<Mettile ai polsi e non fare scherzi, dico sul serio. Da questa distanza non ci vuole un bravo tiratore per farti saltare la testa...e in ogni caso io sono molto, molto bravo. Non mettermi alla prova.>
Mike sapeva che non bluffava e a denti stretti eseguì l’ordine impartitogli.
<<Buck? Ce l’hai?>> chiese Steve tramite l’auricolare.
<Affermativo. Bersaglio individuato.>
<<Non ne dubitavo. Scortalo alla base.>>
<Ricevuto comandante. Chiudo> puntandogli la canna del fucile Bucky lo obbligò a camminare.
<Se può consolarti, te l’eri giocata bene. Due attentatori in due punti differenti, quel diversivo con quel pazzo impasticcato, la via di fuga... non male. Ma hai fatto i conti senza l’oste... credimi sulla parola quando ti dico che ho partecipato ad attentati più complessi in posti più sorvegliati di questo…>
Nassau, Capitale delle Bahamas, 1966.
Il proiettile
attraversò la nuca del bersaglio che fece un balzo come spinto da una mano
invisibile. L’uomo al suo fianco, uno dei migliori e più addestrati elementi di
una sezione d’élite del Secret Intelligence Service britannico di cui era
l’agente n. 7, non perse tempo e si gettò a terra rotolando su se stesso ed
estraendo contemporaneamente la sua fedele Walther PPK ed attese. Passarono
alcuni minuti e non successe nulla. Alla fine l’uomo che si faceva chiamare
John Bryce si convinse che il misterioso cecchino se ne fosse andato.
Evidentemente aveva già ucciso chi doveva uccidere ovvero il funzionario dei
servizi segreti cubani che aveva tentato di disertare e che lui avrebbe dovuto
riportare sano e salvo a Londra… un compito che aveva fallito. Decisamente, per
quanto li amasse, i Caraibi erano sempre fonte di guai per lui: scienziati
megalomani, barracuda, voodoo, ladri di armi nucleari aveva solo l’imbarazzo
della scelta. Beh almeno stavolta non era lui il bersaglio… ma questo non
avrebbe comunque reso M più felice. Questa missione era stata un vero
fallimento. Chissà che fine aveva fatto il cecchino? Era stato davvero in
gamba. E in fondo lui era uno sportivo
*
* *.
<Avrei potuto
uccidere anche l’agente inglese se non mi aveste ordinato di risparmiarlo.>
stava dicendo il Soldato d’Inverno al suo contatto del KGB.
<Ordini
direttamente dalla Lubyanka.> ribadì il colonnello del KGB <Pare che a
Mosca abbiano cambiato idea sulla sua morte dopo che ha salvato la vita a
diversi pezzi grossi del Partito e dell’Armata Rossa in Grecia non molto tempo
fa. Gli ordini non si discutono.>
<Io li eseguo
sempre, signore.>
Il colonnello fu
contento quando il Soldato d’Inverno fu uscito dal piccolo ufficio. Sapeva che
era una risorsa per la patria ma in qualche modo la sua presenza lo rendeva
sempre nervoso.
Rio Valiente. Oggi.
Il Vice Presidente Arturo Velasquez era nervoso. Pareva che tutto stesse andando a rotoli e la riuscita del piano era appesa ad un filo sottile. Aveva fatto bene a fidarsi di quegli americani? Aveva poca importanza ormai doveva fare la sua parte fino in fondo.
Le guardie addette alla sua scorta lo portarono fuori dal palazzo del Senato dove si trovavano i suoi uffici e lo guidarono verso un elicottero. Non vi arrivarono mai.
Qualcosa attraversò l’aria e tranciò la gola di uno degli agenti del servizio di protezione, poi qualcuno piombò su di loro. Era una donna che indossava una leggerissima ma allo stesso tempo resistentissima cotta di maglia blu ed il cui volto era celato da una maschera metallica modellata su fattezze femminili.
<ABBIAMO UN INTRUSO!>
Le guardie tentarono una reazione ma furono abbattute una dietro l’altra. La loro avversaria pur essendo sola ed armata soltanto con armi bianche era troppo in gamba per loro. Non per nulla colei che era conosciuta come Iron Maiden era stata una delle più letali assassine in forza ai servizi segreti russi. Ci aveva preso gusto ad uccidere, forse troppo.
Per qualche istante Velasquez su preso dal panico e se si fosse fatta trasportare e l’avesse ucciso veramente? Sentì la lama di un coltello pungergli la gola e si lasciò sfuggire un grido.
<Ecco, bravo, un po’ di urla e di sangue renderanno tutto più credibile.> gli sussurrò Iron Maiden.
Uno degli agenti di scorta n on era morto e non esitò a sparare.
Le pallottole raggiunsero Iron Maiden alla schiena. Il suo esoscheletro la protesse ma l’impatto la fece cadere apparentemente stordita.
Lo spiazzo andava riempiendosi di gente attirata dai rumori di lotta.
Un agente si avvicino a Velasquez che si teneva il collo.
<Tutto bene signor Vice Presidente?> chiese.
<Io… sì.> rispose Velasquez <Quella donna… voleva uccidermi. Chi è?>
<Lo scopriremo signore.>
Mentre tutti badavano al Vice Presidente Iron Maiden era riuscita ad eclissarsi.
<Ma… è scomparsa!> disse incredulo una delle guardie.
<Ma è impossibile!> esclamò un’altra.
<Non può essere andata lontana! Troviamola!>
Ma prima che si potesse pensare ad inseguirla, un’auto si fermò davanti al palazzo del Senato e ne scese uno dei consiglieri presidenziali che gridava sconvolto:
<HANNO AMMAZZATO IL PRESIDENTE!>
<Che cosa? Quando?>
<Me-meno di un ora fa... un intruso è entrato nella villa in cui s’era rifugiato e.... gli ha sparato! E’ morto sul colpo!>
Calò il silenzio. Tutti abbassarono lo sguardo, sconvolti dalla tremenda notizia.
Senza che nessuno se ne
accorgesse, però, Arturo Velasquez sorrise.
CONTINUA....
NOTE DEGLI AUTORI
E si conclude così, con questo colpo di scena, il duello
“Rogers contro Rogers”: una serie di mosse e contromosse con continui ribaltamenti.
Il nostro Steve è riuscito a catturare il perfido cugino, ma questi è riuscito
nel suo intento e ad assassinare il presidente Martinez. Ma la partita non è
ancora finita, altri giocatori devono ancora scendere in campo, e ognuno di
loro è una pedina fondamentale, in grado di cambiare l’esito della sfida. I
nodi verranno al pettine e si prepareranno gli scenari per il più esplosivo
incontro dai tempi di nitro e glicerina… uhm l’avete già sentita questa, vero?
CARLO
& CARMELO