#4

di Fabio Furlanetto

 

LA STRADA VERSO SE STESSI

 

Nearly all men can stand adversity,

but if you want to test a man's character,

give him power.
Abraham Lincoln

 

Atto primo: il monastero

 

Neve. Nient’altro che neve, in tutte le direzioni. Non riusciva a vedere nient’altro che neve e qualche sporadica roccia.

Aveva camminato per quanto…mesi ? Anni ? Ormai ogni cognizione del tempo aveva perso il suo significato. Non riusciva quasi a sentirsi i piedi, ma appoggiato ad un bastone continuava a camminare. Ormai aveva dimenticato anche il motivo di tutto questo. A malapena ricordava cosa fosse la pesante borsa che portava con sé.

“E’ tanto tempo che non vedo un altro essere umano, che non odo un’altra voce…E’ questo il destino di cui parlava mio padre ? Che ho atteso così a lungo ? Sarebbe stato meglio arrendersi alla follia !” [1]

Forse era soltanto un’allucinazione. Era quella la direzione giusta ? Nell’ultimo villaggio in cui era stato gli avevano detto che il monastero era soltanto una vecchia leggenda. Il vecchio Genghis [2] aveva forse mentito, nel raccontargli la leggenda del monastero tibetano dove avrebbe trovato tutte le risposte che cercava ? Ora non riusciva nemmeno a ricordare quali fossero le domande. Con le sue ultime forze scalò un’altra parete. Arrivato in cima perse i sensi, e restò svenuto nella neve per un’ora.

“Sembra… la montagna sotto la quale sono nato… ma sono… lontano da casa…Valeria… madre…”

Poi due paia di mani lo sollevarono, e due uomini con una tunica verde scuro constatarono con meraviglia che era ancora vivo, anche se a malapena. Anche loro non parlavano con un altro essere umano da tempo.

Tempo dopo, all’entrata di un antico monastero.

-E’ quasi morto per la fame e per il freddo. Presto, fratelli ! Dobbiamo aiutarlo ! – constatò uno dei due uomini in una lingua molto antica, chiamando a raccolta altri.

-E’ il primo straniero da più di novecento anni ! Chi può mai essere ? [3]

 

Si svegliò sentendo delle mani sulle bende che porta da anni sul volto. Anche senza forze riuscì a fermare l’uomo che lo stava facendo.

-Dove sono ? – chiese con un filo di voce, in latveriano. Avrebbe voluto urlarlo, ma era senza forze.

-Maestro ! Presto, maestro…lo straniero si è svegliato !

-Che luogo è questo ? Voi chi siete ? – chiese lo straniero nella stessa lingua che aveva appena sentito.

-Porti con te più di una sorpresa, straniero. In pochi conoscono ancora quest’antichissimo idioma.

-Ti hanno chiamato maestro. Sei tu a capo di questi uomini ?

-Essi sono i propri capi. Io mi occupo soltanto di loro.

Lo straniero osservò il vecchio stempiato, l’unico nella stanza a non portare il cappuccio verde scuro sulla testa. Sorrideva.

-Questo è il monastero della montagna, non è così ?

-Ci stavi cercando, forse ?

-Sì.

-Non credo. Tu sei qui per cercare te stesso, straniero.

-Io so già chi sono.

-Allora rispondimi: chi sei ?

-Sono Victor Von Doom.

-Queste non sono altro che parole. Soltanto lettere, ed il suono che ad esse è associato. Ti ripeto: chi sei ?

-Io…non lo so più.

-Allora sei nel posto giusto. Tutti quelli che vedi qui, lo sono per cercare se stessi. Ed anch’io.

-Siete un ordine di monaci ?

-Siamo un ordine, sì. In un certo senso. Ora riposati e riprendi le forze: quando sarai guarito, se vorrai potrai restare.

-Lo farò…per il momento.

 

Una settimana dopo, Victor Von Doom fu pronto ad alzarsi dal suo letto. Gli diedero una tunica e si offrirono di sostituire le bende, ormai troppo vecchie. Accettò, a patto che fosse lui stesso a sostituirle e che nessuno fosse presente.

Nonostante le parole del vecchio, sembrava proprio un monastero. I monaci non parlavano quasi mai, eppure non avevano fatto nessun voto del silenzio. Ad ognuno era assegnata una stanza, da cui usciva solo per le preghiere rituali ed, in qualche caso, per lavori manuali. Tutto era…tranquillo. Silenzioso. E inutile.

Il vecchio entrò nella sua stanza, composta solamente di un tavolo e di una sedia. Più simile ad una caverna in miniatura che altro.

-Come ti trovi tra noi, straniero ?

-E’ una sistemazione…accettabile, vecchio saggio.

-Tutti mi chiamano “maestro”, in questo luogo. Tranne tu.

-Non intendo mancarvi di rispetto, vecchio saggio…ma ho giurato di non chiamare mai un altro uomo “maestro”.

-Uno strano giuramento, da parte di chi sta cercando se stesso. Dimmi, straniero…come vuoi essere chiamato ?

-Il mio nome è Victor Von Doom…ma non sono più degno di questo nome. Non dopo ciò che mi sono fatto.

-Perché porti quelle bende ?

-Il mio volto è…nessuno deve vederlo. Mai più.

-Che importanza ha il tuo volto ? Non è altro che una facciata di ciò che vi è dietro – avvicinò una mano alle bende, ma Victor si ritrasse.

-No ! Questo mi ha reso…imperfetto. Niente su questa terra può curare le mie ferite, ma ho saputo delle vostre…capacità curative.

-Possiamo curare il tuo visto, forse. Ma non è questa la ferita che ti lacera. Le bende simboleggiano qualcos’altro… protezione dal mondo.

-Ah ! Ironia del destino…alla sua morte, mio padre disse che dovevo essere protetto.

-Non credo che Werner Von Doom volesse dire questo.

-Lei…conosce il nome di mio padre !?

-Naturalmente. Ti aspetto da anni, giovane straniero. La mia età avanza, e so di non avere molti giorni davanti a me. Accetto questo…fa parte del ciclo della vita. Ma lo stesso ciclo impone che io trovi…un successore. Nessuno dei confratelli è in grado di sostituirmi. Forse avrei dovuto prendere la strada che un vecchio amico mi consigliò. Si fa chiamare l’Antico, adesso.

-Cosa…l’attuale Mago Supremo !?

-La sua dimora non è molto lontana da qui. Tuttavia mentre egli ha scelto questo lato della magia, io ho preferito una strada più…intimista. Tu avresti il potenziale per arrivare al suo livello, o forse anche di superarlo. La tua sintonia con le forze arcane è forte, anche se…rozza.

-Ho studiato a lungo la magia, vecchio saggio. Ho appreso ogni cosa potesse essermi utile.

-Questo è parte del problema. La scienza e la magia sono la stessa cosa, giovane straniero. Una è il potere della mente, l’altra il potere dello spirito. La tua mente ed il tuo spirito sono eccezionalmente temprati. Eppure tu non sai veramente chi sei e cosa vuoi…e non sai indirizzare questa tua forza.

-Puoi insegnarmi a farlo ?

-Se questo è il tuo destino, lo farò.

 

Victor si inserì perfettamente nella vita del monastero. Recitò le preghiere rituali come gli altri, lavorò come fabbro come gli altri, e meditò nella sua stanza. Quando non era occupato a fare questo, il vecchio saggio lo istruiva nei misteri della magia.

Victor sapeva già molte delle cose che gli furono spiegate, ma ora poteva vederle da un lato nuovo. Prese in esame ogni tomo presente nell’antica biblioteca. Se non fosse stato per le bende, lo si poteva scambiare per un monaco qualsiasi.

Andò avanti così per sei mesi. Poi il vecchio saggio entrò nella sua stanza mentre stava armeggiando con degli strumenti tecnici.

-Così, oltre a studiare con me e a trovare la tua strada come gli altri, trovi anche il tempo per queste cose.

-Sono solo piccoli esperimenti, vecchio saggio. Troppo a lungo ho trascurato la scienza.

-Hhhmmm. Ancora non riesci ad abbandonare questi pensieri razionali, eh ?

-Imparare nuove cose non implica dimenticare ciò che si sa.

-Quindi è questo che portavi nella pesante borsa che avevi venendo qui. Devono essere importanti, per trascinarli su per una montagna.

-Lo sono, vecchio saggio, lo sono.

Stava lavorando su di un guanto metallico, forgiato da lui stesso. Inserendo circuiti che aveva portato con sé dall’università, ed altri più primitivi assemblati con ciò che era riuscito a trovare. Sul tavolo, il disegno di varie altre componenti: stivali, un casco…

-Stai costruendo un’armatura, straniero ?

-L’ho ideata nel corso degli anni, vecchio saggio. Anche nei miei vagabondaggi la elaboravo mentalmente, perfezionandola e migliorandola…completamente nella mia mente.

-Hhhmmm. Vieni, Victor, devo farti vedere una cosa.

Uscirono dal monastero, nonostante le premure dei monaci che curavano il vecchio, che tentarono di dissuaderlo. Uscirono e si avvicinarono alla scarpata. L’aria era limpida e si riusciva a vedere fino a molto lontano.

-Dimmi, straniero…che cosa vedi ?

-Montagne. Vallate. Neve.

-No. Tu mi hai detto cosa stai guardando. Dimmi cosa vedi.

Victor strinse gli occhi e guardò lontano, fino all’orizzonte. La sua voce cambiò tono, si fece più decisa.

-Terre. Nuove terre.

-Cosa puoi trovare là, che tu non possa raggiungere anche qui ?

-Non capisco la domanda, vecchio saggio.

-La mente di ognuno di noi è un mondo assai più sconfinato di quello che puoi calpestare, straniero. E può essere domato, con il nostro aiuto.

-Non credo di capire la differenza.

-Già…lo penso anch’io…forse mi sono sbagliato. Seguimi, giovane straniero. Torniamo dentro…è freddo ed inospitale, qui fuori.

Victor tornò nella sua stanza, a terminare il suo esperimento. Stava cercando dei componenti nella sua borsa, quando estrasse qualcosa che non ricordava nemmeno di aver portato con sé. La maschera facciale del robot a cui aveva lavorato.

La guardò in faccia. Fredda. Immutabile. A cui non si può portare che rispetto. Poi toccò le bende. Una ben misera… immagine di sé. Appoggiò la maschera al tavolo e si tolse le bende, quanto più velocemente poteva.

Guardò la maschera e poi il proprio riflesso su di essa. Le ferite si erano infettate, il volto era totalmente sfigurato. La maschera era lucida ed impassibile. La fissò a lungo.

 

Mesi dopo. Victor stava levitando, a gambe incrociate, nella sua stanza. Concentrandosi. Il suo maestro lo stava osservando.

-No no no ! Devi fare il vuoto nella tua mente, straniero…altrimenti non riuscirai a liberare il tuo io astrale.

-E’ quello che sto facendo !

-No. Nella tua mente si agitano mille pensieri.

-Come sempre dici il vero, saggio. Non riesco a trovare la pace, qui – Victor ritornò a terra. Il vecchio scosse la testa.

-Io ho tentato…ho tentato di farti ritrovare la strada. Credevo avessi trovato la pace, con noi…ma non più.

-La pace è una cosa che mi è sempre stata negata, vecchio saggio. Sin dalla mia nascita.

-Non è solo questo. La tua anima è…confusa…vaghi ancora in cerca di uno scopo. Ricordi quando arrivasti qui…colmo di odio, verso te stesso ed il mondo ?

-Tu mi hai mostrato come entrare in sintonia con l’universo, vecchio saggio…ma questa sintonia per me è priva di significato. Che senso ha essere tutt’uno con esso, fino ad annullarsi ? Che senso ha possedere qualcosa, se non lo si può usare ?

-A cercare se stessi.

-E che senso ha questa ricerca !? Non siamo forse sempre noi stessi anche quando non sappiamo cosa alberghi nel nostro animo ?

-Perché un’anima va guadagnata. E senza un’anima che si riconosce, una vita è priva di significato.

-Ho visto il tuo ordine, saggio. Trovate voi stessi e poi vi annullate in voi stessi. E’ questa la strada che hai scelto ? Il totale annullamento ?

-Credevo fosse la strada che cercavi anche tu.

-No. Io cercavo uno scopo.

-E lo hai trovato ?

-L’ho sempre avuto. Tutta la mia vita è stata spesa per essere padrone del mio destino. E’ questo che voglio: il mio destino.

-Nessuno può essere padrone del proprio destino.

-Tu dici che devo trovare me stesso. Ma che senso avrebbe saperlo, se poi la mia vita è in mano altrui ? No. Non ho intenzione di ritirarmi dal mondo.

-Straniero, io non ti capisco. Sei venuto qui perché curassimo le tue ferite, ma ti rifiuti di concedercelo. Cerchi la tua strada, ma affermi di averla sempre conosciuta.

-Perchè io non ho bisogno di essere curato, o di essere protetto.

-Sono molto…deluso. Sei ancora troppo attaccato alla vita mortale.

-Sei a capo di un ordine morente che ha rifiutato la vita, vecchio. Sei un uomo che ha vissuto troppo, e che si rifugia tra le montagne per morire. Io rifiuto la tua strada, vecchio…io non ti riconosco mio superiore. In realtà, io ti disprezzo quanto tu non puoi neanche immaginare, perché sei l’esatto opposto di ciò che io sono. Il tuo dio è la pace: il mio è il cambiamento, la rivoluzione, la ricerca della perfezione. Questo…non è…il mio posto.

-Allora devo chiederti di andartene, Victor Von Doom.

-No. Non chiamarmi così, vecchio. Quell’uomo è morto, quando ha creduto di potersi fidare di qualcuno che non fosse se stesso…ed è stato tradito, sabotato. Ora non resta altro che il mio destino.

-Le tue ferite sono troppo profonde per essere curate ormai, Destino. Che il creatore abbia pietà della tua anima.

-La pietà è l’ultima risorsa dei deboli. E…Destino…non può essere debole !!!

Lo indicò con una mano, facendolo volare dall’altra parte della stanza. Il vecchio si alzò lentamente, con posa drammatica.

-Sei stato un ottimo allievo, fino a quando hai voluto imparare. Ed in pochi mesi hai imparato ciò che io ho appreso nell’arco di secoli. Ma la tua mente è ancora…limitata.

Un incantesimo scatenò i Cerchi Scarlatti di Cyttorak, che afferrarono Victor…o meglio ci provarono, perché gli passarono attraverso.

-Cosa…non puoi aver imparato come evitare questo incantesimo !

-La mia mente è molto più aperta della tua, vecchio – disse una voce senza corpo, mentre il vecchio fu colpito da qualcosa di duro e metallico e cadde a terra. Victor ritornò visibile: nella mano destra portava un guanto metallico, ed intorno alla vita uno strano congegno. Premette un pulsante e l’immagine del Victor attaccato di Cerchi scomparve.

-Proiezioni olografiche elementari. Non hai previsto che io usassi la tecnologia contro di te.

-Questo non basterà ! Non puoi…- si portò una mano alla gola, iniziando a respirare con fatica.

-In queste zone cresce una pianta leggermente velenosa, lo sapevi ? Trattandola adeguatamente ho derivato un veleno mortale, che ho sparso sul guanto. Un leggero contatto è sufficiente ad uccidere un uomo in pochi secondi.

-Per…chè…

-Ti sto facendo un favore, vecchio. Libero la tua anima dalla squallida non-vita che conducevi qui, donandola all’eternità. Dovresti essermene grato. Ora guiderò io i tuoi confratelli, come hai sempre sperato…ma a modo io.

-Mi hai…tradito…

-Al contrario, ho fatto ciò che speravi. Ti ho dato la pace e nuova linfa vitale al tuo ordine. Ora so chi sono. Io sono Destino.

Il vecchio strisciò verso Victor, cercando disperatamente di respirare. Poi con un rantolo smise di vivere.

Con calma, Victor si tolse il guanto e lo nascose. Chiamò a raccolta i suoi confratelli. Dirà che il vecchio è svenuto, picchiando la testa e procurandosi quel livido. Da sotto le bende, nessuno dei monaci poté vedere che Victor sorrideva.

 

Nei mesi successivi, Victor assunse il ruolo che era stato del vecchio saggio. Ma niente più preghiere: tutti i monaci furono assegnati alla fucina, o ad assemblare componenti sotto il suo comando. Erano stati inattivi per troppo tempo.

All’inizio i monaci gli obbedirono con scetticismo, ma poi accettarono di insegnargli tutto quello che il vecchio aveva insegnato loro. C’erano cose che Victor non sapeva ancora.

Un giorno fatidico, tutti i monaci si radunarono attorno a lui. Si tolse lentamente le bende, con sguardo impassibile.

I monaci sapevano che il suo volto era orribilmente sfigurato: quando videro soltanto uno sfregio che gli oltrepassava metà faccia si chiesero che cosa significasse [4]. Ma nessuno osò dire niente. Avevano imparato a temerlo.

Gli portarono i pezzi dell’armatura che lui stesso aveva progettato, e la montarono come se stessero incoronando un re.

-Nessun mortale ha mai indossato una simile armatura ! Deve dirci se le procura dolore, signore.

-Dolore ? Il dolore è come l’amore, come la pietà ! E’ qualcosa per esseri inferiori. Cos’è il dolore per Destino ? Ed ora…la maschera !

-Ma…ma, signore, deve ancora raffreddarsi del tutto !

-Basta così, fratello. Non sopporterà ulteriori ritardi. Un uomo come lui non può aspettare come gli altri. [5]

Due monaci estrassero la maschera ancora rovente dal suo stampo. Era la stessa maschera del robot. La stessa maschera che vedeva nel burattino di latta che suo padre gli aveva costruito, quando era solo un bambino. Quando era ancora innocente. Quando era ancora…umano.

“E’ arrivato il momento di cancellare ciò che ero, per diventare ciò che devo essere. Cancellare questo volto sfigurato, in quello di una figura che possa conquistare ciò che è mio di diritto. Ciò che è sempre stato Destino, che è stato Victor Von Doom e che sarà…il Dottor Destino. Sì… “dottore”, dato che mio padre era uno scienziato…ma senza dimenticare ciò che è stata mia madre”.

Uno dei monaci avvicinò la maschera, incandescente, al suo volto. Sentiva il calore, ma senza indietreggiare.

-Nessun mortale poserà mai lo sguardo sull’orribile volto di Victor Von Doom ! Da questo momento Victor Von Doom non esiste più, come il bel volto che un tempo era suo. Al suo posto c’è…il Dottor Destino ! [5]

La maschera entrò a contatto con la sua pelle, bruciandogli completamente il viso. Victor cadde sulle ginocchia ed urlò dal dolore, un grido straziante ma che era anche di liberazione. Corse via, gettandosi nella neve fuori dal monastero.

La maschera si raffreddò sciogliendo la neve. Poi il Dottor Destino rientrò nel monastero, togliendosi la maschera nell’orrore dei monaci.

-Padrone…la sua faccia ! E’…?

I monaci gli portarono una tunica verde, appositamente modificata e acconciata.

-Silenzio ! Nessuno può fare domande a Destino ! Raccogliete i miei abiti ! E’ venuto il momento di lasciare questa landa desolata. E’ venuto il momento di occupare il posto che mi spetta di diritto nel mondo…come suo padrone assoluto ! [5]

Alzò i pugni al cielo, vittorioso. Ora aveva uno scopo, la volontà e i mezzi per ottenerlo. E soprattutto…non aveva più nessun dubbio o rimorso.

 

Atto secondo: la madrepatria

 

Boris si ritirò nella sua stanza per la notte. Per uno zingaro come lui era molto strano dormire nello stesso posto per tre interi anni, ma non aveva più l’età per quel tipo di vita. Il tempo era passato molto velocemente, negli ultimi tempi. Ogni giorno era stato uguale al precedente, da quando Victor e Valeria avevano lasciato il paese. Ormai Boris era solo, dopo aver perso molti vecchi amici: alcuni erano rimasti negli accampamenti, altri erano rimasti vittime delle vecchie persecuzioni. Il nuovo re tollerava gli zingari, certo. Ma la gente…era sempre stato un discorso molto diverso, no ? Si addormentò solo dopo qualche ora, in un sonno senza sogni. In realtà credette di sognare, ma i passi metallici che udiva erano del tutto reali.

Dei passi pesanti salivano le scale, lentamente. Si fecero sempre più vicini, fino a quando la porta si aprì con una violenza maggiore del normale.

-Boris ! – disse con voce ferma l’uomo, a malapena illuminato dalla candela che Boris aveva acceso. Era avvolto in un mantello verde scuro, ed indossava stivali di ferro; il resto non era visibile con quella fioca luce.

-Chi è !?

-Hai già dimenticato la mia voce ?

Sebbene distorta, quasi metallica, quella voce era inconfondibile. Ora  il volto, se così si poteva chiamare, si poteva intravedere. Era una maschera di ferro, fredda e glaciale. Esattamente come la voce.

-Victor ? Che…cosa ti è successo ?

-Ho imparato…a essere più duro. Sono più forte ora, più potente…come si addice al futuro padrone del mondo ! [6]

-Di che stai parlando ?

-Presto capirai, fido servitore.

-Victor, dove sei stato in tutto questo tempo ? Non ho tue notizie da quasi cinque anni !

-Questo è irrilevante, Boris. Ma in futuro, ti prego di chiamarmi Destino o Signore. Victor Von Doom non esiste più…non come tu lo conoscevi.

Boris avrebbe voluto alzarsi ed avvicinarsi a lui, ma si ritrovò bloccato dalla paura. Non era la prima volta che la provava, in sua presenza…ma questa volta non si trovava di fronte ad un uomo.

Destino si avvicinò alla finestra e guardò fuori, le mani dietro la schiena. Si muoveva con la massima naturalezza dentro quell’armatura. Dal linguaggio del corpo sembrava molto…malinconico.

-Dimmi Boris, qual è la situazione di Latveria ?

-Le cose sono migliorate rispetto ai vecchi tempi, Vi…Destino. Il Barone è morto durante la tua assenza, ed il suo successore… il principe …è benvoluto dal popolo.

-Come se questo significasse qualcosa. L’approvazione della massa è secondaria rispetto all’esercizio del potere. Vai avanti.

-Le leggi contro la nostra gente sono meno rigide di un tempo, anche se gli Zefiro sono sparsi per tutta la nazione.

-Non preoccuparti più per la nostra gente, Boris. Non avranno più niente da temere, quando saranno sotto la protezione di Destino. Ti contatterò domani, dopo il messaggio alla nazione.

-Quale messaggio ?

Destino tornò sui suoi passi ed uscì, senza richiudere la porta. Boris si alzò dal letto e lo seguì, mentre all’esterno due razzi si dirigevano verso i monti.

 

Il giorno dopo, in uno dei lunghi momenti di pausa alla locanda dove Boris lavorava. C’era poco lavoro in quei tempi, e tranne qualche giovane non c’erano molti clienti. La maggior parte si fermava davanti alla locanda per ascoltare brevemente la radio: dato che nessuno poteva permettersene una, a causa della pesante recessione, era uso comune recarsi nei locali pubblici per ascoltarla.

-Il ministro degli Esteri conferma i recenti accordi commerciali e politici con la Russia. L’ambasciatore ha dichiar~~~~~~~~~

Le parole dei vostri governanti sono state soppresse. Ho udito il vostro richiamo di ribellione ed ora vi rispondo. Io sono Destino. Presto sarete liberi ~~~~~~~

La radio non trasmise niente per quasi un’ora, lasciando alla gente il tempo di riflettere. E soprattutto, dandole il tempo di spargere la notizia. Se poche centinaia di persone avevano sentito queste prime parole, ad ascoltare il secondo furono più del triplo.

-Anni fa, lottai contro un’aristocrazia decadente che voleva morire trascinando con sé un popolo antico e fiero. Il nuovo re ha dato una nuova facciata a tutto questo, ma gli manca il polso per esercitare il vero potere. Sotto il suo comando Latveria è destinata a scomparire, inglobata nel mare di nazioni circostanti e negli intricati giochi politici di popoli infimi e traditori. Destino non lascerà che questo accada. Destino trasformerà questa nazione in un paradiso per i suoi abitanti. Guai a chi si metterà sulla mia strada. Puoi avere sangue reale nelle vene, Rodolfo. Hai la corona. Ma questa terra…questa nazione…questo mondo è mio.

 

Haasenstadt, una settimana dopo. Il Castello Sabbat dominava tutta la città. Resisteva fin dal 16° secolo, anche se a fatica. Come tutto il paese. All’interno Rodolfo, XVI Barone Sabbat, Principe Sovrano di Latveria,  [7] iniziava a sentire il peso della corona indossata quattro anni prima. Stava parlando con il suo consiglio dei ministri.

-Ci sono state altre rivolte oggi, Sire. L’aumento delle imposte non è stato affatto gradito dalla popolazione.

-Non è la prima volta che siamo costretti ad alzare le tasse, e neppure la prima volta che scoppia una rivolta. Perché siete così preoccupati ?

-Perché finora queste…rimostranze non erano pericolose, sire. E’ stato dato fuoco al municipio di Schonstadt, e ci sono persino stati scioperi nelle fabbriche. Sono disorganizzati, ma se galvanizzati ulteriormente e guidati…

-E dietro tutto questo c’è…

-“Destino”.

-Tutte le stazioni radio sono state chiuse e sorvegliate a vista, non è così ? Allora come fa a continuare a trasmettere ?

-La nostra polizia non è riuscita a scoprirlo, sire. Le consiglierei di chiedere aiuto alla Russia e di…

-Chiedere aiuto ! Non ci sono carri armati per le strade perché gli abbiamo concesso il territorio oltre le colline, e perché ho acconsentito alla creazione di basi militari nel nostro territorio. Non abbiamo una forza militare che possa farci durare più di un secondo. Non stiamo parlando di un’invasione…è soltanto un uomo !

-Un uomo pericoloso, sire. Un uomo con un seguito.

-Non sapete dove si nasconde ? Latveria non è poi così grande.

-I servizi segreti non sono riusciti a trovarlo.

-E non sappiamo neanche chi è ?

I ministri si guardarono in faccia, deglutendo. Poi il ministro della Difesa si fece coraggio e consegnò al re un dossier.

-Questo sì, purtroppo. Riteniamo si tratti di Victor Von Doom.

-E chi sarebbe ?

-Un reazionario di cui non abbiamo notizie da anni. Le nostre ultime informazioni lo davano negli Stati Uniti, ma sono passati degli anni da quando abbiamo saputo qualcosa.

-Un momento…secondo queste carte è…uno zingaro !? Uno zingaro mi chiede di nominarlo re, e voi mi chiedete l’aiuto dei russi ?

-La situazione non è così…semplice, sire.

-Ai tempi dei miei antenati, la punizione per aver contraddetto il re era di sei mesi di prigionia e torture.

-Chiedo scusa, sire. Ma Von Doom è un uomo estremamente pericoloso; teneva in scacco l’esercito reale prima della maggiore età.

-E’ uno zingaro…promettiamogli un campo dove metter su tenda, un po’ di coperte e ci lascerà stare.

-Chiederà molto di più, sire. Secondo le nostre fonti, Von Doom ha in mente un colpo di stato.

-Un che !?

-Tre fabbriche pesanti sono state chiuse negli ultimi sei mesi, a causa di gravi incidenti poco chiari. Tutte le pattuglie di quella zona sono scomparse misteriosamente. Riteniamo che Von Doom usi quelle fabbriche per costruire armi.

-Questo è ridicolo ! Von Doom non ha un seguito, solo dei simpatizzanti. Cosa può fare da solo ?

La porta della stanza si aprì, lasciando entrare una guardia con molta fretta. Ha sottobraccio una radio.

-Chiedo venia, sire, ma deve sentire questo !

Appoggiò la radio sul tavolo, facendo scostare i ministri che lo guardarono con sdegno. La radio si accese.

-…rivolte. Gli incendi, le rimostranze e le barbarie devono cessare immediatamente. Siete un popolo fiero, non un’orda di barbari. Ma non è per questo che vi parlo dopo una lunga assenza. Ho condotto lunghe ricerche sulle linee dinastiche dell’aristocrazia latveriana. La linea del Barone Tristan Maneggi de Sabbot non conduce al Principe Rodolfo; cento anni fa il XII Barone Sabbat, il legittimo erede al trono fu assassinato e cancellato dalla storia, in favore del trisnonno del vostro attuale re. Ma quell’uomo non morì senza lasciare una discendenza: ebbe un figlio da una zingara. Quel figlio era un mio antenato. Per cui io, Victor Von Doom, sono il legittimo erede al trono di Latveria e rivendico la mia posizione, sia per diritto di sangue che per diritto morale. Per cento anni Latveria è stata guidata da un’aristocrazia infame e corrotta, più interessata ai propri giochi di potere che al benessere del popolo. Questo cesserà ora, per mano di Destino.

Rodolfo spense la radio ed uscì furibondo dalla stanza, seguito da tutti i ministri tranne quello degli Interni. La guardia gli si avvicinò.

-Destino è compiaciuto del suo operato, ministro.

-Non potrò andare avanti a lungo senza essere scoperto. Quando avverrà il colpo di stato ? Destino ha promesso di farmi Primo Ministro…

-Presto. Molto presto.

 

Nel pomeriggio, nel cuore della campagna latveriana. I pochi ribelli a cui è stato permesso recarsi là se ne erano appena andati, quando Boris entrò nell’ala della fabbrica che Destino usava come laboratorio.

-Buon dio…questo posto è…così…

-Avanzato ?

-Meccanico. Continuo a meravigliarmi della velocità con cui hai costruito queste macchine, con quasi nessuno ad aiutarti…

-Nessuno mi ha aiutato, Boris. Destino non ha bisogno di aiuto. Semplicemente, alcuni miei futuri sudditi hanno ridotto i tempi di produzione con la loro manodopera.

-Hai creato un vero piccolo esercito in meno di due settimane…

-E’ stato facile. I latveriani sono amareggiati da una vita di stenti e sacrifici. Un forte aumento delle tasse e scelte politiche di comodo non hanno reso popolare il governo, ed il carisma del sovrano non basta più. Dare la colpa ai governi è facile. E’ bastato parlar loro del mio sogno di rendere prospera la nazione, ed il fatto che la monarchia è illegittima…

-La bugia, vorrai dire. La storia che hai raccontato è falsa.

-Dettagli, Boris, dettagli. Cosa conta il sangue che scorre nelle vene, per un governante ? Forza, intelletto e volontà, ecco cosa serve per regnare.

-Sembra di essere tornati ai vecchi tempi, Victor. Quando tu e Valeria sognavate un…

-Ti ho già ordinato di non chiamarmi più così, Boris. Non sono più Victor Von Doom, sono il Dottor Destino. E non ho più alcun interesse per la donna che hai nominato.

-La ricordi ancora ?

-Come potrei averla dimenticata ? Ma un re ha altre…responsabilità. E non può permettersi debolezze.

-Ti ha scritto questa.

Destino si voltò, e Boris gli mostrò una lettera. Aveva resistito al passare degli anni meglio del castello.

-Da dove viene ?

-L’ha lasciata Valeria prima di lasciare Latveria, anni fa. Mi chiese di consegnartela al tuo ritorno.

-Ti chiesi più volte di bruciarla, Boris. Perché non mi hai obbedito ?

-Perché credo tu non volessi veramente che io lo facessi.

-Vattene, Boris. Lasciami solo, ho molto da fare per impadronirmi della nazione.

Destino si girò nuovamente verso la sua strumentazione e ricominciò a lavorare. Boris lasciò la lettera a terra ed uscì.

Più di venti minuti dopo, Destino dovette spostarsi in un altro punto del laboratorio e calpestò la lettera. Si fermò un attimo a pensare e la prese in mano; la sentiva appena, sotto i guanti di metallo. La aprì e ne estrasse la lettera, ancora intatta.

 

Caro Victor, scrivere questa lettera non mi è facile. Sono abituata a parlare quando tu non mi ascolti, ma non mi sono mai piaciuti gli addii. Sono passati mesi da quando te ne sei andato; non è più lo stesso, qui.

Nessuno parla più di te, da quando la ribellione è stata fermata. Tutti i miei amici, i pochi che avevo, sono stati uccisi dalla polizia o sono scappati in altre zone. E mi sono accorta di non aver mai avuto una vita senza di te.

Eravamo felici un tempo, o almeno così pensavo. Anche quando eravamo insieme, tu non c’eri mai. La tua mente era sempre assorta in pensieri…più grandi. Ti ho amato per anni, Victor, ma non sono mai riuscita a capire veramente che cosa provassi tu. Anche solo decifrare il tuo sguardo era impossibile; non sapevo se mi avresti picchiato o baciato. Non posso vivere così, capisci ? Ho bisogno di una vita mia, lontana da tutto questo. Tu mi hai definito una distrazione, quindi dovresti essere contento di non vedermi più. Io avevo spesso paura di te, quindi dovrei dire lo stesso. Non è così. Mi manchi. Vorrei che tu tornassi da quella porta, ma so che non lo farai. Oh, forse tornerai qui, ma la tua mente sarà sempre altrove. Io me ne vado. So che, se tu lo volessi, potresti trovarmi. Ti prego di non farlo. Se non sono stata soltanto una distrazione…se anche tu mi hai amato, ti prego di lasciarmi vivere la mia vita. Ti auguro di riuscire a trovare la tua strada ed il tuo posto nel mondo. Voglio solo avere una possibilità di fare altrettanto. Addio, Victor. Ricordami.

Valeria

 

Destino chiuse il pugno, azionando i sistemi d’arma. La lettera bruciò in meno di un secondo. Si avvicinò alla più vicina finestra ed accese i razzi sulla schiena, decollando verso Haasenstadt.

Mezz’ora dopo, davanti al cancello del Castello Sabbat, bussò energicamente. Non ricevendo risposta, premette un pulsante interno al guanto e spinse il portone, che si aprì come se fosse stato sfondato da un ariete.

Le guardie si scagliarono subito contro di lui, ma caddero a terra grazie ad un proiettore di ultrasuoni. Destino si avvicinò a passi decisi alla scala e salì. Solo tre, quattro guardie tentarono di bloccarlo. Inutilmente.

Dieci minuti dopo essere entrato nel castello, Destino abbatté un’altra porta. All’interno c’era un grande salone trovò un ragazzo attorniato da una mezza dozzina di giovani donne, che urlarono non appena lo videro.

-Fuori – disse con voce metallica, gli occhi iniettati di sangue. Il ragazzo cercò di scappare, ma Destino lo afferrò per i capelli.

-Lasciami andare, ti prego ! Non ho fatto niente !!!

-Chi sei ?

-M-mi chiamo Zorba…

-Il fratello di Rodolfo. Dov’è lui, adesso ?

-Piano di sopra…la sala delle riunioni. Ti prego, non farmi del male…

Destino lo lanciò senza il minimo sforzo contro una parete, ed uscì dalla stanza. Si incamminò velocemente, ma con passo drammatico, verso la sua destinazione.

Entrò nella sala delle riunioni, trovandola vuota. Azionando i sensori rilevò un veicolo sul tetto, cinque metri più in alto.

Estrasse un piccolo congegno dall’armatura e lo tenne sul palmo della mano. Scaricò una enorme quantità di energia, creando un varco verso l’alto. I jet miniaturizzati fecero il resto.

Al suo arrivo, i ministri stavano salendo su un elicottero; delle guardie gli spararono, ma i proiettili rimbalzarono sull’armatura.

Armeggiò con dei pulsanti nascosti e le pale smisero di girare. Le guardie gli si gettarono addosso, ma furono scaraventate giù per la collina.

-E’ questo dunque il governo di Latveria ? Vecchi aristocratici ed un giovane vigliacco ?

I ministri erano paralizzati. Rodolfo scese dall’elicottero e gli si avvicinò.

-Il Dottor Destino, suppongo.

-Principe Rodolfo, sono venuto a reclamare la corona.

-Perché ?

-E’ mia di diritto.

-La tua pretesa regalità è un trucco e lo sappiamo entrambi. Sei arrivato qui in quindici minuti…non certo per chiacchierare. Se vuoi uccidermi, fallo ora.

-Non lo farò, se posso evitarlo. Siete un uomo d’onore, principe, per quanto bizzarro possa sembrare a entrambi. Voglio essere il legittimo sovrano di Latveria perché questo è il mio destino. E nessuno si mette tra me ed il mio destino.

-Potevi arrivare a questo punto anche una settimana fa…come hai fatto, tra l’altro ?

-Un iper-impulso ha disattivato tutte le armi e i sistemi difensivi. Solo qualche allarme minore e le armi più lontane hanno funzionato…inutilmente. Non sono un aspirante tiranno, Rodolfo: voglio solo il benessere dei latveriani.

-Come hai voluto il benessere dei tuoi alleati, anni fa ?

-Di che farnetichi ?

-La ribellione che iniziasti tu ebbe fine perché organizzasti tutto. Non ti importa niente degli altri, solo del potere.

-Si può dire lo stesso di te.

-Non credo. I miei ministri sono rimasti fedeli, del resto.

-Ah ! Quale stolto ti sei rivelato !

-No, lo stolto sei tu, Destino.

-Come osi !?

-Oso perché sono il re di questo paese. So del doppio gioco del mio ministro degli Interni, ma non avresti dovuto dargli troppe informazioni. So dove si trova la tua base, ed ho ordinato un attacco in massa.

-Le sole difese automatiche basteranno per il ridotto esercito latveriano.

-Ma non per quello russo…ho avuto un appoggio da Mosca. In questo stesso momento stanno bombardando le tue preziose fabbriche.

-Tu…non oseresti mai…

-Ai tempi di mio nonno, la parola del re di Latveria era legge. Ed in molte cose lo è ancora.

-Ti pentirai di questo, Rodolfo. Te lo assicuro. Non dimentico mai chi è mio nemico.

Alzò un braccio e dalla mano partì un raggio laser che colpì in fronte il ministro degli Interni, che cadde a terra sanguinante. Destino si gettò dal castello, attivando i razzi e volando via.

 

Alla massima velocità impiegò quindici minuti per arrivare alla fabbrica, appena in tempo per vedere gli aerei in lontananza.

Ne abbatté uno con un raggio del guanto, colpendone il serbatoio; gli altri si allontanarono per un attimo. C’erano dodici operai nella fabbrica colpita; Destino ne contò undici all’esterno. Ignorò le grida d’aiuto; quelle pecore non erano di suo interesse. Boris era già tornato al paese, fortunatamente.

Entrò nella fabbrica e vide tutto il suo lavoro distrutto. Vide il dodicesimo uomo appena prima di notare che il soffitto stava crollando; l’uomo era intrappolato da una trave. Destino la sollevò e coprì l’uomo col suo corpo. L’intera fabbrica crollò sotto l’ultimo bombardamento.

Pochi secondi dopo Destino uscì dalle macerie, portando con sé l’uomo. L’armatura aveva subito gravi danni, ma il campo di forza aveva tenuto abbastanza da mantenerlo in vita. L’uomo però non sarebbe sopravvissuto.

-Dest…ino… - disse con la più flebile voce che si possa immaginare.

-Dimmi, suddito – si abbassò per ascoltarlo, mentre gli aerei ritornavano per ucciderlo.

-E’ vero…che siete…il re ?

-Sì, lo sono.

-All…allora… mio nonno si…sbagliava quando…diceva che…i re… i re sono come noi…perché io… non ti avrei…mai… salvato… grazie…per averci reso… import…

I missili raggiunsero la fabbrica, distruggendola completamente. Le energie rimaste protessero Destino, ma diedero il colpo di grazia all’uomo. Destino non seppe mai come si chiamava.

Gli aerei si allontanarono, sicuri di aver fatto il proprio dovere. Gli operai fuggivano, disperati.

-Quest’uomo…era sotto la protezione di Destino. E chi la infrange si condanna con le sue stessi mani !

Gli aerei erano al limite del suo raggio d’azione; convogliò tutta l’energia dell’armatura nei sistemi offensivi, rilasciando un solo raggio di distruzione che incenerì uno degli aerei, facendolo schiantare sulle colline.

Gli altri due tornarono indietro il più velocemente possibile, sparando a terra per rendere futile qualunque tentativo di fuga.

Le file di proiettili si avvicinavano velocemente a Destino, che restava immobile con le braccia conserte. Sembrava volesse morire. Tutt’altro. Voleva uccidere.

-Azionare difese perimetrali, codice 21678-Destino. Ora.

Decine di paratie nascoste si aprirono lungo tutta la zona, e da ognuna uscì un cannone laser. I due aerei russi furono investiti da oltre trenta raggi laser concentrati; caddero venti metri dietro Destino, inceneriti.

I suoi ex operai erano immobili, a bocca aperta, a fissare la scena.

-Ora basta con le buone maniere. Basta con la propaganda e la politica. Voglio questa nazione, e Destino conquista sempre ciò che vuole.

Aprì uno scomparto segreto nel guanto destro e premette un pulsante rosso. Ci fu un breve beep, seguito da un rombo lungo tutto il confine di Latveria.

 

Il pomeriggio di una giornata normale si trasformò in un colpo di stato in piena regola. La gente guardò verso l’alto, o fuori dalle finestre, e vide schiere di uomini metallici volanti. Erano centinaia; Destino li aveva costruiti nei due anni che aveva passato ad organizzare la conquista. Contava di usarli solo come ultima risorsa, o come arma contro i paesi nemici quando avesse già preso il potere.

Attaccarono ogni stazione di polizia, ogni caserma dell’esercito, resero inagibili le residenze regali e tutte le possibili via di fuga dal castello. Una pattuglia di robot volanti circondava perennemente il castello, rendendo impossibile l’uso di velivoli.

Il castello era presidiato dal poco esercito personale che Rodolfo era riuscito a radunare in così breve tempo.

Destino mandò un messaggio all’intera nazione, attraverso tutti i mezzi di comunicazione e gli altoparlanti incorporati nei robot.

-Sono Destino. Questo messaggio è rivolto alla nazione intera, anche a chi stoltamente è ancora dalla parte degli attuali…anche se per poco…regnanti. Da questo momento prendo possesso di questa terra, per diritto rivoluzionario e di sangue. Intendo plasmarla a mia immagine e somiglianza. Domani sarà un nuovo giorno per il mondo. Siate forti.

La notte fu molto lunga. I robot non smisero di pattugliare la zona attorno al castello, mentre ogni luogo dalla pur minima rilevanza strategica era già di Destino. Rimase davanti al castello per tutta la notte, senza mai dormire. I suoi sogni si stavano già avverando, dopotutto.

 

La mattina dopo, all’alba, Destino fu avvicinato da Boris. Non si era mosso per tutto il tempo.

-Signore…come procede ?

-Rodolfo e i suoi uomini restano nel castello, presidiati e troppo timorosi per tentare di attaccarmi. Sanno di dover perdere, cercano solo di rimandare.

-I suoi uomini si sono radunati attorno ai robot, signore. Attendono la sua parola.

-No. Che attendano ancora un po’. Sarà un re a parlar loro. Gli ho dato fin troppo tempo. Robot, continuate a sorvegliare la zona, e deviate la quinta divisione ai confini. Potrebbero aver chiesto aiuto.

Una voce chiaramente artificiale rispose da un microscopico altoparlante nel casco di Destino.

-Dobbiamo-sorvegliare-anche-il-castello ?

-No, soltanto le colline. Il castello è mio.

Camminò con passo deciso fino al pesante cancello. Questa volta non usò buona maniere: una carica esplosiva miniaturizzata ridusse in macerie l’ultima barriera che lo separava dal potere.

Le ultime forze della monarchia erano radunate all’entrata, e gli scaricarono addosso tutta l’artiglieria che erano riusciti a trovare. Bastò un campo di forza di basso livello per loro. Destino rimase sotto il fuoco incrociato delle loro armi per più di mezz’ora, fino a quando non finirono le munizioni. Seguì una strage: avanzati microcomputer guidarono i raggi dei suoi guanti, facendo sì che ad ogni colpo seguisse una morte istantanea.

Salì la grande scala che portava fino ai piani superiori, che ben presto si riempì dei corpi degli ultimi latveriani fedeli al re.

I sensori interni rivelarono che ora il castello era disabitato. Rimanevano soltanto due persone, nella sala del trono.

Si fermò davanti alla porta. Non c’erano finestre o altre vie di fuga da quella sala. Attese per quasi due ore.

Senza un preavviso particolare abbatté la porta, che cadde a terra con un rumore sordo che si udì in tutto il castello.

 

-In questa stessa ora, Werner Von Doom spirava per colpa del vostro predecessore. Ora…sono qui per vendicarlo.

Rodolfo era seduto il trono di Latveria; suo fratello minore Zorba urlò quando vide Destino avvicinarsi, mentre il re non si mosse nemmeno. Zorba corse verso la porta, ma Destino spostò il braccio e lo bloccò togliendogli il respiro.

Lo afferrò con una mano e lo guardò negli occhi. Zorba era terrorizzato.

-Destino non fa guerra ai bambini. Scappa, e non farti più vedere da me.

Lasciò andare Zorba, che guardò per l’ultima volta il fratello nel suo sguardo di rassegnazione, prima di scappare.

-Sei incredibilmente rilassato per un uomo che sta per morire, Rodolfo.

-Un giorno. Hai conquistato il paese in un giorno soltanto. Che bisogno avevi di screditarmi ?

-Io non voglio altro che il benessere dei latveriani. Non avrei mai avuto la loro approvazione se mi fossi presentato come un barbaro invasore che conquista la corona con la mera forza.

-Eppure è ciò che hai appena fatto.

-Ma ora sanno chi sono, e che il mio governo li porterà ben oltre tutte le nazioni del pianeta.

-Sei un uomo molto strano, Victor Von Doom.

-Non sono l’unico. Mi sarei aspettato un comportamento più simile alla fuga sub-umana di Zorba.

-Mio fratello non ha mai conosciuto nessun mondo al di fuori dell’agiatezza del castello, mentre io ho dovuto imparare a gestire le responsabilità di un re.

-Mi assumerò io queste responsabilità, d’ora in poi.

-Sapevo che convincerti sarebbe stato impossibile. Facciamola finita. Uccidimi.

Destino estrasse un piccolo congegno dalla cintura e lo puntò contro Rodolfo. Il sovrano fece un ampio respiro e guardò in faccia la propria morte…che non arrivò. L’apparecchio emise una forte luce gialla e si spense.

-Cosa…

-Hai causato la morte di un uomo sotto la mia protezione, Rodolfo. E’ morto pensando che io non lo avrei mai salvato, credendo che io non fossi un uomo. Io sono molte cose, Rodolfo…ma sono pur sempre un uomo. Un uomo d’onore. Tu non hai commesso alcun crimine contro i latveriani, e per questo non meriti la mia condanna a morte.

Lo colpì leggermente, facendogli perdere i sensi.

-La rivoluzione termina così…con un sussurro, invece che con le grida. Tuttavia manca ancora un tassello – azionò la trasmittente nella sua maschera – Boris. Radunerò la città attorno al castello, questa sera. Ti voglio al mio fianco.

-Che ne è del re, signore ?

-E’…sotto controllo.

 

Quella sera, il castello era attorniato da tutta la popolazione di Haasenstadt. Un fiume di persone quale mai si era visto in tutta la vallata. Erano radunati per conoscere il proprio destino. Il vociare era assordante.

Destino si affacciò dal castello. La folla si divideva in grida disperate ed urli di gioia. I robot alzarono le braccia e spararono ripetutamente verso l’alto, fino a quando non si udì volare una mosca.

-Popolo di Latveria…tutti state udendo le mie parole, che vi troviate davanti al castello o in qualunque altra zona della nostra fiera nazione, ascoltandomi tramite le radio o i mezzi che io ho disposto. Ho visto con compiacimento che le rivolte sono cessate, così come avevo ordinato. La rivoluzione è finita, il vecchio ordine è stato soppiantato. Rimangono solo poche parole da pronunciare…ma non sarò io a farlo.

Di fianco all’imponente figura di Destino ne apparve un’altra. Dalla folla si sollevò una sommessa espressione di sorpresa, nel vedere il principe Rodolfo.

-Al fine di porre fine alle recenti rivolte, per assicurare un futuro migliore alla nostra nazione… Io, Sua Altezza Serenissima Rodolfo III per Grazia di Dio, Principe Sovrano di Latveria, XVI Barone Sabbat, abdico al titolo in favore di Victor Von Doom.

Il chiacchiericcio tra la folla aumentò sempre più, rendendo necessaria un’altra dimostrazione di forza dei robot. Quando tornò il silenzio Destino si abbassò leggermente davanti a Rodolfo, senza inginocchiarsi, ed abbassò il cappuccio del mantello.

Il re si tolse la corona dalla testa e la mise sul casco di Destino.

-In qualità di Principe Sovrano di Latveria, io ti nomino XVII Barone Sabbat, in nome del nostro illustre antenato comune. Cedo a te tutti i diritti di sovranità della monarchia assoluta del regno di Latveria, senza limitazioni. Alzati, Re Victor I.

Il re fece un passo indietro e si inginocchiò. Destino si voltò verso la folla ed alzò le braccia al cielo; sotto lo sguardo vigile dei robot, i sudditi si inginocchiarono al loro nuovo re.

-Ha inizio il regno più prospero di tutta la storia di Latveria. Gioite, miei sudditi ! Gioite !

Il silenzio dominava ancora tutta la vallata. Gli occhi di Destino cambiarono velocemente da compiaciuti a contrariati, ed urlò con voce roca e rabbiosa:

-GIOITE, HO DETTO !

I robot spararono verso l’alto, ed i primi latveriani iniziarono le prime sommesse grida di gioia. Che sotto la stoica figura di Destino si trasformarono in una vera e propria ovazione festante. Destino si crogiolò in quell’onda di approvazione mista alla paura, ridendo in preda ad un’estasi attesa per tutta la vita.

 

Quando ebbe finito ritornò all’interno del castello, togliendosi la corona e salutando con fare regale la sua nuova guardia personale, che lo salutava in ginocchio.

-Alzatevi, servitori. E lasciatemi solo…tranne tu, Boris. Tu puoi restare.

Le guardi si alzarono e lo salutarono con il braccio alzato, battendo il tacco ed uscendo. Boris si avvicinò cautamente. Stava per congratularsi, quando Rodolfo gli passò accanto e si immobilizzò di fronte a Destino.

-Unità R-1 in attesa di ordini, padrone.

-Cosa…che è successo al re, signore ?

-Io sono il re, Boris. Non dimenticarlo. Mai.

-Ma Rodolfo…

-E’ al sicuro, nelle segrete del castello. Questo è un robot, una replica esatta delle fattezze del mio predecessore alla guida di questo paese. Ho registrato il volto del sovrano con un raggio autoadattante, appena prima di deporlo.

-Che ne sarà di lui ? Sarà…ucciso ?

-Non ha commesso alcun crimine, se non quello di presumere di poter guidare la nazione meglio di me. L’unica punizione è la revoca del suo titolo. Sarà liberato entro un’ora, anche se crederà di essere stato il solo artefice della propria fuga.

-Perché ?

-Perché un uomo ha creduto che io non lo avrei salvato. Ha creduto che io non fossi un uomo, che non mi importasse della condotta dei miei sudditi…che pensassi solo a me stesso. Così non è. Rodolfo ora è un mio suddito, ed anche se mi odia anche lui è sotto la mia protezione. E vivrà. Ora vai, Boris…devo pensare a molte cose. Ho vinto la guerra, ma ora dovrò vincere la pace.

-Come desiderate, signore…

Boris uscì dalla stanza, e due robot arrivarono per prendere in consegna il sosia del re. Per distruggerlo, in realtà.

Destino si incamminò da solo verso la sala del trono. Si sedette con regalità, assaporando ogni istante.

-Padre…madre…a voi dedico la mia più grande vittoria. La prima di molte. Oggi Latveria. Un giorno…il mondo.

 

 

Note

Dopo tre numeri dedicati a Victor Von Doom, eccoci finalmente alla nascita vera e propria del Dottor Destino. Su questo periodo non c’erano molte informazioni, se non qualche limitata scena sul monastero, quindi ho inventato quasi tutto.

Per esempio il vecchio saggio del monastero non era mai apparso né era mai stato nominato…anche se l’ispirazione mi è venuta dal numero di Rat-Man ambientato proprio al monastero.

Non sappiamo per certo quanto tempo sia passato nel periodo che va dall’università all’arrivo al monastero; si è sempre parlato di anni. Per onor di precisione, anche se è del tutto superfluo ai fini della storia, ipotizzo un paio d’anni. Se non altro perché il Tibet non è dietro l’angolo, né partendo dagli Stati Uniti né da Latveria ! Seguendo una serie di calcoli che non vi riporto per non annoiarvi, Destino dovrebbe aver avuto sui 27 anni quando ha conquistato Latveria.

Passiamo quindi alla seconda parte dell’episodio. Quanto detto da Destino sul suo antenato è ovviamente falso; è stato accennato solo un paio di volte, senza dare troppo credito alla cosa. L’abdicazione e l’incoronazione, da parte di un robot (di cui in seguito si impadronirà, dato che non verrà distrutto dopo l’incoronazione) sono narrate in Astonishing Tales #2 (FQ Corno #41) ed in successive versioni, anche se con sottili variazioni.

Rodolfo cercherà ripetutamente di riprendersi il trono, finendo sempre sconfitto. L'ultimo tentativo si è visto nella testata Super-Villains Team-Up. (FQ Corno# 170/171 e 184/186). Morirà salvando Latveria e Destino dal Teschio Rosso in  FQ Corno 186. Suo fratello Zorba esce da Fantastic Four #198 e seguenti. Grazie ai Fantastici Quattro prenderà Latveria a Destino e la porterà alla rovina dopo essere impazzito. Destino lo giustizierà riprendendosi il titolo.
Grazie al solito Carlo Monni per aver messo un po’ in ordine la confusione su questo periodo, e a SebaShaw per il suo lavoro di correttore di bozze!

 

 

 

[1] Frase e scena presi da Fantastici Quattro Star Comics #52.

 

[2] vedi la graphic novel “Trionfo e Tormento” per maggiori dettagli.

 

[3] la frasi dei due monaci sono prese da FQ Corno #28

 

[4] Se avete letto il #3, ricorderete che a questo punto Destino ha solo una ferita leggera, che solo lui vede come estesa a tutto il volto.

 

[5] Frasi prese da FQ Corno #28

 

[6] Frase presa da “Trionfo e Tormento”

 

[7] Il titolo del re di Latveria sembra molto complicato. All’epoca di Werner Von Doom era un non meglio precisato Barone, ma si tratta di una carica nobiliare troppo bassa, specialmente visto che a Latveria ci sono certamente anche dei conti. Dietro consiglio di Carlo Monni, ho assunto che Barone Sabbat sia il titolo onorario dei sovrani e che il titolo vero e proprio di Rodolfo sia di Principe Sovrano.