Uno dei tipici
luoghi comuni sui matrimoni è quello dello sposo che dice che vorrebbe trovarsi
da un’altra parte. Bene, io non vorrei trovarmi da nessun’altra parte e con
nessun’altra donna che quella che ho promesso di sposare. Certo, per certi
versi è meno impegnativo combattere contro un supercriminale assetato di sangue
che fronteggiare la disapprovazione di mio padre, ma sopravvivrò anche a
questo.
Mi
chiamo James Rupert Rhodes e nella mia vita sono stato molte cose: un ufficiale
dei Marines, un mercenario, un pilota di elicotteri, un dirigente d’azienda, un
supereroe e perfino un ricercato. Gli amici mi chiamano Rhodey e qualcuno mi
conosce come War Machine. Questa è la storia del mio giorno migliore.
N° 50
1.
Come disse una volta un saggio: una storia
deve pur cominciare da qualche parte e questa comincia durante una prova
dell’abito da cerimonia di James Rupert Rhodes in vista del suo imminente
matrimonio. Il tutto mentre Anthony Edward Stark osserva divertito.
-Problemi, Rhodey?- chiede soffocando una risatina.
-Mi sento uno stramaledetto pinguino.- sbotta Rhodey –Mi chiedo perché
devo proprio indossare quest’abito che mi fa sembrare un buffone. Sarebbe poi
così brutto se io e Rae saltassimo su un aereo e ci sposassimo a Las Vegas
senza tanti fronzoli?-
-Ah, credo che Rae ti seguirebbe senza lamentarsi, ma tu pensa a tutti
quei poveri invitati che vi aspetterebbero sul prato per un bel po’ e che alla
fine si consolerebbero con le bottiglie di costosissimo champagne che abbiamo
già ordinato.-
-Ti diverti eh?-
-Appena un po’.-
-Beh… questo è il tuo mondo, ci sei nato, ma io… sono sempre un ruvido
pilota di elicotteri che viene dal ghetto nero di Philadelphia. Perché una
ragazza bianca dei quartieri alti dovrebbe volermi sposare, è incomprensibile.-
-Che cumulo di sciocchezze.- ribatte Tony mentre aggiusta all’amico la
cravatta del tight –Tu e Rae siete fatti l’uno per l’altra e lo dimostra il
fatto che siete di nuovo insieme dopo anni di separazione. Vorrei io…-
-Cosa?-
-Nulla… lascia stare.
-Dimmi come la pensi veramente, Tony: andrà bene?-
-Ah non saprei. Non sono esattamente un’autorità in fatto di matrimoni.
Quelli che avevo progettato per me non sono mai andati in porto e quelli a cui
ho partecipato sono stati tutti interrotti da qualche supercriminale.-
-Ah… questo almeno non dovrebbe accadere, giusto? In quei casi si
trattava del matrimonio di supereroi le cui identità erano pubbliche e nessuno
dei nostri nemici sa che io sono War Machine.-
-Beh… a dire il vero il Mandarino lo sa… ma non ce lo vedo a fare da guastafeste
ad un matrimonio.-
-Bah… tanto nessun supercriminale mi fa paura più della prospettiva di
incontrare mio padre.-
-È ancora contrario a che tu sposi una bianca?-
-Non me ne ha più parlato, ma credo che la pensi ancora così. Razzismo alla rovescia, ci avresti mai
creduto?-
-Capisco cosa provi, Rhodey, ma è la tua vita. Non permettere che i
pregiudizi di tuo padre condizionino le tue scelte.-
-Ci provo ma non è facile.-
Tony Stark pensa a suo
padre e non può non chiedersi quanto lui abbia influenzato la sua vita e le sue
scelte. Non sa trovare una risposta.
Mentre questa
piacevole conversazione ha luogo nella grande città di New York, molto più ad
Est, da qualche parte nella regione della Repubblica Popolare Cinese nota come
Mongolia Interna un uomo osserva da un’ampia vetrata le cime perennemente
innevate delle montagne davanti a lui.
Chiamarlo uomo, però è
in qualche modo riduttivo. Nelle sue vene scorre il sangue degli antichi
conquistatori Mongoli che schiacciarono nazioni, assoggettarono imperi e ne
forgiarono di nuovi, dominarono in Cina come in India. Il nome di Gengis Khan
suscita ancor oggi timore e reverenza in Oriente come in Occidente e quest’uomo
afferma di esserne un discendente. Che sia vero o no, poco importa, perché
l’uomo noto come il Mandarino agisce come se lo fosse e ritiene suo diritto
impadronirsi del potere con ogni mezzo.
Il giovane uomo che
entra alle sue spalle è suo figlio. Ha la tempra del guerriero, ma, a
differenza del padre, farebbe volentieri a meno di ambizioni e sogni di
conquista. Non sempre, però, si può scegliere la propria via.
-Mi hai chiamato, padre?-
-Preparati.- gli dice il Mandarino senza perdersi in convenevoli
-Faremo un lungo viaggio fin negli Stati Uniti.-
-Negli Stati Uniti? Perché, padre?-
Il Mandarino sogghigna
mentre risponde:
-Per riscuotere un vecchio debito… un debito di onore e di sangue.-
Pepper Potts sospira. La
vita era più semplice quando era solo una comune segretaria, prima che Tony
Stark decidesse di delegarle la gestione di tutte le attività legate al suo
nome. Finora Tony è riuscito a mantenere il suo impegno di non interferire,
limitandosi a dare solo qualche consiglio quando lei lo chiedeva. Un bel passo
avanti per uno come lui.
Forse c’è davvero
speranza per Tony, pensa Pepper. Sta persino facendo seri sforzi per essere un
padre per i figli che solo recentemente ha scoperto di avere e per quello che
hanno adottato insieme, una decisione che è stata forse avventata, ma di cui
non si è pentita. Uno dei tanti legami che ha con Tony e sulla cui natura
entrambi hanno scelto di non indagare. Beh ora è meglio lasciar perdere certi
pensieri e concentrarsi su qualcosa di molto femminile: la scelta dell’abito
per il matrimonio di Rhodey.
2.
Il volo dall’Alaska è stato tranquillo e i due
passeggeri, un uomo ed una donna di colore, escono da uno dei terminal dei voli
interni dell’Aeroporto La Guardia senza attirare troppo l’attenzione.
L’uomo non lo
confesserebbe mai, ma si sente un po’ nervoso a rimettere piede a New York dopo
tanto tempo. Non si è mai sentito a suo agio in questa città. Per quanto abbia
cercato di fare del bene con la Justice Inc.[1]
non può fare a meno di ripensare a quando si fece convincere da Stuart Clarke e
Sunset Bain ad usare la ritrovata armatura di War Machine per attaccare Tony
Stark.[2]
Solo l’intervento di sua moglie Glenda e del suo vecchio commilitone Jim Rhodes
gli impedì di passare la linea ed uccidere Iron Man. Quando pensa a quel
periodo, prova vergogna per come era caduto in basso: avidità, ambizione e
cinismo erano i suoi peccati e per quelli la sua faccia deve essere ancora
nella lista dei ricercati. Corre un rischio a tornare a New York ma non poteva
non venire.
-Parnell… Glenda!-
Parnell si gira di
scatto per poi rilassarsi quando vede Jim Rhodes venire verso di lui.
-Rhodey!- esclama –Sei venuto personalmente.-
-Ti aspettavi che mandassi un autista? Non è il mio stile, dovresti
saperlo.-
-Già… immagino di sì.-
-Ciao Rhodey.-
A parlare è stata
Glenda Sandoval, la moglie di Parnell, una bella donna dalla pelle color
caffelatte, retaggio del suo essere metà nera e metà portoricana.
-Glenda.-
A volte basta una
parola per significare molte cose. In questo caso basta a due amici d’infanzia
per ricordare che avrebbero potuto essere molto di più l’uno per l’altra se il
destino non li avesse portati su sentieri differenti.
Il silenzio viene rotto
da un tossire imbarazzato e se Rhodey e Glenda potessero arrossire, ora lo
farebbero. Rhodey torna a parlare con quello che una volta considerava il suo
più caro amico:
-Ti trovo in forma, Parnell, il freddo dell’Alaska ti ha fatto bene.-
-Faccio del mio meglio.- replica lui.
-Su, venite. Ho un’auto qui fuori. Parleremo con calma una volta
arrivati a casa.-
Mentre escono
dall’aeroporto, non notano un uomo dagli occhiali scuri che nel vedere Parnell
ha un’espressione sorpresa.
Nel suo ufficio di
Vice Presidente della Stark-Fujikawa Sunset Bain sta controllando i resoconti
dei laboratori quando il suo collaboratore Stuart Clarke entra senza bussare e
chiudendosi in fretta la porta alle spalle.
-Stuart ma che c…- comincia a dire Sunset, ma Clarke la interrompe:
-Indovina chi ho visto all’aeroporto dopo che ero appena tornato da
Seattle?-
-Non mi piacciono gli indovinelli.- ribatte lei in tono seccato –Se hai
qualcosa da dire, dilla.-
-Ho visto Parnell Jacobs in compagnia di Jim Rhodes e di una donna che
deve essere la moglie di Jacobs.-
-Parnell Jacobs e Jim Rhodes.- nella voce di Sunset Bain c’è una nota
di allarme –Allora avevo ragione nel pensare che ci fosse un legame tra la
riapparizione di War Machine e la REvolution. È passato a lavorare per Stark.-
-Non è solo questo che mi preoccupa. Jacobs era scomparso senza dare
segni di vita, anche se sospettavamo che fosse lui lo War Machine che si è
visto in giro ultimamente, ma se ora ha deciso di riapparire allora potremmo
essere in guai seri: lui è l’unico che potrebbe incastrarci per i sabotaggi a
Stark.-
-Ma se testimoniasse contro di noi, finirebbe in galera anche lui.-
-E se Rhodes gli stesse comprando la protezione dei Federali in cambio
della sua testimonianza?-
-Calmati… non essere paranoico. Se davvero è al servizio di Stark,
avrebbe potuto farlo cento volte. Il caro Tony ci godrebbe a vederci entrambi
dietro le sbarre.-
-Ok… che consigli di fare?-
-Farò un paio di telefonate a certi amici e se davvero Parnell Jacobs
medita di venderci per ripulire la sua fedina, allora disporremo di lui in modo
permanente.-
Tony Stark guarda il
suo vecchio amico Happy Hogan seduto alla sua scrivania di Direttore Esecutivo
della Fondazione Maria Stark e gli chiede:
-Allora, abbiamo i fondi per finanziare questa Accademia per aspiranti
Vendicatori?-[3]
-Fino alla settimana scorsa ti avrei probabilmente risposto di no…-
risponde Happy -… ma ora, dopo aver ricevuto quella misteriosa donazione,[4]
abbiamo fondi sufficienti per quasi tutto… sempre che…-
-Sempre che...?-
-Ho il sospetto cha qualcuno manipoli i nostri conti, ma non riesco a
capire come. Qui ci vorrebbe un genio del computer.-
-Se è solo questo, posso procurartene uno… e non dovrai nemmeno
pagarlo.-
-A chi pensi?-
-Vedrai.-
3.
Philip Grant ascolta il suono della chiamata
rifiutata. Molto bene, pensa, se Sasha Hammer non vuole più parlargli, lui può
anche smettere di cercarla. Peccato, perché quella ragazza ha il fuoco addosso
e lui non ha paura di scottarsi almeno in certe occasioni.
-Bentornato Philip.-
La voce di Ling
McPherson lo scuote dai suoi pensieri mentre la giovane mezza irlandese e mezza
cinese gli si avvicina sfoderando un largo sorriso.
-Oh… ciao Ling.- la saluta Philip. Senza sapere bene perché, si sente
un po’ imbarazzato e con l’eccezione della sua madre naturale Meredith McCall, Ling
è l’unica donna che lo fa sentire così.
-Pronto a riprendere il lavoro?-
-Ma certo! Non vorrei mai che la mia assenza mettesse in pericolo la
sicurezza della Stark-Fujikawa.-
-Quando parli così, mi ricordi tuo padre.-
-Ah… immagino che volesse essere un complimento… allora grazie.-
-Sbaglio o nei confronti di Tony, non hai più tutta quell’ostilità di
una volta?-
-Diciamo che stiamo imparando a comunicare.-
-Questa è una bella cosa. Quindi immagino di poterti far vedere questo.-
Ling toglie un telo da
un attaccapanni rivelando cosa c’è sotto.
-E quello cos’è?- esclama Philip.
-A te cosa sembra? È uno smoking. L’ho fatto adattare alle tue misure.
Le ho calcolate a occhio.-
-E che me ne faccio di uno smoking? Mi ci vedi con quello addosso?-
-A dire il vero, sì… visto che sarai il mio accompagnatore al
matrimonio di Jim Rhodes.-
-Cosa? Te l’ha suggerita… Tony quest’idea?-
-Niente affatto… tuo padre non mi ha suggerito nulla, è un’idea solo
mia.-
Philip non sa se
ridere o sospirare.
-Immagino che un rifiuto da parte mia non sia contemplato.-
Ling abbozza un
sorriso ironico,
-L’hai detto… e ora non farmi perdere tempo e provati la giacca.-
Parnell Jacobs deve
ammettere di essere impressionato.
-Un intero appartamento tutto per me e per Glenda?- esclama –Da quando
sei diventato un pezzo grosso, fai le cose in grande Rhodey.-
-Non mi è sembrato opportuno farti scendere in un hotel.- replica Jim
Rhodes -Potevi essere riconosciuto e per quanto ne so sei ancora su tutte le liste
nere dei Federali. Allo Zio Sam non è mai andato giù che tu trafficassi in
armi. Non si poteva esser certi in che mani potessero finire.-
-Quei giorni sono finiti, lo sai Rhodey. Ho smesso con quelle cose… con
un sacco di cose, in verità.-
-Se credessi il contrario, non ti avrei invitato alle mie nozze. Un
tempo eri il mio unico vero amico. Abbiamo avuto dei contrasti in passato, ma possiamo
lasciarceli alle spalle.-
-A me sta bene, ma il tuo capo, Tony Stark? Potrebbe non essere
contento che gli hai portato in casa uno che una volta ha quasi ucciso la sua
guardia del corpo… Iron Man.-
-Non mi sottovaluti, Mr. Jacobs, So essere spietato con chi mi è
nemico, ma so anche perdonare chi lo merita… e se Rhodey dice lei lo merita,
per me sta bene.-
Tony Stark è appena
apparso nel vano della porta d’ingresso dell’appartamento ed ora avanza con la
mano destra tesa. Jacobs, dopo una breve esitazione la stringe.
-Grazie Mr. Stark.- borbotta.
-Mi chiami Tony…- si volge verso Glenda –Lei dev’essere la dottoressa
Sandoval. Non ci siamo incontrati al tempo della… crisi con suo marito. Sono
felice di farlo oggi. Lei è più bella di come l’aveva descritta Rhodey.-
-Sta cercando di adularmi, Mr. Stark?- replica Glenda.
-Tony… e mi scusi, è una specie di riflesso automatico per me.-
Tutto sta andando
bene, pensa Rhodey, anche troppo. Le cose non funzionano mai così. Qualcosa
deve andare storto per forza.
In un lussuosissimo
Yacht al largo delle coste delle Hawaii un uomo sdraiato sul ponte si gode un
periodo di riposo. Justin Hammer non è, però, un uomo qualunque: è uno degli
uomini più ricchi del mondo ed tra i maggiori contribuenti del Regno Unito,
dov’è nato, e degli Stati Uniti, dove ha scelto di risiedere per buona parte
dell’anno. Ha interessi finanziari in tutto il mondo ed è rispettato e temuto
da capitani d’industria, broker finanziari, capi di Stato e di Governo. Dicono
che basti una sua parola per far cadere i governi di certe nazioni. Un’esagerazione,
forse, ma non troppo.
Hammer
è un uomo anziano ma è anche un uomo spietato e senza principi morali per il
quale violare una legge è solo questione di convenienza. Eppure anche un uomo
così può avere paura di qualcuno.
Un ombra oscura improvvisamente il sole e
Hammer alza lo sguardo. Davanti a lui tre persone di evidente origine asiatica:
un uomo alto dai capelli lunghi, viso affilato, baffi spioventi e pizzetto con
indosso un completo occidentale di colore grigio, chiaramente realizzato su
misura. Dietro di lui un giovane calvo che indossa il tipico abito cinese popolarizzato
da Mao Zedong. Al suo fianco una giovane dai capelli raccolti a chignon che
indossa un abito senza maniche che le arriva appena sopra il ginocchio.
Il volto di Hammer non può nascondere la
sorpresa e forse anche la paura alla vista dell’uomo alto.
-Mi scusi signore…- si giustifica una delle sue guardie del corpo -...
sono apparsi all’improvviso e non siamo riusciti a fermarli.
-I tuoi lacchè sono vivi…- dice l’uomo alto -… non capita spesso a chi
attraversa la strada del Mandarino, ma stavolta ho voluto mostrarmi generoso.-
-Cosa… cosa vuoi da me?- replica Hammer.
-Abbiamo fatto un patto anni fa
io e te, Justin Hammer.- dice con fredda calma il Mandarino -Grazie a me tu hai
ottenuto quel che desideravi, ora sta a te onorare il resto del patto.-
-Vuoi dire...?-
-Sì: sono venuto a riprendermi mia figlia.-
4.
La piccola ma efficiente ala ospedaliera del
carcere federale per supercriminali noto come la Volta ospita al momento un
unico paziente e c’è chi contesta l’opportunità di trattenerlo in questa
struttura.
Il Dottor Basil
Sandhurst era un brillante scienziato anche se di carattere scostante e le sue
ricerche gli avrebbero fruttato fama e fortuna se un disgraziato incidente
oltre a sfigurarne il volto non lo avesse lasciato praticamente tetraplegico,
incapace di badare a se stesso. Con l’aiuto del fratello, il disonesto avvocato
Vincent, Basil riuscì a realizzare degli speciali dischi che gli permettevano
di assorbire la forza di coloro a cui veniva applicato e rendendoli privi di
volontà propria. Grazie alla sua invenzione Sandhurst non solo tornò a
camminare, ma assorbì anche la forza di coloro che aveva schiavizzato. Assunto
il nome di Controllore tentò più volte di usare la sua invenzione per scopi
criminali ma fu fermato in varie occasioni da Iron Man e vari altri supereroi.[5]
L’ultima sua sconfitta
è avvenuta per mano dei Vendicatori durante un assalto alla loro sede[6]
e da allora Basil Sandhurst, separato dal suo esoscheletro e dai suoi dischi di
controllo, è privo di forze, confinato in un letto, incapace di muovere un
muscolo, di nutrirsi, perfino di respirare autonomamente, totalmente dipendente
da macchinari e dal personale medico e paramedico anche per la più piccola
necessità.
Un uomo in queste condizioni non dovrebbe
essere detenuto in una struttura disegnata per trattenere pericolosi
supercriminali neutralizzando i loro superpoteri, giusto? È totalmente innocuo,
incapace di fare del male ad una mosca sarebbe più mano trasferirlo in un luogo
adatto a prendersi stabilmente cura di lui. Ancora più giusto, non vi pare?
Ma se è davvero così incapacitato, perché è
appena riuscito a chiudere la mano destra a pugno ed a sollevarla di pochi
millimetri?
La vita è stata generosa con Katherine Joanna
Finch: ha avuto due genitori fantastici che le hanno dato tutto l‘amore che una
figlia può desiderare, poi, senza che capisse bene il perché, tutto è cambiato.
All’inizio c’è stata la rivelazione che il suo vero padre era Tony Stark e non
il marito di sua madre, Howard Finch, e che sua madre le aveva mentito fin
dalla nascita. Era stato uno shock ma col tempo l’aveva superato, i bambini si
adattano in fretta, si sa. Col tempo aveva anche cominciato ad apprezzare Tony
verso cui all’inizio era stata un po’ diffidente. Quel poco che sapeva di lui
lo aveva appreso dalle cosiddette cronache mondane e non era incoraggiante:
cambiava spesso donna e non era mai stato davvero legato a qualcuno. Che padre
poteva essere per lei? Aveva scoperto, però, un uomo sensibile che cercava di
fare del suo meglio per essere un buon padre per lei e per gli altri figli che
si era ritrovato ad avere.
Quello che davvero Kathy non riesce a
sopportare, però, è quanto sta accadendo tra sua madre e l’uomo che fino a due
anni prima aveva creduto suo padre. Howard Finch non era stato capace di
accettare la nuova situazione ed il suo risentimento verso Tony si era presto
tramutato in livorosa gelosia e sua madre non aveva certo migliorato le cose
trasferendosi a New York da Tony ed iniziando con lui una relazione clandestina.
Credevano che lei non l’avesse capito, ma sono loro a non essersi accorti che
non è più una bambina: tra poco compirà tredici anni, è una ragazza e di
faccende di sesso ne capisce più di quanto loro credano.
Diretta alla mensa per la pausa pranzo, Kathy
percorre il corridoio dell’esclusiva scuola privata a cui sua madre l’ha
iscritta dopo essersi trasferita a New York. A quanto pare in questa scuola
hanno studiato generazioni di Stark prima di prendere il volo per le più
prestigiose università: la migliore istruzione che i soldi possono comprare.
Tony non ha avuto difficoltà a farci iscrivere lei e suo fratello anche se
l’anno scolastico era già iniziato, dopotutto lei è una Stark e Howie non sarà
uno Stark ma appartiene comunque ad una delle più influenti famiglie di
Chicago.
A proposito… ecco Howie in compagnia di Arno
Stark. Difficile accettare che quel ragazzino odioso sia suo cugino: è
antipatico quanto suo padre Morgan e si dà un sacco di arie per la sua
intelligenza. Kathy scommetterebbe che Tony non era così alla sua età. Beh
poteva andarle peggio: poteva essere suo fratello anche lui. Chissà poi che ci
trova Howie e perché ci tiene ad essergli amico?
-Kathy!- urla Howard Finch Jr. –Arno mi stava spiegando che modifiche
vuol fare all’armatura di Iron Man quando sarà grande.-
-Quando sarò abbastanza grande perché mi diano retta.- precisa Arno
–Con le mie idee si potrebbe migliorare l’efficienza dell’armatura di Iron Man
e di War Machine almeno del 70%.-
Che spocchioso, pensa
Kathy.
5.
Quando raggiunge l’attico di suo padre assieme
a sua figlia, Justine Hammer è furiosa.
-Che succede, papà?- esclama –Perché hai voluto che io e Sasha
venissimo qui immediatamente? Non sono abituata ad essere trattata così.-
-Già. –rincara la dose Sasha –Farmi prelevare dai tuoi gorilla come se
fossi un pacco postale. Che ti ha preso, vecchio? È ancora quella storia del
furto?-
Justin Hammer non
risponde. Il suo volto è cupo. Justine si rende conto di non averlo mai visto
così: vecchio e sconfitto.
-Che sta succedendo papà?- ripete con una nota, inconsueta per lei, di
preoccupazione.
Hammer alza gli occhi
e guarda figlia e nipote, poi si decide a parlare:
-Mi dispiace davvero, Justine… lui non mi ha dato scelta… ha preteso il
pagamento del suo debito.-
-Cosa stai? No… non può essere, non è vero!- la preoccupazione nella
voce di Justine è diventata panico.
-E invece è vero, Justine… eppure sapevi che questo giorno sarebbe
arrivato, che sarei venuto a reclamare ciò che è mio.-
L’uomo che ha parlato
esce dall’ombra e Justine indietreggia nel vederlo. Gli abiti sono differenti
ma lei non può dimenticare quel volto e quegli occhi.
Il Mandarino la ignora
e si rivolge a Sasha:
-Dunque, ragazza, sei pronta per il tuo vero destino?-
-Ma… ma tu chi sei?- balbetta Sasha del tutto frastornata.
-Non te lo hanno detto? Io sono il Mandarino, erede diretto di Gengis
Khan, conquistatore del Mondo… ma più di questo, sono tuo padre.-
-Mio padre? Il Mandarino è mio padre. No… non è vero, è uno scherzo.-
Ma a Sasha basta dare
uno sguardo a sua madre per capire che non lo è.
-Avevo solo 15 anni.- inizia a raccontare Justine –Mio padre si trovò
ad aver bisogno del Mandarino per concludere un certo affare. Lui era divertito
dall’arroganza di tuo nonno e disse che l’avrebbe aiutato se lui gli avesse dato
me per un certo tempo e lui… lui acconsentì. Mi consegnò a lui ed il Mandarino
perché mi usasse come giocattolo sessuale finché avesse voluto. Lo supplicai di
non farlo ma lui voltò semplicemente la testa, i suoi affari erano più
importanti di sua figlia, che cos’erano una o due settimane della mia vita in
confronto al denaro ed al potere? Due settimane rimasi con il Mandarino e non
hai idea di cosa mi ha fatto. Alla fine rimasi incinta e lui mi lasciò andare.-
-Avevo ottenuto entrambi i miei scopi…- continua il Mandarino -… avevo
umiliato quel bastardo inglese e concepito un erede. Dissi a Hammer che se
fosse stato un maschio me lo sarei preso subito per allevarlo come mio erede e
se fosse stata una femmina sarebbe rimasta a lui e l’avrei reclamata quando
avessi ritenuto che fosse il momento giusto. Quel momento è adesso e proprio
adesso ti chiedo: Sasha Hammer vuoi vivere una vita comune e noiosa o vuoi
abbracciare il tuo retaggio e reclamare il mondo insieme a me?-
Il Mandarino tende la
mano aperta verso Sasha e lei esita qualche istante, poi la prende.
Gli agenti dell’A.I.M.
saranno anche geni con un QI. pari a quello di Einstein ma ci sono due cose in
cui decisamente non brillano: l’arte del combattimento e la discrezione. D’altra
parte, se si sceglie per i colori della propria uniforme il giallo sgargiante,
poi non ci si può lamentare troppo se qualcuno si insospettisce se vi vede
portare delle casse in una nave ormeggiata nei dock di New York.
<<Sapete…
scommetto che là dentro non ci sono rasoi made in China >>
-Iron Man!- esclama uno degli uomini presenti sul molo.
<<Ah… si vede che
sei un genio, mi hai riconosciuto subito.>>
Scariche di un’energia sconosciuta escono dai fucili degli uomini dell’A.I.M.
per infrangersi sull’armatura. Iron Man non aspetta che le armi siano
ricalibrate su un’intensità fatale per lui e piomba sugli avversari
scompaginandoli.
<<Credevate davvero
che non mi sarei accorto del contrabbando di materiale tecnologico Stark?
Allora siete più scemi di quanto credessi.>> afferra uno degli uomini e gli strappa il
“casco da apicultore”
<<Dimmi un po’ ci siete per caso voi dietro un furto avvenuto in una sede
della Stark-Fujikawa in Giappone?>>[7]
-Non... capisco cosa vuoi dire.-
<<Già… mi sa che
dici la verità. Peccato… un po’ ci avevo sperato.>>
In
quel momento la nave dell’A.I.M. esplode con fragore.
Altrove,
nella Stark Tower, Rebecca Bergier giace a letto assieme a India Queen, la
misteriosa donna che le ha stregato il cuore e che lei ignora essere un’agente
di Tiberius Stone pagata per rovinare la Fondazione Maria Stark per cui Rebecca
lavora.
-Stavo pensando…- dice Rebecca – So che
preferisci non farti vedere in giro, ma sarei davvero felice se mi
accompagnassi al matrimonio di Jim Rhodes. Lui è un vecchio e caro amico che
non mi ha mai abbandonata nei momenti di difficoltà e ci terrei davvero ad
essergli vicino in questo momento speciale e vorrei farlo assieme alla persona
che amo.-
-Uhm… perché no? Potrebbe essere divertente.-
risponde lei con un lieve sorriso.
-Grazie.-
Rebecca
l’abbraccia e la bacia e lei risponde al suo trasporto come è solita fare.
Se
Tony Stark o Jim Rhodes la vedono, la riconosceranno sicuramente e la sua
copertura cadrà, ma tanto ormai il suo lavoro è finito e lei comincia a stufarsi
di recitare la parte della lesbica.
6,
Stuart
Clarke si rivolge all’uomo davanti a lui e gli porge una foto di Parnell
Jacobs:
-Credi di poter uccidere quest’uomo?-
-Per il giusto prezzo, perché no?- risponde
l’altro –Quando devo farlo?-
-Domattina. Questo è l’indirizzo dove lo
troverai.-
-Stark Tower eh? Difficile ma non impossibile…
per un sovraprezzo del 50%.-
-Cosa? Ma è…-
-Un furto? No solo il giusto compenso per il
rischio dei sistemi di sicurezza della Stark Tower e della possibilità di
incontrare Iron Man… se però vuoi fare da solo...-
-Che tu sa dannato. Ok, ecco il primo
acconto…. Il resto a lavoro finito.-
-Ci mancherebbe… sono un professionista io.-
Stuart
Clarke lascia il luogo d’incontro col sicario che ha assoldato e s’immette nel
caos cittadino. Sunset vorrà anche andarci cauta, ma lui preferisce non correre
rischi. Con Jacobs fuori dai piedi non ci saranno più rischi di incriminazione.
Il
molo si trasforma in un inferno di fuoco. Uno dei primi pensieri di Iron Man è
portare al sicuro gli uomini che fino a poco prima volevano ucciderlo, poi raggiunge
quel che resta della nave. Niente da fare: è tutta un rogo, Lo Scienziato
Supremo dell’A.I.M. ci teneva proprio a non lasciare tracce.
Poco
male, pensa Tony Stark, tanto prima o poi lui ed io avremo un faccia a faccia
ed allora le pagherà tutte.
<<Bene…>> borbotta <<Ora
vediamo di fare qualcosa per l’incendio.>>
Dosando getti schiumogeni il Vendicatore Dorato riesce a limitare
l’incendio fino all’arrivo dei pompieri
-Grazie Iron Man .- gli dice il caposquadra.
<<Ho fatto solo il
mio dovere.>> si schermisce lui, poi vola via.
La
serata non è stata del tutto sprecata, pensa, ma poteva andare meglio.
Bethany
Cabe guarda gli abiti da sera nel suo armadio. Quello blu scuro con l’ampia
scollatura sulla schiena, decide. È sfacciato, ma le piace molto… e piacerà
molto anche a Jasper, ne è certa,
Sarà
un bel matrimonio, si dice.
7.
Tony Stark entra nel suo
attico attraverso il solito condotto segreto che usa quando è in veste di Iron
Man. È stanco morto e tutto quello che vuole adesso è una doccia e qualche ora
di sonno. Sotto il getto caldo dell’acqua che gli scorre addosso la mente gli
si comincia a snebbiare e corre a quanto è accaduto poco prima: lo Scienziato
Supremo non ha avuto esitazioni ad annientare la sua nave ed i suoi stessi
uomini pur di impedire che cadessero nelle sue mani, spietato come i suoi
predecessori, non c’è che dire. Ma… un momento, ora che ci sta ripensando con
calma, la cosa non ha molto senso: l’A.I.M. di solito non agisce così, i suoi
agenti non sono soliti uccidersi se falliscono, quella è più roba da Hydra.
Perché far saltare la nave, quindi? C’era forse qualcosa a bordo che doveva
essere protetto a tutti i costi? Oppure il motivo era un altro, ma quale?
Ci
sta ancora pensando mentre dopo essersi asciugato ed essersi infilato un
accappatoio esce dal bagno per accorgersi di aver sbagliato stanza: è in quella
dove sta riposando Joanna Nivena Finch che non si è accorta di nulla. Dovrà
parlarle presto. Si era ripromesso di farlo da tempo, ma alla fine ha esitato,
e non l’ha ancora fatto. Non può rimandare oltre.
Silenziosamente
Tony apre la porta di comunicazione con la sua camera e dopo esservi entrato,
se la richiude alle spalle. Due minuti dopo sta già dormendo.
Il
nome con cui tutti lo conoscono è MODOK, un acronimo di Mobile Organism
Designed Only for Killing che ormai è diventato il suo nome ed è una delle
poche creazioni di cui la stessa A.I.M si è pentita più volte nel corso degli
anni. George Tarleton era uno scienziato di talento, ma non abbastanza per i
suoi superiori che pensarono di usarlo come cavia per creare un computer
organico in forma umana. Peccato che i poteri mentali che George acquisì furono
usati contro di loro per soggiogarli, per questo nessuno ride di MODOK anche se
il suo aspetto con un testone gigantesco su un corpo fragile lo rende
grottesco.
Nel
corso degli anni MODOK ha conquistato e perso più volte la leadership dell’A.I.M.
ed oggi ne guida un gruppo dissidente riconoscibile dall’uso di uniformi azzurre
invece che gialle. Il suo scopo è strappare il comando dell’intera A.I.M.
all’attuale Scienziato Supremo ed è una lotta senza quartiere e senza
esclusione di colpi.
Senza
che Tony Stark possa nemmeno sospettarlo, è stato MODOK a far esplodere la
portacontainer dell’A.I.M. subito dopo aver recuperato, grazie ad un raggio
teletrasportatore, tutto il contenuto della sua stiva ed ora gongola
soddisfatto.
-Tutto è andato secondo i piani.- commenta MODOK
senza rivolgersi a nessuno in particolare dei suoi sottoposti[8]
-Quell’idiota che ama farsi chiamare Scienziato Supremo non riuscirà mai
nemmeno ad immaginare cosa è davvero successo. Intanto io ho messo le mani
sulla sofisticata tecnologia Stark e potrò scoprire segreti che non sono
registrati nei brevetti.-
-Ahem… signore abbiamo un problema- dice uno
dei suoi scienziati.
-Cosa? Che problema?-
-Le scatole sono vuote.-
-Non… non è possibile.-
-Dai residui di energia sembrerebbe che il
contenuto sia stato teletrasportato altrove pochi istanti prima che noi facessimo
altrettanto.-
-Qualcuno ci ha battuto sul tempo? Ma chi?- MODOK
è decisamente furioso.
-Dai residui di energia rilevati dai nostri
misuratori, direi che è stata usata la stessa tecnologia dei nostri
teletrasportatori anche se l’impronta energetica è leggermente differente.-
-Non lo Scienziato Supremo e la sua manica di
idioti che si credono geni, quindi.- riflette MODOK–Voglio sapere chi è stato e
lo voglio sapere subito.-
Morgan
Stark si guarda allo specchio ed è moderatamente soddisfatto: è sempre robusto,
ma la maggior parte del grasso se n’è andata per fortuna. Cerca di annodarsi il
papillon ed ecco che due gentili mani femminili gli danno una mano.
-Chissà perché voi uomini siete quasi tutti
incapaci di annodarvi come si deve il farfallino?- gli si rivolge Rumiko
Fujikawa.
-Capitava lo stesso anche a Tony?- ribatte
Morgan.
-Questa potevi anche risparmiartela.- è la
dura risposta della giovane giapponese.
-Scusa.-
Morgan
non è un tipo facile a scusarsi: si può tranquillamente dire, che, ha ereditato
l’orgoglio degli Stark e che soffre ancora per il continuo paragone con il più
talentuoso cugino. Tuttavia con Rumiko deve andare con i piedi di piombo, oltre
ad essere una bella ragazza è anche un’alleata che gli permette di governare
tranquillamente la Stark-Fujikawa, un obiettivo a cui puntava da tutta una vita
e poco importa se per riuscirci ha dovuto cedere ai giapponesi. Rumiko sarà
anche venuta a letto con lui per ripicca per essere stata mollata da Tony, ma
grazie a lei Morgan può aspirare a prendere il totale controllo della società,
Morgan
non sarebbe stupito di sapere che Rumiko la vede come lui, solo con lei al
posto di comando. Due ambizioni dirette verso lo stesso obiettivo e solo il
tempo potrà dire se uno dei due e quale riuscirà a prevalere.
-Su.- lo esorta Rumiko –Non è elegante
arrivare tardi ai matrimoni.-
-Non corriamo di questi rischi, credimi.-
ribatte Morgan con un sorriso –Io sono pronto.-
I
due escono insieme dalla villa di Southampton, che è stata dimora della
famiglia Stark per almeno cinque generazioni, pronti a quello che sta per
avvenire.
8.
Il
Cecchino si è preparato per bene al suo compito, dopotutto ha scelto un nome
che ha una sua tradizione. Sorride e controlla il suo fucile speciale. Se le
informazioni che ha reperito sono corrette, i proiettili speciali che ha con se
dovrebbero essere capaci di infrangere i vetri antiproiettile della finestra
che ha individuato ed esplodere nella testa di Parnell Jacobs, Purtroppo il
solo modo per esserne sicuri è provarlo sul campo.
Il
mirino telescopico inquadra il bersaglio. Quella con lui deve essere la moglie.
Bella donna, sanguemisto indubbiamente: antenati africani, caraibici ed
europei, un mix che ha prodotto un bel risultato. Quasi un peccato che debba
rimanere vedova, ma in fondo una così non rimarrà sola a lungo, quindi perché
preoccuparsi?
Il
Cecchino accarezza il grilletto mentre mette più a fuoco la testa di Parnell
Jacobs. Da quel che sa di lui, è un pilota dell’USAF[9]
che ha partecipato ad un paio di guerre, poi è stato mercenario in
qualcun’altra ancora più sporca, un curriculum non dissimile dal suo in fondo,
ma non lo pagano per simpatizzare con le sue vittime.
Sta per sparare, quando
si accorge che Jacobs è sparito, ora nel mirino c’è sua moglie. Dov’è andato a finire?
Maledizione, deve trovarlo.
Alle sue spalle si ode
una voce filtrata elettronicamente.
<<Al posto tuo, mi
arrenderei pacificamente.>>
Il Cecchino si volta di scatto per trovarsi di fronte… War Machine?
Nell’ambiente dei mercenari si dice che War Machine sia proprio Parnell Jacobs
e questo parrebbe confermarlo, ma come ha fatto ad arrivargli alle spalle così
rapidamente e silenziosamente? E come sapeva che era lì? Una fuga di notizie, è
chiaro.
La
missione è compromessa ed ora lui deve disimpegnarsi ad ogni costo. Senza
esitare spara. Il proiettile esplosivo coglie War Machine in pieno petto e lo
lancia all’indietro, ma l’esplosione crea uno spostamento d’aria che sbatte il Cecchino
oltre l’orlo del tetto su cui si trova. All’ultimo istante riesce ad aggrapparsi
al cornicione, una posizione fin troppo precaria purtroppo. Non può restare
così o War Machine lo coglierà come una mela matura e che torni non ci sono
dubbi: non crede che quel proiettile, anche a distanza ravvicinata abbia potuto
penetrare un’armatura progettata da Tony Stark, bisogna essere realistici.
Il
Cecchino si lascia dondolare e con i piedi uniti sfonda una finestra e si
proietta all’interno del palazzo. Quello in cui si trova è un loft disabitato.
Molto bene. Si rimette in piedi.
Deve scappare: il suo
addestramento e le sue armi non lo rendono affatto all’altezza di War Machine. Dovrà
dire addio all’incarico, purtroppo. Si tratterrà l’anticipo ovviamente. Dedotte
le spese per l’equipaggiamento, gli rimane pur sempre una bella sommetta
<<Fermo!>>
War
Machine è arrivato prima del previsto. Il Cecchino non si perde d’animo: estrae
dalla cintura una granata flash bang e la getta a terra, poi approfitta
dell’improvviso lampo per imboccare la porta e uscire dal loft. Ha poco tempo,
deve approfittare del fatto che per le scale War Machine avrà scarsa capacità
di manovra. Corre a perdifiato e nella corsa si sbarazza dell’attrezzatura e di
qualunque cosa che possa lasciare una traccia elettronica che il suo nemico
possa seguire. Spalanca una delle porte che dalle scale danno ai piani, poi prosegue
la corsa., Con un po’ di fortuna il nemico si fermerà a controllare se lui è
uscito di lì, ma ne dubita: chi lo sta inseguendo è un ex militare, non un
sprovveduto qualunque.
Dopo
altri due piani prende una porta, avendo cura di richiudersela alle spalle. In
questo piano ci sono solo uffici vuoti per il weekend. Senza esitare si dirige
alle toilette. Imponendosi la calma
entra in un certo cubicolo. Sale sul water e svita uno dei pannelli del soffitto.
Dall’intercapedine recupera un pacco: vestiti civili. Predisporre sempre una
via di fuga è solo una delle tante lezioni che ha imparato.
Con incredibile rapidità
si toglie la tuta da lavoro, liberando il viso dalla maschera che ne copriva la
metà superiore. Altrettanto rapidamente si infila gli abiti civili ed
appallottola la sua tuta per poi infilarla nella stessa intercapedine, quindi
rimette a posto il pannello. Recupererà tutto con calma se riuscirà a
cavarsela.
Rivestito
di tutto punto si dirige agli ascensori imponendosi di non correre. Ha appena
premuto il pulsante “Terra” che sente il rumore dei passi pesanti di War
Machine. Con un po’ di fortuna non noterà che l’ascensore è in funzione prima
che sia arrivato a terra ed a quel punto non avrà più importanza. Chissà come
ha fatto Jacobs a scoprire del contratto ai suoi danni? Oh, beh… se ne
preoccuperà un altro giorno.
Stuart
Clarke è appena rientrato nella sua abitazione che improvvisamente i vetri di
una finestra si infrangono e nel salotto entra la figura nera e argento di War
Machine.,
<<Ciao
Stuart.>>
-P… Parnell?- balbetta Clarke stupito.
<<E chi ti
aspettavi: Babbo Natale?>> replica l’uomo in armatura <<È stata una
mossa molto stupida assoldare un sicario per uccidermi, Stuart, disperata, magari,
ma soprattutto stupida.>>
-Ascolta Parnell... io…-
<<No, ascoltami tu:
non ho alcun interesse a mandare te e Sunset Bain in galera per quella vecchia
storia. Lasciatemi in pace ed io lascerò in pace voi, ma se riprovi a mettere
in pericolo me, mia moglie o qualcuno dei miei amici, beh, allora tornerò da
te…>> War Machine afferra il polso sinistro di Stuart Clarke e gli torce il
braccio finché non si ode un crack e Clarke urla <<… e non sarò così
misericordioso. Consideralo un avvertimento.>>
E
così dicendo, War Machine prende il volo e si allontana.
Non
molto tempo dopo, nell’appartamento di Jim Rhodes War Machine esce da uno
scomparto segreto nella camera da letto per scoprire di essere atteso da…Jim
Rhodes stesso.
-Com’è andata Parnell?- chiede quest’ultimo.
<<Direi… molto bene.- risponde
Parnell Jacobs mentre l’armatura di War Machine si ritira dal suo corpo –Credo
di aver spaventato Clarke a dovere. Non penso che ci riproverà, ma anche se lo
facesse, ormai io sarò irraggiungibile. Lui però continuerà a credere che gli
resterò alle costole come War Machine, la copertura perfetta anche per la tua
identità segreta. Ti ringrazio di avermi dato la tua armatura. Se avessi usato
l’armatura eidolon di Warwear non sarei stato probabilmente altrettanto efficace
ed avrei fatto saltare la mia copertura.-
-È stato un piacere. Mi dispiace solo di non
aver preso il cecchino, è stato furbo. Per fortuna avevamo ricevuto quell’avvertimento
e mi ero appostato al punto giusto, Non è stato difficile in fondo: mi è bastato
chiedermi dove mi sarei appostato io al posto suo.-
-Ti confesso che mi sono sentito un po’
nervoso a fare da bersaglio mobile, ma mi tranquillizzava sapere che c’eri tu a
coprirmi le spalle… come ai vecchi tempi.-
-Già… come ai vecchi tempi. Ne sono cambiate
di cose eh, Parnell?-
-Alcune in bene altre invece no. Tu sei quello
che te la sei cavata meglio: hai un bel lavoro, una bella casa e tra poco una
bella moglie.-
-Ma tu hai Glenda e per questo ti ho invidiato
a lungo, sai?-
Parnell
sorride.
-Ho quasi rovinato tutto anche con lei.-
-Ma poi
ce l’hai fatta a risalire, a tornare a galla ed è questo quello che conta.-
-Ok… non ne parliamo più e preoccupiamoci di
quello che dobbiamo fare oggi.-
-Giusto… è solo… mi chiedevo chi ti avesse
mandato l’avvertimento sull’attentato.-
Parnell
tace e con la memoria torna alla sera precedente, quando aveva ricevuto un
invito da Sunset Bain in persona. Parnell aveva accettato ed era andato
all’appuntamento. Sunset era andata subito al sodo e gli aveva proposto un
patto: il suo silenzio sui loro comuni trascorsi in cambio delle informazioni
sul cecchino. Parnell aveva accettato.
-Naturalmente hai solo la mia parola che
manterrò fede al patto- le aveva detto.
-Mi basta.- aveva replicato lei –Credo di aver
capito che sei un uomo di parola, diversamente dal mio socio.-
-A proposito… perché avvertirmi? Se il
cecchino mi avesse ucciso sarebbe convenuto anche a te.-
-Credi? Ci sarebbe stata un’inchiesta e certi
altarini sarebbero saltati fuori mettendomi davvero nei pasticci. Meglio così
con un bell’accordo tra gentiluomini per chiudere la questione.-
-Non vedo gentiluomini qui e nemmeno signore a
dire il vero.-
Sunset
fece una smorfia e Parnell proseguì:
-E se avessi deciso di testimoniare?-
-Me la sarei giocata in tribunale. La parola
di un criminale ricercato e reo confesso contro quella di una stimata donna
d’affari, pilastro della comunità a chi
pensi che crederebbero? E poi mi basterebbe il vestito adeguato per incantare
gli uomini della giuria e le donne invece penserebbero: “Ecco una che ce l’ha
fatta ed è attaccata dai maschi per questo”. Magari mi procureresti qualche
fastidio ma credo proprio che me la caverei.-
Parnell
aveva riso e si erano separati. In seguito lui aveva parlato con Rhodey ma
senza raccontargli certi particolari: non aveva bisogno di saperli.
Il
flusso di ricordi s’interrompe e nel frattempo
sia lui che Rhodey hanno finito
di vestirsi per la cerimonia e Rhodey si rivolge a Jacobs:
-Beh, che
ne pensi?-
-Che sembri un pinguino un po’ troppo nero. Su
diamoci da fare, non vorrai arrivare tardi al tuo matrimonio? È così scontato.-
-Tranquillo. Tu, piuttosto non dimenticare
l’anello.-
-Cosa… l’anello? Io?-
Rhodey
gli risponde con una risata divertita.
9.
Gli invitati hanno
cominciato ad arrivare con un certo anticipo sull’ora fissata per la cerimonia.
Jasper Sitwell, Direttore del F.B.S.A: arriva in compagnia di Bethany Cabe,
Harold “Happy” Hogan assieme all’infermiera Georgia Jenkins, dietro a cui ci
sono le sue amiche e colleghe Linda Carter e Christine Palmer che sembrano un
po’ spaesate; Mike O’Brien arriva sorprendentemente con Meredith McCall e Eddie
March con una vecchia amica. La sorpresa maggiore per alcuni è quando arrivano
Philip Grant e Ling McPherson, lui in uno smoking che gli sta a pennello e lei
con splendido abito nero che ne fa risaltare le forme, poi gli occhi si puntano
sull’arrivo dell’auto dello sposo.
All’interno
della limousine oltre a Jim Rhodes ci sono Tony Stark e Parnell Jacobs.
-Ancora non capisco come hai fatto a convincere
tuo cugino Morgan a concederci l’uso
della villa di famiglia per la cerimonia.- sta dicendo Rhodey.
Tony
fa un sorriso sornione e risponde:
-Ricatto: gli ho detto che se non l’avesse
fatto, al prossimo Consiglio dei Direttori della Stark-Fujikawa avrei votato
per estrometterlo da Presidente e che avrei avuto l’appoggio dei Fujikawa.-
-Ah…non so cosa dire.-
-Meglio così. Naturalmente ci tocca avere
Morgan come invitato, ma in fondo c’è di peggio.-
Scendono
dall’auto e Tony si guarda intorno. Quel posto gli ricorda molte cose, sia
belle che brutte. È stata la sua casa e gli è dispiaciuto averla persa, ma
almeno l’ha ricomprata Morgan, che è pur sempre uno Stark. Magra consolazione.
-Ciao.-
A
salutarlo è stata sua figlia Kathy. È perfetta nel suo abito da damigella della
sposa. Davvero sta crescendo, tra un po’ i ragazzi cominceranno a ronzarle
intorno come mosconi. Magari una bella scarica di repulsori davanti al naso li
terrebbe a bada. Ma che va a pensare? Al diavolo… fare il padre non è un’impresa
facile.
Lui
e Kathy scambiano quattro chiacchiere e Tony non può non notare la freddezza di
Joanna dopo il discorso che hanno avuto quella mattina prima di partire. Beh…
tanto peggio, andava fatto.
Il
nervosismo di Rhodey è palpabile Si guarda intorno chiedendosi quanto ci
metterà ancora Rae ad arrivare, quando vede una figura familiare e le corre
incontro.
-Mamma!- esclama. -Sei venuta, finalmente, ma…
papà?-
Roberta
Rhodes scuote la testa con espressione triste.
-Non è voluto venire- risponde –Ha detto che
non avrebbe avallato con la sua presenza l’errore che stai commettendo.-
-Quel… testone.- la delusione nella voce di
Rhodey supera la rabbia –E tu come la pensi?-
Roberta
accarezza la guancia del figlio e risponde:
-Io voglio solo che tu sia felice, figliolo, e
se la donna che hai scelto ti rende felice, a me basta.-
-Grazie, mamma.
Le
note della marcia nuziale di Mendelssohn si diffondono nell’aria. Il momento è
arrivato.
Anche
Rae Lacoste è nervosa, ma non l’ammetterebbe mai. C’era stato un tempo in cui
l’idea di sposarsi non l’avrebbe nemmeno sfiorata, in cui non voleva altro che
essere libera ed indipendente, poi era arrivato Jim Rhodes e tutto era
cambiato, cambiato al punto che era stata lei stessa a chiedere a lui di
sposarla e non era certo pentita di averlo fatto.
La
porta si apre ed entra Tony Stark.
-Pronta ?- le chiede.
-Sempre.- risponde lei con un sorriso.
La
marcia nuziale inizia a suonare e Rae al braccio di Tony percorre lo spazio che
la separa da Rhodey in attesa.
Non
si torna indietro.
10.
Le
parole vengono dette, le promesse solenni fatte, i testimoni porgono gli anelli
ed infine il celebrante pronuncia le fatali parole:
-… vi dichiaro marito e moglie.- poi le
altrettanto famose parole dirette allo sposo –Può baciare la sposa.-
Rhodey
non se lo fa ripetere due volte mentre intorno a loro c’è chi sorride, chi
lancia grida di incoraggiamento e perfino chi pensa alle cose che potevano
essere e non sono state.
Viene
il momento del banchetto di nozze e Rhodey e Rae girano tra i tavoli a
chiacchierare con gli invitati.
La
giornata prosegue tranquilla almeno finché Rhodey non esclama:
-Non è possibile!-
-Cosa c’è?- gli chiede Rae.
-Te lo spiego dopo.- risponde lui bruscamente
e si allontana.
Non
può essere lei, pensa, come può avere il coraggio di presentarsi qui? E perché
non se n’è accorto prima? Se Tony la vedesse…
Rebecca
Bergier lo saluta con entusiasmo.
-Ciao Rhodey, è da tanto che aspettavo di
presentarti la mia ragazza India Queen.
-India Queen un corno.- sbotta Rhodey indicando
la donna al fianco di Rebecca –Questa è Indries Moomji, la donna che per
ordine di Obadiah Stane ha causato la rovina di Tony spingendolo
all’alcolismo.-
-No, non è vero!- esclama Rebecca
sconvolta –Diglielo che si sbaglia, India.-
La
donna bruna solleva il calice di champagne e beve un sorso mentre fa un lieve
sorriso e poi risponde:
-Ciao, Rhodey, come stai? Se non
sbaglio non ci vediamo da quella volta nel deserto.-[10]
E
così lei sa che era lui Iron Man a quei tempi, non ne è sorpreso e se Rebecca
le avesse detto anche che ora è War Machine? Non può pensarci adesso.
-Che intenzioni hai adesso
Indries? E non dirmi che non avevi niente di meglio da fare che sedurre Rebecca.
Lasciala stare.-
-Se è quel che desideri, non ho
problemi a farlo. Mi ero già stancata di giocare con lei, mi ha già dato tutto
quello di cui avevo bisogno.-
-No!- grida Rebecca –Non può
essere vero, no!-
Gli
altri invitati stanno accorrendo sul posto e tra di loro, inevitabilmente c’è
Tony.
-Cosa sta…?-
Le
parole gli si bloccano in gola quando riconosce la donna davanti a se e riesce
solo a balbettare:
-Indries?-
-Ciao, Tony, è bello rivederti.
Vuoi un po’ di champagne? È molto buono.-
Senza
aspettare risposta, la donna si volta e se ne va senza degnare nemmeno di uno
sguardo Rebecca Bergier che sta piangendo lacrime amare.
Tony
si allontana frastornato: non credeva che rivedere Indries Moomji l’avrebbe
sconvolto così. Si allenta il cravattino e sente la testa che gli gira, la
nausea lo assale e con essa la disperata voglia di bere qualsiasi cosa contenga
alcool.
Probabilmente
vomiterebbe sul prato se una mano non si posasse sul suo braccio destro ed una
voce gentile non pronunciasse con dolcezza il suo nome:
-Tony.-
Lui
si volta per vedere Pepper Potts sul cui sguardo si legge la preoccupazione e
qualcos’altro, qualcosa che lui non aveva mai voluto vedere prima d’ora.
D’impulso
l’attira a se e la bacia. Dopo un istante lei gli getta le braccia al collo e
risponde al bacio, Rimangono così per un tempo che sembra quasi interminabile,
poi si staccano.
-Oh… wow!- esclama lei prendendo fiato –Perché
adesso?- chiede.
-Perché ho deciso di smettere di essere
ipocrita.- risponde lui –E anche tu dovresti farlo.-
-Va bene… conosci le mie condizioni.-
-Accettate. Ho già parlato con Joanna e si
trasferirà in uno degli appartamenti vuoti del ventesimo piano. Quanto a
Meredith, mi ha detto che intende riaprire la villa di suo padre e andare a
vivere lì,.-
-E così hai pensato a tutto e deciso tutto.-
-Non ho deciso niente… non senza di te. Sei tu
che prenderai la decisione finale.-
Pepper
lo abbraccia di nuovo e dice:
-Quando avevo vent’anni non sognavo altro che
questo e ora…-
-Ora che siamo più vecchi non dovremmo essere
più saggi?- replica Tony.
-Al diavolo la saggezza, ci sto comunque.-
E
riprendono a baciarsi.
Il
resto della serata prosegue senza intoppi. Alla fine gli sposi si preparano
alla partenza e c’è il fatidico rito del lancio del bouquet. Il mazzo di fiori
rimbalza dalle mani di Pepper e finisce
nel grembo di una perplessa Georgia Jenkins.
Un
po’ alla spicciolata gli ospiti cominciano ad andar via, a parte quelli troppo
ubriachi e quelli, che come sempre
accade, si sono infrattati in cerca di intimità.
Kathy
Finch non è ben sicura di com’è arrivata dove si trova e di chi sia quel
ragazzo che sembrava tanto carino che l’ha portata in quell’angolo buio dove ha
cominciato ad allungare le mani e che ora si ritrova sollevato da una mano
robusta.
-Fila via.- gli intima Philip Grant
-Ma cosa vuoi?- replica quello.
-Questa è mia sorella, amico e tu sei troppo
vecchio per lei, quindi fila o ti porto al posto di polizia dopo averti fatto
gli occhi neri, scegli tu.-
Il
ragazzo se ne va e Kathy si rialza rimettendosi a posto la gonna.
-Lo sai che sei un vero guastafeste?- lo apostrofa.
-E tu lo sai che sei ancora troppo giovane per
queste cose?- ribatte Philip.
-E chi l’ha detto?-
-La legge, presumo. Su ti riaccompagno da tua madre che si chiederà che fine hai
fatto. Non potevi startene al tavolo con lei? Tutti irrequieti gli Stark,
pare.-
-Ehi, anche tu sei uno Stark… ti ho sentito
dire che sei mio fratello.-
-Non mi ci far pensare.-
Il
sole cala sulla Contea di Suffolk. Un altro giorno è finito.
EPILOGO
E questa è la fine della storia almeno
per quello che mi riguarda. Nelle prossime due settimane mi godrò il viaggio di
nozze con la donna che ora è mia moglie. Ai problemi del mondo ci pensi qualcun
altro.
Mi chiamo James Rupert Rhodes e
credetemi, mi sento davvero un uomo fortunato.
FINE
NOTE
DELL’AUTORE
E così anche questa serie MIT è arrivata al
traguardo della cinquantesima uscita. La prima cosa che mi sento in dovere di
fare è ringraziare il primo autore che se n’è occupato: Tobia Brunello, che ha
concepito e sviluppato le basi su cui la serie si è fondata e ci ha
accompagnato per i primi 11 episodi, dopodiché è subentrato l’umile
sottoscritto.
Nel
corso di questi 50 episodi avete visto il ritorno di quasi tutte le fiamme
conosciute di Tony Stark, dal fatale Tales of Suspence #39 ad oggi, la scoperta
di due figli naturali, l’adozione di un altro, il ritorno di vecchi nemici e
l’arrivo di nuovi e a nascita della Iron Legion con il concetto che Tony Stark
non è il solo a vestire l’armatura di Iron Man e tanto altro ancora.
Ed
ora un po’ di chiarimenti.
1)
Che Sasha Hammer sia figlia del Mandarino è tratto direttamente dalla
serie Invincibile Iron Man che, aldilà della numerazione, è stata scritta e
disegnata interamente da Matt Fraction & Salvador Larroca, ma i particolari
relativi al suo concepimento sono esclusivamente una mia idea. A cosa porterà questo
sviluppo lo saprete a partire dal prossimo episodio.
2)
Chi sia MODOK è spiegato nella storia, quindi non mi dilungherò. Mi
limiterò ad aggiungere che sebbene non sia mia l’idea della separazione
dell’A.I.M. in branche contrapposte, lo è però quella di dotarle di tute con lo
stesso design ma di colori differenti.
3)
Credo che solo coloro che non hanno avuto la possibilità di leggere gli
episodi inediti della seconda saga dell’alcolismo di Tony Stark realizzata da
Denny O’Neil nel periodo 1983/1986 non avessero indovinato la vera identità di
India Queen. Il mistero è risolto ma le sue conseguenze permangono
Nel prossimo episodio… il
Mandarino, MODOK, il Controllore, chi sarà il primo a dare fastidi a Tony Stark
e Iron Man? Non vi resta che leggere il prossimo episodio per scoprirlo.
Carlo
[1] Nella serie MIT omonima scritta dall’indimenticato Valerio Pastore.
[2] su Iron Man Vol. 3° #11/12-18/20 (in Italia su Iron Man & i Vendicatori #41/42-48/50).
[3] Confusi? Allora non avete ancora letto Vendicatori #84. Rimediate al più presto.
[4] Nell’ultimo episodio.
[5] Un riassunto necessariamente sintetico di eventi narrati in Iron Man Vol. 1° #12/13 (Prima edizione Italiana Devil, Corno #99/101) ed in svariati altri albi Marvel.
[6] Come visto in Vendicatori MIT ##76.
[7] Vedi Vendicatori MIT 84.
[8] Ovvero sta parlando da solo, un tratto molto comune nei supercriminali megalomani. -_^
[9] United States Air Force.
[10] In Iron Man Vol. 1° #173 inedito in Italia.