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#47
GLI
EREDI DI HULK
PARTE PRIMA
RISVEGLI
1.
Robert Bruce Banner,
l’incredibile Hulk, guarda il letto disfatto dove Caiera l’Impetuosa sta ancora
dormendo e scuote la testa. Mentre termina di vestirsi i suoi pensieri tornano agli
eventi della sera precedente ed a quello che lei gli aveva detto..
Erano appena tornati alla base dopo una serie di disavventure, alcune
risolte felicemente, altre che avevano aperto la via a nuovi misteri, mentre
molte domande rimanevano ancora prive di risposta.
Perché il Capo aveva mandato dei gammairradiati a spargere il caos a Los
Angeles? Cosa sperava di ottenere? Se avesse potuto interrogarli forse… ma no:
inutile stare perfino a pensarci. Avrebbe dovuto scontrarsi con le squadre di
Quartermain e della Hand e non era ancora il momento. C’erano ancora da
risolvere i misteri sulla sorte di Jim Wilson ed Angela Lipscombe. Il suo
istinto gli diceva che Paride ne sapesse più di quanto fosse disposto ad
ammettere. Prima o poi ci sarebbe stata una resa dei conti tra loro due, era
inevitabile.
Era immerso in questi
pensieri quando Caiera era entrata nella sua stanza e perché fosse venuta era
piuttosto evidente.
Caiera era un’aliena, una
dei cinque sopravvissuti alla distruzione del lontano pianeta Sakaar ad opera
di Thanos. Lei ed Hiroim, l’ultimo maschio rimasto della sua specie,
appartenevano alla stirpe dei Guerrieri Ombra, combattenti eccezionali dal
fisico statuario, la pelle grigia e la capacità di attingere alle energie
primordiali dei pianeti.
Per gli standard terrestri
Caiera era decisamente una donna attraente e quando lei e le altre due donne di
Sakaar, appartenenti però all’èlite dominante dalla pelle rossa, gli avevano
fatto capire che nel giuramento di fedeltà che gli avevano fatto era compresa
anche la disponibilità sessuale, lui non aveva avuto scrupoli ad approfittarne.
Gli piaceva l’idea di avere un harem come un sultano.
Quella sera, però, Caiera
aveva una sorpresa per lui.
-Sto cercando di… come dite voi terrestri? Ah sì: rimanere incinta.- gli
aveva detto alla fine.
-Cosa?- aveva esclamato lui decisamente spiazzato.
-Io sono l’ultima Guerriera Ombra. È mio dovere accoppiarmi con un
compagno adeguato per perpetuare la mia stirpe e passare l’Antico Potere ad una
nuova generazione.-
-E perché con me? Hiroim è della tua specie. Chi meglio di lui potrebbe
essere adatto?-
-Lui… non è interessato.-
-Oh!-
-Tu sei il più forte guerriero di questo pianeta e forse dell’intera
Galassia. Un figlio di entrambi avrebbe il meglio di entrambe le specie e
sarebbe inarrestabile.-
Bruce non aveva detto
niente ma l’idea in fondo lo solleticava: un conquistatore deve avere un erede
che ne continui l'opera o altrimenti avrà
lavorato per nulla. L’impero di Alessandro Magno si era dissolto con la sua
morte, ma i discendenti di Guglielmo il Conquistatore regnavano ancora in Gran
Bretagna ed altrove. Che succeda quel che deve succedere, si disse stringendo
Caiera tra le braccia.
Mentre
esce dalla stanza ci sta ancora riflettendo. Visti i precedenti nella sua
famiglia, ha avuto sempre sentimenti ambigui verso l’idea di diventare padre.
Da un lato ne sarebbe felice e dall’altro c’è il timore di diventare proprio
come il suo, di padre.
Il
destino, però, gli ha giocato un bello scherzetto facendogli incontrare due
figlie già adolescenti. Volente o nolente aveva dovuto accettare gioie e dolori
della paternità. E a proposito di figlie, ecco che una di loro sta proprio
venendo verso di lui.
Lyra
normalmente è alta un paio di metri, ha la pelle verde ed è superforte, ma
attualmente è tornata ad una forma umana e sembra una normalissima ragazzina di
15 anni dai capelli rossi.
-Papà, devi
aiutarmi!.- esclama lei vedendolo.
-Che cosa c’è?-
chiede lui pur immaginando la risposta.
-Non lo vedi? Non
sono ancora tornata normale. Sono ancora… così.-
-Ci vuole ancora un
po’ di tempo perché l’effetto del meccanismo che ti ha trasformato finisca.
Devi avere pazienza.-
Lyra sbuffa e Bruce sorride poi
aggiunge:
-Volevo parlarti di
una cosa: tu non puoi restare sempre qui in questa base, hai bisogno di vedere
dei tuoi coetanei, interagire con loro.-
-E allora?-
-Ho preso una
decisione: andrai a scuola.-
Lyra sgrana gli occhi e grida:
-Cosa?-
2.
Valerie Jessup si risveglia nuda in
un letto che non è il suo e per qualche attimo rimane perplessa... poi, quando, proveniente dal bagno, entra nella
stanza un giovanotto afroamericano che indossa solo un asciugamano attorno alla
vita, la memoria le si risveglia definitivamente e la mente ritorna alla sera
precedente.
Il posto era il bar dell’hotel di Los Angeles dove avevano preso
alloggio sia i membri della squadra Gamma del F.B.S.A. che quelli dell’analoga
squadra dello S.H.I.E.L.D. reduci dallo scontro con un distruttivo gruppetto di
esseri simili a Hulk.[1]
Lei era lì già da un po’,
era arrivata ormai al terzo drink e stava per ordinarne un quarto. Era una
brutta abitudine, lo sapeva, e non ci indulgeva troppo spesso, solo quando il
lavoro la portava lontana da casa come in questo caso.
Stava per chiamare il
cameriere quando lui entrò. Lo riconobbe subito anche se lo conosceva da appena
mezza giornata. Indossava un completo azzurro e portava gli occhiali. Le
ricordò Colin Powell, un Colin Powell decisamente più magro, da giovane, e
giovane lo era davvero, più di lei di sicuro, pensò Valerie con una punta di
amarezza.
Lui la vide e la
riconobbe. Dopo qualche attimo di esitazione si diresse al suo tavolo e le tese
la mano dicendo:
-Dottoressa Jessup? Che piacere rivederla.-
-L’Agente dello S.H.I.E.L.D. Gabriel Jones III.- replicò lei
stringendogli la mano -Ho buona memoria per i nomi specie per quelli famosi
come il suo. La prego, si sieda.-
-È mio nonno quello famoso, non io.- si schermì lui sedendosi davanti a
lei -A volte è un nome che pesa.-
-Ne so qualcosa anch’io di parenti ingombranti.- disse Valerie finendo
il suo Margarita.
Tacquero forse un po’
imbarazzati, poi Gabriel disse:
-Dicono che nel ristorante qui accanto si mangia bene. Odio mangiare da
solo. Offro io, naturalmente.-
Perché no? Si disse
Valerie, neanche a lei piaceva mangiare da sola ed il ragazzo era simpatico.
Aveva la sensazione che, come lei, avesse qualche difficoltà coi rapporti
umani.
-Accetto volentieri.- rispose -Andiamo?-
Passarono nel vicino
ristorante scambiando un po’ di chiacchiere ma senza parlare di faccende
personali. Valerie si chiese se lui avesse letto la sua scheda e sapesse del
suo passato prima che entrasse nel F.B.S.A. e soprattutto il suo vero nome.
Beh, in un certo senso Jessup era un po’ come se fosse il suo vero nome: era
quello dell’uomo che sua madre aveva sposato qualche anno dopo il divorzio da
suo padre e lei aveva deciso di adottarlo quando si era stufata di sentirsi
chiedere: “Sei forse la figlia dell’…?”
Complice una bottiglia di
buon vino californiano seguita subito dopo da un’altra, entrambe messe
generosamente sul conto spese dello S.H.I.E.L.D., avevano finito decisamente
per sciogliersi. Tornati all’hotel si erano ritrovati a baciarsi davanti alla
camera di lui. Valerie non ricordava chi dei due avesse preso l’iniziativa ma
era abbastanza sicura di essere stata lei: Gabe era un tipo timido mentre lei
diventava decisamente più disinibita dopo aver bevuto e quella sera aveva
bevuto parecchio, senza contare che era passato un bel po’ di tempo dall’ultima
volta che era stata a letto con qualcuno dopo il suo divorzio, ed anche questo
aveva la sua importanza.
Entrarono nella stanza, si
spogliarono freneticamente e finirono sul letto. Il resto era storia, per così
dire.
-La doccia è libera
adesso.-
La voce di Gabriel la strappa ai
suoi ricordi e la riporta al presente.
-Grazie- replica e si
alza dal letto.
Sa
che è stupido dopo quello che è successo la notte scorsa, ma istintivamente si
copre con il lenzuolo mentre corre verso il bagno.
-Posso farti una
domanda personale?- le chiede improvvisamente Gabriel.
Lei si blocca e si gira lentamente,
scura in volto
-Che domanda?-
replica infine.
-Chi è Brian? Hai
mormorato il suo nome nel sonno un paio di volte.-
Valerie sospira e lascia passare
qualche secondo prima di rispondere:
-È mio figlio. Ha
dodici anni. Non ho nessun altro amante… segreto o meno.-
-Non volevo….-
-Non importa. Ora
scusami.-
Entra nel box doccia resta sotto il
getto caldo molto a lungo, finchè gli effetti della sbronza non sono passati e
rimane la consapevolezza che ci sono cose che né l’acqua, né tantomeno l’alcool
possono far scomparire.
3.
Isabelle
Hartley chiude la cerniera della sua uniforme azzurra dello S.H.I.E.L.D. e si
guarda allo specchio con aria pensierosa. Melody Manelli, che indossa solo un
ridottissimo baby doll, le pone una mano su una spalla e le sussurra:
-Tranquilla, ti sta
benissimo.-
-Non è a quello che
stavo pensando…- replica Isabelle -… ma a quello che è successo la scorsa
notte.-
Isabelle Hartley non riusciva a prendere sonno e non era solo perché non
aveva ancora scaricato tutta l’adrenalina accumulata durante lo scontro coi
mostri gamma, no: c’era dell’altro e lei lo sapeva bene, anche se non voleva
ancora ammetterlo con se stessa.
Un leggero ma insistente
bussare alla porta la riportò alla realtà mentre una voce di donna diceva:
-Servizio in camera.-
Isabelle balzò giù dal letto con rapidità ed
impugnò la pistola d’ordinanza. Di una cosa era sicura: non aveva ordinato
niente al servizio in camera.
Si avvicinò alla porta e l’aprì di scatto per
trovarsi davanti una giovane donna che ben conosceva: capelli neri con la
frangetta, occhi nocciola, sorriso insolente e corpo da modella a malapena
coperto da un baby doll quasi inesistente. Nella mano stringeva una bottiglia
di pinot grigio dei vigneti californiani.
-Puoi abbassare la pistola.- le disse -Non ho intenzioni ostili se non
nei confronti della tua virtù.-
Isabelle ignorò il
commento e replicò:
-Cosa ci fa qui a quest’ora, Agente Manelli?-
-Chiamami Melody… e lo sai benissimo perché sono qui. Ho visto come mi
guardavi dopo lo scontro e mi sta bene. Non ho voglia di dormire da sola
stanotte e tu nemmeno, non è vero? Quindi perché non divertirci insieme senza
impegno? Ti confesso che mi era balenata la tentazione di provarci con Timmy
Dugan ma lui è un pesce lesso mentre tu… tu sei eccitante -
-Tu sei una mia sottoposta.- replicò nervosamente Isabelle -E poi io ho
una relazione.-
-Con Victoria Hand, lo so, ma tu non sei da lei e lei non è qui adesso e
questo vuol dire qualcosa no? Scommetto che lei non si sta facendo tutti i tuoi
scrupoli, quindi te lo ripeto: perché non ci divertiamo un po’ insieme senza
impegno?-
Dicendo così Melody le
gettò le braccia al collo e la baciò sulle labbra. Al diavolo i regolamenti e
la prudenza, pensò Isabelle stringendola ai fianchi e rispondendo al bacio.
Isabelle torna bruscamente alla
realtà e dice:
-Forse è meglio che
non arriviamo al meeting insieme.-
-Hai paura che la tua
fidanzata sospetti di noi?- ribatte, sarcastica, Melody.
-Non è questo ma il
fatto che io sono un ufficiale e tu una semplice agente. Vorrei evitare
sanzioni disciplinari ad entrambe.-
-La disparità di
grado non ha mai impedito allo Zio Nick di scoparsi tutte le agenti che voleva.
Non mi dirai che per il Direttore le regole non valgono, spero.-
Ottimo punto, pensa Isabelle. Espira
e poi si rivolge alla ragazza:
-Vai a vestirti e poi
raggiungimi in garage. Andremo con la mia auto e al diavolo le apparenze.-
Melody sorride.
4.
Ogni
mattina, prima di recarsi al lavoro, l’agente dello S.H.I.EL.D. Monica Chang si
dedica per almeno quindici minuti ad una sequenza rigida di esercizi fisici ed
anche oggi che si trova nella stanza di un hotel di Los Angeles in California
invece che nel suo appartamento di Alexandria in Virginia non ci sono eccezioni
a questa regola.
Terminati gli esercizi e fatta una
breve doccia corroborante, Monica indossa una versione personalizzata
dell’uniforme dello S.H.I.E.L.D. sbracciata e con una pettorina ed un colletto
rialzato entrambi di color marrone. A ciascuna anca è assicurata una fondina
con relativa pistola, per la precisione delle Desert Eagle armate con
proiettili Magnum.
La giovane cinese sì dà un’ultima
occhiata allo specchio poi guarda l’orologio. C’è più di una ragione per cui
non vuole arrivare in ritardo alla riunione con la squadra del F.B.S.A. per
discutere dei fatti della giornata precedente e non tutte sono note ai suoi
compagni di squadra, pensa con un amaro sorriso.
Era stata un’idea di Clay Quartermain quella di prendere alloggio nello
stesso hotel della Squadra Gamma del F.B.S.A. e praticamente tutti avevano
aderito con vari gradi di entusiasmo, in fondo rischiare la vita insieme aveva
creato tra la squadra di sicurezza internazionale e quella americana un
cameratismo che valeva la pena di coltivare. Solo la Dottoressa Patricia
Wolfman e Derek Khanata avevano scelto di restare nel Bus, il jet
superaccessoriato dell’Agenzia equipaggiato anche con cabine private.
La serata di libertà a Los
Angeles era stata apprezzata praticamente da tutti. Non era sfuggito a Monica
che Gabe Jones e Valerie Jessup, i due scienziati forensi delle rispettive
squadre che se ne stavano appartati in un tavolo tutto loro, avevano legato più
di quanto ci si potesse aspettare. Chissà se lui sapeva chi era realmente lei?
In fondo non aveva importanza.
Dal canto suo, Monica
aveva, per così dire, sondato il terreno con Clay Quartermain ma aveva presto
capito che non era il momento adatto. Peccato, avrebbe potuto essere
un’occasione unica ma non era detto che non potesse ricapitare dopotutto.
Rientrata nella sua
camera, Monica aveva acceso un palmare e si era collegata ad un canale
criptato.
-Agente 54 a rapporto.- aveva detto in Cinese Mandarino.
Sullo schermo era apparso
il volto di un uomo chiaramente cinese di circa quarant’anni con i baffi alla
mongola che aveva replicato nella stessa lingua:
<<Hanno sospetti su di te?>>
-No, ne sono sicura. E del resto, perché dovrebbero averne? Sono una leale
agente dello S.H.I.E.L.D. in fondo.-
<<Ma la tua prima lealtà va alla Repubblica Popolare, non
dimenticarlo mai. Il tuo compito principale è controllare che le azioni dello
S.H.I.E.L.D non confliggano con gli interessi del popolo cinese e passarci ogni
informazione utile al riguardo. A questo proposito cosa puoi dirmi del…
dell’incidente di oggi a Los Angeles?>>
Monica sorrise
istintivamente. Incidente non era esattamente il termine con cui avrebbe
descritto la mezza carneficina di non molte ore prima, ma se al suo
interlocutore piaceva chiamarla così, a lei andava bene.
-E questo è tutto, Compagno Ling.- disse concludendo il suo racconto
-Domattina ci sarà una nuova riunione congiunta nella sede locale del F.B.S.A.
per stabilire una linea d’azione comune contro il Capo, ammesso che sia davvero
lui il responsabile. Potrebbero essere presenti sia Jasper Sitwell che G.W.
Bridge almeno in videoconferenza.
<<Confido che registrerai ogni particolare. Nei prossimi giorni
sarò impegnato a coordinare una delicata azione contro l’Hydra assieme ai miei
omologhi di alcuni servizi segreti stranieri.[2]
Contattami solo se è assolutamente indispensabile. Buona fortuna, Compagna
Chang.>>
-Grazie, Compagno Ling. Chiudo.-
Monica ripose il palmare e
si spogliò per poi infilarsi a letto. Le piaceva Ling Kwai. Non era il solito
burocrate, prima di essere nominato capo della rete di agenti dell’Ānquánbù[3] negli
Stati Uniti era stato un agente operativo e conosceva bene i rischi ed i
problemi di un agente sotto copertura, ma non era il momento di pensarci. Visto
che non era riuscita a sedurre Clay almeno per il momento, tanto valeva che si
concedesse una buona notte di sonno.
Un’ultima
occhiata all’equipaggiamento, poi Monica lascia la stanza pronta per l’azione.
-Buongiorno Agente
Chang, dormito bene?
A fare quella domanda è stata
l’Agente Speciale del F.B.S.A. Sandra Verdugo, attraente latinoamericana con un
discutibile gusto nel vestire, nessuno penserebbe che è un’agente federale e
nemmeno che avesse un segreto che solo ora è saltato fuori. Naturalmente Monica
ne era già al corrente, avendo letto un corposo dossier che la riguarda e che
contiene anche altre informazioni interessanti. Ovviamente non c’è bisogno che
lei lo sappia.
-Sì, ho dormito
bene.- risponde l’agente dello S.H.I.E.L.D. -E lei?-
Sandra le rivolge un sorrisetto
insolente e replica:
-Diciamo che ho avuto
ospiti e mi sono divertita.-
Posso immaginarlo, pensa Monica
mentre entrambe si dirigono verso l’ascensore.
5.
Angela
Lipscombe si sveglia e la prima cosa che pensa è: sono in un ospedale. In
effetti l’ambiente asettico sembra suggerire quest’impressione.
-Ciao, Angela, come
ti senti?-
La voce la conosce, pensa Angela, ma
le sembra meno profonda. Si volge verso l’uomo che ha parlato e che sta seduto
accanto al letto. Alto nella media, corporatura normale, capelli castani lunghi
ed annodati a coda di cavallo, occhiali da miope. Rimane perplessa qualche
istante poi capisce:
-Len, sei davvero tu?
Che ti è successo?-
-Perdita temporanea
dei poteri. Torneranno prima o poi.- risponde Leonard “Doc” Samson -Ma veniamo
a te; Angela: cosa ricordi di quello che ti è successo?-
-Io…- Angela esita
-Ricordo Hulk Rosso che mi afferrava e saltava via da un buco nella parete e
poi più nulla. Devo essere svenuta.-
-Forse… o forse è
solo la classica amnesia postraumatica. Qualunque cosa tu abbia subito è stata
troppo dolorosa e tu hai rimosso i ricordi.-
-Sono una psichiatra
anch’io, Len, conosco il fenomeno. Non vedo lesioni o menomazioni fisiche
evidenti quindi deve essere stato un trauma psicologico. Oddio, l’Hulk Rosso
non mi avrà…?-
-Tranquilla, Angela,
non ci sono segni di violenza sessuale se è questo che temevi, anche se…-
-Anche se…? Cosa sai,
dimmelo Len.-
-Ti dirò quel poco
che so, Angela.-
Mi stavo aggiustando alla mia nuova condizione, che poi era quella in
cui ero nato anche se non ci ero più abituato da anni ormai, e stavo
ringraziando il cielo che il mio costume e quello di Lyra fossero di molecole
instabili, quando arrivò la notizia dello scontro tra l’Hulk Rosso e la
She-Hulk Rossa nel bel mezzo del deserto del Nevada.
-Andiamo subito lì.- ordinò immediatamente Hulk -Voglio proprio
incontrare questa She-Hulk Rossa e magari scoprire chi è veramente.-
Per quanto veloci
fossimo, arrivammo comunque troppo tardi: l’esplosione o implosione che fosse era
già avvenuta. Era come se due bombe gamma di parecchie decine di megatoni
fossero arrivate insieme alla massa critica e tutta l’energia liberata si fosse
scaricata interamente in un’area di poche decine di metri quadrati.
Quando l’aeronave
del Pantheon atterrò il suolo era ancora caldo e dove sino a poco prima l’Hulk
Rosso e la She-Hulk Rossa si stavano combattendo c’era un profondo cratere
scavato nella sabbia vetrificata dal calore che si era sprigionato.
Ettore verificò con
gli strumenti di bordo e disse:
-La temperatura al suolo è accettabile e non si registrano radiazioni.-
-È impossibile!- esclamai -Qualunque cosa sia avvenuta qui non può non
aver rilasciato radiazioni.-
Bruce aveva un’aria
perplessa e preoccupata quando replicò:
-Forse no, non se è successa una certa cosa ma devo verificare.
Usciamo!-
Scendemmo
dall’aeronave. L’aria era calda ma appena poco di più di quanto ci si poteva
aspettare in quel posto ed in questa stagione. Ci avvicinammo con prudenza al
bordo del cratere mentre Bruce ordinava di prendere campioni di suolo e di
aria.
Arrivati sul bordo
ci sporgemmo a guardare di sotto e fu Ulisse il primo a gridare:
-Guardate là!-
Proprio nel centro
del cratere giaceva, rannicchiata in posizione fetale, una donna bionda
completamente nuda.
-Quella donna, ovviamente, eri tu, Angela.-
termina il suo racconto Samson.
-E gli altri? L’Hulk
Rosso? La She-Hulk Rossa?- chiede Angela.
-Svaniti, come se non
fossero mai esistiti. Forse si erano reciprocamente distrutti nell’impatto.-
-Ma tu non ci credi,
dico bene? Non vuoi crederci.-
Samson scuote il capo e replica:
-Non voglio credere
che Jim Wilson sia morto così, in questo hai ragione, ma onestamente non so
cosa pensare. Speravo che tu potessi fornirci qualche particolare illuminante
ma non è stato così.
-Mi dispiace, ma proprio
non ricordo niente. Non so come posso essere arrivata lì o che fine abbiano
fatto gli altri… anche se pure io spero, nonostante tutto, che Jim sia ancora
vivo. Bruce non ha una qualche teoria al riguardo? Dopotutto è lui l’esperto.-
-Se ce l’ha, non ha
ritenuto di mettermene al corrente.-
-Capisco.- mormora,
pensierosa, Angela Lipscombe -Capisco.-
6.
Ci
sono due cose che sono sempre state importanti per Richard Milhaus Jones, Rick
per gli amici: la chitarra e l’altra l’amore per l’avventura, ma entrambe
impallidiscono di fronte ai suoi sentimenti per la donna più importante della
sua vita, colei che è ancora legalmente sua moglie: Marlo Chandler-Jones.
Gli hanno detto che deve dimenticarla,
che deve considerarla morta, che non esiste più ormai, ma lui non può e non
vuole accettarlo. Ci ha provato ed è stato un errore.
Si alza dal letto anche troppo
morbido su cui ha passato la notte e si veste in fretta.
-Te ne vai di già?-
gli chiede, con evidente accento del Sud, la giovane donna dai lunghi capelli
neri che le ricadono morbidi sui seni.
-Non posso restare,
Lou Ann.- risponde lui -Non avrei dovuto nemmeno fermarmi.-
-E dove andrai?-
-Lo saprò quando ci
sarò arrivato.-
Non era così che si è ritrovato lì,
dopotutto?
Non ricordava nemmeno da quanto fosse in viaggio gli sembrava
un’eternità ma forse erano state solo poche ore. Ad un certo punto si era reso
conto di essere arrivato a Las Vegas ed aveva parcheggiato davanti al Coliseum
Casinò. Si rese conto di aver fame. Se non ricordava male, il Coliseum aveva un
ottimo ristorante.
Il problema era che il
tizio all’entrata non ne voleva sapere di farlo entrare vestito com’era e con la
barba di tre giorni. Rick considerò brevemente l’idea di stenderlo usando una
delle mosse insegnategli da Capitan America oppure lo Starbrand tatuato sul
palmo della sua mano destra ma alla fine decise di far ricorso ad un’arma
ancora più efficace: estrasse da una tasca del giubbotto il telefono e compose
un numero.
-Suzy, sono Rick… Rick Jones. Sono qui a Vegas, davanti al Coliseum e c’è un
idiota che non vuole farmi entrare.-
<<Aspettami.>> aveva risposto la sua interlocutrice.
Pochi minuti dopo arrivò
la proprietaria del Coliseum, Suzy Berengetti accompagnata da un tizio che
aveva la stazza di un armadio a tre ante ed un’aria vagamente familiare.
-Rick, che bella sorpresa!- esclamò a braccia spalancate.
Lo abbracciò, poi lo fece
entrare.
-Sei arrivato appena in tempo.- gli disse -
Io e Sean stavamo giusto per partire per una vacanza per riprenderci da una
brutta faccenda.[4]
Dov’è Marlo?-
Rick glielo spiegò meglio
che potè e dovette ammettere che nessuno dei suoi interlocutori si scompose più
di tanto. Dovevano averne viste entrambi di cose strane.
-Mi dispiace davvero, Rick.- disse Suzy convinta -Marlo è la mia
migliore amica e spero che presto tutto si risolva per il meglio.-
-Lo spero anch’io.- borbottò lui.
-Ovviamente puoi restare qui quanto vuoi. Mentre io e Sean siamo via
puoi usare l’attico, ecco le chiavi.-
-Non posso permetterlo, io…-
-Sciocchezze, puoi e devi.-
-Non contraddirla, ragazzo.- intervenne l’uomo di nome Sean Clinton
McIntyre -Sarebbe pericoloso ora che è la padrona della città.-
-Cosa?-
-Lascia perdere.- ribattè Suzy -Adesso te ne vai di sopra, ti riposi un
po’, ti dai una sistemata e ti metti un vestito pulito.-
-Ahimè, temo di avere solo quello che ho addosso.-
-A questo c’è rimedio.- replicò Suzy ammiccando -Quando sarai pronto,
scendi a cena. Ci sarà anche una nuova cantante, sono sicura che ti piacerà.-
-Non so cosa dire.-
Lei rise, lo baciò sulle
guance poi lo salutò. Prima di uscire scambiò qualche parola con una ragazza
che doveva essere una specie di assistente e le indicò Rick.
Lui si diresse verso
l’ascensore privato di Suzy. Un attimo prima che le porte si chiudessero vide
una rossa statuaria alta almeno un paio di metri vestita con un tailleur nero
ed occhiali scuri che chiacchierava con una biondona in tenuta da autista.
Assomigliava a Thundra ma era impossibile che fosse lei. Perché mai Thundra
avrebbe dovuto essere lì, vestita in quel modo a fare l’addetta alla sicurezza
del Coliseum? Non aveva senso.
Una volta giunto
nell’attico, Rick si spogliò e decise di farsi una bella doccia. Aveva appena
terminato e si era messo l’accappatoio quando sentì suonare alla porta.
-Ci manda Mrs. Berengetti.- disse una voce femminile.
Lui aprì e si trovò
letteralmente preso d’assalto. Lo fecero sedere mentre un uomo si occupò di
tagliargli i capelli e radergli la barba ed una ragazza gli fece manicure e
pedicure nonostante le sue proteste.
Quando se ne andarono
lasciarono sul letto tre abiti con relative camicie,
scarpe e biancheria intima: un completo celeste, uno smoking nero ed un set di
giubbotto di pelle e jeans mentre i suoi vecchi vestiti venivano portati in
lavanderia.
Rick ci rifletté per un
po’ poi si disse: perché no? Almeno una volta nella vita… indossò lo smoking e
scoprì che gli calzava a pennello. Suzy aveva azzeccato perfettamente le sue
misure.
Scese nel ristorante e si
sistemò in un tavolo vicino al palco. Era davvero curioso di vedere questa
famosa cantante. Non dovette aspettare molto. Aveva appena finito di mangiare
che le luci si abbassarono e dopo pochi attimi un riflettore illuminò la figura
di una giovane donna bruna che adesso era in piedi sul palco con un microfono
in mano.
Rick sgranò gli occhi
dalla sorpresa ed esclamò:
-Lou Ann?-
Rick
ritorna bruscamente al presente e sbatte gli occhi. Devo avere le
allucinazioni, pensa, ma sa che non è così: quello che sta vedendo è
sicuramente e dolorosamente vero.
Nello
specchio davanti a lui è apparsa una figura fin troppo familiare e Rick
esclama:
-Mefisto?-
CONTINUA
NOTE
DELL’AUTORE
Pochissimo da dire.
Questo è decisamente un episodio anomalo focalizzato principalmente su alcuni
comprimari e le loro storie personali, con una struttura dei capitoli
decisamente insolita almeno per i miei canoni abituali.
Spero che l’abbiate apprezzato.
Anche il prossimo episodio avrà una struttura simile ma ci porterà anche
l’inizio della risoluzione di alcuni misteri.
Carlo