PROLOGO: Da qualche parte
lungo la catena appenninica, Italia
La struttura è niente di meno
di una cittadella a struttura verticale. Sì, chiamarla ‘torre’
sarebbe alquanto riduttivo.
Design futuribile, struttura
elegante stratificata, rinforzata, interamente in metallo; la sua cima è occupata
da un tronco di cono cavo, attraverso il quale si vedevano le cime degli
edifici adibiti a laboratori, centri di ricerca, di spionaggio e quant’altro si potesse immaginare a riguardo di ricerche
sui super-esseri, sicurezza nazionale e simili amenità.
Vera Croce.
Un investimento multimiliardario di cui lo SHIELD era andato fiero, all’epoca.
Il sogno di un uomo disposto a tutto pur di dare all’Europa un suo supergruppo
indipendente.
Presto, troppo presto, il
sogno era diventato un incubo. Un incubo che solo a stento fu contenuto fra
queste monolitiche pareti. E ci volle l’aiuto di un pezzo grosso, l’ennesimo
deus ex machina.
C’è da chiedersi se andare a
sfidare la storia non sia, alla fine, solo una colossale fesseria!
Il velivolo, QJ-08M, o ‘la Libellula’ per coloro che lo usavano, atterrò con grazia
nella pista interna di Vera Croce. La prima cosa che saltava all’occhio era la
frenetica attività di tecnici e operai, intenti nella ricostruzione della base.
I soldati c’erano, ma il vero lavoro di sorveglianza lo avevano fatto i
dispositivi sparsi per alcuni chilometri intorno alla base. Se i nuovi arrivati
avessero avuto anche un accenno di intenzioni ostili, sarebbero già diventati
un ricordo. Dopo il casino causato da Edwig Caine, nessuno ci teneva a fare il bis.
Deja vu. Oggi come allora, la prima volta che lui giunse a
Vera Croce, c’era un’alba da cartolina e l’aria dell’autunno era piacevolmente frizzante.
Giunse da solo, se si voleva escludere la sua scorta.
Oggi non era da solo. E i sei
metaumani
che lo accompagnavano non erano la sua scorta: tutti e sette erano una squadra,
ed orgogliosi di esserlo.
Lui era Lancelot, e i suoi uomini erano
MARVELIT Presenta
Episodio 1 - Ricostruzione
Odori familiari, luogo familiare.
Questo posto apparteneva ufficialmente al Governo Italiano ed al suo Programma Umbra. Come i sottoscritti. Un
tempo, erano di fatto proprietà dello SHIELD, che vigilava 25 ore al giorno ed
aveva potere di vita e di morte. Dopo il fiasco del progetto originale, il
secondo di Caine, le alte sfere furono costrette a
mollare. Eh, sì: i soldi non volavano più come un tempo.
Furono fatti molti sforzi per
assicurarsi che le infrastrutture, il guscio di Vera Croce, non cadessero in
mano alla gente sbagliata. E funzionò…almeno fino alla maledetta Guerra dei
Mondi. Metà della burocrazia mondiale era andata a puttane, altre priorità premevano
all’ONU, e lo SHIELD aveva dovuto adattarsi. La crisi soprannaturale Inferno2 inferse il colpo di
grazia alle speranze di un intervento pubblico.
Alla fine, però, una
multinazionale aveva acquistato Vera Croce ed ora, in cooperazione con gli Italiani,
la stava riportando ai suoi fasti. Così, scendendo dal Quinjet,
Lancelot e Gemini si trovarono di fronte nientemeno
che il Generale Orazio Santaterra, Direttore di Umbra; un militare dalla testa
ai piedi, al quale si sarebbero dati al massimo 40 anni, mentre ne aveva più di
cinquanta, con indosso un’immacolata uniforme verde oliva. Sul petto, accanto
alle medaglie, si trovava il simbolo di Umbra: una luna nera avvolta da una
corona di luce.
Accanto a lui, a ricordare
chi stringeva i cordoni della borsa, c’era un civile nell’immancabile gessato
grigio e valigetta stretta nella sinistra; i capelli, castani, erano tagliati
così corti da essere quasi invisibili. Non era di sicuro un mollaccione,
anzi, a Lancelot ricordava una molla sotto tensione.
La sua presenza era stata loro preannunciata: si chiamava Gabriele Finardi, ed era il delegato-ambasciatore
della Talon Corporation.
I due si avvicinarono. Santaterra, il berretto stretto nel braccio sinistro, offrì
la mano all’ex agente SHIELD. Quello ricambiò la stretta. Niente sorrisi,
niente cerimoniette di ‘bentornato’.
Santaterra lo squadrò severamente, lo valutava: secondo
il dossier, non amava molto gli Americani. “Il primo briefing è fra
ventiquattro ore: vi suggerisco di usare tale tempo per orientarvi, conoscere
il personale e riposarvi. Ci sarà parecchio da fare. Non lasciate il perimetro
della base.”
Era efficiente, andava dritto
al sodo. A Lancelot piaceva già. “Non chiediamo di
meglio, signore.”
Finardi osservò i sei operativi di Gemini. Era inquietante,
faceva venire in mente un macellaio intento a valutare un taglio di carne.
Incontrò reazioni differenti, da membro a membro.
Ø
Gabriel Caine, Front,
biondo, costume rosso e blu più pieno di accessori di un’officina dell’AIM,
ricambiò lo sguardo con malcelata ostilità. Le sue armi, già pericolose per
conto proprio, una volta interfacciate al suo corpo, potevano devastare Vera
Croce. E lui, figlio di Edwig, aveva molte ragioni
per essere tentato da una simile azione. Ma era in gamba, e se ne stette buono.
Ø
Brandon Blake, Grip, moro, body blu con un paio
di ‘V’ rosse al torace e al ventre, forse perché Inglese, ricambiò con un sorrisetto di superiorità la silenziosa valutazione di Finardi. Tuttavia, si potevano notare le le dita lunghe ed aguzze contrarsi ad intervalli regolari.
Ed era chiaro che stava valutando il modo migliore di squartare il nostro finanziatore
con i suoi artigli di bio-plasma.
Ø
Nicholas Blake, Suede, body giallo con motivi
neri, capelli e barba grigi, gli posò una mano sulla spalla. Nonostante le
apparenze, Nicholas e Brandon
erano gemelli. Nicholas era il più razionale dei due;
se avesse ragionato come Brandon, avrebbe potuto trasformarsi
in una stella vivente, e trasformare Vera Croce in un cratere. Brandon si rilassò.
Ø
Iman Dashire, Mandala, meravigliosa donna dai lunghi
capelli violetti ed il volto di bambina, figlia di immigrati Indiani
naturalizzati Francesi, si limitò ad osservare con divertito distacco quella
silenziosa scenata. Lo sa Dio se trovasse qualcosa di più interessante nella dimensione
oscura in cui ogni tanto scompariva. Ai poveri mortali, lasciava la scelta di
vedere il suo fisico avvolto da una variante di un qualche abito sacerdotale
dei suoi antenati.
Ø
Debora Crovi, Balance, biondo esemplare lombardo, avava
ancora meno bisogno di esibirsi…apertamente, almeno. La sua mente aveva già
sicuramente superato ogni possibile barriera e protezione, ed aveva analizzato
a fondo pensieri e motivazioni di Finardi…toh, rimase
perplessa. Peccato non avere una macchina fotografica, era un momento raro per
la cara streghetta di essere colta in contropiede.
Finardi strinse velocemente la mano di Lancelot,
il nobiluomo che non vuole mescolarsi troppo al popolo. Lo colse di sorpresa e
quasi gli stritolò la mano. Lancelot decise che un
giorno avrebbe fatto quattro chiacchiere, in palestra, con quello lì...
Santaterra
e Finardi si allontanarono. Gemini si diresse verso
le sue stanze; niente guide, prego, erano solo a casa loro.
La porta si aprì. Tutto era
come era stato lasciato; non c’erano tracce della manifestazione demoniaca
contro la quale si combatté a suo tempo.
Ognuno dei ragazzi andò al
suo letto. Edwig aveva avuto poche idee decenti, una
delle quali era abituarli a vivere insieme come una famiglia. E fino a questo
momento, nessuno di loro si era mai lamentato di questa regola. Erano fratelli,
e Lancelot il loro perfido patrigno…Oh, a proposito, mancava
solo uno all’appello: il fratellastro, la mela marcia. Ma poteva capitare, in
fondo lui stesso faceva il possibile per non mettersi in mostra. Lui lo
giustificava con ‘deformazione professionale’, Lancelot con ‘fifa tremens’ verso
le proprie responsabilità.
Eccolo qui, l’ultimo ad
entrare: Cristiano Tangeri, Mr. Illusion, brianzolo. Quarant’anni, un mistico, alimentato dalle stesse energie
oscure che scorrevano nei cinque ragazzi. Ebbe la sfortuna di trovarsi a
testimoniare la loro nascita, e fu potenziato per dare loro la caccia.
Sfortunatamente per i cattivi, Chris non era e non è
un cattivo: fu corrotto, influenzato, portato sull’orlo dell’abisso, ma riuscì
a non caderci. Era abbastanza egoista da volere restare con Gemini per non
finire di nuovo nelle mani sbagliate, e fin quando lo si sarebbe tenuto
d’occhio, avrebbe fatto il bravo figliolo.
Depositarono le valigie sul
tavolo centrale, le aprirono e mentre disponevano gli effetti personali al loro
posto, finalmente Lancelot chiese a Balance, “Allora, qualcuno è finalmente riuscito a farti abbassare
la cresta?”
“Difficile estrapolare
informazioni utili da una macchina programmata come i Terminator là fuori,”
intervenne Suede, riferendosi ai soldati. La Talon, fra le altre cose, aveva un vero debole per la robotica
e la cibernetica. Il solo personale umano, a parte Gemini, era costituito dai
tecnici e gli scienziati, ai quali era richiesta una creatività che le macchine
ancora non possedevano, soprattutto per regolarsi con gli imprevisti.
“Non era un robot,” disse
Debora. “Era…vuoto. I soli pensieri che lo occupavano riguardavano i suoi
doveri come amministratore del progetto. Tutto il resto, la sua vita privata,
la nascita, i gusti…niente. Lobotomia perfetta.”
Lancelot si morse il labbro inferiore. Non andava bene, non andava
bene affatto. Aveva lavorato per una vita nella migliore agenzia segreta, e non
aveva mai sviluppato un vero affetto per gli scheletri nell’armadio. E quando
qualcuno si preoccupava di alterare in un simile modo la mente umana, garantito,
di scheletri ce n’era un intero balletto di Broadway!
Tutti lo guardarono come se si
fosse trasformato in Barbablù. Si sedette sul lettino. Magnifico! Erano qui da
meno di mezz’ora e già si sentivano invischiati in una ragnatela di intrighi!
In teoria, lui li poteva capire:
i cinque di Gemini, tutti nati nello stesso giorno, nello stesso ospedale,
sotto il segno dei Gemelli, erano stati imbevuti del Metaimpulso, una forza arcana
proveniente da un’altra dimensione. Edwig Caine voleva essere sicuro, dopo tanti fallimenti di
potenziamento di esseri umani, di riuscire ad avere i suoi soldati perfetti…e
ce l’avrebbe anche fatta, se non fosse per come
aveva ottenuto il risultato: la Metadimensione è un
inferno, letteralmente, una zona abitata da demoni. Caine
aveva costretto uno di questi demoni, fuso in un neonato, a servirlo per
diversi anni.
Il suo brillante piano gli
era scoppiato in faccia quando il bambino, il Child One, era stato liberato proprio da un membro del suo staff. La
creatura, Nosferath,
avrebbe potuto anche avere gioco facile, se non fosse stato per l’intervento
dell’ennesima entità cosmica. Il bambino fu ucciso, Nosferath
costretto a tornarsene a casa, e il progetto Gemini rimase orfano[i]. Fino a
qualche mese fa. Fino ad oggi.
“Non vorranno usarci per
riaprire una breccia con quel…posto, spero!” ringhiò Grip,
mentre le mani gli si accendevano. La tensione nella stanza era palpabile.
Lancelot si alzò in piedi. “D’accordo, cerchiamo di darci una
calmata, adesso, va bene? Per adesso, il nostro solo scopo dovrà essere la
ripresa delle operazioni contro il terrorismo europeo, soprattutto quello
caratterizzato dall’uso di metaumani ed alta tecnonologia. Se diamo loro l’impressione di essere
schizzati fin da adesso…”
“Schizzati?” fece Gabriel.
“Suggerisci forse che dovremmo fidarci senza fare domande? Come quando
decidesti prima di spararmi e poi…”
A quel punto, Cristiano
ridacchiò. “Ci hanno messo alla prova, non capite?”
Tutti ammutolirono. Lancelot fece, “Prego?”
Dal suo letto, dove se ne
stava stravaccato con le braccia incrociate dietro la testa, Mr. Illusion disse, “Andiamo, ci hanno sbattuto quel manichino
praticamente in faccia. Ci volevano sulle spine, e ci sono riusciti.”
Aveva ragione, e lui per
primo ci era cascato come un dilettante! Era Gemini che doveva fidarsi di loro,
e non viceversa…del resto, lo sapevano benissimo cosa poteva fare Balance, e che lei stessa si era dimostrata un
po’…indisciplinata, in passato.
Lancelot
tornò a sedersi. Sospirò. Davvero magnifico!
Centro di Ricerche
Genetiche GreenGenos, Napoli
L’edificio sorgeva nel mezzo
di un fertile terreno coltivato col maggiore numero possibile di piante,
proprio su un vecchio percorso lavico, all’ombra del maestoso vulcano Vesuvio.
Le coltivazioni erano protette da robuste serre, dando all’insieme un aspetto
più futuristico.
Il centro era, ufficialmente,
dedicato allo studio genetico applicato alla botanica; un centro di fama
internazionale, alla ricerca di una soluzione per sfamare l’umanità.
Solo una ristretta elite, che
includeva il solo personale, sapeva dei laboratori ‘speciali’
situati nei tre livelli sotterranei.
Laboratori per i quali ‘genetica’ significava clonazione.
Il livello tre, il più remoto
dalla superficie, era occupato dall’’Officina’ vera e propria, dove venivano
fatti crescere, ‘coltivati’, per i clienti veramente
facoltosi, organi, pezzi di corpi, merce esente da infezioni e difetti. Venti
serbatoi di diverse dimensioni, pieni del nutriente necessario a mantenere i
pezzi, si spiegavano per quattro dei cinque lati della sala. L’ambiente era
immerso in una surreale luce smeraldina. Gli uomini e le donne si muovevano
come fantasmi nelle loro tute di contenimento e con carrelli criogenici in cui disporre i pezzi appena prelevati.
Attraverso la telecamera, il
Direttore del centro, Giovanni Spaggiari, seguiva il carico di un intero torace. Il
destinatario era un ragazzo, figlio di un boss della ndrangheta, vittima di una
vendetta trasversale. Suo padre aveva abbastanza soldi da comprarsi mezza
città, ed aveva fatto chiaro che se questo miracolo della biotecnologia non
fosse riuscito, ci sarebbero stati guai grossi per il G.G.
Spaggiari era, su tale fronte, tranquillo. I suoi pensieri, in
realtà, erano concentrati sull’unica vasca di coltura grande abbastanza da
contenere un essere umano. Si trovava al centro della sala, e sembrava brillare
di una luce propria.
La causa di quella luminosità
era un feto umano, una creaturina di sei mesi completamente rannicchiata su sé
stessa, legata al suo blasfemo ventre da un cordone ombelicale, metallo
attraversato da capillari organici.
Spaggiari non si faceva illusioni. Quello era, agli atti,
l’esperimento di clonazione umana #133/bt. Più di
cento esseri umani sacrificati alla ricerca della perfezione. Tante vittime, ed
altrettanti progressi. Senza quei progressi, i fondi avrebbero smesso di
scorrere, e Spaggiari sarebbe stato costretto a
lavorare in qualche progetto indegno della sua abilità.
Tuttavia, non si aspettava di
avercela fatta. Ogni volta che si era sentito vicino al successo, era saltato
fuori un difetto, una deviazione genetica che faceva del feto un organismo
malato, delicato, inetto…
Hm?
Improvvisamente, i tracciati
EEG ed ECG del feto erano schizzati verso l’alto. Spaggiari
imprecò, trovandosi di fronte ad uno sviluppo del tutto inaspettato
-teoricamente, dei problemi avrebbero dovuto manifestarsi non prima del settimo
mese! Lo scienziato stava già per intervenire personalmente…quando si mise a
suonare anche l’allarme!
Alla luce degli schermi, non
era facile vedere che l’uomo era impallidito. “Ma che diavolo..?”
Nell’Officina, i tecnici
erano troppo occupati a cercare di fuggire, per preoccuparsi della ragione
dell’allarme. Fra pochi istanti, le misure di contenimento sarebbero entrate in
funzione, ed era molto meglio non
trovarsi chiusi dentro per allora. Le attrezzature furono gettate via, finendo
fra i piedi di chi si dirigeva verso l’unica porta. Si accalcarono in modo
disordinato, calpestandosi e spingendosi via.
Nessuno di loro, perso nel
panico, si accorse dell’improvviso ribollire nella vasca del clone.
La porta blindata scorrevole
scese dall’alto come una ghigliottina implacabile. Due tecnici si trovarono
intrappolati sotto di essa; uno perse le braccia, l’altro la testa -il suo
cadavere si agitò per alcuni secondi, mentre l’amputato, urlando, schizzava
sangue arterioso ovunque.
Il gas sterilizzante schizzò
dalle bocchette nel soffitto e nel pavimento. Si trattava della stessa soluzione
usata per la ‘nuclearizzazione’ di ambienti
contaminati da agenti come il Marburg o l’Ebola. Niente di vivo poteva sopravvivere ad essa.
L’ossigeno, che i tecnici ottenevano dai cordoni fissati alle loro tute, era
stato già tagliato per prevenire un rischio di incendio. La sola aria che
potevano respirare, adesso, era letale. Erano rimasti intrappolati in cinque, e
le loro grida erano soffocate dal sistema a circuito chiuso.
Spaggiari tenne la faccia quasi incollata allo schermo, ma la
sua attenzione, il suo terrore, erano riservati alla vasca. Il liquido
nutriente ribolliva al punto da risultare torbido. Il feto non si poteva più
vedere.
Poi, le pareti della vasca
iniziarono ad incrinarsi. Spaggiari era ormai al di
là della ragione -non c’era alcuna sorgente
che potesse generare un simile calore, là dentro…
A meno che..!
Il pensiero lo folgorò all’improvviso, e lui ritrasse di colpo la faccia dai
monitor, come se questi potessero morderlo.
C’era un
elemento che distingueva questo feto dagli altri.
Un impianto cellulare nuovo,
un campione trapiantato da un donatore speciale…
Sullo schermo, le crepe erano
diventate una fitta ragnatela. I cinque tecnici agonizzavano dentro la nube di
gas.
Quel campione doveva servire
a stabilizzare la crescita, eliminare i difetti manifestati dai suoi cento e
passa predecessori… Oddio, sta
funzionando. Sta funzionando davvero!
I tecnici morirono. La nube
ormai riempiva la stanza. Milioni di euro in pezzi di ricambio e strumentazione
erano appena stati persi per sempre.
Il suono dell’esplosione
della vasca riempì l’aria, seguito dallo scrosciare del liquido nutriente. Poi,
fu il silenzio.
Spaggiari non era più terrorizzato.
Era affascinato. Sperava di
avere il primo bambino clonato perfettamente sano, sperava non di conquistare
un qualche mercato, ma di crearne uno tutto nuovo…
Ed era arrivato molto oltre
tale speranza.
Aveva fatto un miracolo. Un miracolo sotto la forma di
una figura umana adulta e viva, ed evidentemente invulnerabile al gas nuclearizzante. La vide uscire dai resti della vasca con
movimenti lenti, aggraziati, degni della donna perfetta che era. Già possedeva
una perfetta coordinazione corporea. Era la sua bambina, e lui ne era commosso.
Dentro la nebbia, la figura
sorrise. Un sorriso acceso dalla fredda luce della malvagità.
La
sua voce era quasi un sibilo, quando disse, “Sono tornata, figlioli adorati.”
“NNNNOOOO!!!” Debora urlò
fino a quando non le mancò il fiato. Il suo grido, in compenso, si trasmise
come corrente in tutti e sei gli altri metaumani,
strappandoli bruscamente, e soprattutto dolorosamente, dal loro sonno.
“Diosantissimo…Debora,
ma che ti prende?!” fece Brandon, reggendosi una
tempia, imitato dagli altri.
Cristiano era caduto dal
letto, e si era rannicchiato in posizione fetale. “È di nuovo di qui, Diodiodiodio….è tornata e ci darà tutti in pasto al
mostro…”
Imam storse il naso all’inconfondibile macchia sulle
mutande dell’uomo. Tuttavia, non poteva non condividerne il terrore.
La porta si aprì. Lancelot schizzò dentro, pistola impugnata a due mani,
tenuta al fianco. “Gemini! Rapporto!” il grido mentale di Balance
aveva fatto saltare i circuiti per diversi corridoi di distanza. Roba seria!
Non li vedeva così sconvolti dal combattimento contro Nosferath.
Debora confermò i suoi
peggiori timori. “Si tratta di Alma Matrix. È tornata, è viva e vegeta. L’ho sentita.” Già
non c’era più traccia della persona spaventata, in lei -un punto a suo favore,
riprendeva l’autocontrollo molto in fretta.
“Impossibile!” rispose
seccamente Lancelot. “Sono stato addosso a quello che
restava del suo cadavere e ho personalmente acceso l’inceneritore e disperso le
ceneri. Non è rimasto nemmeno il costume, di quella strega.” Alma Zareth era stata la responsabile di un breve inferno sulla
Terra, perché fu lei a liberare il Child One dal
confino concepito da Caine. Voleva diventare la
custode del corpo neonato posseduto da Nosferath…
Naturalmente, il suo vero errore lei lo aveva commesso accettando di
patteggiare con un demone che delle vite umane si nutriva, come aveva realizzato nel momento in cui Nosferath se l’era pappata.
Balance lo fissò con la cosa più prossima all’odio che lui
potesse immaginare -lei lo aveva detestato fin dall’inizio, e anche per altre
ragioni, la diffidenza non era del tutto passata. “Mi sta accusando di mentire,
agente?”
Lui la squadrò, squadrò anche
gli altri. “Neanche per idea, naturalmente.” E, naturalmente, c’era un’infinità
di esempi di ritorno dalla morte, quando si trattava di super e loro affiliati.
“Riesci a scoprire dove si trova?”
Lei scosse la testa. Si
rimise in piedi. “No. Ci ha solo voluto fare sapere che è pronta a tormentarci
di nuovo.” Aiutò Cristiano a sollevarsi.
“Io…scusatemi…” balbettava il
poveretto. A differenza dei ragazzi, lui non era stato addestrato alla vita del
super, l’inaspettato gli faceva più male, soprattutto quando si trattava di
fatti che avrebbe preferito dimenticare. La paura per Nosferath
lo aveva spinto verso la bottiglia, e solo da poco ne era completamente uscito…
“Hai percepito anche Nosferath?” chiese Lancelot.
“No. Quella…cosa era assente.
O meglio, era presente solo la sua forza, è come una macchia di petrolio nel
mare, ma non so dove…”
Lancelot rinfoderò l’arma. “Inutile stare a rimuginarci,
allora. Cercheremo l’aiuto che ci servirà, se sarà necessario, a costo di
contattare quei mammasantissima dei Vendicatori
o pagare quei nuovi mercenari, la Justice Inc. Non ha
senso logorarci in questa caccia alla strega…a meno che voi non abbiate un’idea
migliore, naturalmente.”
Nessuno
disse un’acca.
A quell’ora
della notte, il GreenGenos era chiuso. I soli
presenti erano le guardie e qualche stacanovista.
Ai livelli sotterranei,
c’erano in tutto centodue persone, inclusi i cinque cadaveri. Cadaveri che ora
stavano disciplinatamente sull’attenti, tre alla sinistra e due alla destra del
trono di ossa di Alma Matrix. La donna indossava la
familiare armatura blu e oro, con un’ampia cappa scarlatta, e un elmo dorato
con una maschera dagli angoli aguzzi, che lasciava scoperta la bocca e libera
la fluente chioma rosso fuoco.
Il resto del personale della
base segreta era immobile, in una trance che li lasciava con gli occhi sbarrati
ed il respiro così impercettibile che li sarebbe potuti scambiare per zombi a
loro volta. Erano tutti avvolti da un’aura smeraldina, la stessa che splendeva
negli occhi della donna. “C’è voluto il suo tempo, ma alla fine il piano B ha
funzionato.” Ridacchiò. “Povero Nosferath, come se
non avessi intuito che mi avrebbe ucciso, un giorno o l’altro. Ma a me
interessava usare la cara, vecchia tecnologia umana per assorbire il suo potere
e duplicarlo.
“Usando
la stessa tecnologia che i miei ex-datori di lavoro dell’AIM avevano creato per
liberarlo, avevo percepito la presenza del sedicente Voyager. Sapevo che era solo
questione di tempo, così mi concentrai solo sul fare predisporre un campione di
me stessa, per farmi clonare appena le condizioni tecnologiche lo avessero
permesso; per la precisione in un ambito come questo,” e fece un cenno a spaziare la sala del Direttore. “Non mi
fido di gente come Arnim Zola o il Dottor Destino,
sapete? Odio i doppiogiochisti…e poi, voglio essere sicura di finire il lavoro
con i miei cari figlioli, prima di dedicarmi a dominare il mondo.” Nell’incavo
della mano, fece apparire un’immagine di Vera Croce. “Per cominciare, credo che
sia ora di vedere quanto sono in forma. Giusto per gradire.” Fece scomparire
l’immagine, poi si guardò intorno. “Hmm, e dovrò
anche ristrutturare questi uffici…”
L’orologio a parete segnò le
ore 06:00
Il volto del Generale Santaterra segnava burrasca. “Immagino che i letti non
fossero troppo comodi. Fa niente; per ora mi basta, cari signorini steroidei, che diate almeno un’occhiata ai rapporti.” Aspettò
che Lancelot & Co. iniziassero a sfogliare i
fascicoli. “Salta all’occhio che Alba
Nera ha ripreso a lavorare, ed alla grande. A quell’impiccione
di Carlo Paci non sembrerà vero di
potere addossare questa ripresa delle operazioni al vostro ritorno.
“Perciò, prima di tutto, sia
chiaro che non-voglio-vittime. Ne’ fra i buoni e ne’
fra i cattivi. Voglio il nemico ridotto a tanti bei testimoni per i tribunali.
Chiaro? Bene, ora, per quanto riguarda i recenti attentati commessi da Alba
Nera, c’è per prima cosa un furto di scorie nucleari dal deposito di Latina.
Quello viene prima di ogni altra operazione: ci manca solo che quei pazzi decidano
di vendere la nostra merda ad Al-Qaida o simili
fetenti.
“Dunque, gli indizi finora
raccolti…” in quel momento, l’intera struttura di Vera Croce tremò. Il suono dell’esplosione arrivò
una frazione di secondo dopo! Le luci si attenuarono, sostituite da sfumature arancioni. Suonò l’allarme.
Il militare scambiò un’occhiata
con Lancelot, che annuì. Santaterra
uscì di corsa dalla sala riunioni, diretto al centro di comando. Lancelot estrasse la sua arma. “Balance,
Suede?”
Lei si sfregò la tempia. “È
quella manifestazione…è sicuramente opera di Alma Matrix,
ma non è lei.”
Gli occhi di Suede lampeggiarono, mentre cercava la causa dell’attacco
su tutto lo spettro elettromagnetico ed oltre. L’uomo non disse nulla, poi,
“Eccolo. Proprio di fronte a noi.” Alla sua vista, in quel momento, ogni
oggetto era trasparente come vetro. Vedeva solo la grande ombra smeraldina,
massiccia, sospesa a mezz’aria , una cosa in forma umanoide, ma fatta interamente
di “Energia Gamma.”
“Cosa?” chiese Lancelot
“Raggi Gamma, il nostro
nemico non è di carne e sangue, ma solo radiazioni…Attenti! sta…” ancora
un’esplosione, e questa volta quasi caddero tutti a terra. Gli allarmi erano un
fastidioso sottofondo.
Vista dall’esterno, Vera
Croce reggeva. Le soluzioni della Talon avevano
considerevolmente migliorato la struttura, o sarebbe già stata fatta a pezzi.
Tuttavia, sotto quell’assalto non poteva reggere per
sempre.
E questo, il mostro
radioattivo lo sapeva bene.
Ma non era la base, che gli
interessava. Lui voleva i soldati, i metaumani. Loro
erano usurpatori, erano piccoli uomini che avevano rubato il posto che spettava
a lui.
A Clyde
McCoy.
A Mainman.