PROLOGO: Un felice momento di
conversazione fra due autori MIT. Chiamiamoli VP e FV…
VP: “D’accordo, d’accordo.
Lo tolgo. Ecco qui, consideralo licenziato a partire da prima. E metti giù il
tirapugni, che già mi tocca andare dal dentista; almeno, lui usa l’anestetico.
Ahio.”
FV: “Non prendertela come
un fatto personale.”
VP: “No? Lo sai quanto costa rimettere a nuovo un canino?”
FV: “Non parlavo di
quello. Parlavo dei Vendicatori. Anche se i VGL sono una costola, si tratta pur
sempre di Vendicatori. Ti va larga che Thundersword ha il permesso di restare.”
VP: “Che c’entra? Lui ha
scontato la pena, è pulito.”
FV: “I Vendicatori di
qualunque formazione NON accettano supercriminali attivi o mercenari assassini,
chiaro? Megatrama o no, questo non
è uno dei gruppi da te creati.”
VP: “Pacifico. Cavolo, ho
fatto più ritocchi a ‘sti ragazzi che a qualunque altra formazione…Senti, capo,
non è che potrei compensare inserendo un altro mannarotto…Sì, lo vedo, quello è
un AK-47 caricato ad argento. Sì, fa molto male. Mettilo giù, dai, che potrebbe
sparare.”
FV: “In un certo senso, ti
faccio un favore: sette è il numero ideale di una squadra di Vendicatori. La
gestirai più facile. Oh, e quell’altra cosa..?”
VP: “Va bene, va bene: ma
NON Uomo-Porta. Doorman è il massimo che posso concedere.”
FV: “Almeno, finalmente
riabbiamo i nomi originali. Oh, e riguardo a lei?”
VP: “No! Lei no! Insomma,
la bella gigantessa, l’amazzone tita…”
FV: “Ne hai già abbastanza
da riempirci un catalogo.”
VP: “Ma se la prenderà.
Con me.”
FV: “Meglio solo lei che
l’intera lista.”
VP: “Su questo non
obietto. Obbe’, è stato divertente finché è durato. Ora, scusami,ci si vede;
scappo che ho l’appuntamento…E tu
che hai da startene lì a ridacchiare? Sto andando incontro al mio destino, e lo
trovi divertente?”
Io?
Sì, tu, musaccio
ispiratore. Hai quella strana aria malevola da demonietto…Che stai meditando?
Guarda che ho un’agenda già bella fitta…
E vuoi che non lo sappia? TU stai
facendo fare gli straordinari a ME. Dius, dius, sto cominciando a sviluppare
una dipendenza dal Tylenol…Ad ogni modo, stavo ridacchiando perché, quando hai
menzionato il dentista, mi è venuta subito in mente una cosa che dovrebbe
capitare ai VGL, se ti degnerai di scriverla.
Oppure il marchio dello scemo
del villaggio globale. Per essere uno che aborrisce la cuffia da telefonino…
(Memo: 3 cartoni di Tylenol)
Temo proprio che lo vedrò. Allora, attiva il gizmo e via!
MARVELIT presenta
di Valerio Pastore
Episodio 11 - APRA BENE LA BOCCA, PREGO (con incluso
omaggio a David Feiss)
Ritz-Carlton Hotel, Chicago.
“Vieni fuori da lì! Subito!”
“No!”
Ashley Crawford, nel suo
costume di Big Bertha, picchiettò ripetutamente la punta del piede sul
pavimento. Fissava con una certa ostilità la porta che altrimenti avrebbe
potuto buttare giù con un solo cazzotto. “Non fare il bambino. Lo sai cosa ho
dovuto passare per trovarti un dentista che non fosse un veterinario. Vieni fuori.”
“No!” e, per essere sicuro di
farsi capire, il Vendicatore dietro la porta lanciò un ringhio di avvertimento.
Dietro Ashley, si svolgeva un
curioso balletto a quattro. Gli antropologi del Fikkerlokker Institute hanno,
dopo lunghi anni di stoica osservazione, nonché di denunce per violazione di
privacy, e costose conferenze dove in compenso furono apprezzati moltissimo i
panini al latte di Zia Edwina, raggiunto la conclusione che il balletto-dell’incontinente-in-pena
aveva scopi propiziatori per le Entità Malevole Nascoste Dietro la Porta
dell’Unico Bagno.
“O misero mortale,”
balbettava Thundersword, che, ad ogni paso doble face un suono di
nacchere metalliche, “ti prego, lascia che le cateratte del cielo liberino la
loro furia repressaaaa.”
Mister Immortal stava visibilmente consumandosi il labbro inferiore a
morsi. “Bastardo pulcioso, ti avverto! Io posso permettermi di morire e
resuscitare, ma tu poi fai una brutta fine! E tu, Hollis, perché te ne stai lì
a tenerti? Facci da porta! Guadagnatelo, ‘sto piffero di nome in codice, no?”
Hollis deMeere, Doorman,
se ne stava sdraiato su un fianco, con le mani sprofondate dove sappiamo.
Sembrava fare l’ombra del povero T-Sword. Rantolava. “Non…posso…Capo…Se mi
deconcentro per…quello…è la fine…”
Per conto suo, Flatman
era pronto a superare tutte le sue fobie, pur di essere nel Sacro Luogo. Si
contorceva, si avvinghiava le gambe a vite, diventava una palla e balzellava su
e giù. Il momento di aprire le chiuse era vicino…”
Ashley aveva voglia di
vomitare: se la tragedia scoppiava qui, in un albergo a cinque stelle fra i più
esclusivi della città, in un appartamento prenotato a nome di lei, non avrebbe
potuto tornare nell’alta società nemmeno se si fosse fatta trasformare in un
abito da sera da quel pazzo di Simon Taylor! A mali estremi… “Oh, tesoooro¯?” fece, appoggiando la testa alla porta e sfoderando
il suo tono da migliore adescatrice di agenti. “YSu, vieni con mammina dall’odontorino brutto e
cattivo, che se fai il coraggioso ti regalo una bella cosina, stasera.”
Meditabondo silenzio dal
bagno. Speranza fuori dal bagno. Poi, la voce maschile disse, “Dici la verità?
Non mi mandi in bianco di nuovo?”
“Mi assicurerò che mantenga
la promessa, te lo giuroooo!” fece Immortal a cui, ormai, la mascella serrata
stava scricchiolando preoccupantemente.
Si udì il miracoloso scattare
della serratura. La porta si aprì, e ne venne fuori un mortificatissimo
licantropo di un paio di metri e passa, pelo castano e orecchie bassissime.
L’orda si gettò a capofitto verso
la porta. ‘Fang fu calpestato ignominiosamente e ridotto in un attimo ad uno
zerbino usato. La porta si chiuse dietro di lui. Si udirono subito suoni di
ossa e ferraglia e bestemmie micidiali. Bertha afferrò il lupo per la
collottola e se lo trascinò via. “Fai presto! Non voglio vedere!”
Lui annusò rapidamente
l’aria. “Ehi, cos’è che stanno facendo, lì? Sembra quasi che…”
Uscirono in corridoio. Lei si
chiuse la porta alle spalle, appoggiandovisi poi con la schiena. “E non voglio
neanche sentirlo dire. Giuro che dopo li uccido.”
Si udì una sorta di sospiro
collettivo di grande felicità. Poco dopo, si aprì la porta, e, sotto lo sguardo
allucinato di Ashley, i quattro Vendicatori vennero fuori, pimpanti e pronti
alla pugna.
Tutti pimpanti, tranne
Doorman, che sembrava molto, molto mogio. “Ti prego, non chiedermelo. Mai.”
Ahsley e Lycus, saggiamente,
non lo fecero.
Una volta in strada, furono
raggiunti dal settimo elemento: Dinah Soar, la dinosaura volante color
caramella. “Finalmente,” disse Mr. Immortal. “Cosa ti ha trattenuto, baby?”
ÏÑí rispose lei in una specie di cinguettio.
“Stai studiando un corso di
lingue, eh? Sì, un po’ di riservatezza fa bene, in questo caso.”
Lei annuì vigorosamente.
I VGL aspettarono all’ingresso,
causando parecchie occhiate fra lo stupito ed il poco bene intenzionato.
Finalmente, giunse il loro ‘taxi’, una limousine a noleggio -insomma, i soldi,
fra Ashley, T-Sword e Lycus, li avevano e tanti. Perché non spenderli per
migliorarsi un po’ la vita?
Una volta che furono entrati,
la donna diede l’indirizzo all’autista. La macchina partì.
Teoricamente, non dovevano
neppure trovarsi a Chicago, bensì in viaggio per il Minnesota, verso il loro QG
immerso in un delizioso angolo di verde incontaminato e SENZA supercriminali
fra le scatole! Al massimo avrebbero fatto i guardiaforeste e redarguito il
turista scemo di turno. Una prospettiva che Big Bertha e gli altri non vedevano
l’ora di mettere in atto, ma che, neanche tanto in segreto, Mr. Immortal,
sempre a caccia di gloria, detestava.
Per tutto il percorso, Bertha
fece le coccole al mannarone per calmarlo da sempre più frequenti attacchi
d’ansia.
“Non ci posso credere,” disse
Immortal ad un certo punto. “A questi qui dovrebbe ricrescergli anche un
braccio, se glielo cavassero! Come fa ad avere paura di un dentista??”
“A me il dente può
ricrescere,” confermò Moonfang, “ma prima quello vecchio deve essere tolto. E
fa tanto male!”
“Questo medico non ti farà
niente,” disse Bertha. “È un mago, usa solo gli ultimissimi ritrovati della
scienza, e nessun suo paziente è tornato per lamentarsi. E costa proprio come i
migliori professionisti.”
“Non so perché,” disse
Doorman, “ma questo tende a mettermi un po’ a disagio, invece di consolarmi.
Conosci così bene questo professionista del molare?”
“Veramente no, ma me lo ha
consigliato un mio vecchio agente. Un vero favore, anche se devo dire che non
aveva ragione di aiutarmi: in fondo, l’avevo licenziato dopo un litigio
furibondo. Aspetta un momento…” punta della lingua di fuori, Ashley prese a
frugarsi in una delle tasche alla cintura del body -e che diamine, una signora
poteva avere bisogno di certe cose in un momento critico, giusto?- e ne
estrasse un foglio A4 ripiegato. “Eccolo. Alberto me lo ha faxato giusto
stamattina.” E lo porse a Moonfang. Lui lo prese, lo spiegò…E gli scappò uno
strano gridolino, mentre la pelliccia si era talmente drizzata che quasi se ne
scappava via da sola!
Il foglio diceva
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le carte di credito. Non si fanno rate. Non portare anziani e bambini sotto i
12 anni.)
Sotto l’annuncio, c’era la
foto del professionista in questione: un uomo nella classica posa dello Zio
Sam, solo che al posto delle stelle e strisce, c’era il camice immacolato.
Sullo sfondo, lo specchietto e il sondino incrociati.
Doom portava una maschera
stranamente identica a quella del più famoso Victor ‘Dottor Destino’ Von Doom.
Non sembrava affatto amichevole! Soprattutto quando il dito puntato a te
mostrava un indice a trapano!
Il lunotto della limousine
andò in mille pezzettini, sotto l’impatto di 150 Kg di muscoli e pelo.
Uggiolando disperatamente, Moonfang si gettò nel traffico dell’ora di punta,
iniziando subito un zig-zag disperato.
“Però,” fece Mr. Immortal,
sinceramente ammirato. “È già oltre la terza. Di questo passo, arriva in
periferia fra mezz’ora.” Fece un cenno con la mano. “Dia, vola!”
L’esile rettiliana schizzò
fuori dal finestrino. Spalancò le ali una volta uscita con il busto; evitò un
frontale pauroso con un bus carico di turisti giapponesi, e si gettò
all’inseguimento.
“’Dia’?” fece Thundersword.
Craig Hollis fece spallucce.
“Suonava carino.”
“Faceva schifo,” disse
Ashley. “John Byrne, di donne, non ci capiva davvero niente, o avrebbe linciato
il traduttore.” Guardò l’orologio -un Piaget da più soldi dello stipendio di un
mese di Bill Gates. “Sarà meglio che quella ragazza sappia fare in fretta, o
userò le sue ali per farci le scarpe.”
“Perché tutta questa fretta?”
fece Immortal. “Mica scappa via questo…Bob.”
Lei gli lanciò
l’’occhiataccia’. “Ho calcolato tutto: dopo questa benedetta estrazione,
dovremo andare all’aeroporto e partire per il Minnesota. In questi ultimi due
giorni, ho diretto più gente io che un Sergente dell’Esercito.” Tutti tacquero
pietosamente sul fatto che l’unica persona che aveva militarmente tartassato
fosse stata la sua segretaria, la quale aveva dovuto dirigere il trasloco.
“Dannata carie fulminante, ma come cavolo ha fatto a procurarsela? Il suo
sistema immunitario dovrebbe mangiarseli a colazione, i batteri cariogeni…Ehi,
è una di quelle merendine?”
Immortal stava scartando
giusto un fagottino alla frutta. “Er…”
Lei allungò la mano. “Da’
qua, che mi sta venendo una fame, per i nervi…Se continua così, mi verrà la
cellulite.”
Immortal fu felice di
obbedire, e ne scartò un’altra. Pregò solo che lei non realizzasse che apposta
lui aveva dato un’intera confezione di quelle merendine a ‘Fang per
sciogliergli i denti, o sarebbe diventato lui il nuovo Sfogliaman…
Nel frattempo, Dinah stava
seguendo la pista del concerto di clacson furibondi. A onore del mannaro, c’era
da dire che non stava causando alcun incidente. Era talmente veloce, che al
massimo gli automobilisti lo prendevano per una macchia indefinita…Ah,
finalmente stava deviando! Ma che strano, la zona le sembrava familiare…
E certo che lo era: lui si
era diretto verso i Magazzini Loreson, il QG della divisione di Chicago
dello SHIELD!
¯®ìì³³, disse, e si gettò a capofitto, subito capendo le
intenzioni disperate della creatura.
Purtroppo, era anche vero che
non ce l’avrebbe fatta. Battendola per il classico pelo, Moonfang spalancò la
porta con una spallata. Lei, che era ad un palmo dall’afferrarlo, finì dentro
insieme a lui per inerzia. Insieme, rovinarono davanti alla scrivania del
custode…
“Ma bene, bravi,” disse un
uomo del quale, per ora, videro solo gli stivali tirati a specchio. La voce,
purtroppo, la conoscevano.
Era quella di Alexander
Goodwin Pierce, il Supervisore del distaccamento. Stava lì, a braccia
incrociate, statuario, con l’immancabile bandana rossa alla fronte e la barba
alla Mickey Rourke. Mostrava uno strano sorriso. “Sono davvero felice di
rivedervi, anche se non ci siete tutti. Le pecorelle si sentivano smarrite?”
Moonfang si aggrappò alle
gambe dell’uomo. “Accetto qualunque condizione! Voglio restare qui, vi farò da
tappetino, vi leccherò i cessi, ma non lasciatemi andare via!”
Pierce annuì. “Non so cosa
stia succedendo, ma mi sono preso un bell’antiacido e posso parlarvi senza il
desiderio di uccidervi. Allora: i vostri colleghi, i Vendicatori ed i
Vendicatori della Costa Ovest, si sono fatti sentire. Devo dire che Wasp, in
particolare, era un po’ più che nervosa: era nera. Non ho mai visto una donna
capace di darmi i punti in fatto a temperamento.
“Stavo cercando di
contattarvi, per dirvelo: dovrete mantenere il vostro QG qui, con noi come
vostri numi tutelari. Provate ad allontanarvi senza autorizzazione, e cesserete
di esistere come gruppo. Quindi, ora muovete le vostre chiappe e andate a
chiamare gli altri.”
“Ma…” provò il mannaro.
Uggiolò, appena si trovò fulminato dall’espressione di Pierce.
“Ora.
Fuori. Tutti. E. Due.” Sorriso maniacale. “Lasciatemi godere ancora un po’ la
vostra assenza. Vi prego.”
La limousine si fermò davanti
allo studio dentistico…A dire il vero, quella era una villa bifamiliare con
tutti i crismi, con mattoni a vista, in stile coloniale. Giardino ampio e ben
curato, roba da intenditori. Ci mancava solo il cane.
Immortal, che scese per
primo, lanciò un fischio di ammirazione. “Almeno, una cosa è vera: guadagna
come i migliori. Oppure ricicla la droga, oppure…Ouch!”
Ashley gli stava ancora
mostrando il palmo. “Prova a fare il disfattista un’altra volta, e te ne do un
altro. Noi quell’aereo lo prendiamo che ti piaccia o no…Ah, eccoli qui.”
Dinah arrivò, portandosi
Moonfang per la collottola, usando i piedi prensili. Fra il carico e la
resistenza aerodinamica, stava facendo una faticazza del diavolo. Appena
ritenne di essere vicina abbastanza, sganciò il carico senza tante cerimonie…
…Con risultati prevedibili
per il tetto della limousine! L’autista venne fuori dal veicolo; era
pallidissimo, e molto incredulo -insomma, lui se n’era venuto a Chicago per evitarli,
i super! L’assicurazione lo avrebbe mangiato vivo…
Senza tanti complimenti,
Bertha prese il licantropo dolorante per un braccio e lo trascinò a viva forza
dal tetto e fino alla porta -con risultati tutt’altro che piacevoli per un
deretano peloso. Bertha bussò; il campanello era proprio sotto la targa in ottone,
che recava, oltre ai vari titoli di studio in campo odontoiatrico, lo stemma di
Latveria. Le piaceva sempre meno, ma col cavolo che avrebbe perso altro tempo
e…insomma, si era capito.
La porta si aprì. Da sola.
Moonfang fu spinto dentro. “Allora, non eri tu quello tosto, il migliore della
tua razza, quello che ha fatto a cazzotti con Wolverine?”
I suoi artigli si lasciarono
dietro delle rigate pazzesche sull’architrave. “Quando ero un cucciolo, era il
1121. I dentisti non ci andavano per il sottile!”
“Non sarà il mio caso, Sig.
Lycus,” disse una voce metallica dall’altra parte del salone.
La porta si chiuse dietro i
due. Dall’ombra, venne il medico: esattamente uguale all’immagine della
pubblicità, inclusi i guanti metallici. Si muoveva e parlava come il Re della
sua professione. “Le assicuro che sarà mia premura garantirle un servizio indimenticabile.”
Lycus svenne. Bertha sospirò.
“Vado a chiamare aiuto per portarlo in ambulatorio.”
“Non sarà necessario, madame.
Dispongo dei miei aiutanti.” Uno schiocco di dita metalliche, e
dall’ambulatorio vennero due robot. Macchine antropomorfe, il cui torace
era una perfetta riproduzione di una dentatura completa umana con tanto di
gengive.
“Lo ammetto: è
impressionante,” disse Bertha, osservando i robot afferrare il mannaro per le
estremità. “Niente sindacati e affini di mezzo.”
Von Doom annuì. “Il genio
scorre nella famiglia.”
Gran sgranata d’occhi. “Lei è
un parente di..?”
“Cugino. I miei genitori
erano imparentati con il padre di Victor.” Si avviarono verso l’ambulatorio.
“Ho deciso di smetterla di considerarmi l’ombra del mio caro parente, solo
perché non ho un regno. Attraverso questa professione, tuttavia, guadagnerò
abbastanza da comprarmi intere fette di territorio Americano. Farò come i
Giapponesi, che possiedono, attraverso il mercato azionario, metà della
California…” la sua voce era un crescendo parossistico. “A quel punto,
assurgerò ai più alti gradi della politica finanziandomi una campagna
elettorale come mai si era vista. Una volta diventato Presidente degli Stati
Uniti, insegnerò un po’ d’umiltà a quella specie di stregone bifolco! IO
DIVENTERÒ IL PADRONE DEL MONDO!” E terminò la frase con una risata a dir poco
maniacale.
“…”
Lui si scosse dal sogno ad
occhi aperti, e fece per tergersi il sudore dalla fronte…prima di ricordarsi di
avere la maschera. “Mi scusi. Sogni ad occhi aperti di un dentista.”
Entrarono nell’ambulatorio.
Bertha disse, “Lasci stare, capita un po’ a tutti. Piuttosto, veda di fare in
fretta, che ho un aereo da prendere.”
Oh, è lei che ha fretta, mica
io.
SSSH, che ti sente! Ora fammi
continuare, va bene?
Codardo.
Bertha analizzò il preventivo
offertole da un premuroso Odontobot. Quasi le vennero i capelli bianchi -se li
sarebbe fatti venire, anzi, se però fossero stati di moda. Fece un fischio.
“Certo che uno si aspetta un bel lavoro, con conti simili. Dia retta a me,
Doc…”
“Bob, Miss Crawford. Mi chiami Bob.
Certo, se lei fosse stata una cliente ricca qualunque, al massimo le permettevo
di chiamarmi Dottor Robert, e poi…”
“Va bene…Bob. Dicevo, inizi
ad usare il suo conto in banca per comprarsi dei lotti in Arizona: sa, dopo
quel terremotone il valore degli immobili è un po’ sceso. Magari, da lì va giù
fino al Messico. Li avrà ai suoi piedi per un pugno di riso.”
Il medico iniziò a
predisporre l’apparecchiatura. Moonfang riempiva completamente una poltrona
studiata per gli Xtralarge. “Bei denti, bei denti davvero. Sai che tesi di
laurea mi portavo, in facoltà, con un simile esemplare…Come aveva detto, Miss
Crawford? Ah, sì. No, questi posti caldi e secchi sono un disastro per la pelle:
certe volte, con questa maschera, sembra di avere la faccia in un forno. Mio
cugino deve essere matto, a portarsela 24 ore al giorno. Sfido che poi inizia a
fare guerre a destra e a manca. Hmm, bei denti davvero. Certa gente ha tutte le
fortune…”
“Ma è proprio necessario
portarsela?” fece Ashley, tirando fuori dalla cintura una plastica ‘Platino’
della Diners. La porse a un odontobot, e questi se la infilò nel torace. La
bocca masticò due o tre volte, sembrò apprezzare perché fece ‘Yum!’ e la
restituì insieme alla ricevuta alla proprietaria, dopo averla deposta sulla
propria lingua.
“Questione di immagine. Io
dimostrerò che un medico in maschera vale molto più di un sovrano in maschera.
Che denti…” Il paziente era praticamente in stato comatoso. Doom, felice di
risparmiare sull’anestetico, prese dal cassetto degli attrezzi una pinza
modello 1121, e fischiettando felice si apprestò a fare il suo lavoro.
Ashley ebbe un attimo di
esitazione. “Er…Doc, non è che quella lì gli farà un po’ male? Insomma, lei
promette mezzi un po’ più moderni…”
“Non se ne accorgerà
neppure,” la interruppe l’uomo.La sua voce aveva un tono rapito, quasi
estatico. “Gli strumenti normali non servono per simili zanne. Si rende conto?
Diventerò la star di tutte le conferenze di odontoiatria, mostrando uno solo di
questi denti. E ora, taccia, femmina! Il mio momento supremo; così sistemerò
ogni mio nemico!” stavolta la sua risata era decisamente sull’isterico
alticcio.
Bertha impallidì. “Non lo
faccia!” Si gettò in avanti, ma di colpo un braccio snodato della poltrona si
mosse da solo e si estese. Lei non aveva fatto un passo, che una nube di gas la
investì in pieno volto. Lei tossì, cadde in ginocchio…e si mise a ridere come
una pazza!
“Gas esilarante,” disse Doom,
afferrando il dente malato del licantropo. “La terrà buona fino a quando non
avrò sistemato questo paziente…*hnff* infilerò una bella protesi meccanizzata
per schiavizzare la sua volontà alla *mmff* mia, e poi farò lo stesso con tutta
la sua dentatura. Sarà il mio servo *hnff* e il mio testimonial per una marca
di dentifrici. Conquisterò anche il mercato televisivo…Ma com’è salda questa
radice!” ormai tirava e strattonava puntellandosi sul corpo di Moonfang stesso.
I muscoli erano tesissimi, i guanti metallici praticamente scricchiolavano.
“Com’è possibile?? Io non posso fallire una semplice estrazione! Io sono il
Dottor Doom! *NNNNGGGHH*” Arrivò persino a sollevare di peso il corpo di
Moonfang, ma proprio non riusciva a cavare quel maledetto dente!
Alla fine, esausto ed
ansimante, crollò sul suo paziente. La pinza gli si sfaldò in mano. “E va
bene,” disse, gettando via i frammenti. “Se non posso averlo con le buone, lo
avrò con le cattive!” Energia crepitò nei suoi guanti. Le dita si aprirono, e
ne fuoriuscirono tutta una serie di strumenti chirurgici! “Estrarrò l’intera
mascella! A quel punto, analizzatala, potrò fabbricare la migliore dentiera del
mondo!”
“NO…eheheheee, no, ti hehe,
prego. Non sa quello che…sta…hehee…facendo!”
“Oh, mi creda. Lo so.
E ora *glitch!*” una zampa pelosa gli avvolse la gola e tutto il collo. La
stessa zampa lo sollevò da terra come un fuscello.
“Lo sapevo,” disse Bertha,
disperata.
Doom osservò molto da vicino
il suo tesoro d’avorio che ora sbavava d’ira. “Ti ho mai detto che odio
i dentisti?” chiese Moonfang. “E che ancora non ho pranzato?”
Doom vide la zampa libera
spalancarsi, pronta a colpire…quando, finalmente, i suoi odontobot entrarono in
azione! Colpirono contemporaneamente, uno allo stomaco e subito dopo l’altro
alla mascella -il trattamento uno-due specializzato per i pazienti più
riottosi…
E, sebbene lui, effettivamente,
lasciò andare lo sventurato medico, è vero anche che non sembrava molto
tranquillizzato…
“Ci mettono parecchio, eh?”
fece Doorman, contemplando le proprie carte. Nell’attesa, gli altri cinque
Vendicatori avevano predisposto una partitina dentro la limo.
“Due carte,” disse Flatman,
poi, “Già. Molto probabilmente, il sedativo deve ancora fare effetto. Sai
com’è, con l’immunità naturale di quella specie.” Almeno, gli erano capitate
delle carte decenti…
Immortal guardava più
frequentemente l’orologio che le carte. La speranza montava: ancora un po’, e
avrebbero dovuto rimandare la partenza; aveva solo bisogno di un po’ di tempo
in più per convincere gli altri a restare…
Si udì un tremendo suono di
mattoni e vetri infranti. Un momento dopo, due odontobot volarono fuori in
rapida sequenza dallo studio alla limo. Rimbalzarono uno sul cofano e uno sul
bagagliaio, finendo di demolire la macchina.
L’autista, che era rimasto al
volante, uscì. Con britannica flemma, contemplò il macello, poi si tolse il
cappello, lo gettò a terra, e se ne andò -aveva ragione la mamma, meglio andare
volontario a Baghdad!
²±²¨¦ commentò Dinah.
“Ben detto. A proposito,
bell’accento, piccola” disse Immortal, facendola arrossire pudicamente.
Dentro lo studio, Moonfang si
preparò a fare a pezzettini il Dottor Doom. Era a un passo dalla sua preda, che
a sua volta indietreggiava quasi strisciando…quando furono interrotti dalla
ridanciana Big Bertha, che stava puntando qualcosa sul pavimento. “Hehehe,
guardate un po’ lì…ohoho, fessi…”
Loro lo fecero. E tirarono un
sospiro di sollievo.
Il canino malato era caduto!
I robot avevano fatto il miracolo!
“Se me lo lasciate,” disse
Doom, “vi faccio lo sconto.”
Mr. Immortal bestemmiò rumorosamente,
alla vista della porta dello studio aprirsi. Moonfang ne uscì fischiettando,
tutto pimpante.
“Alla fine, doc, non ci
possiamo lamentare,” disse Bertha, stringendo la mano metallica. “Sarò felice
di segnalarla ai miei amici. Tutta gente con un bel conto in banca.”
“Il piacere dei miei pazienti
è il mio primo dovere,” replicò l’altro. “Piuttosto, vuole che le chiami un
taxi?”
“Hm?” lì per lì, lei non capì
il perché di quella domanda…poi, vide la macchina, e vide Mr. Immortal che la
salutava con aria tutta contenta. La mascella le andò giù a picco. Tuttavia,
qualunque cosa avesse voluto dire in merito fu prevenuta dall’arrivo di una
familiare monovolume familiare blu e bianca con l’ancora più familiare stemma
dello SHIELD.
L’auto si fermò davanti alla
limo rottamata, e ne uscì Pierce. “Ora di pausa finita, teppaglia. Sono venuto
apposta per voi, contenti?” Gli risposero vari grugniti di disfatta.
Lei indicava ora Pierce ora
Immortal. Era in un curioso stato confusionale. Non fece resistenza, nel farsi
trasbordare.
Doom osservò la macchina
sparire in un filare di villette e belle siepi. In mano, teneva il suo prezioso
dente. Il primo dell’intera serie…
Oh, sì, doveva riavere
quel lupo come paziente..!
L’urlo di Big Bertha iniziò a
risuonare per l’orizzonte.