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N° 58

 

L’OMBRA DELL’APOCALISSE

 

Di Carlo Monni

 

 

1.

 

                       

Nel cuore della piccola nazione nota come Sin Cong, nel cuore di un’impenetrabile jungla, Liz Mace alias Capitan America è spinta verso il signore assoluto di quel piccolo regno.

            L’uomo in questione è assiso su una specie di trono ed spaventosamente grosso. Così ad occhio: deve essere alto quasi due metri e pesare più di duecento chili. Sembra vietnamita, ma potrebbe benissimo essere cinese o di una delle altre etnie della zona per quando ne capisce lei. Veste una sfarzosa divisa con tanto di alamari e le mostrine da generale nello stile degli eserciti della zona.

            Quando la portano davanti a lui, con le mani legate dietro la schiena sorride sinistramente e le si rivolge in un Inglese pesantemente accentato:

-E così tu sei la donna che pretende di essere Capitan America…benvenuta nel regno del Generale Wo.-

            Il Generale Wo? Ha già letto quel nome da qualche parte, ma dove?

-Sembri bella anche con quella maschera sul volto.- continua il generale –Forse invece di ucciderti ti terrò nel mio serraglio.-

            Quella prospettiva fa rabbrividire Liz. Piuttosto morta, pensa, poi si rivolge all’uomo davanti a lei:

-Giochi bene la tua parte, colonnello Kurtz, ma le donne devi tenerle legate perché facciano quel che vuoi.-

            Un attimo di perplessità sul volto del generale.

-Colonnello Kurtz?- borbotta –Una specie di scherzo di voi occidentali immagino. Mi stai accusandomi di aver paura di una donna se non è legata?-

-Esattamente e ti sfido a dimostrare il contrario.-

            L’uomo si alza ed in piedi sembra ancora più imponente, una vera montagna umana. Forse duecento chili era una stima al ribasso e sono tutti di muscoli.

-Slegatela.- ordina. I suoi uomini esitano e lui ripete –Slegatela… e ridatele la sua arma.-

            L’ordine viene eseguito e Liz si massaggia i polsi indolenziti, poi prova lo scudo. L’arroganza maschile è sempre un difetto su cui far leva, pensa, specie con gli orientali decisamente all’antica come lui.

            Nel frattempo il suo avversario si è spogliato completamente, rimanendo solo con una specie di pannolone intorno ai fianchi.

-La tenuta di un lottatore di sumo.- spiega ad una perplessa Cap –Uno sport di cui mi pregio di essere un maestro.-

            Sumo? Ma certo… ora ricorda chi è: nei dossier è citato anche col nome di Generale Sumo per la sua ossessione per questa disciplina. È un ex generale vietnamita divenuto trafficante d’armi… e d’altro. L’originale Capitan America, Steve Rogers, lo ha affrontato un paio di volte.[1]

            Liz non si sente molto incoraggiata, ma deve fare la sua parte. La cosa più importante è evitare di finire tra quelle braccia: la stritolerebbero con facilità.

            Evita il primo assalto e scivola in mezzo alle gambe di Wo, poi si rimette in piedi e gli scaglia contro lo scudo mentre lui si sta voltando. Lui barcolla ma non cade e si precipita su di lei.

            Ancora una volta Cap lo evita con un salto, poi prova a prendere l’iniziativa e prova a colpirlo a piedi uniti. L’unico risultato che riesce ad ottenere è che lui l’afferra per una caviglia e dopo averle impresso una rotazione la scaglia contro una parete.

            L’addestramento di Liz le permette di rigirarsi ed usare lo scudo per assorbire l’impatto ma non fa in tempo a rialzarsi: Wo, o Sumo che dir si voglia, le è sopra schiacciandola con la sua mole.

-È finita.- proclama.

            Ha ragione: è finita e lei ha fallito, ha deluso se stessa e quelli che credevano in lei. Mamma, papà, Jeff, Marty, mi dispiace. È stato bello finché è durata.

            Un velo di tenebre cala sui suoi occhi.

 

            Washington Navy Yard, sede, tra le altre cose, del Judge Advocate General’s Corps della Marina nei cui uffici si incontrano il Tenente di Marina Martin Luther King Mitchell, uno degli avvocati militari del Corpo, ed il suo cliente, il suo pari grado Franklin Mills

-Allora è tutto finito?- chiede con velo di impazienza Mills.

-Quasi.- risponde Marty –Il mio collega che fa da Pubblico Ministero ha accettato le mie proposte ed ora manca solo l’avallo del giudice… che vedremo tra due giorni ma non prevedo problemi. La sua intemperanza in quel bar di Norfolk le costerà una sospensione di trenta giorni, di cui quindici già passati, ed un taglio del 25% sulla paga sino al completo pagamento dei danni. Non ci saranno note di demerito ufficiali ma temo che dovrà saltare il prossimo turno di promozioni.-

-Poco male, mi adatterò a restare tenente per un altro paio d’anni. Grazie Tenente Mitchell. Ho anche seguito il suo consiglio ed ho contattato uno psicologo… e mi sono convertito al succo d’arancia… almeno per po’.-

-Ottimo. Mi auguro che i suoi buoni propositi reggano. Ma mi dica, perché è venuto sin qui? Sarei venuto io dopodomani a Norfolk.-

-Non avevo niente di meglio da fare… e poi speravo di vedere una vecchia amica… il Maggiore Elizabeth Mace. Eravamo compagni di corso all’accademia. La conosce?-

            Marty sorride. Sapeva già che Mills e Liz si conoscevano ed anche che erano stati più che compagni di corso.

-Certo che la conosco.- e molto intimamente gli verrebbe da dire ma resiste all’infantile tentazione –Al momento è in congedo dopo la… scomparsa di suo fratello. Dovrebbe rientrare la settimana prossima.-

-Oh beh… sarà per un’altra volta.-

            Mentre vede allontanarsi Franklin Mills, Marty si ferma a riflettere sul fatto che sono alcuni giorni che non sente Liz. L’ultima volta che ha avuto sue notizie era alle Hawaii ma alla base dei Marines di Oahu dicono che se n’è andata da un po’. Ma dov’è finita? In mezzo a qualche guaio nei panni Capitan America? Se è così, lui può solo sperare che ne esca bene,

 

            Liz Mace apre gli occhi e la prima cosa che vede è il volto di una ragazza che ha in mano una spugnetta con cui le sta detergendo il viso.

-Tu ferma mentre io pulisco.- dice la ragazza in un Inglese stentato.

            Liz le dà una lunga occhiata. Potrebbe avere 16 o 17 anni. Difficile dirlo con precisione. Quasi sicuramente è vietnamita ed indossa solo una specie di perizoma, i lunghi capelli neri le ricadono sui seni e sulla schiena scendendo sino alle natiche.

            Liz prova a muoversi e scopre di essere legata saldamente a una parete. Sta diventando una fastidiosa abitudine ultimamente e il bondage non certo la sua attività ricreativa favorita.

            Si accorge che le hanno tolto il costume per lavarla e ci sono almeno quattro ragazze che si danno da fare in quest’operazione di pulizia.

-Chi sei? Mi capisci?- chiede.

            La ragazza vietnamita sorride.

-Mio nome è Kim-Ly e sono stata scelta per servire il grande generale con tutta me stessa.-

            Posso anche immaginare in quali modi devi servirlo tu e le altre… oltre che portargli il cibo in tavola, pensa tra sé Liz. Il lavoro delle ragazze sembra finito e tutte si allontanano tranne quella che le ha rivolto la parola.

-Ora sei pronta per il nostro signore.- dice mentre le libera le mani.

            Liz si rimette in pedi e prende il costume che la ragazza le porge e comincia ad infilarselo.

-Il tuo signore vedrà presto quanto sono pronta per lui.- replica orgogliosamente.

-Non devi irritarlo o ti manderà nell’arena a combattere i miei fratelli e le mie sorelle.-

            Frase alquanto sibillina ma al momento lei non si cura di approfondire mentre, per ultima, si infila la maschera.

-Perché copri il tuo volto?- chiede un po’ sorpresa Kim-Ly.

-Perché… è una specie di rito… di rituale di combattimento.-

-Sei una guerriera?-

            Liz le rivolge un sorriso.

-Puoi scommetterci che lo sono.- risponde –Puoi davvero scommetterci.-

 

2.

 

            Ha appena finito di vestirsi che una delle ragazze suona una specie di campanello e poco dopo una porta si apre ed entrano delle guardie armate.

            A quanto pare alle guardie è vietato entrare nei quartieri delle donne se non sono chiamate. Meglio così: Liz non avrebbe gradito che assistessero allo spettacolo. È già abbastanza seccata che in meno di ventiquattr’ore degli estranei l’abbiano vista senza maschera o addirittura come mamma l’ha fatta. Steve Rogers non sarebbe mai finito in una situazione simile, ne è certa. Bel Capitan America che è.

            Si lascia legare le mani dietro la schiena senza opporre resistenza. Non le importa: conosce molti modi per liberarsi al momento opportuno. Adesso vuol saperne di più su quel posto. Non l’hanno mandata lì perché si limitasse a scappare. dopotutto.

            La conducono in un salone accanto a quello in cui ha incontrato il Generale Wo. Da quel che vede ci sono uomini e donne seduti o in piedi intorno a qualcosa che stanno incitando qualcosa o qualcuno che lei non vede. La massa imponente del generale è davanti a lei e tiene in mano il suo scudo. Bene, almeno sa dov’è.

-Ah… Capitan America. - le si rivolge Sumo –Sono lieto di rivederti in forma. Mentre le mie ragazze si prendevano cura di te hai pensato se preferisci unirti a loro o morire? -

-Morire è un’alternativa sempre più interessante. - replica Liz cercando di mostrarsi sicura.

-Vedremo se la penserai ancora così dopo aver conosciuto l’arena. Voglio darti una dimostrazione. Guarda. -

            Si sposta e solo ora Cap si rende conto di trovarsi sull’orlo di una fossa di forma quasi circolare, quasi ovoidale per essere esatti. Nella fossa ci sono due uomini e due donne della zona, vestiti solo di uno striminzito perizoma. Li riconosce la ragazza che ha incontrato prima. Qual era il suo nome? Min Li No. Kim-Ly. Le aveva parlato di suoi fratelli e sorelle nell’arena. Era un modo di dire figurato oppure…

            I quattro stanno guardando verso una porticina da cui emerge una figura umana, quella di un uomo occidentale dagli abiti ormai sbrindellati.

-Un prigioniero catturato stanotte.- spiega Wo –L’ho fatto risparmiare apposta.-

            Liz lo guarda meglio e lo riconosce:

-Willard.- si lascia sfuggire: è proprio il capitano del barcone con cui ha risalito il fiume. Pensava fosse morto nell’esplosione del battello o divorato dai coccodrilli.

-Lo conosci?- commenta Wo –Interessante. Suppongo che questo renda tutto più divertente.

            Sul pavimento dell’arena ci sono un coltello ed una lancia e Willard li guarda indeciso sul da farsi, poi accade qualcosa che cambia tutte le prospettive.

            Dai quattro davanti a Ben Willard proviene un sordo brontolio che esce all’unisono dalle loro gole. Non è un suono umano. Ed ecco le loro ossa deformarsi, il corpo cambiare e dove prima c’erano due uomini e due donne seminudi ora ci sono quattro felini antropomorfi dalle orribili zanne e gli artigli sguainati.

            Per un attimo che sembra durare un’eternità nulla si muove, come fosse scolpito nel marmo, poi i quattro saltano verso la loro preda

-No!- urla Capitan America mentre il Generale ride soddisfatto.

 

            Sam Wilson si guarda intorno sorpreso di come in così poco tempo Leila Taylor sia riuscita ad organizzare un comitato elettorale. Quella donna è davvero in gamba e lui dovrebbe ben saperlo in fondo.

            Si fa largo tra i tavoli a cui ragazzi di varie età ed etnie si danno da fare, chini sui computer o su vari fogli. Quando lo riconoscono gli si fanno intorno dicendogli quanto sono onorati di lavorare per la sua elezione al Congresso e di come lui sia l’uomo migliore per il posto.

            Sam è chiaramente imbarazzato da tutti quei complimenti e Leila interviene a sottrarlo alla folla per portarlo in un piccolo ufficio.

-Hai messo in piedi una bella organizzazione.- le dice lui –Chiaramente eri già pronta. Eri davvero così sicura che avrei accettato?-

-Ti conosco bene Sam… molto bene.-

-Molto più di tanti altri, è vero.- la voce di Sam si abbassa di un’ottava, poi si guarda intorno e chiede –Quanto ci costa tutto questo?-

-Praticamente neanche un cent.- risponde Leila prontamente –I locali ci sono stati messi a disposizione da un sostenitore. Abbiamo solo dovuto provvedere agli arredi e ai computer, ma con le prime donazioni siamo già abbondantemente sopra le prime spese.-

            Sam deve ammettere di essere compiaciuto ma anche perplesso.

-Voglio che tutte le donazioni siano controllate nel dettaglio. Se anche un solo centesimo viene da una fonte sospetta deve essere rispedito al mittente.-

-Ho nominato tua sorella Sarah tesoriere del comitato. Ti fidi di lei?- replica Leila.

-Più di me stesso. Ascolta, Leila, voglio che sia chiara una cosa: apprezzo il tuo aiuto ma se tuo marito pensa di potermi controllare, digli pure che ha sbagliato candidato.-

            Sul volto di Leila un’espressione di cupa collera.

-Mio marito non c’entra col mio lavoro.- dice infine –E quell’avvertimento gliel’ho già dato per conto mio. Ora scusami: devo andare a parlare col dirigente di un network per un’intervista. Dobbiamo affrontare il problema di “Snap” Wilson prima che lo sollevino i tuoi avversari.

            Il problema di “Snap” Wilson, una fase della sua vita che Sam avrebbe preferito dimenticare. Apre la porta e lascia il passo a Leila, poi la guarda uscire mentre pensa a cose che sono state e che avrebbero potuto essere.

-Terra a Sam Wilson: smetti di fissare il sedere della tua manager elettorale e pensa alla tua attuale ragazza.-

            Solo ora Sam si accorge che è entrata la dottoressa Claire Temple.

-Scusa Claire…- le dice imbarazzato –Io… non ti avevo visto arrivare.

-Me n’ero accorta. - replica Claire e con fermezza lo spinge dentro il piccolo ufficio chiudendosi alle spalle la porta e abbassando le veneziane.

-Ho approfittato di una pausa all’ambulatorio per venire a dare un’occhiata qui ma non mi aspettavo di trovarti imbambolato a fissare la Taylor. Tra e lei c’è stato qualcosa vero?-

            Sam ride.

-Credo che qui a Harlem lo sappiano anche i sassi. È stata una relazione difficile, diciamo così. Io ero un assistente sociale che cercava di far funzionare il sistema e lei… beh diciamo che faceva sembrare il Reverendo Louis Farrakhan[2] un ultra moderato. Eravamo come l’acqua e l’olio o il diavolo e l’acqua santa. Eppure in qualche modo funzionò per un bel po’ di tempo... poi ci perdemmo di vista.-

-Non sembra il tipo dell’estremista adesso.-

-La gente cambia. Comunque ha sposato un leader radicale che ha ripudiato il suo “nome da schiavo” per uno di sapore africano, Kamal Rakim. Hanno anche due gemelle.-

-Ma… non è così.- Claire guarda Sam e vede lo stupore nel suo volto –Davvero non lo sapevi? Qui lo sanno tutti: Leila Taylor ha sposato Rakim quando le sue gemelle erano già nate da sei mesi, per questo portano il suo cognome e non quello di lui-

            Sam sente il bisogno di sedersi.

-E… il padre?- chiede con voce che gli esce a fatica.

-Lei non ha mai voluto parlarne. Per quel che se ne sa, magari è Rakim stesso.-

            Decisamente lui e Leila devono parlare… una lunga chiacchierata… molto lunga.

 

            Il Vice Ammiraglio Henry H. Nelson capo della sezione della D.I.A.[3] che si occupa di minacce superumane alla sicurezza militare, è in piedi sull’attenti e guarda l’uomo seduto davanti a lui: l’Aiuto Vice Sottosegretario alla Difesa per il Controspionaggio e la Sicurezza Donald F. Anderson.

-Mi pare una domanda molto semplice ammiraglio…- sta dicendo Anderson -…chi è il Comandante America?-

-La risposta è ancora più semplice, signore.- risponde Nelson –Non lo sappiamo… ancora.-

-Non è possibile. Quell’uomo veste un’uniforme simile a quella di Capitan America ma con i colori della Marina. Mi ha salvato la vita[4] ma come faceva a sapere che volevano uccidermi? Qualcuno in questo dipartimento deve saperne qualcosa. Se è un progetto con un livello di segretezza superiore a quella a cui abbiamo diritto di accedere io e lei, mi metterò il cuore in pace, ma se è un progetto esterno… voglio saperne il più possibile.-

-Non è il solo, signore. Non è il solo.-

 

3.

 

            Isola del Teschio, da qualche parte nel Mar dei Caraibi, protetta da ogni tipo di rilevazioni grazie ai sofisticati congegni progettati da Machinesmith. Un luogo non esattamente nei cataloghi delle vacanze.

            Crossbones non è sorpreso di trovare Sin, la figlia del Teschio Rosso nell’armeria. Quella ragazza non ha mai imparato a giocare con le bambole ma sapeva maneggiare un fucile prima ancora di uscire dalle pubertà, cosa peraltro che le è accaduta almeno due volte o tre. E sa anche giocare molto bene con lui, tenerlo sulla corda.

-Ciao, Crossy.- lo saluta –Sei pronto a partire?-

-Sempre decisa ad andare allora?- chiede lui.

-Ma certo. Mio padre non ha bisogno di noi per il suo grandioso piano ed io gli ho promesso che gli avrei portato Capitan America prigioniera. Sono certa che lui sarà felicissimo di averla ai suoi piedi in catene mentre mette in ginocchio gli Stat Uniti.-

-E come pensi di scovarla? Dopo quella faccenda alle Isole Cook sembra scomparsa dalla faccia della Terra.-

-Molto semplice: andremo a casa sua e l’aspetteremo ed inganneremo l’attesa mettendo a ferro e fuoco qualche città giusto per tenerci in esercizio.-

            Sin si avvicina a Crossbones e gli solleva la maschera scoprendo le sue labbra e baciandolo con passione.

-Consideralo un assaggio delle delizie a venire, tesoro.- gli dice.

            Pazza, pensa Crossbones, ma una pazza che adoro.

 

            Capitan America si rivolge con decisione al Generale Wo:

-Liberami… subito.-

            Il Generale sorride.

-Vuoi aiutare il tuo amico?- ribatte –Molto bene. Liberatela dunque.-

            In pochi attimi Liz è libera e Wo le porge lo scudo.

-Prendi, ti servirà. Non ti è rimasto molto tempo.-

            Ma Cap non sta a sentirlo. Con un balzo piomba nell’arena frapponendosi tra un frastornato Ben Willard e i felini umanoidi.

            Forse non è la cosa più saggia che ho mai fatto, pensa, ma è proprio quello che avrebbe fatto Capitan America e nel bene e nel male io sono Capitan America.

            Un suono a metà tra il miagolio e il ruggito la avverte che i suoi avversari stanno per attaccarla. Evita di stretta misura un’artigliata.

            Questi esseri le ricordano quell’esperimento vietnamita di cui le hanno parlato suo padre e suo fratello… un tentativo di creare ibridi tra umani e animali feroci per farne killer inarrestabili.[5] Questi vengono dallo stesso laboratorio che ha prodotto Bengal. È questo che intendeva Kim-Ly dicendo che erano suoi fratelli e sorelle?

            Kim-Ly… è uno dei suoi assalitori, non ci aveva pensato. È stata gentile con lei ed ora cerca di ucciderla. La vita è strana.

            Uno dei felini le salta addosso. Assomiglia ad una tigre ed ha artigli altrettanto affilati. Lo colpisce a tutta forza con lo scudo scagliandolo lontano.

            Approfitta dell’attimo di tregua concessole dai felini per afferrare Willard per un braccio e portarlo in un angolo.

-Sta bene?- gli chiede.

-Sono vivo.- è la laconica risposta poi la guarda e aggiunge –Dunque è così: niente C.I.A. o altri servizi segreti. Charlene Marlow, o quale che sia il tuo nome, sei Capitan America.-

            Liz sospira. D’altra parte deve essere l’unica bionda in giro per questa dannatissima jungla.

-Ne parleremo dopo.- replica seccamente –Ora dobbiamo pensare a restare vivi mentre quattro uomini e donne tigre vogliono invitarci a cena… nella parte delle pietanze.-

-Non dovrebbe essere un problema per Capitan America sconfiggerli, giusto?-

-Mi hai preso per la persona sbagliata- ribatte Liz poi si scaglia di corsa contro gli avversari.

 

            Il capitano Rafael Scarfe alza gli occhi al cielo esasperato.

-Giuro che non ho mai incontrato una vittima meno collaborativa di lei, Miss Mercado.-

            Joy Mercado scuote la testa.

-Mi dispiace, capitano…- risponde –Apprezzo che si sia mosso lei in persona per questa faccenda e non uno dei suo detectives, ma davvero non posso dirle più di quanto ho detto: non so chi mi ha sparato. Potrebbe essere legato alla mia inchiesta sull’attentato alla sede del F.B.S.A. ma non posso esserne sicura.

-E invece, secondo me lo è.- ribatte Scarfe –Se scopro che mi ha nascosto informazioni vitali per poter fare uno scoop, giuro che la farò pentire.-

-Posso andare adesso?-

-Ma certo. La farò scortare a casa da due agenti.-

-Non occorre… ho la mia guardia del corpo.-

-Già… Ace Johnson… contenta lei. In ogni caso farò mettere un paio di agenti davanti a casa sua.-

-Faccia come vuole. La saluto.-

            Joy esce dalla sede del Distretto di Midtown Nord e trova Ace appoggiato alla sua moto.

-Ciao.- lo saluta –Hanno torchiato anche te?-

            La risposta è un cenno del capo. Joy sorride.

-Già…immagino che tu non abbia detto molto. Portami a casa.-

            Salgono sulla moto e Joy si stringe a lui mentre un’auto della Polizia li segue non molto distante.

            Arrivati a casa di Joy Ace parcheggia la moto e poi l’accompagna su sino all’entrata del suo appartamento. Dopo aver aperto la porta ed acceso le luci Joy gli si rivolge:

-Rimani qui per favore. Non me la sento di restare sola stanotte. Ho bisogno di te.-

            Ace si toglie gli occhiali e pronuncia una sola parola:

-Rimango.-

 

 

4.

 

            Per chiunque altro sarebbe un’azione da pazzi, ma come le ha ricordato Willard, lei è Capitan America. Si tuffa sui quattro ibridi tenendo ben stretto lo scudo e li abbatte come una palla da bowling che ha appena fatto strike, poi rotola via e si rimette in pedi.

            Non è stata così fortunata da stenderli definitivamente. Uno è effettivamente a terra ma gli altri tre si stanno alzando. Ha modo di vederli bene: il maschio ha le caratteristiche di una tigre, una delle due femmine sembra un grosso gatto dal pelame bruno rossiccio e la coda molto lunga che frusta l’aria, i canini sono lunghi e affilati; l’altra femmina ricorda anch’essa un gatto col pelo dorato i suoi artigli sono molto affilati. Forse è a causa dei lunghi capelli ma Liz è certa che sia la giovane vietnamita, Kim-Ly.

-Sei davvero tu?- le chiede –Mi capisci?-

            La sola risposta è un’artigliata che Cap evita a stento. Tanti saluti al dialogo. Se sono questi quattro o altri come loro ad aver affrontato le pattuglie americane capisce come mai quei soldati addestrati si siano fatti fare a pezzi. Questi… esseri sono veramente resistenti e quasi inarrestabili. Il che le pone il problema della sopravvivenza. Se non altro, se si concentrano su di lei non penseranno a massacrare Willard. Magra consolazione.

            Ora le sono addosso tutti insieme. Liz usa lo scudo per allontanare le zanne di una delle “gatte”, ma l’uomo tigre le è addosso e lei sente il suo fiato sul collo. Si ritrae perplesso quando le zanne non riescono a penetrare la cotta di maglia poi torna all’all’attacco e stavolta Liz è certa che frantumerà la protezione del collo come se non esistesse.

            Improvvisamente ode un verso di dolore e vede l’uomo tigre barcollare mentre una lancia spunta dal suo petto trapassato da parte a parte.

            Ad intervenire è stato un malconcio Ben Willard.

-Non potevo lasciarti morire.- dice semplicemente.

-Temo che abbiamo solo rimandato l’inevitabile.- replica Cap.

-Beh… se devo morire, almeno lo farò un gradevole compagnia.-

            Le battute da sbruffone non ci aiuteranno molto, pensa lei.

 

            Il Tenente Colonnello Michael Rossi siede in un bar di Bangkok osservando la cosiddetta fauna locale. Non lontano da dove si trova lui adesso Patpong, il quartiere a luci rosse e trappola per turisti, si sta animando ma la cosa non lo interessa: i suoi pensieri sono rivolti a Liz Mace. L’idea di averla mandata a morire non gli dà tregua. Cosa può fare una donna sola, anche se piena di risorse come ha imparato essere Liz, contro qualcosa che ha massacrato ben due squadre di soldati altamente addestrati? Bell’idea hanno avuto i suoi superiori per punirla di aver fallito una missione.

            In qualche modo, deve ammetterlo, Liz le ricorda Carol Danvers…la sua Carol. Da quanto non la vede? Anni, ma ha seguito le sue vicende, letto i suoi libri.  Chissà se lei pensa ancora a lui? Da quel che ne sa ha sposato un nobile inglese. Decisamente strano per la Carol che conosceva… ma la gente cambia, immagina, o loro starebbero ancora insieme.

            Liz Mace ha un carattere molo simile: la stessa ostinata determinazione e coraggio… per tacere dei capelli biondi, gli occhi azzurri e… basta così: sono pensieri pericolosi questi.

            Basta… i suoi superiori dicano quello che vogliono ma lui all’alba andrà a cercarla e la porterà fuori da dovunque sia adesso.

 

            A New York il sole è sorto da poco e Joy Mercado si sta preparando un caffè nella cucina del suo appartamento quando suonano alla porta.

            Joy si avvicina alla porta e guarda dallo spioncino. Quel che vede è un volto simpatico di un uomo con una folta capigliatura rossa. Con un sorriso estrae un distintivo d’oro da detective.

-Sono il detective Quentin Chase di Midtown Nord.- si presenta.

            Accidenti, pensa Joy, il capitano Scarfe le aveva detto che le avrebbe mandato un detective ma non si aspettava di vederlo tanto presto.

            Senza badare troppo al fatto che indossa solo una camicia da uomo che le arriva appena sotto le cosce la ragazza decide di aprire la porta.

-Grazie, Miss Mercado.- dice il detective entrando e rimanendo subito a bocca aperta. Joey ride e subito dopo si dice che dovrebbe smettere di provocare la gente, ma è così divertente.

            Fa strada verso la cucina e dietro di lei Quentin Chase si sforza di non abbassare lo sguardo. Sua moglie non approverebbe, pensa e pensa anche che gli ci vorrebbe qualcosa di forte… peccato che non si può bere in servizio. Si limita a deglutire.

-Volevo rivedere con lei alcuni dettagli della sua deposizione.- dice.

            Guardala negli occhi, si ripete mentalmente Chase, negli occhi. Nel frattempo Joy si siede e gli si rivolge:

-Cos’altro vuole chiedermi che non mi abbia già chiesto ieri il suo capitano?-

            Prima che Chase possa rispondere, nella cucina entra Ace a petto nudo. Fissa Joy, specialmente la camicia che indossa, e si limita a dire:

-Ah!-

-Spero di non… uh… aver interrotto niente.- borbotta, imbarazzato, il detective.

-Non si preoccupi detective.- replica Joy –Nulla che io e Ace non possiamo riprendere dopo. Mi diceva…?-

-Uhm… è proprio sicura di non avere idea di chi possa averle sparato?-

-Ho un’idea molto precisa di chi l’ha mandato: chiunque abbia organizzato l’attentato al F.B.S.A. Ma se vuole dei nomi… non li ho… ancora.-

            Ace si è fatto un caffè e ne porge una tazza anche a Chase che l’afferra meccanicamente.

-Un espresso italiano?- esclama il detective –Grazie. Uh… lei è Ace, giusto? I miei colleghi del Bronx mi dicono che non parla molto.-

-Solo quando ho qualcosa di importante da dire.- risponde, sorprendentemente, Ace –E non capita spesso.-

-Wow che lungo discorso.- commenta Joy –Con me non hai mai detto così tante parole in fila. D’altra parte sai farti capire da me anche senza parlare… mi scusi agente.-

-Detective.- la corregge Chase. Il caffè non era proprio quello a cui aveva pensato ma è abbastanza forte.

-Oggi abbiamo ricevuto il responso dal database sulle armi da fuoco.- continua Chase –Di solito ci vogliono giorni ma pare che a Washington un Vice Direttore del F.B.S.A., un certo Norriss, appena ha udito il suo nome ha ordinato priorità assoluta alla ricerca.-

-E…? Non mi tenga sulle spine.-

-La stessa arma con cui le hanno sparato è stata usata per tre diversi omicidi nell’ultimo anno. Tra cui quello di un agente del B.A.T.F.[6] di nome Cassandra Lathrop.-

            Ace si volta verso di loro e Joy trattiene il fiato.

-E questo significa?- chiede infine.

-Che chiunque la vuole morta è un tipo molto determinato. Ci riproverà.-

            Come se lei non se o fosse già aspettato.

 

 

5.

 

 

            La Stazione aeronavale di Lakehurst New Jersey è un luogo dove si testano gli aerei destinati al servizio nelle portaerei della Marina degli Stati Uniti. Tra questi il caccia F-35C che ora sta atterrando su una delle piste.

            Mentre i meccanici si fanno sotto il velivolo, il portello si apre ed il pilota si appresta a saltar giù.

-Quest’affare è un vero gioiellino.- dice.

-E tu sei un vero impudente Shane.- lo redarguisce un ufficiale più o meno della sua età –Ho visto le evoluzioni che hai fatto. Se qualcosa fosse andato storto…-

-Ma tutto è andato bene, quindi di che ti lamenti Mac?- replica il Tenente Comandante Shane Connelly

-Sei appena tornato in servizio.- ribatte il suo pari grado Andrew MacDonald -Dovresti andarci piano.-

-Questo andrà bene per te ma non per me Mac. Hanno detto che poso volare ed io mi sento in perfetta forma.-

            Inutile, pensa MacDonald, non mi sta mai a sentire quel testone

 

            Un luogo al momento segreto. L’agente della C.I.A. Simon Bixby si rivolge all’uomo in piedi davanti a lui, un uomo che indossa una variante del costume di Capitan America completamente bianca a parte gli stivali, i guanti, la stella sul petto e le alucce sulla maschera, che sono blu, ed il rosso delle strisce verticali sul petto. Al polso destro è agganciata una perfetta replica dello scudo di Cap col bordo esterno bianco e la stella blu su sfondo rosso.

-Hai fatto un ottimo lavoro finora, figliolo, ora è venuto il momento di una nuova e delicata missione.

-Non chiedo altro che servire il mio paese, signore.- risponde il Comandante America.

 

            In un luogo dimenticato da Dio e dagli uomini la Capitan America in carica si prepara al nuovo assalto degli ibridi umano-felino ma i tre superstiti sembra siano rimasti scossi dalla morte del loro compagno.

-Dobbiamo approfittarne.- urla Liz –Andiamocene.-

-Ma dove… e come?- chiede il suo compagno.

-Ci penseremo dopo. Vieni!-

            Liz spicca un salto e riesce ad afferrarsi al bordo della fossa. Si dà una spinta e ne esce. Due guardie armate si fanno sotto ma lei le sgomina ed afferra uno dei fucili e si sporge di nuovo sull’orlo, abbassando l’arma al limite consentito dal suo braccio.

-Aggrappati qui e sali.- urla a Ben Willard, che non si fa ripetere l’esortazione.

            Mentre lo aiuta a tirarsi su, altre due guardie arrivano ma Cap le sistema senza nemmeno voltarsi con due calci ben assestati.

            Finalmente Willard è fuori dalla fossa. Appena in tempo: gli ibridi stanno tornando alla carica.

-Dobbiamo andarcene, subito.- urla lui.

-Lo so benissimo.- replica lei.

-Voi non andrete da nessuna parte.-

            Davanti a loro la massa imponente del Generale Wo.

-Mi ero quasi dimenticata di te.- ammette Cap, poi si rivolge a Willard –Tu scappa a lui ci penso io.-

            Wo le salta addosso ma lei sfugge alla sua presa e si tuffa in mezzo alle sue gambe. Per fortuna è meno veloce di lei. Deve trovare un modo di sconfiggerlo senza andargli troppo vicino. Sparargli non è nello stile di Capitan America, ma forse…

            Si tuffa colpendolo con i piedi uniti e lui vacilla. Normalmente non cadrebbe, ma alle sue spalle c’è la fossa e lui perde l’equilibrio trascinando con sé gli ibridi che stavano risalendola.

            Liz non perde tempo a guardarsi indietro e corre più forte che può è appena uscita all’aperto che una jeep le si ferma davanti. Al posto di guida c’è Ben Willard.

-Salta su, capitano.- la esorta.

            Lei non se lo fa ripetere. La Jeep riparte a tutta velocità. Alle loro spalle urla, strepiti e spari… e quegli inquietanti ruggiti.

            La jeep sfonda il portone di legno e si addentra nella Jungla. Liz sente un sibilo alle sue spalle e un attimo dopo un inferno di fuoco esplode sotto la jeep.

 

 

CONTINUA

 

 

NOTE DELL’AUTORE

 

 

            Praticamente nulla da dire su questo episodio, quindi passo subito ad un avvertimento: non perdete il prossimo episodio o potreste pentirvene.

 

 

Carlo



[1] Prima nel classico Tales of Suspense #61 (Prima edizione italiana: Capitan America Gigante, Corno, #1) e poi su Captain America Vol. 1° #411/414 (In Italia su Capitan America & Thor #12/13.

[2] Noto leader religioso e sociale degli afroamericani famoso per le sue idee estremiste.

[3] Il servizio informazioni del Dipartimento della Difesa.

[4] Nello scorso episodio.

[5] Come rivelato in Capitan America MIT #37.

[6] Bureau of Alcohol, Tobacco, Firearms and Explosives. Polizia federale che si occupa di traffico d’armi proibite e indagini varie sulle violazioni delle leggi su alcol e tabacco.