N° 37
(PARTE QUARTA)
PROLOGO
Da
qualche parte nel Vietnam del sud. Agosto 1972. Il caporale Jack
Ironhoof avanza nella jungla un passo dopo l’altro. Non pensa a niente se non
ad andare avanti. È un cammino molto lungo, ma i suoi antenati apache erano
capaci di fare percorsi doppi o tripli senza lamentarsi mai, senza bere o
mangiare e lui non sarà da meno. Stringe i denti e cerca di non sentire il peso
dell’uomo che si porta sulle spalle. Fossero anche gli unici a farcela, lui ed
il tenente Mace torneranno vivi alla base. Un altro passo ancora, solo un altro
passo ancora.
1.
Phoenix,
capitale dell’Arizona. Oggi.
Jack Ironhoff guarda in faccia la morte sotto forma delle
fauci di un essere più tigre che uomo. È rimasto solo nel suo ufficio nel
palazzo del Dipartimento di Pubblica Sicurezza dell’Arizona, per fare da esca,
ma ora potrebbe pentirsene, mentre i suoi occhi incontrano quelli del suo
aggressore appena entrato da una finestra i cui vetri, teoricamente
infrangibili, giacciono infranti sul pavimento.
Dicono che
mentre stai per morire la tua vita ti passi davanti agli occhi in un lampo, una
sorta di film accellerato e condensato in un attimo senza fine. Mentre sente
l’alito della creatura sul collo, Jack riesce solo a pensare a sua figlia Lyla.
Come può andarsene da questo mondo senza averle detto…
Improvvisamente
Jack si rende conto che il suo aggressore si è fermato. Qualcuno o qualcosa è
intervenuto: una furia canina nota come…
-Lobo, fermo!-
C’è
autorità, o piuttosto autorevolezza, nella voce di colui che emerge dall’ombra
mentre la sua silhouette si staglia alla luce della luna: è un uomo nudo sino
alla cintola se si eccettuano dei bracciali ai gomiti ed ai polsi, al di sotto
della cintura indossa dei pantaloni di pelle e degli stivali. Il suo volto è
parzialmente coperto da un ampio copricapo a forma di testa di lupo e nella
mano destra stringe un lungo bastone in tutto simile a quello usato dai
guerrieri Cheyenne nelle prove di abilità guerriera.
Il
lupo obbedisce al suo comando e ringhia verso l’altro essere ora accucciato
quasi a quattro zampe. Non sembra più avere nulla di umano e questo rende
ancora più inquietante la voce che esce da una gola che non dovrebbe essere
fatta per questo:
-Tu
hai interferito con la mia missione di vendetta.-
-Io sono Red Wolf.- proclama il
nuovo venuto e tu chi sei? Ho sentito che ti fai chiamare Bengal, ma di certo
non sei l’uomo che conoscevo e che, divenuto assassino per vendicare i torti
subiti, ha scoperto che la vendetta non vale il prezzo di un’anima.-
La
Tigre del Bengala ringhia arretrando ed ancora la voce inumana esce dalla sua
gola:
-Coloro
che hanno versato il sangue vedranno versato il loro. Non mi fermerò finché non
sarà stata fatta giustizia per i morti.-
-Tu…-
esclama Jack -… tu vieni da Balang!-
-Balang non esiste più e tutti coloro che erano lì ora sono morti ed accadrà anche a te, sergente Ironhoof.-
-Non finché potremo impedirtelo.-
Capitan America salta nella stanza dalla finestra infrante ed è subito imitato da Puma.
-Se proprio vuoi squartare qualcuno…- dice Thomas Fireheart -..provaci con chi è alla tua altezza.-
La Volta, Prigione Federale per Supercriminali, da qualche parte in Colorado. Due giorni fa. Il volto dell’uomo conosciuto come Jeffrey William Mace, Will per gli amici, è teso mentre assorbe le rivelazioni fatte dal suo interlocutore. Il volto dell’uomo che si fa chiamare Michael Walter Rogers, invece, è impassibile, appena l’ombra di un sorriso sardonico sul volto.
-Vi eravate salvati entrambi!- esclama Will –Tu e tuo fratello, si chiamava Grant, giusto? Hanno iniettato il siero ad entrambi.-
-Vedo che ora mi credi, Mace.- replica l’altro –Ebbene si: eravamo entrambi sulla Yorktown. Michael il fratello aviatore della Marina e Grant, il più piccolo, il più gracile, ma non abbastanza da impedirgli di arruolarsi per dimostrare al padre di essere bravo quanto il fratello maggiore. Triste destino quello di Grant, perché il padre adorava Michael e disprezzava la debolezza di Grant. Alla fine ha pianto la morte di entrambi senza sapere la verità, senza sapere che erano tutti vittime del sangue dei Rogers.-
-Continua.-
-Forse ne avrai sentito parlare: il Capitano Steve Rogers dell’Esercito Continentale. Non uno dei più famosi combattenti dell’Indipendenza americana. Non fu eletto al Congresso, non firmò la Dichiarazione di Indipendenza e non redasse la Costituzione. Combatté le sue battaglie, perfino qualcuna un po’ bizzarra, uccise in duello un ufficiale inglese di nome William Taurey ed alla fine della guerra non cercò gloria personale, ma tornò semplicemente a fare il fabbro. Si sposò ed ebbe dei figli che a loro volta ebbero dei figli. Mentre un ramo della famiglia rimase a New York, un altro si stabilì nel Maryland…-
-Lo so. Ho fatto delle ricerche dopo la tua incredibile rivelazione a mia figlia ed ho scoperto che i Rogers del Maryland erano discendenti dello Steve Rogers del 1776, proprio come il ragazzo che divenne Capitan America. Per questo il siero di Erskine ha avuto immediato effetto su di te: c’era compatibilità genetica col primo Capitan America. Piuttosto ora capisco cosa non mi tornava nella tua storia. Secondo le cronache dell’epoca, il corpo di Michael Rogers fu restituito alla famiglia, ma quello di Grant Rogers rimase disperso e la madre continuò a sperare che fosse vivo contro ogni logica… o forse no?-
Il prigioniero si rizza a sedere e grida:
-Chiamalo col suo nome completo: Steven Grant Rogers, proprio come quell’altro, un nome di cui avrebbe dovuto andare fiero.-
Will tace, ma sente un brivido corrergli lungo la schiena.
Ospedale Navale di Bethesda. Gennaio 1942. I due medici si guardano in faccia, poi uno dei due scuote la testa e dice:
-È stato tutto inutile: è morto.-
Un lenzuolo viene calato sul volto del giovane disteso sul lettino. Ed i due dottori si allontanano.
Poco distante una figura vestita di nero osserva la scena. Uno dei due soggetti è andato, ma almeno resta l’altro.
2.
West Side, Manhattan, New York City. Oggi. Sam Wilson comincia a pensare che ci deve essere una qualche maledizione che perseguita i supereroi come lui. Non è possibile che per una volta che si concede una cena con una bella donna questa cena debba essere disturbata da una banda di delinquenti. Se fosse da solo proverebbe forse a reagire, ma adesso deve pensare innanzitutto all’incolumità della sua compagna e così fa l’unica cosa saggia: resta fermo.in attesa degli eventi.. Con un po’ di fortuna tutto sarà finito in un attimo.
Quel che accade in seguito lo prende letteralmente di sorpresa: i banditi aprono il fuoco verso la zona dove si trova il gestore del ristorante. Dura in tutto pochi secondi, ma per Sam sono come un’eternità.
Quando tutto è finito gli aggressori stanno scappando e Claire Temple sta accorrendo dove ci sono persone a terra.
-Lasciatemi passare, sono un medico.-grida e si china verso uno dei corpi a terra.
Sam non è certo impressionato dal sangue, ma sente montare dentro di se una rabbia sconfinata: chi ha fatto questo non deve passarla liscia.
In lontananza si sentono le sirene delle ambulanze e della Polizia. Qualcuno ha chiamato il 911 per fortuna. Sam si rivolge alla sua compagna:
-Claire, io…- ma lei non lo sta sentendo, troppo occupata a tentare di mantenere in vita un uomo che perde sangue come una fontana. Sam esita un Istante e poi corre via. Ha solo bisogno di un attimo e di un posto riparato, poi eccolo in costume. Le ali costruite per lui su disegno di Pantera Nera si dispiegano e Falcon è di nuovo in aria.
Nell’aria si ode il verso di un falco e Sam sorride.
-Avanti Redwing…- dice -… abbiamo delle prede da cacciare.-
Virginia, poco fuori Richmond, Tenuta della Famiglia Carter. Sharon Carter guarda fuori dalla finestra verso il prato verde che si stende davanti ai suoi occhi e digrada in un boschetto. Le sensazioni che prova sono difficili da descrivere persino per lei. Negli ultimi tempi non si concessa il lusso di pensare alle proprie emozioni, anzi le ha soppresse, ha cercato di diventare una sorta di automa senz’anima, sorda ad ogni dolore, ma anche ad ogni gioia. Ora che ha smesso di negarle quelle emozioni hanno rischiato di travolgerle, eppure ne è valsa la pena, se non per lei, per Shannon.
Shannon… per anni si era comportata come volesse negarne l’esistenza: non ne aveva parlato a nessuno, nemmeno a Steve ed ora era troppo tardi per farlo, troppo tardi per un sacco di cose… ma forse non per lei e sua figlia… forse.
Washington D.C. Settembre 1954. L’uomo è un po’ più vecchio adesso, i capelli sono un po’ più radi ed un po’ più grigi, ma veste ancora di nero e la sua espressione è sempre impenetrabile. Se lo si guardasse con un po’ più di attenzione, però, si noterebbe un leggero (praticamente impercettibile) tremito della palpebra sinistra mentre ascolta l’Uomo corpulento seduto alla scrivania davanti a lui.
-Questa faccenda di Capitan America stava rischiando di sfuggirci di mano.- sta dicendo quest’ultimo.
-Per fortuna si è risolta bene, signore.-
-Peccato. Avevo grandi speranze per quel giovanotto. Certo non ero molto convinto del fatto che si portasse dietro un ragazzino, ma immagino che fosse inevitabile. Chi poteva immaginare che quel… Siero del Super Soldato fosse così instabile da portarli tutti e due alla paranoia?-
-Secondo il nostro esperto, il Dottor Anderson, la differenza sta tutta nel mancato bagno con quelli che lui chiama Vita Raggi.-
-E non potevamo scoprirlo prima… prima che quei due poveretti impazzissero? Sa il cielo se voglio combattere il Comunismo e la sua quinta colonna qui in patria, ma quei due avevano superato il limite vedendo nemici anche dove non c’erano e perdendo il controllo delle loro azioni. Per fortuna siamo riusciti a fermarli. A proposito: come stanno?-
-Sono in animazione sospesa, così la chiamano i nostri scienziati. Secondo quanto mi hanno detto, in pratica sono come sotto ghiaccio e non invecchieranno fino al loro risveglio. Se e quando troveremo una cura per la loro condizione.-
-Quasi quasi li invidio. Vorrei anch’io poter dormire e risvegliarmi in un mondo migliore, invece devo portare avanti il mio compito: proteggere la sicurezza di questa nazione.-
Un altro uomo prende la parola. È più magro dell’altro, capelli radi e bianchi e baffi pure bianchi, porta degli occhiali tondi ed ha un’aria da intellettuale, quasi un vecchio professore di un college britannico.
-Col senno di poi, direi che forse l’Agente R sarebbe stato un candidato migliore per il ruolo di Capitan America nella guerra contro le spie comuniste. –
L’uomo corpulento sbuffa.
-Non ne sono affatto convinto.- replica –L’ho incontrato una volta e secondo me è schizzato quanto quell’altro, solo che sa controllarsi meglio. Un giorno o l’altro vi sfuggirà di mano come a noi è sfuggito Capitan America, potrei scommetterci.-
L’uomo in nero si lascia sfuggire un sospiro. Se dovesse accadere toccherà a lui o ad altri come lui provvedere a fermare l’uomo di cui stanno parlando e non sarà una faccenda piacevole e su questo lui scommetterebbe senza esitare.
3.
Phoenix, Arizona. Oggi. L’essere chiamato Bengal guarda i nuovi arrivati. La sua gola emette un sordo brontolio, mentre si rivolge proprio a te:
-Non t’impicciare
ancora Capitan America.- dice –Non
è la tua guerra questa.-
-Quando ci sono vite innocenti in pericolo, ogni guerra è la mia guerra.- ribatti tu cercando di emanare convinzione.
-Innocenti? Non ci
sono innocenti qui. Ironhoof e quelli come lui hanno distrutto il mio popolo.
Sangue chiama sangue.
-La vendetta è inutile, tu…-
-Basta parlare!-
Ancora una volta la trasformazione ha luogo e la figura umana lascia il posto a quella di una tigre che ruggendo balza verso di te… o almeno ci proverebbe se Puma non l’afferrasse per il collo.
-Hai ragione, amico, qui si parla troppo.- proclama quest’ultimo afferrandolo a metà del salto, stringendolo nella presa chiamata “Mezzo Nelson” e tirandogli la testa verso di se.
-Lo ucciderai!- esclami..
-Sei un ragazzo sveglio.- Ribatte Puma.
Improvvisamente qualcosa accade: la scena cambia e tutti si trovano avvolti in una cappa di oscurità da cui emergono solo le loro figure. Ogni punto di riferimento sembra scomparso. Non c’è più un sopra od un sotto, perfino il suolo sotto i loro piedi sembra scomparso, anche se incongruamente non precipitano.
-Ma cosa…?- esclami sorpreso.
Per la sorpresa Puma ha mollato Bengal, che, sorprendentemente, si accuccia in preda ad una sorta di atavico terrore. Lobo gli abbaia contro mentre Red Wolf lo tiene per la collottola.
Poi dal buio ecco emergere una figura alta almeno tre volte loro e rivestita di un costume rituale Navajo.
-Chi sei?- gli chiedi, cercando di non mostrarsi intimidito, cosa che un po’ sei.
-Io sono Corvo Nero…- risponde il nuovo venuto -… ed è mio compito risolvere questa questione.-
-Lo odio quando fa così.- commenta Puma.
New York City, tra l’Upper West Side e Central Harlem. Sono loro, Falcon non ha dubbi al riguardo. Ora tutto quello che deve fare è piombar loro addosso e sistemarli, un gioco da ragazzi.
-Vai Redwing!- ordina ed il falco con cui ha un legame speciale piomba in picchiata contro il cruscotto dell’auto. Una volta, due, fino a far sbandare l’auto e farla sbattere contro un lampione.
Passa qualche istante e tre figure balzano fuori dall’auto. Non perdono tempo e si mettono a sparare all’indirizzo di Falcon, che evita con facilità le pallottole.
Redwing si lancia contro uno degli uomini e questi è così sconcertato dall’attacco che pensa solo a proteggersi il viso dagli artigli e non a sparare al falco. Forse lo farebbe uno dei suoi compagni, se Falcon non intervenisse atterrando ed abbattendo i due altri banditi con poche, rapide mosse: un misto di ciò che ha imparato sulle strade e degli insegnamenti di Steve Rogers, l’originale Capitan America. Rendere innocuo l’uomo aggredito da Redwing è un gioco da ragazzi.
Un rapido sguardo all’interno dell’auto gli fa capire che l’autista, l’unico che non era uscito dopo l’impatto, è rimasto ferito, ma gli basta poco per accertarsi che sia vivo.
Mentre aspetta l’arrivo della Polizia e dei paramedici, Sam Wilson riflette: non era una tentata rapina quella in cui lui e Claire si sono trovati loro malgrado in mezzo, ma una vera e propria esecuzione. Ma perché? La curiosità è una brutta abitudine, pensa, ma in fondo chi indossa costumi come il suo non può non averne.
Phoenix, Arizona. Ammettiamolo: sei sconcertato. Nella tua breve carriera nei panni di Capitan America le tue esperienze con la magia sono state decisamente scarse e non sei abituato a quello che sta succedendo. La quasi totale assenza di punti di riferimento ti fa sentire a disagio, ma cerchi di non darlo a vedere. Il tuo sguardo corre a coloro che sono con te. Puma non sembra minimamente turbato, anzi è chiaramente pronto all’azione; Red Wolf sembra concentrato, Lobo è accucciato accanto al suo padrone e ringhia; Jack Ironhoof si guarda intorno del tutto disorientato.
E poi ci sono gli altri due: quello chiamato Corvo Nero torreggia su di loro come un gigante od una divinità mitologica. Se hai studiato bene i files dei Vendicatori è una specie di sciamano con poteri soprannaturali di alto livello, un’autoproclamata incarnazione dello spirito del “Popolo Rosso”. Una volta si è scontrato con Rogers e lo ha giudicato degno.[1] Puma e Red Wolf sono suoi compagni nei Rangers, ma da parte di Puma si percepisce una sorta di ostilità ed anche Red Wolf non lo guarda in modo troppo amichevole. La reazione che t’interessa di più, però, è quella dell’altro attore di questo dramma: Bengal, che ora ha assunto una forma decisamente più antropomorfa e da cui trasuda un misto di rabbia e terrore atavico così forte che perfino tu la percepisci come fosse una cosa viva.
-Cosa vuoi?- la voce è bassa, cupa
-Porre termine al conflitto.- è la semplice, calma, risposta di Corvo Nero.
Involontariamente ti viene da sorridere. È più facile iniziare un conflitto che porvi fine, pensi, un’amara verità che non ha mai insegnato nulla all’umanità.
-La mia caccia finirà solo quando i colpevoli saranno tutti morti ed il sangue versato sarà vendicato.- replica Bengal.
-Quest’uomo è innocente dei crimini di cui lo accusi.-ribatte Corvo Nero indicando Jack Ironhoof –Lui ed un altro cercarono di impedire il massacro della tua gente. Tu sai che è così, altrimenti perché li avresti lasciati per ultimi?Non speravi forse che ti fermassero prima di ucciderli?-
-No!-
risponde Bengal –Erano lì e moriranno
come gli altri.-
Senza dire altre parole scatta verso Jack Ironhoof con gli artigli sguainati ed è a questo punto che tu scatti e gli balzi addosso interrompendo il suo salto.
-Fermati Bengal!-gli dici –Non è ancora troppo tardi.-
-Sbagli Capitano e
se cercherai di impedirmi di fare giustizia dovrai morire anche tu.-
C’è un velo di tristezza negli occhi di Corvo Nero mentre alza una mano e Bengal si ritrova sollevato a mezz’aria.
-Non mi lasci altra scelta.- dice semplicemente.
4.
. La Volta, Prigione Federale per Supercriminali, da qualche parte in Colorado. Due giorni fa. Will Mace sfida lo sguardo del suo interlocutore e ribatte:
-Francamente non m’importa granché della storia dei fratelli Rogers o di quale dei due tu sia veramente. Ancora non hai risposto alla mia domanda centrale: che ne sai di quel Bengal?-
Un sorriso increspa quel volto così simile a quello dell’originale Capitan America mentre l’uomo che si fa chiamare Michael Rogers risponde:
-Bengal? Da quel poco che ne so, deve essere uno dei risultati del progetto che mi mandarono distruggere o ti sei dimenticato quel che accadde quando scoprimmo il laboratorio segreto?-
L’espressione di Will Mace gli dice che lo ricorda fin troppo bene.
Da qualche parte nel Vietnam del sud, nei pressi del confine con la Cambogia. Agosto 1972. Qualunque cosa il tenente Jeffrey William Mace Jr. pensasse della guerra prima di oggi, di certo non era questo. Aveva sentito parlare di massacri indiscriminati, ma vederne uno, vedere i suoi stessi compagni, uomini con cui ha trascorso gli ultimi mesi, agire così è troppo per lui. Non ricorda neppure di aver vomitato, alza la testa e quello che vede sono fiamme, un odore intenso e difficile da descrivere, l’odore della carneficina.
-Si muova tenente.- dice una voce alle sue spalle –Credevo che uno col suo nome avesse i nervi e lo stomaco più saldi. Che ne direbbe suo padre?-
Jeff si volta e si trova davanti un uomo che lo inquieta sin da quando l’ha conosciuto. Il suo volto è identico a quello di Steve Rogers, il primo Capitan America, ma non può essere lui, non cosi giovane, almeno.
-Che ne sa lei di mio padre?- ribatte Will in tono aspro –Non credo proprio che frequenterebbe massacratori di innocenti.-
L’ufficiale, un capitano, sogghigna.
-Sarebbe sorpreso di sapere quante cose so, tenente, ma non è il momento di parlarne. Non abbiamo ancora trovato il laboratorio e…-
-Laboratorio? Ma di cosa…-
Una voce interrompe la frase di Will, è quella di un sergente delle Forze Speciali, proprio come il capitano.
-L’abbiamo trovato signore. Stiamo per far saltare l’ingresso.-
-Ottimo lavoro sergente, ma ricordate: massima attenzione.-
Il capitano Michaels si avvia verso quella che sembra una botola. Si sente il rumore di un’esplosione che fa saltare un portello di metallo, poi…
-Oh Mio Dio!-
-Cosa sono quelli?-
-Sparate!-
-Non si fermano, non si fermano!-
-Continuate a sparare, per l’amor di Dio.non smettete di sparare!-
Urla disumane, spari. Will vede qualcosa che gli si precipita addosso. Non è umano, sembra una via di mezzo tra uomo ed animale. è solo l’istinto che gli fa afferrare la pistola e sparare finché non ha più proiettili e quel… quella cosa è a terra, morta.
Le grida e gli spari continuano ancora per un po’, poi cessano ed in mezzo alle rovine ci sono solo tre esseri ancora vivi: Will stesso, il caporale Jack Ironhoof ed il misterioso capitano, in ginocchio e coperto di sangue, Tutti gli altri sono morti, tutti morti.
Una collera sorda si impadronisce di Will, raccoglie una pistola rimasta in terra accanto ad un cadavere e la punta contro la figura in ginocchio.
-Dovrei ucciderti come un cane.- esclama.
L’altro alza lo sguardo verso di lui. Non c’è paura nei suoi occhi, ma sfida e quasi… sollievo?
-Allora fallo.- gli risponde.
La Volta, Prigione Federale per Supercriminali, da qualche parte in Colorado. Due giorni fa. Il flash di ricordi s’interrompe bruscamente e Will si rivolge al presunto Michael Rogers:
-Bengal è uno di quegli uomini belva e cerca vendetta contro gli autori della strage. Ma come è possibile? Erano tutti morti, lo so, li ho visti… è poi non potrebbe ami essere così giovane, sono passati 35 anni!-
Rogers ride:
-Questa è un osservazione che non mi aspettavo da uno con la tua esperienza, Mace. Magari quei tipi hanno una resistenza sovrumana ed uno di loro è riuscito a sopravvivere, magari non invecchia. Oppure i cinesi ed i vietnamiti hanno continuato gli esperimenti e lui è solo un ibrido di nuova generazione. Chi può dirlo?-
-Sembra che la cosa non ti interessi.-
-Al contrario, sono molto curioso.-
La porta si apre ed una guarda entra rivolgendosi a Will:
-Mi spiace signore, ma il suo tempo è scaduto.-
Will sospira e si alza in piedi.
-Tornerò ancora domani.- dice a Rogers –Io e te non abbiamo ancora finito.-
Mike Rogers sogghigna e risponde calmo:
-Lo so… e ci conto.-
5.
Eliveicolo dello S.H.I.E.L.D. da qualche parte sopra gli Stati Uniti. Ieri. L’uomo biondo somiglia straordinariamente al prigioniero della Volta, ma sembra più giovane. Il suo nome è Steve Rogers ed è stato Capitan America. La ragione per cui è qui riguarda l’altro uomo nella stanza: il Colonnello Nick Fury, Direttore dello S.H.I.E.L.D.
Ancora una volta Steve Rogers esamina le immagini sottopostegli da Fury e scuote la testa:
-Lo ammetto: sembrano proprio i… i vecchi nemici comunisti di Capitan America negli Anni ’50, ma non è possibile… quelli che non sono morti allora, adesso sono troppo vecchi.-
-Come te… o me?- l’ironia è evidente nella voce di Fury.-Ascolta: è probabile che siano degli imitatori, ma la loro ricomparsa adesso in azioni di terrorismo internazionale non può essere casuale. Abbiamo bisogno della tua esperienza.-
-Perché? Se credi che voglia indossare di nuovo un costume oppure guidare una delle tue unità di commando puoi scordartelo. Ho trovato la pace ormai e non voglio compromettere tutto adesso.-
-E se ti dicessi che c’è di mezzo una tua vecchia conoscenza?-
-Parli del Teschio Rosso? Credevo fosse morto. Albert Malik, intendo, il Teschio Rosso comunista degli Anni 50. Era lui il capo di quei tipi.-
-Infatti, è morto, assassinato dal vero Teschio Rosso un po’ di tempo fa,[2] ma ciò non significa che il suo retaggio non sopravviva… comunque non alludevo esattamente a lui.-
Un lampo d’interesse passa forse negli occhi dell’ex Capitan America mentre risponde:
-Dimmi di più.-
Da qualche parte tra l’Arizona e Washington D.C. Oggi. Il maggiore Elizabeth Mary Mace è dispiaciuta di aver dovuto abbandonare suo fratello alle prese con Bengal. Le sarebbe piaciuto continuare a seguire il caso nei panni di American Dream, ma il dovere la chiama altrove. Mentre un volo militare la riporta alla Capitale verso i corridoi del Pentagono si chiede cos’abbai in serbo per lei il Colonnello Michael Rossi e si ritrova a sperare che sia qualcosa di intrigante… e pericoloso.
Phoenix, Arizona. Tutti voi osservate la figura di Bengal sollevato in aria mentre il suo aspetto si fa alternativamente più umano o più felino. Sei tu il primo a rompere il silenzio:
-Che cosa gli stai facendo?-
-Io non gli sto facendo niente, Capitan America.- risponde Corvo Nero -È lui che lo sta facendo a se stesso. Il suo fato è ora nelle mani di poteri più grandi della comprensione umana.-
-Io… io non credo che sia giusto.- ribatti tu –Una pena non dovrebbe essere mai crudele.-
-Nobili parole. Non c’è crudeltà in quel che sta per accadere: è stato lo stesso Bengal a scegliere il suo destino. Osserva!-
Improvvisamente davanti ai tuoi occhi ed a quelli degli altri si apre uno scenario del tutto nuovo. Siete nelle jungle del Vietnam, non hai dubbi al riguardo ed osservi una scena che tuo padre e Jack Ironhoof hanno gia vissuto di persona: un massacro insensato, un villaggio raso al suolo e quelle creature che escono da una botola, più animali che uomini. Le vedi cadere tutte sotto i colpi dei soldati americani e di questi ultimi ne vedi sopravvivere solo tre, poi, di colpo, lo scenario cambia. Ora siete in una specie di laboratorio. C’è uno scienziato, chiaramente orientale, che sorride e si rivolge ad una figura distesa su un lettino:
-Ora sei pronto.- dice e ti accorgi che puoi comprendere le sue parole come se parlasse nella tua lingua –Sai cosa fare adesso?-
-Certo che lo so.-
risponde la figura –Il sangue versato
avrà la sua vendetta. Tutti gli assassini moriranno uno dopo l’altro e prima di
morire sentiranno ancora una volta il respiro della jungla.-
Avevi letto quella storia, ma è stato molto diverso vederla dal vivo: la storia di misteriosi assassini che uccidevano atrocemente i soldati americani ed i Sud Vietnamiti, una spedizione nella jungla vicino al confine laotiano conclusasi con una carneficina, una commissione d’inchiesta senza conclusioni. Non hai bisogno di chiedere, perché lo sai (ancora la magia di Corvo Nero?): c’è stato un sopravvissuto ed ha coltivato l’odio per 35 anni, trasmettendolo al figlio e quel figlio ha accettato di sottoporsi ad esperimenti che lo hanno privato della sua umanità in nome della vendetta.
La visione diventa sfumata e si dissolve, ma non prima di averti lasciato l’impressione che ci fosse qualcun altro in quel laboratorio: una figura alta dall’aspetto che ha qualcosa di familiare per te, come se l’avessi già visto altrove, come un ricordo che cerchi di afferrare e sfugge via.
-C’è differenza tra giustizia e vendetta.- la voce di Corvo Nero ti strappa alle tue riflessioni -Bengal ha superato il confine tra le due cose ed ora deve pagarne il prezzo.-
La figura di Bengal tema e poi scompare in un lampo di luce.
-Cosa gli è successo?- chiedi.
-Non temere per lui o per altri. La sua vita è stata risparmiata ed il pericolo che rappresentava è finito. Ora, forse, ha raggiunta la pace che bramava.-
Corvo nero fa un gesto e tutti vi ritrovate nell’ufficio di Jack Ironhoof. Tutti tranne Corvo Nero, naturalmente, e tu ti ritrovi a lottare contro un senso di nausea che ti assale di colpo.
-Ora capisci, immagino, perché lo ucciderei volentieri certe volte.- commenta Puma.
-Non cerco neppure di capire cos’è successo.-dici –In qualche modo, però, sento che aveva ragione il pericolo è finito.
-Io credo di aver capito, invece.-replica Puma –Ho affrontato una prova simile una volta ed ho quasi perso la mia umanità.[3] Spero per Bengal che il suo destino sia migliore del mio.-
-Era un assassino, ma aveva le sue ragioni…-commenta Jack Ironhoof -… ragioni che posso comprendere. Io ero lì ed ho visto… ed ho odiato.Nessuno di noi è immune dai peccati.-
-C’è chi sa vivere con essi e chi non ci riesce.- aggiunge Puma -Ora scusate, ma credo che tornerò nel mio alloggio, mi farò una doccia e forse chiamerò una certa signorina.
Puma esce dall’ufficio e Red Wolf e Lobo lo imitano subito dopo. Quanto a te, indugi sulla soglia e ti rivolgi ad un pensieroso Jack Ironhoof:
-Lei che farà adesso?-
Il poliziotto Apache scuote la testa ed abbozza un sorriso mentre risponde:
-Credo che andrò da mia figlia e cercherò di scordare il passato, sperando che il passato si scordi di me.-
Annuisci e te ne vai è stata una lunga notte, ma ormai è finita
EPILOGO UNO
La realtà piomba su Jesse Black Crow pesante come un macigno.Non è la prima volta che, dopo uno dei suoi “viaggi” nei panni di Corvo Nero, si ritrova sdraiato sul pavimento, sfinito come se avesse fatto il giro del mondo a piedi. Il che è un’amara ironia, perché lui non può più usarli i piedi, non dopo che la sua schiena si è spezzata in seguito alla caduta da un’impalcatura mentre lavorava ad un grattacielo in costruzione.[4] Sopravvisse miracolosamente ad un volo da un’altezza che avrebbe ucciso chiunque altro… ma non lui, il protetto dal Grande Spirito. La sua sofferenza era necessaria perché diventasse ciò che è adesso? E ne è valsa la pena? Corvo Nero, il messaggero degli dei non si pone questa domanda, ma Jesse Black Crow, l’uomo, se la fa ogni giorno e non ha ancora trovato una risposta.
EPILOGO DUE
La Tigre del Bengala avanza maestosa nella foresta tropicale. Quello è il suo regno e quella è la sua vita. Se mai nel suo cervello alberga il ricordo di un’altra vita, esso non è nulla più di un sogno che si dissolve alla luce del mattino come se non fosse mai esistito e la Tigre prosegue la sua avanzata, possente nella sua tremenda simmetria.
FINE
NOTE DELL’AUTORE
Siamo arrivati anche alla fine di questa storia. Spero che vi sia piaciuta, ma in caso contrario, sapete dove indirizzare le critiche. -_^
Non c’è molto da dire su quest’episodio, se non che:
1) Mi è davvero piaciuto usare in questa storia i personaggi della serie Rangers gentilmente concessimi dall’amico Valerio Pastore, che spero apprezzi la mia personale versione, che più che le loro doti di combattenti ha cercato di evidenziarne le caratteristiche psicologiche. Con quale successo non sta a me dirlo.
2) Qualche parola in più la merita Corvo Nero. Ripensandoci, credo di averlo tratteggiato come se fosse la versione indiano-americana dello Spettro, ma tutto sommato, considerati i suoi poteri quasi onnipotenti è una tentazione facile da comprendere.
3) Rimangono sicuramente un po’ di domande senza risposta, per esempio sui segreti del misterioso Michael Rogers e sulla misteriosa figura che Capitan America crede di aver visto nel laboratorio in cui fu creato Bengal, ma, come suol dirsi, le risposte arriveranno presto o tardi nelle prossime storie.
4) Lo ammetto: non ho resistito alla tentazione di citare una nota poesia di William Blake sia nel titolo che nel finale della storia, Che volete farci? Sono solo un debole umano. -_^
Nel prossimo episodio: un’evasione spettacolare, il ritorno di un vecchio nemico, un nuovo mistero e molto, molto di più…ma perché parlarvene adesso e togliervi il piacere di scoprirlo da soli?
Carlo
[1] È accaduto in Captain America, Vol 1°, #294 (Capitan America & I Vendicatori, Star, #34)
[2] In Captain America Vol 1°, #249 (Capitan America & I Vendicatori, Star, #75).
[3] Come visto in Spectacular Spider Man, Vol 2°, #191/193 (Uomo Ragno, Marvel Italia, #156).
[4] Evento narrato per la prima volta sempre su Captain America, Vol 1°. #294.